Il Calderone di Severus

chiara53 - La memoria dell’acqua, Tipologia: One Shot ( 500) - Genere: Introspettivo - Altro Genere: Drammatico Avvertimenti: AU - Epoca: Post 7 anno - Pairing: Severus/Lily - Personaggi: Pers. Originale - Altri Personaggi: Minerva Mc

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view post Posted on 3/4/2017, 15:33
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Titolo: La memoria dell'acqua.

Autore/data: chiara53 – giugno 2014
Beta-reader: ida59
Tipologia: one shot lunga
Rating: per tutti
Genere: introspettivo/ drammatico.
Personaggi: Severus Piton, Minerva McGranitt, personaggio originale.
Pairing: Severus/Lily
Epoca: post 7° anno.
Avvertimenti: AU.
Riassunto: E tu, Severus, quando mostrerai a qualcuno il tuo vero volto?
Quando smetterai di nasconderti e scoprirai davanti a tutti il vuoto e il buio pozzo della tua anima persa?

Parole/pagine: 4.890/10


Scritto per il Gioco Creativo 7. "La sfida olimpica", seconda edizione, luglio 2014.
Specialità scelta per questa storia: Il nuoto.
La storia partecipa al Gioco creativo n.14: Severus House Cup


Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling, la trama di questa storia e il personaggio originale sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.





