Solo il fumo del calderone
Titolo: Solo il fumo del calderone
Autore/data: Ida59 – 1- 17 febbraio 2014
Beta-reader: nessuno
Tipologia: storia a capitoli (song-fic)
Rating: per tutti
Genere: drammatico, introspettivo, sentimentale
Personaggi: Severus, Albus Silente e Phineas Nigellus Black (ritratti), Minerva, (Neville Paciock e Personaggio originale: presenti in forma indiretta).
Pairing: Severus/Personaggio originale
Epoca: 7° anno
Avvertimenti: AU
Riassunto: -
Sei solo una vecchia sciocca, Minerva! – rincarò con voce gelida, i cristalli infranti del suo cuore che stridevano disperati. – Sono i fumi irritanti della pozione che stavo distillando. Solo il banale fumo del calderone, Minerva, mi spiace deluderti.Parole/pagine: 7300 senza la canzone / 21
Nota: Storia scritta per l’iniziativa “
A ritmo di musica” nell’ambito della
Severus House Cup del Forum “Il Calderone di Severus”.
Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. Il personaggio originale, ove presente, i luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
Bellini: Il Pirata – Atto I – scena III
GUALTIERO
Per te di vane lagrime
mi nutro ancor, mio bene:
speranza mi fa vivere
di possederti ancor.
Se questo avessi a perdere
conforto in tante pene,
ah! non potrei più reggere,
vorrei la morte allor.
SOLITARIO E ITULBO
Deh! taci, incauto, e frenati;
non dar di te sospetto:
mill'occhi in te si affissano,
ti svela il tuo furor.
CORO (in disparte)
Donde sì cupi gemiti?
Perché sì tristo aspetto?
Quella, che tanto l'agita,
è smania, e non dolor.
NOTE
Severus impersona Gualtiero.
Il ritratto di Silente impersona Solitario, mentre Phineas Nigellus Black è Itulbo.
Minerva impersona il coro.
Ho usato l’intera canzone.
Il video dell’aria lo trovate qui:
www.youtube.com/embed/fZP0UHnzJtASolo il fumo del calderone
1 - L’accadimento
2 – Sconforto
3 – Amore
4 – La strategia del piano
5 – Dubbi e incertezze
6 – La recita delle menzogne
7 – Comprensione e affetto
1 - L’accadimento
Severus Piton camminava per i corridoi deserti a passo di carica, furioso con se stesso come spesso gli accadeva in quegli ultimi mesi, il lungo mantello nero che frustava l’aria alle sue spalle: le armature si scansavano con clangore metallico al suo passaggio, ritraendosi nel profondo delle loro nicchie e sembrava che neppure i fantasmi osassero aleggiare intorno.
Arrivato in fondo al corridoio del settimo piano, il gargoyle di guardia all’ingresso della presidenza prese vita all’improvviso balzando di scatto a lato, mentre il muro alle sue spalle si apriva rivelando la scala a chiocciola semovente. Il mago salì sul primo gradino e la scala, con inusitata rapidità, lo depositò davanti alla porta di quercia che si aprì docile ad un nervoso cenno delle sue lunghe dita sottili, mostrando la grande sala circolare che occupava tutto il piano della torre.
Severus entrò in presidenza, si sedette alla scrivania che era appartenuta ad Albus Silente e spazzò di lato con malagrazia tutte le carte e pergamene che la ingombravano, facendone cadere una buona parte: poco male, intanto erano tutte stupide scartoffie burocratiche di cui il Ministero lo ingolfava ogni giorno e lui non aveva certo la stessa pazienza e diplomazia del suo predecessore.
Soprattutto, non ne aveva il tempo, diviso com’era a recitare la parte dell’odioso Mangiamorte e, al tempo stesso, a preoccuparsi dell’incolumità dei suoi studenti, cercando altresì di indovinare dove diavolo poteva esserci cacciato il ragazzo per lui più importante di tutti: quello da cui dipendevano le sorti della guerra e il mantenimento della promessa fatta sul corpo inanimato della donna che aveva amato per quasi tutta la vita.
I presidi lo osservavano in preoccupato silenzio dai loro ritratti: quando Piton era così irritato, significava che non era riuscito nel suo intento di evitare guai e, quindi, qualche studente era di nuovo finito nelle grinfie avide e crudeli dei fratelli Carrow.
Ancora un’altra volta.Dopo alcuni minuti, solo Silente osò rompere quell’irato e teso silenzio:
- Di chi si tratta, questa volta? – chiese gentile, un comprensivo sorriso sulle vecchie labbra.
