Il Calderone di Severus

Ginevra (KnightOfCydonia) - Street of blood, Tipologia: One Shot ( 500) - Genere: Angst - Altro Genere: Drammatico Avvertimenti: Nessuno - Epoca: HP 6^ anno - Pairing: Nessuno - Personaggi: Severus - Altri Personaggi: Nessuno

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view post Posted on 17/6/2017, 17:19
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Titolo: Street of blood

Autore/data: Ginevra (KnightOfCydonia) – luglio 2014
Beta-reader: Chiara53
Tipologia: one shot
Rating: Per tutti.
Genere: Angst, Drammatico
Personaggi: Severus Snape
Pairing: Nessuno
Epoca: Seconda Guerra Magica
Avvertimenti: Nessuno
Parole/pagine: 1.586/4 pagine.

Riassunto. Doveva resistere. E doveva smettere di farsi domande inopportune. Doveva avere davanti una sola meta e tendere ad essa. A qualunque prezzo.

Disclaimer: I personaggi presenti in questa storia non appartengono a me, bensì a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. La trama di questa storia è, invece, di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento; nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.

Note. Scritta per la Severus House Cup – Sfida di Luglio “La sfida olimpica – categoria: il Tiro”.



Street of blood





Estate 1996

Silente si era limitato ad ascoltare il laconico rapporto di Severus con sguardo di pietra e poi – con un gesto stanco – lo aveva congedato, lasciandolo libero di tornare nelle proprie stanze a leccarsi le ferite.
Come sempre più spesso accadeva, il preside non aveva voluto notare i lividi sul viso e le macchie di sangue sulla tunica della sua spia; ovviamente non aveva nemmeno chiesto se i lividi e il sangue fossero i segni di una prolungata tortura subita dal professore di Pozioni oppure fossero tracce di uno dei vari sporchi lavori richiesti da Voldemort ad uno dei suoi più fidati servi.

Silente sapeva che Severus avrebbe fatto l’impossibile pur di rispettare il voto fatto anni prima: niente lo avrebbe distolto dal compito che ormai era divenuto l’unica ragione di vita, l’unica possibilità di riscatto di un uomo disperato e solo. E questa dedizione all’obiettivo finale, rendeva Severus utilissimo come spia: aveva abbracciato la Luce e il Bene per vendicare la morte della donna amata e proteggere il di lei figlio e avrebbe superato qualunque ostacolo pur di raggiungere lo scopo prefissato.

Ma questa volta Snape stava davvero male, talmente male da iniziare a farsi domande scomode.
L’indifferenza di Silente – pungente come una lama ben affilata – non lo aveva sorpreso, ma gli aveva fatto capire quanto il suo ruolo in questa partita di scacchi fosse quello di pedone sacrificabile. Per la prima volta, si chiese se la vendetta e il fine che tanto bramava fosse davvero condiviso da Silente o fosse semplicemente utilizzato e sfruttato dal preside in nome di quel Bene Superiore di cui il vecchio spesso cianciava.

Snape era uscito a testa alta dall’ufficio del preside con la solita camminata sicura, stringendo i denti per soffocare i gemiti dolorosi che premevano contro il suo petto cercando una via di uscita. Si era appoggiato ai muri di fredda pietra, camminando lentamente e con estrema attenzione, nascondendosi come ombra tra le ombre.
Non era riuscito a raggiungere i suoi alloggi e aveva vomitato l’anima in un corridoio buio.


Era stata una notte di inferno.
Il Signore Oscuro aveva progettato e realizzato un raid di inaudita violenza: questa volta le vittime non erano state Babbane, bensì due streghe, una impiegata al Ministero della Magia, l’altra una studiosa del mondo Babbano.
E non avevano avuto una morte veloce e pulita.
Snape si era esibito in una delle sue migliori e letali creazioni, il sectumsempra. Come ordinato dal suo Padrone, aveva dovuto torturare metodicamente le due donne, avendo cura di non farle morire immediatamente. In una foschia rossa di sangue, aveva visto sbocciare sulla loro morbida pelle fiori di dolore ai quali si erano accompagnati lamenti e urla strazianti.
Solo la fidata maschera d’argento aveva nascosto i lineamenti del torturatore, distorti da un infinito orrore.
Era stato efficace ed efficiente, impietoso e letale. Poi, finalmente, le urla erano cessate per lasciare posto ad un silenzio innaturale.

Il Signore Oscuro spesso richiedeva a Snape prestazioni del genere: amava il controllo che il suo fidato Mangiamorte riusciva ad avere sui propri istinti. Non tutti i suoi servi dimostravano la stessa abilità - e pazienza - nel giocare con le proprie vittime.
Era stato, quindi, abbastanza soddisfatto.
Ciò nonostante aveva, in ogni caso, deciso di punire Snape con una Cruciatus ben fatta e con alcune ferite da taglio che aveva personalmente inferto: il Signore Oscuro non era un imbecille e aveva ben visto che l’ultimo colpo lanciato dal Mangiamorte aveva tranciato di netto l’arteria femorale delle due donne, facendole morire in pochi minuti.
Un servo non doveva permettersi di far cessare troppo presto il divertimento del proprio padrone.
Così, Snape era caduto accanto ai corpi esanimi delle due donne, rotolandosi in mezzo al fango, sporcandosi con il sangue delle sue vittime, nel tentativo di far cessare gli spasmi nervosi che gli agitavano le membra.
Solo dopo minuti che erano parse ore, gli era stato consentito di alzarsi per poi inginocchiarsi davanti al Signore Oscuro e baciare con venerazione un lembo della veste.
Solo allora si era smaterializzato fuori dai cancelli di Hogwarts per poi crollare svenuto sull’erba.
Dopo qualche tempo, era riuscito a rialzarsi e si era diretto verso l’ufficio del preside.