La memoria dell’acqua






Preludio



1



Severus rivolse lo sguardo alla stanza del San Mungo che lo aveva ospitato per quattro mesi.
Era una stanza bianca con i muri accuratamente puliti, l’unica grande finestra lasciava entrare un pallido sole autunnale appena velato.
Pochi mobili arredavano l’ambiente, mobili verdi e di ferro, freddi come il suo cuore in quel momento.
Era stato facile riunire sul letto le poche cose e la biancheria da mettere in valigia; lo stava facendo con metodo e velocemente, come era sempre stato abituato a svolgere ogni suo compito: precisione e rapidità, due caratteristiche che lo accompagnavano da una vita e che, se il destino non ci avesse messo del suo, lo avrebbero accompagnato anche nella morte.
Anche a morire era stato rapido e preciso: aveva compiuto l’ultimo dovere e poi si era lasciato andare, finalmente e per sempre.
Ma nemmeno la morte l’aveva voluto, due gocce d’acqua scintillanti gli erano cadute sul collo distrutto dal morso di Nagini e il respiro faticoso e breve era tornato; il cuore a fatica aveva ripreso a battere: le lacrime di Fanny lo avevano lo strappato al buio per restituirlo ad una vita senza scopo e senza desideri.
Tuttavia, doveva accettarlo: era vivo.
Si guardò intorno ancora una volta senza provare alcun rimpianto nell’abbandonare l’ambiente che lo aveva circondato per tanto tempo.
Era in piedi, si era vestito da solo, era autosufficiente.
Che altro poteva desiderare di più.
Già, che altro?
Si concesse un sorriso sarcastico indirizzato solo a se stesso e schiuse la porta verso quella stupenda e inutile nuova vita che lo attendeva.
Nessun padrone, nessun amico, nessuna voglia di fare niente più che lasciarsi andare sulla poltrona consunta di casa sua.
Ecco, da quella sera avrebbe spento la luce e aspettato che il tempo passasse per giorni e notti, trascinandolo con sé fino a quando un giorno tutto sarebbe finito per davvero.
Severus chiuse le palpebre e uscì nel corridoio, consapevole della presenza del suo affezionato Guaritore: eccolo lì, trionfante e soddisfatto del risultato ottenuto.
Sorrideva, l’idiota, e non era solo.
Severus sospirò e accennò un saluto a Minerva McGranitt che – lo sapeva – era venuta per convincerlo a tornare ad Hogwarts, o per spiegargli quanto fosse importante la sua presenza là e quanto dovesse essere soddisfatto e trepidante pensando al futuro.
Il futuro.
Quale futuro?
Ad Hogwarts, come altrove, non c’era niente di cui gli importasse, tanto meno l’insegnamento.
Anche la lettura e le pozioni gli parvero vaghi ricordi privi d’interesse, privi di quell’attrattiva che lo aveva animato fino allora da tutta una vita.
Cercò di sorridere per condiscendenza, ma quello che ottenne fu un sogghigno con le labbra appena tirate.
Si sentì patetico e stupido nel voler sembrare quello che non era.
- Come va professore? - Il Guaritore lo accolse allegro, tanto che Severus tastò la manica dove aveva messo la bacchetta con l’intento di schiantarlo e andarsene senza parlargli né salutarlo.
Sospirò, in fondo non era colpa sua se era guarito o meglio era anche colpa sua, ma non solo.
E’ che, da quando si era risvegliato dopo un lungo coma, si sentiva vuoto e inutile e a questo non c’era rimedio.
- Bene, come vede, me ne sto andando, finalmente. - Disse rivolgendogli uno sguardo assassino. Sì, in questo era rimasto un maestro, ma che soddisfazione c’era se quel giovane continuava a guardarlo con soddisfatta e malcelata gioia?
- Sempre sarcastico il nostro professore! - Squittì il Guaritore, mentre le infermiere si affollavano intorno a lui, contendendosi uno sguardo e un saluto che Severus non aveva alcuna voglia di ricevere e tanto meno di concedere.
Arrivederci, arrivederci. Cinguettavano.
Arrivederci un corno, non tornerò mai più qui, pensò, mentre cercava di raggiungere l’uscita e le scale.
Minerva gli si avvicinò e senza parlare lo seguì.
- Se non vuoi trovarti in mezzo ai giornalisti ed ai curiosi ti conviene venirmi dietro. – Disse sottovoce, rivolgendogli un’occhiata severa. – Vuoi restare ancora piantato qui sulle scale, Severus? Avanti, non ho intenzione di mangiarti, ti accompagno fuori con discrezione a patto che tu accetti di venire a prendere con me una tazza di tè.
- Minerva, non ho cambiato idea! - Scattò Severus rabbioso, - non verrò con te, non voglio tornare a Hogwarts, mettitelo bene in testa.
Minerva abbassò il capo, sapeva che Severus stava attraversando un momento difficile. E quando mai nella sua vita qualcosa era stato facile per lui? Sospirò, scosse la testa e lo guardò negli occhi.
- Ti ho solo chiesto di fare due chiacchiere e prendere un tè. Puoi concedermi almeno questo, spero! In cambio avrai il mio silenzio e la mia collaborazione per farti uscire di qui senza che nessuno ti veda. Oppure vuoi goderti la folla, i giornalisti e Rita Skeeter che non aspetta altro che fare domande su di te e la tua vita eroica?
Severus sollevò un sopracciglio e accennò ad un sì muto, in fondo un tè non gli avrebbe cambiato la vita.

