Il Calderone di Severus

Severus Ikari - Freddo è il profumo della morte, caldo è l’aroma della vita, Genere: drammatico, generale, introspettivo Personaggi: Severus Snape, Eileen Prince, Personaggio Originale Pairing: Severus/Personaggio Originale Epoca: più di un’epoca (Malandrini, post 7° anno) Avv

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view post Posted on 27/8/2017, 09:35
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I ♥ Severus


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Da un dolce sogno d'amore!

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Titolo: Freddo è il profumo della morte, caldo è l’aroma della vita
Autore/data: Severus Ikari/ 26-27 giugno 2014
Beta-reader: /
Tipologia: one shot
Rating: per tutti
Genere: drammatico, generale, introspettivo
Personaggi: Severus Snape, Eileen Prince, Personaggio Originale
Pairing: Severus/Personaggio Originale
Epoca: più di un’epoca (Malandrini, post 7° anno)
Avvertimenti: AU
Riassunto: L’acqua gli aveva portato via tutto, anche quel dolore che come sabbia era rimasto sul fondale, difficile da raggiungere, ma presto o tardi sarebbe riaffiorato come i resti di un’imbarcazione naufragata, e avrebbe fatto male, impetuoso come una tempesta.
Il vento, però, spazzava via le nubi e faceva tornare il sole.

Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I personaggi originali, i luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.

Nota: Storia scritta per la Sfida FF n° 7 “La Sfida Olimpica” facente parte della Severus House Cup del Forum “Il Calderone di Severus”. Specialità: Nuoto.



