Il Calderone di Severus

Ida59 - Forza e resistenza del cristallo ovvero L'Innamorata, Genere: Angst, Introspettivo, Romantico - Epoca: HP 6^ anno - Pairing: Severus/Pers. Originale - Personaggi: Pers. Originale Silente Lupin McGranitt Draco Voldemort Avvertimenti: AU

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Ida59
view post Posted on 28/8/2022, 14:07 by: Ida59
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I ♥ Severus


Potion Master

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Da un dolce sogno d'amore!

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1. Solo, nell’oscurità



Tenebre.
Apro gli occhi.
Buio nero e oscuro.
Ancora una volta li richiudo, sofferenti, troppo stanchi per sfuggire ancora a un sonno carico d’incubi fin troppo conosciuti.
Di nuovo, solo tenebre.
Buio profondo e infinito.
Sono avvolto dall’oscurità, che preme anche dentro di me.
Sono io, l’oscurità.

Non mi sento nessuno salvo un’ombra
di figura non vista e che stupisce,
e in nulla esisto come fredda tenebra. (1)


Quattro mesi di notte ininterrotta, senza speranza che il sole possa sorgere.
Un lampo verde nella notte, poi solo un profondo e insopprimibile dolore, che strazia la mia anima ormai dannata.
Un anno prima di quella notte sulla torre, avevo lasciato andare via la mia sola luce, perdendo il mio amore meraviglioso: avevo rinunciato a Crystal, spingendola ad abbandonarmi, spaventandola con le sue paure, allontanandola per sempre da me.
Crystal!
Dolce suono sulle mie labbra, a torturare un povero cuore che non vuole rassegnarsi.
Crystal, mio dolce, delicato, incantato amore!
Un anno senza di te, interminabili giorni d’atroce mancanza, incatenato tra rimpianto e dovere, obbligato a rinnegare l’amore e il calore, ricordi come briciole di felicità che, per pochi giorni, avevano irretito il mio cuore.
Ho voluto, ho dovuto, perdere la mia Crystal, sperando di sacrificare la mia vita per lui.
Invece, in quella notte maledetta, due imperdonabili parole, uscite dalle mie labbra di ghiaccio, hanno ucciso l’amicizia e il sorriso di un vecchio cui volevo bene come a un padre.
Volevo solo morire, Albus!
Invece, ho dovuto vivere.
E uccidere.
Ancora una volta.
Uccidere te, Albus, l’amicizia e la fiducia, e insieme seppellire l’amore e la speranza d’un futuro.
Sull’alto della torre, nelle tenebre della tua fine, trafitte dalle stelle verdi del Marchio di morte, ho annientato la mia anima.
Il piccolo brandello rimastone, che Crystal era amorevolmente riuscita a ricucire dopo lo strazio della notte in cui ero diventato un mostro uccidendo con l’orrore dei miei ricordi. (2)
Ho ucciso ancora, per obbedire a un amico e salvare un ragazzo, per impedirgli di fare la scelta sbagliata che io commisi tanti anni fa, in un’altra vita, che non mi appartiene più: la mia esistenza è volta solo alla vendetta, a distruggere la causa della mia perdizione.
Sono sceso all’inferno con la mia anima perduta, condannato a vivere nell’attesa del mio sogno di morte, per godere, fosse anche solo per un fugace istante, della fine della tua immortalità, Oscuro Signore rubasti l’innocenza di un ragazzo troppo infelice e solo, carico d’odio contro il mondo intero, per comprendere il tuo ripugnante inganno, grondante di sangue innocente.
Ora sono qui, immerso nelle tenebre della tua inespugnabile fortezza: m’inchino a baciare la tua veste e ordisco la trama della tua morte.
Sperando solo che, subito dopo, giunga anche la mia agognata fine a liberarmi dall’incubo che chiamo vita.