2




Erano seduti ad un piccolo tavolo di un’appartata sala da tè Babbana.
Le tazze erano a tavola e in silenzio Severus sorbiva la bevanda calda e scura; prima o poi avrebbe dovuto dire qualcosa, ma per antica e consolidata abitudine, attese le mosse della Preside che lo guardava studiandolo.
Occhi negli occhi alla fine Minerva parlò.
- Severus, non c’è bisogno che tu dica nulla..
- Infatti non ho nulla da dire, Minerva, non insistere… - Le dita di Minerva con gentilezza si appoggiarono sulle labbra di Severus in un gesto inequivocabile; per una volta gli chiedeva di tacere, mentre gli sorrideva con dolcezza.
- Dirò io tutto e, se quello che ti propongo ti va bene, non dovrai far altro che accettare. Vedi, Severus, non so se anche dopo tanti anni riesco a capirti fino in fondo, ma conosco la tua vita, le tue scelte, la severità con cui tratti te stesso. Credo di aver capito anche che, adesso che tutto è finito, qualcosa ti tormenta. Per l’età che ho, posso dirti di conoscere il vuoto dei giorni senza più scopo: né odio, né rabbia, solo vuoto. Tu sai che anch’io ho amato, tanti anni fa e che troppo presto ho perduto tutto. Ho fatto scopo della mia vita l’insegnamento e l’educazione dei ragazzi, mi sono salvata così. E tu sei uno di loro. Quello più importante, quello che conosco da più tempo. Io voglio solo il tuo bene. - Minerva coprì con la sua la mano di Severus appoggiata sul tavolo e sospirò.
Quante altre parole le si affollarono nella mente: nessuna poteva essere pronunciata per ora; le tenne per sé, nell’anima, ripromettendosi di esprimerle in un altro tempo e in un altro momento. Aveva grande fiducia nell’idea che aveva elaborato e che stava per proporgli.
Severus sussultò appena al contatto inatteso, ma lasciò la mano lì dov’era, proprio sotto a quella di Minerva, forse quell’umano contatto era ciò di cui, senza saperlo, aveva bisogno .
- In breve, - proseguì Minerva - non voglio che tu ti rinchiuda a Spinner’s End; quella casa è buia, fredda e so che non l’hai mai amata. Trascorreresti giorni seduto su quella tua logora poltrona. Dunque, eccoti la chiave di una mia casa. Si trova in un paesino della Bretagna, sull’isola di Brehat. Il mare, la spiaggia e le rocce rosa saranno le tue uniche compagne. Pensa, Severus, vi dimorano meno di cinquecento anime, l’isola è piccola: un vero paradiso. La chiamano anche isola dei fiori per il clima invidiabile, niente auto, niente confusione: solo tu e il mare. Ci andavo con il mio Elphinstone, tanto tempo fa. – Sospirò Minerva, ripensando alle passeggiate ed alle giornate stupende trascorse in quella piccola casa di pietra grigia, dove il rumore del mare giungeva in qualunque stagione. - Laggiù nessuno ti disturberà, perché nessuno saprà dove ti trovi, potresti restarci per sempre. In breve, la casa da adesso è tua e questa è la chiave. - Concluse sorridendogli con dolcezza e mettendogli tra le dita una chiave di ferro piuttosto pesante.
Se fosse rimasto lì per sempre, in fondo, non l’avrebbe perduto del tutto, avrebbe sempre potuto andare a trovarlo, visto che solo lei, da quel momento, avrebbe saputo dove si trovasse .
Severus strinse la chiave tra le dita e guardò Minerva con riconoscenza, gli occhi scintillanti di commozione, lei aveva capito, quella donna aspra come le sue terre scozzesi aveva compreso la sua anima, la sua solitudine, il vuoto che sentiva aprirsi dentro il cuore. Unica tra tutti aveva trovato una soluzione. Una soluzione molto Serpeverde.
Severus sapeva che prima o poi l’avrebbe rivista e che quello con lei non era un addio; sarebbe stata l’unica a conoscere dove sarebbe andato ad abitare. E, per la prima volta da settimane, sorrise.
- Grazie… - Le sussurrò soltanto, mettendosi in tasca la grossa chiave e lasciando intendere, nel pronunciare quella parola così rara sulle sue labbra, quanto gradita e importante fosse per lui l’offerta di Minerva.