Freddo è il profumo della morte, caldo è l’aroma della vita

Parte I

«Ehi, tu! Snape! Tuo padre si è ficcato in un canale.»
In quel modo gli era stata annunciata la morte di suo padre, niente di più, undici parole gelide e impietose che lo avevano trapassato come un fantasma nel muro o nel corpo di un vivo, ma lui non aveva sentito quella fredda sensazione che lo aveva colto alla sprovvista la prima volta ad Hogwarts.
No, lui non aveva sentito niente, come se gli avessero detto che ogni giorno il sole sorgeva o il canto di quel piccolo usignolo era davvero delizioso.
Che cosa avrebbe dovuto provare? Si chiese mentre percorreva la strada per tornare a casa, da sua madre che avrebbe pianto disperata per la morte dell’amore per il quale aveva sacrificato tutto.
Anche suo figlio.
Avrebbe dovuto piangere come stava facendo il cielo in quel momento o sarebbe stato ipocrita da parte sua, poiché ogni ricordo dell’affetto che nutriva per suo padre era ormai svanito?
Severus seguitava a camminare, le mani nelle tasche e il collo della giacca rialzato per ripararsi dalla pioggia, ma l’acqua gli aveva ormai inzuppato i capelli e i vestiti e la sentiva scendergli lungo la schiena.
Quando arrivò, quell’angolo di Cokeworth era battuto da una forte pioggia e una schiera di impermeabili ed ombrelli rendeva la scena ancora più irreale, gli sembrava quasi ridicola, come le scene di quei film che ogni tanto davano alla televisione, davanti ai quali suo padre si addormentava spesso.
Adesso non avrebbe più visto niente e avrebbe dormito per sempre.
Severus non sapeva quali emozioni avrebbe dovuto provare, si limitò ad osservare il corpo dell’uomo in quel canale, con le mani sempre nelle tasche, mentre sua madre piangeva, piangeva mentre i tratti del suo volto mutavano, si distorcevano, rendendo quella vista ancora più impietosa.
Il ragazzo, però, si sentiva il cuore vuoto, e neppure le lacrime di Eileen riuscivano a fargli sentire qualcosa.
«Com’è morto mio padre?» fu tutto quello che riuscì a dire.
Un agente di polizia, chiuso nel suo impermeabile, lo guardò per un attimo con curiosità e in quegli occhi poteva scorgere l’incredulità nel vedere un figlio che non piangeva per la morte del proprio genitore.
«E tu chi sei?» gli chiese invece l’agente.
«Se ho chiesto come è morto mio padre, mi sembra evidente che io sia suo figlio» la stupidità lo irritava sempre, e trovava piuttosto divertente che qualsiasi cosa avesse fatto, sarebbe stata giustificata vista la situazione.
Chi mai avrebbe potuto rimproverare lo scatto d’ira di un figlio che aveva appena perso il padre?
“Potrei urlare a tutti di andarsene, sparire, e lasciare il corpo di mio padre lì, nell’acqua fino a fargli gonfiare ogni lineamento e fino a quando non sarà nient’altro che ossa e cenere.”
«La pioggia ha reso scivolosa la strada che costeggia il canale ingrossato dall’acqua, tuo padre ha perso il controllo della bicicletta ed è finito dentro, sbattendo la testa contro un masso ha perso i sensi e non è riuscito ad evitare che l’acqua gli entrasse nei polmoni. Ed è annegato.»
Anche le parole di quell’agente erano fredde, del tutto apatiche, era evidente che quell’uomo fosse abituato a dover comunicare simili informazioni e negli anni aveva perso ogni calore insieme ai capelli.
«Condoglianze, ragazzo» aggiunse nello stesso tono impassibile di prima, dopo avergli dato una forte pacca sulle spalle.
Rimase a guardare il corpo immobile di suo padre, mosso appena dalla corrente del ristretto canale, sembrava una piccola imbarcazione in balia delle onde. La bici giaceva altrettanto immota poco lontano, già rovinata dal tempo e dalla ruggine, era ormai anch’essa lo specchio di ciò che era stato.