Severus sollevò lo sguardo, cupo e nero come non mai:
- Il solito Paciock, quell’idiota fondi-calderoni perennemente in cerca di guai, peggio perfino di Potter! – rispose secco senza neppure girarsi verso il quadro alle sue spalle.
Il ritratto di Silente sospirò, ma non proferì altra parola: negli occhi neri del suo pupillo aleggiava chiara una amara sconfitta – l’aveva notato subito quando era entrato a passo di carica - e non era proprio il caso di peggiorare la situazione.
- Sfascia-calderoni! – ripeté ancora il giovane preside, testardo, la voce sempre più irata e tetra, la schiena ostinatamente girata al quadro del suo mentore.
Già, meglio ricordare Paciock come il terrore dei calderoni, com’era stato fino a due anni prima, quando ancora cercava di insegnare la delicata arte delle pozioni a quel branco di teste di legno. Meglio ricordarlo come il più imbranato dei suoi allievi, invece di riconoscergli il folle coraggio Grifondoro con il quale si opponeva ogni giorno all’odiato preside dei Mangiamorte guidando spavaldo la rivolta sempre più aperta dell’intera scuola contro di lui.
Lui che, invece, solo cercava di limitare i danni e mantenere la promessa fatta un anno prima ad Albus, di prendersi cura dei suoi amati studenti. Ecco, neppure quella promessa riusciva più a mantenere…
Severus sospirò, circondato dal silenzio carico di attesa dei ritratti.
- È intervenuto a spada tratta per difendere un ragazzino del primo anno, un povero Tassorosso finito nei sadici artigli di quell’arpia di Alectus. – spiegò infine a capo chino, i lunghi capelli neri che gli coprivano in parte il volto pallido e tirato. - Stavo già provvedendo io a risolvere la questione, con cauta circospezione, quando si è catapultato a testa bassa nel corridoio come il solito stupido Grifondoro che è, sprezzante del pericolo, e ha rovinato tutto il mio lavoro!
Piton sbuffò di nuovo picchiando con forza un pugno sulla scrivania, facendo sobbalzare il calamaio d’argento con la lunga ed elegante piuma verde e le poche pergamene sopravvissute al suo iniziale gesto d’ira.
- La solita, maledetta mania dei Grifondoro di proteggere gli altri, fosse pure a costo della loro stessa vita! – sbottò ancora, incapace di accettare la nuova sconfitta per non aver saputo proteggere
lui i ragazzi,
com’era suo dovere.
Silente annuì soddisfatto dal suo ritratto:
- Mi sembra che anche tu abbia la stessa sciocca ed ostinata mania dei Grifondoro, caro il mio coraggioso Serpeverde! – mormorò quasi tra sé, il sorriso ad illuminargli gli occhi azzurri dietro le lenti a mezzaluna.
Severus si girò rapido verso il quadro e lo fulminò con un’occhiataccia che non impedì però al vecchio preside di mettere a segno il suo colpo fino in fondo:
- Giù, proprio così, ormai ne sono certo: lo Smistamento avviene troppo presto, – concluse strizzando l’occhio al quadro dove Phineas Nigellus seguiva con attenzione la scena, proprio sulla parete di fronte a lui, – e tu ne sei la dimostrazione vivente, mio caro ragazzo, che ti piaccia o meno. – rincarò, quasi con quelle parole la lunga diatriba con Phineas sulla giusta Casa di appartenenza del loro pupillo avesse infine trovato una risolutiva definizione.
Piton tornò a girarsi di scatto e lo fulminò con lo sguardo, nero più dell’abisso profondo e oscuro della notte, ma trattenne ogni pungente risposta; era del tutto inutile lasciarsi coinvolgere ancora in quella discussione così cara ad Albus quando era in vita, ed ora ripetuta come un ostinato ritornello dal suo ritratto, evidentemente istruito in modo opportuno. Quello non era certo il momento adatto, ma era sicuro che molto presto il ritratto di Phineas sarebbe tornato alla carica per tessere invece le lodi alle sue prevalenti caratteristiche di Serpeverde.
E tutto sarebbe ricominciato da capo, un’altra volta, come sempre…
2 – Sconforto
Il mago aveva problemi molto più gravi da affrontare in quel momento e un battibecco sugli eventuali errori commessi dal Cappello Parlante durante lo Smistamento, già più e più volte intrattenuto negli stessi identici termini con un ritratto, fosse pure quello del grande Albus Silente, gli avrebbe solo fatto perdere tempo prezioso.