*


Un’altra lunga notte insonne in cui, per sfuggire agli incubi che nel sonno mi ghermiscono con sottili mani scheletriche, sopraffatto dalle tenebre, dentro e fuori di me, mi abbandono ai ricordi e al dolore dei rimpianti.

*
Ricordiamo, vita mia,
i nostri pensieri fino al rimpianto.
… … …
Ahimè! Quando ricordo
vorrei poter dimenticare.
… … …
La mia anima è il centro vivo
dei sogni che non ci sono più.
… … …
Com'è facile ricordare
quando la memoria vuoI dire rimpianto!
… … …
Tutta la nostra anima è rimpianto.
Rimpianto di ciò che ricordiamo
e rimpianto di ciò che dimentichiamo.
… … …
Sulla tomba del mio passato
risplende una rosa rossa in pieno rigoglio.
… … …
La nostra vita vuole ricordare
e il nostro desiderio dimenticare.
… … …
La rosa rossa è morta.
Così come quel che ero è ora morto.
… … …
Potessi sperare di dimenticare, pallida cenere,
senza struggermi o rammaricarmi!
O potessi sperare di ricordare
senza desiderare di dimenticare! (3)


Il ricordo di te, amore mio, mi assale all’improvviso, ogni volta imprevisto e sempre più doloroso.
S’insinua in profondità nel cuore, a farne strazio, mentre il desiderio tormenta ogni fibra del mio corpo e con gli occhi della mente ti rivedo bellissima, sorridente, gli occhi pieni di luce.
Eri la mia speranza, Crystal, il mio futuro, la rosa rossa che sfioravo delicato, le dita tremanti, inebriandomi del tuo profumo.
Ti ho avuto, una sola volta, ed eri mia, meravigliosamente mia, profondamente mia… una sola volta…
Come vorrei cancellare ogni ricordo di te, mio dolce amore, e, nell’oblio, smettere di soffrire per la tua mancanza.
Eri un sogno, il mio ultimo sogno, ma anche tu ti sei infranta sulla scia insaziabile delle mie colpe passate, come ogni altra mia illusione. (4)
Eri l’utopia più bella e più forte, non la chimera di un ragazzo ma quella di un uomo, ed io nel miraggio avevo di nuovo creduto, riprendendo a vivere, riuscendo ad accettare me stesso e le mie colpe, per amor tuo.
Avevo ancora bisogno di credere nell’amore e nella felicità, per vivere!
Uno splendido sogno, Crystal, durato solo lo spazio d’un bacio a unire le nostre anime, e un intenso sussurro che, sulle tue labbra, coniugava il mio nome con l’amore.
La tua anima preziosa vive nel mio ricordo, unico riflesso di luce concessomi dal mio dannato passato, profumato angolo di paradiso perduto che ancora mi sostiene adesso che sono di nuovo caduto negli abissi, sprofondato dalle eteree nuvole che avevi tessuto per me, dove il dolente rimorso delle mie colpe era solo lontana eco terrena che non m’impediva più di vivere e amare.
Tra le mie mani, invece, stringo una rosa appassita: ho dovuto uccidere il tuo amore, per salvarti da me stesso, ma con lui anch’io sono morto.
Eppure, ancora piango muto per te, mio indimenticabile amore, nel silenzio di queste gelide tenebre.
Non si odono angoscianti grida di prigionieri torturati, questa notte, e, orribilmente, me ne dispiaccio: se li udissi, i rimorsi m’impedirebbero di sognare il tuo viso, mi negherebbero la lancinante grazia del ricordo dei tuoi baci.
Invece, questa notte, con angoscia ricordo: il cielo luminoso dei tuoi occhi, l’oro soffice dei lunghi capelli, il profumo intenso ed eccitante, le labbra morbide e calde che incontrano le mie, la pelle fremente sotto le dita delicate.
Ricordi strazianti, insopportabilmente dolenti, pieni di un ardente, impossibile amore.
Un uomo non dovrebbe ricordare, se non è più capace di sognare.
Un uomo non dovrebbe amare, se non è più vivo.