Vederlo in quello stato lo fece sorridere, non era nient’altro che un uomo, un uomo senza alcun valore che non faceva più alcuna paura, e a ben osservarlo si chiese come avesse fatto sua madre a temerlo per tutto quel tempo, e persino lui anche solo quand’era un bambino.
«Pover’uomo.»
«Non meritava quella fine.»
La gente che si era accalcata ai lati del canale parlava, parlava, ma nessuno di loro sapeva come fosse in realtà Tobias Snape, se lo avessero saputo, non avrebbero di certo affermato quelle parole.
Severus avrebbe voluto gridare a tutti loro che suo padre era annegato esattamente come aveva affogato la sua vita e quella di sua madre, goccia dopo goccia fino a togliergli il respiro, fino a perdere aria nelle sue stesse lacrime.
Tobias Snape meritava esattamente quella fine e Severus ne era convinto.
E adesso si sentiva finalmente libero.
«Ho incontrato Lily Evans l’altro giorno, era molto ombrosa, come se volesse evitarmi. Cos’è successo tra di voi?» la voce di sua madre gli strappò quei pensieri di dosso, facendolo sentire improvvisamente sporco, corrotto, un figlio ingrato che non stava piangendo per la morte del suo genitore né stava soffrendo.
«Non voglio parlare di questo, adesso. In realtà non voglio proprio parlarne.»
«Perché?» gli chiese, il volto ancora rigato dalle lacrime, ma non più tirato da quelle smorfie che l’avevano trasformata nella maschera informe di una donna che non era sua madre.
«Perché mio padre è morto.»
«Non gli volevi bene a tuo padre.»
«Puoi biasimarmi? Mio padre mi considerava un mostro, un abominio, e considerava allo stesso modo anche te!»
«Io lo amavo» le sue parole erano amare ma sincere, avevano la stessa freschezza della pioggia sul viso, quella stessa pioggia che in un attimo poteva tramutarsi nella fine di tutto.
Quella pioggia che si era portata via suo padre, lasciandolo lì, con le mani ancora nelle tasche e le gocce d’acqua che gli avevano reso la pelle umida, lì dove il dolore non lo aveva ancora attraversato né inghiottito.
Il cielo, insensato, continuava a lacrimare, quel pianto che il figlio di un uomo non avrebbe mai prodotto, cristalli salati che aveva versato quando Lily era ormai perduta, ma non per lui.
Non per quell’uomo che ormai era soltanto un ammasso immobile di carne fradicia.
Un figlio doveva per forza piangere per la morte di suo padre?
Quando era piccolo e ancora frequentava le scuole Babbane, gli era stato insegnato che bisognava onorare il padre e la madre, ma valeva in ogni caso?
Valeva anche quando tuo padre ti considerava un mostro?
Dovevi davvero onorare la figura di un uomo che riduceva una donna e un bambino in lacrime e forse alzava persino le mani?
No, Severus non lo avrebbe onorato né pianto.
«Non te ne faccio una colpa, ma io non sarò un debole come lo sei stata tu.»
Era cresciuto Snape, non era più il bambino spaurito che nascondeva il viso tra le ginocchia o desiderava soltanto una carezza di sua madre, un po’ di conforto in una vita fatta da nient’altro che gelo e urla.
Adesso, però, aveva lui, il mago che gli avrebbe dato la conoscenza e il potere e nessuno lo avrebbe mai più messo in un angolo.
Non avrebbe più pianto in un angolo buio di casa, sarebbe stato forte, un mago temuto.
Rimase ancora ad osservare il corpo dell’uomo che lo aveva generato mentre era portato via, issato su di una barella come il peso morto che era e che era sempre stato, e coperto da un lenzuolo bianco che non avrebbe mai potuto nascondere tutta l’oscurità che si portava dentro, tutta la crudeltà.
Sua madre aveva ripreso a piangere a forti singhiozzi, tormentandosi le mani callose e rovinate, sapeva benissimo che non doveva essere forte per suo figlio, perché Severus non avrebbe mai sofferto per quell’uomo ormai lontano dalla sua vita.