Non era certo quello l’importante, non in quel tragico momento in cui tutto pareva dannatamente sfuggirgli di mano. Gli sembrava di non farcela più a continuare da solo in quella tremenda recita, a portare sulle spalle l’orribile peso dell’assassinio dell’uomo che ogni giorno gli sorrideva comprensivo dal quadro posto in posizione centrale dietro la sua scrivania, gli occhi azzurri penetranti fissi in ogni istante alla sua nuca. Non ce la faceva più a fingere in ogni singolo attimo della sua giornata, con gli amici ancor più che con i nemici. Temeva di crollare da un momento all’altro, incapace di sopportare ancora l’odio rovente delle persone per le quali ogni giorno rischiava la vita per dar loro protezione e la possibilità di vincere quella guerra orribile che continuava a mietere vite e a macchiargli le mani di sangue innocente, fosse anche quello delle vittime che non riusciva a salvare e di cui era costretto ad assistere impotente alla morte, un’orrenda impassibilità congelata sul volto mentre il suo cuore, stremato, si incrinava sempre più.
- Non ce la faccio più, - ammise con se stesso in un soffio soffocato abbassando lo sguardo, - da solo, contro il loro odio…
- Ci sono io, Severus, caro ragazzo mio! – rispose Albus alle sue spalle, la voce carica di paterno affetto.
Il mago alzò il capo verso di lui, ma solo per scrollarlo lento, un’amara rassegnazione incisa in ogni linea del suo volto pallido, gli occhi neri luccicanti come stelle nella notte oscura che avvolgeva il castello.
- So bene quale tremendo sacrificio ti ho chiesto, Severus, - continuò con dolcezza il ritratto, - so a quale tragico destino ti ho condannato, figliolo. Ma non ho potuto fare altro…
I sospiri dell’uomo e del ritratto si sovrapposero per un lungo momento, mentre la brace crepitava piano nel focolare dove l’ultimo ciocco di legno si era rotto cadendo sul fondo, le fiamme non più ravvivate ormai quasi spente.
- Non credo che tu abbia bisogno che io ti ricordi perché stai facendo tutto questo, vero? – riprese Albus dalla sua cornice.
Il volto pallido e teso di Severus era una maschera di rassegnato dolore.
- È per il ragazzo, lo sai, è vero. – puntualizzò ancora il vecchio preside. – ma non è più solo per lui che lo fai,
adesso, lo sappiamo entrambi.
Una breve pausa accompagnata da un nuovo sfrigolio dei rimasugli dei ciocchi nel camino, dove le fiamme avevano ripreso un insolito vigore.
- Perché adesso lo fai anche…
per lei!Severus trasalì, un sospiro tremante sulle labbra sottili e gli occhi neri che scintillavano nel riverbero delle fiamme.
Era davvero incredibile!
Non solo Albus conosceva sempre ogni cosa, ma sapeva anche quando era il momento più adatto per intervenire. E con quali esatte parole!
Il vecchio mago aveva istruito davvero bene il suo ritratto, quasi da farne un vero e proprio
alter ego che, esattamente come l’essere vivente, sapeva sempre come agire al momento più opportuno. Doveva essersi accorto che era vicino al punto di rottura e che la solitudine, ingigantita dall’odio e dal disprezzo che lo circondava in modo opprimente, gli era ormai diventata insopportabile.
Così aveva deciso di ricordargli che non era solo.
Che c’era anche
lei.
Leiche lo amava.
Lei, da difendere e da proteggere, a costo della sua stessa vita. E della sua felicità.
Lei, e il loro stupendo sogno d’amore per cui combattere.
Ancora.
Sempre.
Severus cedette a se stesso e chiuse gli occhi per un tempo che gli parve infinito, cercando di riprendere il controllo di sé e di quel cuore che stava battendo impazzito, perso in meravigliosi ricordi che, forse, non sarebbero mai tornati ad essere la sua realtà, durata così poco da essergli sembrata solo un sogno svanito alle prime luci dell’alba.
Infine riaprì gli occhi fissando di nuovo lo sguardo in quello azzurro del quadro.
- Questa sera era presente anche Minerva: era nascosta e me ne sono accorto troppo tardi. – disse in tono atono, di nuovo perfettamente padrone di sé. - Temo abbia osservato tutto il mio intervento e, forse, ha capito qualcosa o, per lo meno, credo che il mio comportamento le abbia fatto sorgere dei dubbi. – sospirò piano. – Di certo lei non è ottusa come i Carrow: ha un ottimo cervello e sa usarlo alla perfezione, traendo le debite conclusioni dai fatti…
Silente rimase ad osservarlo in silenzio dalla sua elaborata cornice, soppesando le informazioni.