*


Serro forte gli occhi, cancellando il tuo viso, negando lacrime cocenti e disperazione infinita, e ripercorro con la mente gli avvenimenti degli ultimi sedici mesi in cui tu non sei più stata nella mia vita.
Voglio ricordare l’inizio della fine e ciò che n’è conseguito.
Voglio spietatamente rivedere i miei errori.
E’ l’unico modo per scacciare il tuo ricordo, insostenibile tortura per un uomo condannato a vivere senza più poter sognare di amarti.

*


Forse dovrei cominciare dalla notte scura, nella fredda estate dei Dissennatori, quando bussarono alla mia porta. Il topo di fogna fingeva di dormire in camera sua, mentre io stavo leggendo, come sempre.
Ci sono solo libri, a Spinner’s End, null’altro.
Salvo memorie, ovviamente infelici.
Tutti libri messi da me: ne ho tappezzato le pareti, li ho stipati stretti nelle librerie, affinché i ricordi della passata vita in questa casa svanissero. Ma loro sono ancora tutti là, intrappolati nella sottile intercapedine tra muro e libri, tenacemente e dolorosamente vivi, a ricordarmi il bambino che ero e il giovane che diventai. I miei amati libri sono la lucente superficie che riflette chi sono adesso, ma non possono annullare il passato, non riescono a zittirlo, non sono in grado di modificarlo.
Mi chiedo se sono mai stato davvero felice, nella mia vita, oltre i brevi giorni con Crystal.
Di sicuro, nella squallida casa di Spinner’s End la felicità non è mai esistita: non per quanto mi sforzi di rammentare.
Solo cupa tristezza, mischiata alle lacrime di mia madre, e opprimente insoddisfazione, annegata nei liquori scadenti di mio padre.
Ne percepisco ancora il puzzo, insieme con quello della ciminiera: portava con sé polvere nera che si appiccicava ovunque, sui miei vestiti scompagnati e sui capelli trascurati e sporchi che adombravano un viso troppo magro e pallido.
Odo ancora le loro voci stridule e irate, indifferenti alla mia presenza, il rumore secco di uno schiaffo e la bacchetta che rotolava per terra.
Avrebbe potuto fermarlo con un solo gesto, ridurlo all’impotenza con una parola.
Ma non lo fece mai.
Lo amava, come amava me.
A modo suo.
Ricordo anche i suoi rari baci e le carezze affrettate. Ma, soprattutto, rammento l’orgoglio nei suoi occhi neri, proprio come i miei, e il sorriso a illuminarle appena il volto pallido e arcigno quando compivo un’involontaria magia.
Poi, le percosse di mio padre, piene di paura per le mie capacità, e il breve sorriso svaniva dal suo volto, prima che se la prendesse anche con lei, accusandola d’incoraggiarmi a fare stregonerie.
E gridava, inneggiando a roghi e torture, mentre cercava una nuova bottiglia sul fondo della madia.
Non era colpa sua, lo scusava mamma quando eravamo soli: non era così, prima di perdere il lavoro, prima che il mondo gli crollasse addosso, prima di scoprire che ero diverso dagli altri bambini e anche sua moglie non era come le altre donne.
Non era colpa sua, continuava a ripetermi: Tobias aveva solo paura del nostro potere, perché non riusciva a capirlo.
Così, tanti anni fa, commisi la mia prima colpa, senza saperlo, venendo al mondo con la magia nel sangue. Fu solo a causa mia che mio padre smise di amare mia madre: quando scoprì che ero un mago e lei una strega.
Aveva dovuto confessarglielo a seguito delle mie involontarie magie, troppo potere magico che sfuggiva alla mia incapacità di controllo di bimbo di pochi anni.
Non impiegai molto a capire che ero io la causa di tutto, anche se mia madre negava: cercai in ogni modo di controllare il mio potere, di ingabbiarlo e trattenerlo, almeno quando lui era presente.