Quella fu anche l’ultima volta che vide sua madre.
Due mesi dopo, prese la bacchetta per la prima volta da quando si era sposata e, nella notte, quando era sicura che nessuno l’avrebbe vista, mormorò un incantesimo che fece alzare il livello dell’acqua di quel piccolo canale che si trovava a pochi passi da casa, e vi si gettò dentro per trovare la stessa morte del suo amato marito.
La trovarono l’indomani, coperta di fango e uno strano pezzo di legno tra le dita, e quel giorno non ci fu alcuna parola gelida per Severus Snape, soltanto silenzi per quel ragazzo che aveva deciso di non essere più un bambino spaurito e un ragazzo ripudiato da tutti, ma un uomo forte, determinato, che nessuno mai avrebbe schiacciato.

Quando il Signore Oscuro impresse il Marchio sulla sua pelle, non aveva più nessun affetto, soltanto il mago che gli era davanti e i suoi nuovi compagni.
La sua nuova vita nata dalla morte fredda come l’acqua di un ruscello.


Parte II

«Maledetto bastardo! Prova a tornare indietro che ti ci affogo in questa dannata pozza!»
Una ragazza dai lunghi capelli scuri e arruffati e bagnati di pioggia, stava inveendo contro una macchina che, passando sopra un’ampia pozzanghera, l’aveva completamente inzuppata dalla testa ai piedi.
Severus Snape, mentre camminava per le strade di Londra, si voltò verso la donna solamente perché aveva urlato, bagnata dall’acqua di una pozza e si curò di lei giusto il tempo di piegare le labbra in un sorriso sarcastico, quello che i suoi studenti volevano sradicargli con le loro mani per darlo in pasto a qualche cane randagio di passaggio.
Nessuno di loro, però, aveva mai avuto l’ardire anche solo di avvicinarsi alla sua persona.
All’improvviso ci fu un gran trambusto, vide che in un attimo una gran folla si ammassava in una stradina dove sicuramente era successo qualcosa.
Si avvicinò, curioso, e anche la giovane donna, fradicia, che ora aveva preso a guardare con insistenza, si avvicinò verso quell’ammassarsi di persone, anche lei curiosa di vedere cos’era accaduto in quel vicolo nascosto.
Vide alcuni individui spostarsi come sotto un incantesimo, e quello gli parve piuttosto strano, lui non aveva fatto niente, si disse e si guardò intorno, ma non notò nulla di strano, così, semplicemente, decise di avanzare verso quell’improvviso varco che si era creato.
Non si era aspettato di vedere quello e non si era aspettato di provare un così forte dolore nel petto.
Un uomo era riverso a terra, agonizzante, con una profonda ferita sulla testa che sanguinava piuttosto copiosamente, e, lì vicino, giaceva una vecchia bici grigia con il telaio piegato e rovinato.
Era come tornare indietro di più di venti anni in un sol colpo e nella figura tremante dell’uomo a terra, gli sembrò di scorgere il corpo di suo padre, solo che non era immobile, ma si agitava e sembrava allungare le dita verso di lui.
Aiutami, figlio mio. Ti prego!
Quell’uomo, però, non era il suo genitore, e non lo stava di certo chiamando né pregando e lui non sarebbe mai corso in suo aiuto.
Aiutami.
No, il giovane Severus Snape non avrebbe mai aiutato il padre morente, ma l’adulto che era diventato, l’individuo corrotto e sceso nell’ombra, si sarebbe di sicuro inginocchiato e con la magia che tanto quell’uomo aveva disgustato aveva disgustato, lo avrebbe salvato. E si sarebbe allontanato senza aspettarsi gratitudine o altro.
Chiuse gli occhi un solo istante.
«Si sente bene?» una voce interruppe i suoi pensieri.
«Io… cosa?» si voltò verso la fonte di quelle parole e si ritrovò di fronte il volto della giovane donna che aveva visto poco prima che lo guardava con curiosità, scrutandolo a fondo. «Sì, certo, tutto bene, perché me lo chiede?»
«Perché è appena svenuto, forse?»
«Cosa? Come?» Snape non si era minimamente reso conto di trovarsi con la schiena sulla terra bagnata dalla pioggia, e gli occhi che lo stavano scrutando erano sopra di lui, come le foglie d’autunno che scendevano lente, sfiorate appena dal sole.
Come aveva fatto a non accorgersi di aver perso i sensi?
Si alzò dalla strada, cercando di riprendere quel contegno che gli era proprio e quella lucidità che evidentemente aveva perso.
«Mi permetta di visitarla un attimo. Sono un Medi… un medico.»
“Non è sicura neppure di essere un medico, sicuramente sarò in ottime mani” neppure i suoi pensieri potevano smettere di essere sarcastici per un solo istante, tantomeno smettere di essere sospettosi del genere umano.
«Io sto bene, dovrebbe andare a soccorrere quell’uomo» replicò Snape, duramente, troppo duramente per una giovane donna che aveva soltanto mostrato preoccupazione per lui.
«È già in ottime mani, non si preoccupi, è una ferita grave, ma se la caverà.»
Suo padre, invece, non se l’era cavata e nessuno gli aveva prestato soccorso, era morto in quel canale, da solo, con l’acqua che veloce gli aveva riempito i polmoni.
Ti prego, aiutami.
Severus scosse la testa, ma il volto di suo padre tornò prepotente davanti ai suoi occhi, il volto di un uomo solo, ferito, sconfitto dalla vita e da ciò che non era mai riuscito ad essere. Il volto di un padre che gli aveva voluto bene.
Aiutami, Severus.
E lo vide su quella vecchia bicicletta dove qualche volta era salito anche lui, davanti, con le manine strette sul manubrio mentre insieme a Tobias rideva, rideva spensierato, sereno e felice.