Il diario dell’anima




1

Ed eccomi ancora una notte sveglio ad ascoltare il respiro del mare.
Buio e silenzio intorno, solo le ultime braci crepitano lievemente nel camino; sono a Brehat da più di una settimana.
Mi sono abituato presto alla compagnia incessante ed instancabile del rumore delle onde.
In questo periodo dell’anno il cielo è di piombo e il mare lo rispecchia, si abbatte spesso sulle rocce e sul faro, come per abbracciarle o distruggerle.
Ho scoperto in questa terra che il mare d’inverno è potente, inarrestabile, violento; mi è subito entrato nell’anima e negli occhi.
Minerva aveva ragione.
Ammetterlo non è facile, ma qui intorno, anche se niente è cambiato, c’è tutta la pace che non trovo dentro di me.
Neanche stanotte riesco a riaddormentarmi e, comunque, ormai è quasi l’alba.
Mi alzo e preparo il caffè, nero e forte, comprato nel piccolo ed unico negozio del paese.
Il vento soffia perpetuamente da queste parti, ma la casa di pietra grigia non lo teme.
Come ogni giorno indosso il giaccone impermeabile e mi avvio lungo i sentieri di quest’isola.
Tutti portano verso l’oceano.
Tutti sono battuti dal vento.
Su tutti e su tutto aleggia l’odore di salmastro che le onde, alte e incalzanti, spargono all’infinito in spruzzi sottili e impalpabili.
Vado a trovare un vecchio amico che non sapevo di avere: il mare.
Mi piace il freddo e il vento che mi schiaffeggia impietoso; amo la pace violenta di questo angolo di Francia, dai tenui colori e dalla forza rude e aspra.
Sto assaporando a poco a poco la libertà di poter tacere e non dovermi giustificare per questo.
Qui la gente è burbera e gentile, ma a quest’ora dell’alba posso assaggiare in solitudine il brivido del sentiero battuto dalle folate violente.
Non incontrerò nessuno.
Mi fermo e alzo lo sguardo sull’immensità ribollente davanti a me.
Vorrei perdermi tra quelle rocce, lasciarmi andare al ruggito della tempesta che sta per addentare la spiaggia.
La marea l’ha ridotta a una sottile striscia di sassi e sabbia, ma si ritirerà e lascerà scoperte tutte le ferite che il mare le ha inflitto.
Non come me, che ancora e per sempre, le nascondo, coperte dal colore di un lutto infinito e interminabile.
Le rocce sono bagnate e anch’io, ma non m’importa
Questa è la mia ora magica, quando un po’ di luce si diffonde e l’aria promette nuove piogge.
Ho raggiunto il piccolo promontorio accanto alla spiaggia scomparsa: da qui posso guardare i cavalloni abbattersi senza essere raggiunto se non dagli spruzzi salati.
Potrei passare ore in osservazione della natura che mostra il suo vero volto.
E tu, Severus, quando mostrerai a qualcuno il tuo vero volto?
Quando smetterai di nasconderti e scoprirai davanti a tutti il vuoto e il buio pozzo della tua anima persa?
Quando?
Mi perdo nei pensieri e nei rimpianti di una vita sprecata e inutilmente restituita.
Penso a Remus e Dora che avrebbero avuto ancora tanto da dare e amare, ma sono morti.
Perché loro sì ed io, che non lo meritavo e non lo merito, sono qui, su questa roccia a godere lo spettacolo della vita potente e maestosa in quest’alba?
Mi guardo intorno.
Ed eccola la piccola figura con cui sembro darmi appuntamento.
Chi sei?
Perché sei qui?
Mi rivolgo la stessa domanda ogni giorno.
So che è una donna, ma non distinguo che il pallore del viso e delle mani.
E’ vestita di nero e guarda il mare dall’altra parte della spiaggia. Verso il faro.
La osservo ormai da una settimana, è sempre qui a quest’ora, resta ferma, immobile, poi allunga le braccia, finché uno spruzzo d’acqua più violento non la bagna.
Temo sempre che cada.
Controllo di avere la bacchetta in tasca e so che la salverei.
Non potrei permettere più di lasciare che qualcuno muoia, nemmeno una sconosciuta.
Ammetto di essere incuriosito, perché si fa bagnare dalle onde?
Ora stringe le braccia intorno a sé in un vuoto amplesso.
Immobile e scura.
Chi sei?
Perché lo fai?
Ognuno ha la sua dose di pena ed io sono l’ultimo a voler invadere la riservatezza di un altro, sono così impegnato a difendere la mia.
Ma qui nessuno mi disturba e tutti hanno la loro semplice vita.
Oggi le barche non usciranno.
Inutile attendere ancora.
Le onde sono troppo alte.
Ho imparato a riconoscere il tempo e la marea.
Forse domani.
La sconosciuta se ne va.
Anch’io lentamente prendo la via del paese.
Ho deciso di comperare del pesce fresco e cucinarlo.
Non l’ho mai fatto, ma da ragazzo sapevo prepararmi da mangiare, e lo facevo senza magia per evitare l’ira di Tobias, non ho mai potuto contare su mia madre.
Sono stato un bravo pozionista e cucinare deve essere più semplice che distillare una pozione.
Oggi proverò.