- Ritieni che abbia capito perché cerchi d’arrogarti il diritto di assegnare le punizioni ogni volta che ti è possibile? – chiese infine, dubbioso. - Per assegnare poi castighi in apparenza terrificanti per i Carrow, come inviare di notte nella Foresta Proibita i ragazzi quando cercarono di rubare la spada, ma di fatto blandi per loro?
- Non lo so: Minerva è attenta, sospettosa e intelligente. Quando assegnai quella punizione, sembrava molto stupita. – rispose il mago ponderando le parole. – Sono sicuro che ricordava fin troppo bene di averla impartita lei stessa al giovane Potter e ai suoi amici sei anni fa.
- Devi stare attento, Severus, nessuno deve capire il tuo pericoloso gioco, altrimenti finirai per correre rischi enormi. Nessuno deve sapere, mai! – statuì con la decisione dello stratega che sempre era stato in vita.
Piton scrollò le spalle, stizzito:
- In fin dei conti è della mia vita che si parla, adesso, Albus! – ribatté duramente.
- Ma è il mio piano che manderesti a rotoli!
Il giovane preside abbassò lo sguardo e sospirò pesantemente:
- Talvolta vorrei tanto che Minerva potesse comprendere tutto… - si lasciò sfuggire in un sussurro roco, colmo di sofferente solitudine.
- No, Severus, sai bene che non è possibile, altrimenti glielo avrei rivelato io stesso un anno fa.
La voce del vecchio mago aveva assunto una sfumatura dolce nel tono preoccupato: sembrava quasi accarezzare il ricordo della comune, vecchia amica.
- Pensa a Minerva, al peso di cui dovrebbe farsi carico se sapesse il nostro segreto, al rischio che correrebbe se fosse interrogata dai Mangiamorte…
Severus sospirò di nuovo, sconfitto, i lunghi capelli neri che gli ondeggiavano davanti al volto pallido mentre scuoteva lentamente il capo, lo sguardo rassegnato rivolto a terra. No, non voleva che quel carico gravasse anche su Minerva, che anche lei corresse dei rischi. Silente aveva ragione; ne avevano discusso oltre un anno prima ed insieme avevano deciso che quella era la soluzione migliore, l’unica soluzione! Nessuno avrebbe mai dovuto sapere la verità! Anche se questo per lui significava la crudele condanna alla più totale solitudine ed all’odio e al disprezzo di tutti coloro per i quali ancora e sempre rischiava ogni giorno la vita.
- Ma tu hai
lei, adesso, - aggiunse ancora Albus con la tenerezza affettuosa di un padre, - con cui confidarti,
lei che ha compreso,
lei che ti ama.
3 – Amore
Per te di vane lagrime
mi nutro ancor, mio bene:
speranza mi fa vivere
di possederti ancor.
Se questo avessi a perdere
conforto in tante pene,
ah! non potrei più reggere,
vorrei la morte allor.
Severus sollevò di colpo la testa, gli occhi neri enormi, accesi nel volto pallido, scavato dalla tensione.
Lei.
Non riuscì più a trattenersi e con delicatezza accarezzò con la punta delle dita sottili la tasca segreta della sua severa casacca nera, posta proprio sopra il suo cuore; sospirando slacciò alcuni bottoni, infilò piano la mano all’interno e prese la foto.
Lei, sorridente tra le sue braccia, avvolta dal suo protettivo abbraccio. Ed i suoi occhi neri che scintillavano, traboccanti di una felicità mai conosciuta prima, una felicità durata così poco…
Sospirò e chiuse gli occhi abbandonandosi ai ricordi di quel troppo breve idillio.
Quanto poco era durato il loro amore e la sua immensa gioia!
Gli sembrava ancora di averla tra le braccia, di sentire l’inebriante profumo della sua pelle e il dolce sapore delle sue labbra.
Riaprì gli occhi ed una lacrima scese lenta sulla guancia pallida valicando l’argine tremante delle lunghe ciglia nere: nei ritratti appesi alle pareti i presidi fingevano di dormire o gli volgevano le spalle, rispettosi di quel suo momento dì intimità. Sapeva che non avrebbero mai riferito nulla di ciò cui assistevano in Presidenza, neppure ai loro doppi appesi in altri luoghi, proprio come imponeva il singolare incanto che conferiva loro quella speciale esistenza negata ad ogni altro quadro magico. Eppure si sentiva profondamente a disagio, come messo a nudo davanti al mondo intero.