Attimi durati troppo poco, attimi che non c’erano stati più.
Severus…
E il dolore che non aveva provato quel lontano giorno, gli esplose potente nel petto in quello stesso istante, lì dove quell’uomo sconosciuto veniva caricato su un’ambulanza e la folla iniziava a scemare lontana e indifferente.
Lì dov’era rimasto solo con quella giovane donna che lo guardava, lo guardava piangere addolorato come mai nessuno lo aveva osservato.
E si vergognò di quella debolezza, si vergognò di quell’attimo in cui tutta la sua maschera era crollata e il pianto aveva preso a sgorgare libero e impetuoso come l’acqua che si era portata via suo padre.
E il pianto che non si era concesso più di venti anni prima, arrivò, arrivò inesorabile.
«No. È evidente che non sta bene.»
Le dita della giovane si posarono sulla sua spalla, era un contatto caldo, tenue, un tocco che non aveva niente della consolazione materna che aveva cercato di infondergli sua madre la mattina che suo padre era stato ritrovato in un canale.
Non aveva niente di quello, perché lui, in quel passato che gli sembrava ancora così vicino, non aveva provato alcun dolore per lui, nessun dolore che necessitasse conforto.
Esso, però, si era annidato dentro il suo cuore come un piccolo seme velenoso ed era cresciuto, in silenzio, nell’attesa di uscire da lì e squarciare il suo stesso petto.
E lo aveva sentito quello squarcio, aveva sentito il petto dilaniarsi e quella pianta farsi strada nella sua carne.
«Posso offrirle qualcosa da bere? Qualcosa di caldo?»
«Perché dovrebbe?»
«Perché a volte basta un po’ di calore per sciogliere tutto ciò che di intricato abbiamo dentro. E perché piove» e gli sorrise.
«Sei una strega, vero?»
La giovane donna gli sorrise ancora, persino il suo sorriso emanava un forte tepore, e quello parve rassicurare l’animo di Severus, anche se non sapeva bene il perché.
«È davvero molto perspicace lei,» ma il mago per tutta risposta grugnì piuttosto malamente, suscitando l’ilarità della giovane strega.
S’incamminarono in silenzio lungo la strada verso un locale che sicuramente la donna conosceva, non proferirono alcuna parola, ma Snape sentì che quell’inquietudine si stava davvero dissolvendo e persino l’immagine di suo padre si fece via via più lontana, dalla sua mente e dal suo cuore.
Ad un tratto la strega iniziò a parlare, parlare e il suo livello di irritazione aumentò come l’intensità della pioggia che aveva ripreso a battere forte su Londra.
«Posso chiederle perché quella reazione prima in quel vicolo?»
«No.»
«Va bene, va bene. Non è uno molto loquace a quanto vedo.»
«A differenza sua, a quanto vedo,» ma la giovane strega riprese a ridere, una risata piuttosto sgraziata avrebbe detto senza problemi lo stesso Snape, ma era un suono stridulo che, però, gli toccò qualcosa nell’anima.
Gli sembrava che vicino a quella donna potesse essere sicuro e sereno.
E, soprattutto, accanto a lei, la figura esanime di suo padre scompariva, così come la maschera pietosa che era diventata il volto di Eileen in quella mattina battuta dalla pioggia e dalla morte.
«Comunque io sono Melwyn, Melwyn Seawarm.»
Severus la guardò perplesso, non aveva nessuna intenzione di presentarsi né tantomeno le aveva dato la facoltà di prendersi quella confidenza, ma, insomma, stava o non stava andando con lei da qualche parte a prendere qualcosa di caldo?
«Severus» le disse non appena furono davanti alla porta d’entrata del locale.
«Cosa?» ma la ragazza aveva già un piede nel pub e non aveva sentito nulla di ciò che aveva detto il mago.
«Ho detto: Severus. Io sono Severus Snape.»
«So benissimo chi è» e gli rivolse un altro dolce sorriso. «In tutto il Mondo Magico è difficile non conoscerla.»
Il mago sospirò mesto, aveva creduto che quella giovane donna non conoscesse nulla di lui, che per una volta poteva essere guardato come un uomo soltanto, e invece la sua oscura fama, come sempre, lo aveva preceduto.
«Che cosa vuoi esattamente da me? Sei l’ennesima giornalista che vuole scucirmi qualche parola?» gridò ad un tratto Snape, aspro e tagliente.
Severus aveva ricevuto spesso l’intrusione di parecchi maghi e streghe che non vedevano l’ora di sentire le epiche gesta dell’eroe che era stato durante la guerra, di come fosse sempre stato dalla parte di Dumbledore e avesse fatto la spia rischiando per anni la vita.
Lui voleva soltanto essere lasciato in pace perché tanto ognuno di loro in realtà pensava che lui fosse solamente un mostro, un assassino traditore, nulla di più, nessuno spiraglio di luce nelle tenebre che lo avevano avvolto.
«Ha mai pensato che qualcuno vuole semplicemente ciò che le dice? Non tutti a questo mondo hanno secondi fini o strane intenzioni. Non l’ho obbligata a seguirmi, è venuto di sua spontanea volontà e quel caffè me lo prenderò con o senza di lei. Sta a lei, Severus, decidere.»
La giovane strega entrò nel locale senza aspettare alcuna risposta da parte del mago che, dal canto suo, rimase per qualche istante a fissare la porta dalla quale si vedeva appena l’interno e poi la seguì con un sorriso sulle bocca che, inspiegabilmente, gli era nato sulle labbra e non era riuscito a frenare.