Snape si asciugò le labbra con la manica della veste come avrebbe fatto un ragazzino del primo anno.
Negli occhi scuri ancora si agitavano vivide le crudeli immagini dei poveri corpi martoriati: non poteva dimenticare gli sguardi di terrore delle due donne e il desiderio - che aveva letto chiaramente nei loro occhi - di una morte veloce.
Non vi erano parole per descrivere l’orrore che ancora provava: aveva torturato e ucciso due innocenti. Tutto per continuare la farsa che aveva architettato con Silente e che gli avrebbe consentito di vendicare la morte della donna amata e di proteggere un ragazzino che lo disprezzava.
Non lo aiutava, poi, il pensare che oggi aveva servito – seppure per ragioni opposte – gli schemi di guerra di entrambi i suoi due padroni: uno aveva dato una ulteriore dimostrazione del proprio potere facendo piombare ancora di più nel terrore la popolazione dei maghi, l’altro aveva comprato con il sangue il mantenimento della copertura di un Giuda. E non importava ad alcuno che il prezzo per questa copertura era stato pagato con l’anima e il corpo lacerato di Snape.
Represse l’ennesimo conato di vomito e si diresse verso le proprie stanze.

Stava davvero male.

Si appoggiò pesantemente alla porta che conduceva al suo alloggio e mormorò piano la parola d’ordine per entrare. Lo stipite della porta si illuminò di un lievissimo color ghiaccio facendo intravedere i segni di antiche rune. Snape sorrise tristemente: tutta questa sicurezza per chi? Nessuno veniva mai a bussare alla sua porta. Solo il Preside passava ogni tanto per dargli qualche nuovo ordine o per avere ulteriori spiegazioni in merito alle informazioni che raccoglieva come spia. Certo non passava per sapere come stava il suo collaboratore a meno che non avesse immediato bisogno dei suoi servigi.

Entrò camminando piano.
Non accese nemmeno le torce: si limitò a dirigersi verso la porta del bagno. Aveva bisogno di togliersi dalla pelle l’odore del sangue e della paura che le sue vittime gli avevano lasciato addosso. Doveva lavar via le tracce della propria efferatezza.
Si spogliò piano, facendo cadere gli indumenti sul freddo pavimento di pietra per poi immergersi nella capiente vasca colma di acqua calda a cui aveva aggiunto alcune gocce di lavanda. L’acqua calda iniziò a distendere i muscoli induriti e tesi dall’adrenalina. Il profumo di lavanda gli invase delicato le narici.
Appoggiò la testa sul bordo cercando di non ascoltare i pensieri impazziti che continuavano a riproporre le immagini dolorose della notte appena trascorsa. Lì - nudo nell’acqua che piano si lordava di sangue e fango - si permise di piangere la morte delle due donne e la morte della propria anima.
Cercò di pensare a Lei e ai momenti ormai lontani passati insieme – scusandosi per avvicinarla anche solo con il pensiero ai fatti immondi di questa notte - ma non ci riuscì.

Lei lo avrebbe allontanato con gli occhi pieni di orrore.

Un sentimento di orrore che lui sapeva di aver guadagnato appieno. Un orrore di cui lui era causa.

Usci dall’acqua e finalmente accese le torce mormorando l’incantesimo adatto.

Si guardò allo specchio. Decisamente non era un bello spettacolo. Le palpebre gonfie, le rughe di tensione che scolpivano i lineamenti da falco che già aveva la sfortuna di possedere, il colorito malsano: tutto parlava di una vita poco piacevole, di costanti preoccupazioni e di una continua incuria. Il corpo, poi, sembrava una strana mappa del tesoro, costellato com’era da segni e cicatrici, alcuni provocati da alterchi con qualche mago o esiti di punizioni dolorose agite dal Signore Oscuro, altri dovute a risse da bar. In questo assomigliava in modo impressionante al suo – e sia reso grazie a Merlino – defunto padre.

Il taglio sul torace si era riaperto e sanguinava leggermente. Rimase un po’ a fissare il miele rosso fare capolino dai lembi slabbrati della ferita per poi iniziare la lenta discesa verso l’elastico dei suoi pantaloni. La linea rossa di sangue sembrava quasi il segno lasciato dalle unghie di una amante. Rise fra sé. Un’amante! Le uniche che si accompagnavano a lui erano delle belve, eccitate dal sangue e dal dolore degli altri, oppure delle donne annoiate che si esaltavano nel passare un po’ di tempo con un Mangiamorte servo del Signore Oscuro e paladino della nuova società che stava nascendo. In rari casi, erano Babbane in cerca di qualche ora di sesso senza troppe complicazioni.

Per il resto c’era solo un’immensa e straziante solitudine.

Si chinò sul lavabo e vomitò di nuovo.

Si sciacquò la bocca per poi dirigersi strisciando i piedi verso il letto dove cadde come corpo morto.


Dopo quelle che sembravano ore, aprì gli occhi nel buio, sentendo ancora i brividi e le fitte di dolore che perseguitavano le sue articolazioni.
Sospirò.

Era solo.

Non c’era mai nessuno con cui condividere i propri pensieri.

Soprattutto non c’era alcuno che potesse anche solo fargli compagnia o assisterlo quando crollava incosciente sul pavimento ancora in preda agli spasmi delle Cruciatus.

Le ferite facevano male, ma l’indifferenza di tutti faceva ancora più male.

Eppure doveva resistere. E doveva smettere di farsi domande inopportune.

Doveva avere davanti una sola meta e tendere ad essa. Anche se questo significava scendere all’inferno.

L’aveva giurato.

L’aveva promesso a Lei.


Chiuse gli occhi, cercando di dormire.

O sperando – finalmente - di morire.

* * * * *

 
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