Ma era difficile, troppo difficile, e la magia sfuggiva dalle mani infantili, potente e incontrollabile.
Lui urlava.
Lei piangeva.
Ed io mi rintanavo in un angolo, odiandomi sempre più.
Poi, però, ricordavo il guizzo d’orgoglio negli occhi di mamma e la sensazione di potere provata nel sapere che ero io l’origine di quelle cose strabilianti; incominciai a esercitarmi, a sforzarmi di trovare dentro di me la chiave di quel potere.
L’orgoglio balenava ancora nei suoi occhi, davanti alle mie crescenti capacità, rendendola bella e di nuovo viva: mi parlava con entusiasmo del mondo dei maghi e del mio brillante futuro, e, violando regole che ancora non conoscevo, m’insegnava incantesimi e sortilegi; per implorarmi, poi, passato l’attimo d’esaltazione, di non usarli mai davanti a Tobias. E, come avevo imparato a fare magie volontarie, usando la sua bacchetta, imparai presto a controllare i miei poteri, che solo in casi eccezionali sfuggivano al mio controllo.
Fu inutile: tra i miei genitori vi era ormai l’abisso scavato dalla magia: mio padre non riusciva né ad accettarla né a dimenticarla.
Non fargliene una colpa, m’implorava mamma, che non aveva mai smesso di amarlo: non è colpa sua, ripeteva sempre.
Io lo sapevo. No, non era colpa sua.
La colpa era solo mia.
Avevo svelato l’esistenza della magia a un essere troppo fragile per accettarla.
Per anni mi sono chiesto se odiassi mio padre e per anni non volli rispondermi, temendo la risposta affermativa.
Molti anni dopo trovai la sentenza sulla sua tomba, prematuramente raggiunta con il fegato spappolato dall’alcol. Lo dissi a mia madre, che gli riposava accanto: l’aveva raggiunto dopo pochi mesi, ritenendosi colpevole della morte dell’uomo, manesco e brutale per paura e per debolezza, che non aveva mai smesso d’amare.
Le dissi che, sì, l’avevo odiato, quando ero ancora troppo bambino per capire cosa fosse l’odio, ma che dopo, quando cominciai a comprendere, mi aveva solo fatto pena, per la sua fragile inferiorità di Babbano in confronto a noi maghi.
Ma che non era colpa sua.
No, non era colpa sua.
Ma neppure mia.
Per quanto tempo, da bambino, mi sono portato dietro la responsabilità di aver rovinato il loro amore e le loro vite!
No, non era colpa mia.
No, non lo era.
Impiegai anni a comprenderlo, dovetti compiere tanti errori, troppi, prima di arrivare alla verità.
Me la rivelò un uomo, in una notte nera come questa, piena di disperazione e sangue.
La rivelò il terrore dei suoi occhi, davanti alla mia bacchetta che si alzava su di lui, per ucciderlo, sfogando il mio odio represso.
La rivelarono le sue implorazioni, poche parole tremanti mentre si preparava a morire:
- Perché? Perché vuoi uccidermi? Anche io sono un uomo, un uomo come te. Anche se voi mi chiamate Babbano.
Nei suoi occhi, enormi, c’era la stessa paura che albergava in quelli di mio padre quando mi guardava, bambino, compiere una magia.
- Non è colpa mia, non è colpa mia se sono solo un Babbano.
Abbassai la bacchetta e le palpebre.
Erano le stesse parole che mio padre mormorava a mia madre, piangendo, una volta passata la sbornia, pentito di averle fatto del male, ancora una volta.
No, non era colpa tua, papà, non era colpa tua se eri solo un Babbano.
Non è una colpa, non possedere la magia.
La colpa è uccidere.
Ed io l’avevo già fatto troppe volte, fino a quel momento.
Ma non quella sera, non quel Babbano con la stessa paura di mio padre negli occhi.
Questo dissi a mia madre, sulla loro tomba, ma avrei tanto voluto poterlo dire a lui, a mio padre, che aveva sempre e solo avuto paura d’amarmi.