La seconda volta che la incontrò, pioveva, di nuovo, sembrava che quella ragazza si portasse dietro la pioggia dal cielo, e sicuramente doveva averne presa nuovamente molta visto come tremava in maniera piuttosto vistosa.
«Le è tanto difficile usare un ombrello?» le chiese duro, ma con una nota di apprensione nella voce.
La giovane non rispose, batteva i denti e continuava a rabbrividire dai capelli fino alle dita dei piedi, cercando di scaldarsi nel mantello che Severus le aveva offerto.
«Andiamo, l’accompagno a casa, deve avere anche un po’ di febbre.»
«Maledizione, Severus Snape, vuoi darmi del “tu” che mi fai sentire vecchia!» urlò a denti troppo stretti a causa del freddo, per poter essere scambiata per un’aspra richiesta.
«Bene. Basta che ti alzi da quella dannata panchina prima che qualcuno si accorga che sopra le nostre teste non piove affatto.»
La strega, sorridendo, afferrò la mano di Severus e si alzò, lasciandosi guidare da lui verso casa.

Erano passati mesi e Severus stringeva tra le dita una vecchia fotografia ormai logora che aveva trovato per caso quella mattina quando era dovuto salire in soffitta per una perdita d’acqua di cui non si era mai accorto, non fino la sera prima in cui una goccia umida gli era caduta esattamente sulla bocca mentre cercava di addormentarsi.
L’aveva trovata in un baule quasi completamente bagnato che doveva esser appartenuto a sua madre, una sorta di scrigno dei ricordi e dei momenti felici.
«Non mi hai ancora spiegato per quale motivo, la prima volta che ci siamo incontrati, piangevi.»
Continuò a rigirare quell’immagine sbiadita tra le mani, l’immagine di un uomo che aveva dimenticato da tempo, di un uomo che forse era semplicemente troppo spaventato e vinto dalla vita per comprendere fino in fondo la natura di quel figlio che aveva il suo stesso sangue e non soltanto il cognome.
«Sei la persona più impicciona e irritante che io abbia mai conosciuto,» ma la strega scoppiò a ridere e poteva vedere sul vetro della finestra il riflesso del suo volto disteso nell’ilarità, quel volto che gli era diventato amico e molto di più.
«Mi ami anche per questo, no?» e lo prese sottobraccio, posandogli il viso sulla spalla, serena, felice. Amata.
«Purtroppo sì» e stavolta fu lui a ridacchiare, anche se ottenne solamente una gomitata sul fianco che per poco non lo fece cadere. «Ehi!» protestò mentre Melwyn si perse per un attimo ad osservare la foto che stringeva tra le dita.
«Piangevo per lui» le rispose vedendo il suo interesse per quel pezzo di carta indistinto che un tempo era stato suo padre, un uomo sorridente che giocava con il proprio figlio. «Perché non l’ho fatto quando lui è morto. Quando dovevo.»
Severus si rese conto che era stato un bene che quel giorno fosse crollato in quel modo, perché sapeva che, prima o poi, quel dolore che aveva cercato di nascondere e dimenticare, sarebbe fuoriuscito più potente che mai e gli avrebbe tolto ogni respiro, annegandolo in un mare amaro dove avrebbe trascinato con sé i suoi stessi sentimenti.
Lì, in quel momento, mentre osservava quell’uomo agonizzante assumere le sembianze di suo padre, aveva compreso che doveva e poteva finalmente mostrare i suoi veri sentimenti e le sue emozioni, senza alcun timore, senza maschere né ombre a celare la sua vera natura.
E la donna che gli era davanti, gli aveva dimostrato che anche per lui era arrivato il tempo di amare e di essere amato.
La strinse a sé, con tutta la voglia che aveva di lei, baciandola con passione mentre fuori la pioggia aveva ripreso a scendere.
Quell’acqua che sembrava portarsi dietro la donna tra le sue braccia.
Quell’acqua che gli aveva portato una nuova vita, dall’aroma caldo della felicità e dell’amore.
 
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