Strinse delicatamente la foto tra le mani, lei che gli sorrideva con amore, e si alzò dalla scrivania per dirigersi verso l’ampia sporgenza della grande balconata centrale dove quasi si nascose tra il vetro della porta-finestra e lo spesso tendone di velluto, che chiuse accuratamente alle sue spalle creando un angolo di intimità illuminato dalla falce di luna che in quel momento stava facendo capolino tra le nubi scure che si rincorrevano senza posa nel cielo nero.
Abbassò lo sguardo sulla foto e teneramente le sfiorò il viso con una carezza in punta di dita, poi la avvicinò piano alle labbra sottili, quasi tremante di desiderio, e vi pose un bacio leggero, delicato ma colmo di tutto il suo immenso amore.
Altre lacrime scesero piano, silenziose, mentre appoggiava la foto del suo amore sul cuore e volgeva lo sguardo fuori nella notte appena tornata oscura, la luna di nuovo nascosta dalle nuvole gonfie di pioggia.
Guardò in fondo, oltre gli alberi neri, oltre il lago scuro, verso la periferia estrema di Hogsmeade, così vicina eppure così irrimediabilmente lontana per lui!
Magari lei già dormiva, tutta sola nella piccola casetta isolata che era stata teatro del loro breve, intenso ed appassionato amore.
Severus piangeva il suo amore, immobile e in silenzio, il pesante tendone di velluto cremisi che lo nascondeva anche alla vista dei quadri. Le lacrime scorrevano sul suo volto pallido, scendevano ad incontrare le sue labbra sottili e poi gli cadevano pesanti sul petto a bagnare la casta casacca nera. Eppure, quelle lacrime salate e amare nutrivano il suo cuore e purificavano la sua anima, gli davano la forza di sperare ancora e di andare avanti in quella sua tremenda realtà di odio e solitudine.
Albus aveva ragione: era anche per lei che continuava a combattere, la donna che amava, la donna che lo amava, che aveva saputo comprendere ed accettare il suo passato e perdonare le sue colpe.
Da quando la scuola era cominciata ed aveva assunto la carica di preside dei Mangiamorte non l’aveva più rivista: seppure lei l’avesse implorato di non tenerla lontana, il mago per nulla al mondo l’avrebbe sottoposta all’odio e al disprezzo che sapeva si sarebbero presto rovesciati sulla sua esecrata persona. Era troppo bella e pura, il suo angelo del perdono, per sporcarla con le tremende accuse che lo avrebbero sommerso, proprio come poi era successo.
Erano mesi che non la vedeva, ma il pensiero di poterla un giorno stringere di nuovo a sé era ciò che lo spingeva ad andare avanti, ad affrontare ogni giorno l’ostilità e lo spregio delle persone per cui combatteva.
La desiderava con tutto se stesso, con il cuore e con il corpo, ma non osava andarla a trovare: per niente al mondo avrebbe rischiato di metterla in pericolo, lei che, sola, era riuscita a capire ed ora sapeva ogni cosa del suo passato e del suo angoscioso presente.
Il mago emise un lungo sospiro colmo di desiderio e deglutì l’amarezza della rinuncia mentre chinava il capo e nuove lacrime solcavano pesanti il pallore del suo viso illuminato dalla luna che, sfuggita dalla prigionia delle nuvole, di nuovo inargentava la notte intensamente nera.
Piano, il nome della sua donna aleggiò con passione sulle sue labbra tremanti, bruciante promessa d’un futuro incerto e lontano. Eppure, senza quel pensiero, quel sogno ancora da realizzare per il quale ogni giorno lottava anche contro se stesso, non sarebbe più riuscito ad andare avanti, neppure per un solo istante.
Se, nella sua tremenda realtà del presente, non avesse avuto il conforto del pensiero che lei era là ad attenderlo, con il suo sorriso carico d’amore e di perdono, nella piccola casetta che aveva visto l’ardente passione dei loro amplessi, la vita non avrebbe più avuto alcun senso e solo la morte avrebbe dominato il suo domani.
Un’ultima lacrima, ancora, brillò nei suoi occhi neri illuminati dal candido riflesso lunare, mentre ricordava il sapore intenso dei baci e sentiva di nuovo la sua pelle calda e morbida sotto le dita e il desiderio di lei incendiava il suo povero corpo costretto a quella terribile lontananza, solo per proteggerla da se stesso e dalle colpe del suo passato che continuavano ad incatenarlo all’oscurità.
Edited by Ida59 - 28/4/2017, 22:00