Dell'essere umano mi vanto e mi vesto
ma se di effigie bambina fai mostruosità
la morte non alberga nel mio cuore.
Il fato volgerà l'innocenza a peccato,
ma del destino io sono l'emblema
di forte ed eterno coraggio.
Lascia che il velo cada dall'apparenza,
e in verità sarò me, padre,
nella natura di amarti, e di amarci. (5)
*


In questa interminabile notte nera, i pensieri sfuggono al mio controllo e questo ricordo, così lontano, è tornato a galla, inopportuno e pungente, a rammentarmi altre colpe, quelle all’origine di tutta la desolazione della mia vita.
Scelte sbagliate e colpe imperdonabili, per le quali ho pagato e continuo a pagare, la vera causa di tutti i miei sogni infranti, il motivo per cui ho dovuto perdere anche Crystal.

Ma il mio cuore
roso da serpenti,
quello ch’era appeso
all’albero della scienza,
sta in te,
notte nera?
………
Il mio amore errante,
castello cadente,
di ombre arrugginite,
sta in te,
notte nera?
………
O grande dolore!
Nella tua grotta
accetti solo l’ombra.
Non è vero,
notte nera? (6)


Solo io ne sono responsabile; non una donna infelice, prigioniera del suo sogno d’amore, la cui fine l’aveva resa rinunciataria e incapace di accudire il figlio; non un uomo debole, vittima delle proprie paure, rifugiato nell’alcol rifiutando di accettare l’esistenza della magia.
Solo io ho scelto, forse anche sospinto dall’onda del paterno rifiuto iniziale, che mille volte si è ripetuto davanti ai miei occhi, da parte di chi mi stava intorno: la mia migliore amica, i compagni di scuola, i professori.
Ma non sono stati loro a scegliere per me.

Io ho scelto l’Oscuro Signore, io ho sbagliato, io ho ucciso.
Loro sono rimasti a guardare, alcuni indifferenti, altri preoccupati, altri ancora hanno cercato di fermarmi, mentre qualcuno mi ha spinto nella direzione sbagliata.
Nel baratro ci sono entrato io, di mia spontanea volontà, accecato da false promesse e folli ideali. Ancora oggi mi chiedo come ho potuto, proprio io, dalla mente brillante e dalle grandi capacità magiche, cadere nell’inganno, come ho potuto non capire, perché non mi sono fermato in tempo?
Perché sono stato così cieco da scendere volontariamente all’inferno?
Una domanda posta troppe volte, senza alcuna logica risposta.
Una scelta sbagliata, senza scusante.
Poi, solo colpe irrimediabili, per le quali non pagherò mai abbastanza.
Anche se ormai ho perso tutto ciò a cui tenevo e mi è rimasta solo questa vita, che mille volte avrei voluto offrire al posto di quella di altri.

Al posto di quella di Albus.
Ma ho ancora il mio dovere da compiere, senza commettere altri errori, dalle tragiche conseguenze, come quello che commisi davanti alle sorelle Black.
Io sono la spada che si forgia da sé nel rovente metallo del dolore.




1. Ferdinando Pessoa: tratto da “Sùbita mano di un fantasma occulto…”
2. Vedi i capitoli 18 e segg. di “Luci e ombre del Cristallo”
3. Ferdinando Pessoa – Dalla raccolta “Il Violinista Pazzo”: tratto da “Monotonia”.
4. Vedi il capitolo 10 – Sogni Infranti di “Luci e ombre del Cristallo”
5. Earendil
6. Garcia Lorca - “Libro de poemas”: tratto da “Ballata interiore”.
 
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