2






Ho imparato a riconoscere che ora sia ascoltando solo il rumore del mare.
Ho imparato a cucinare il pesce, senza usare la magia, ma impiego la stessa attenzione di quando sezionavo piante e animali per distillare le pozioni.
Sono pronto alla passeggiata mattutina: oggi la marea è bassa e la spiaggia immensa.
Mi avvio lungo il sentiero e raggiungo l’arenile.
Il mare è lontanissimo e le alghe verdi abbandonate dall’acqua non sono ancora secche.
Ho imparato a distinguere i vari tipi e riconoscerle.
Nel negozietto che vende di tutto in paese ho acquistato, quasi controvoglia, un piccolo libro che descrive le diverse specie di alghe: mi ha tenuto compagnia qualche giorno; sono sempre stato un uomo curioso, ma non posso dimenticare che è stata la mia curiosità, la mia voglia di conoscere e di sapere che mi ha perduto.
Raccolgo stamattina alghe rosse che qui chiamano duse, posso utilizzarle per una salsa piccante di mia invenzione che ho preparato una sola volta.
Sto diventando un ottimo cuoco.
Cucinare mi rilassa e mi diverte.
Oggi la mia compagna sconosciuta ha dovuto spingersi lontano per raggiungere il mare e bagnarsi.
La marea è scesa in modo particolare e il riflusso è ancora lontano.
La giornata promette bene, per il momento le nuvole corrono veloci e il cielo è terso e luminoso; il freddo è pungente, ma io amo il freddo e questo vento impetuoso.
Fino ad oggi non avevo ancora visto un giorno così chiaro e mi inoltro sulla sabbia che di solito sta in fondo al mare ed ora me ne reca il profumo forte e salmastro.
Alzo lo sguardo e incrocio quello della donna in nero con cui ogni mattina condivido l’alba.
Con pudore allontano lo sguardo perché mi accorgo che il viso è rigato di lacrime versate da poco.
Mi fermo e anche lei sembra guardare con curiosità verso di me, io qui sono l’étranger, lo straniero.
Suscito un pizzico di curiosità con i miei modi scostanti e i capelli lunghi che ho imparato a legare in una coda per passare inosservato.
Sono sempre Severus Piton, ma posso lasciar crescere la barba per un giorno o due e nessuno me lo rimprovererà, neanche io.
Sto diventando troppo indulgente con me stesso?

Accenno un saluto rapido e guardo le onde che s’infrangono lontane.
Ma lei si ferma e mi guarda fisso, uno sguardo buio, occhi dello stesso colore dei miei, ma i suoi scintillano, anche se le ultime lacrime scivolano via asciugate in fretta.
Sembra felice, nonostante tutto.
La guardo anch’io.
- Signore, finalmente c’incontriamo. – Dice con una voce leggermente roca. – Anche a lei piace il mare all’alba.
- Sì, apprezzo anche la solitudine che si gode in queste ore. – Sembra turbata dalle mie parole.
- Non volevo disturbarla, mi scusi. - E fa per allontanarsi, ma la trattengo. Ecco, sono il solito misogino e scorbutico. In fondo non scambio che poche parole: solo quando faccio la spesa e nel piccolo cafè, per chiedere da bere.
E’ il primo incontro vero con una persona in questa terra.
E poi questa donna mi ha incuriosito.
- No non mi disturba, ma sto tornando indietro anch’io, possiamo farlo insieme, se vuole.- le dico con franchezza - Ma lei parla la mia lingua?
- Da queste parti quasi tutti; ma mio marito era inglese… del Galles. - Era? Resto colpito. Questa donna è così giovane e già ha perduto chi amava? Evidentemente il mio sguardo le ha trasmesso il pensiero che ho formulato perché prosegue. – La mer se l’è preso. Era un pescatore bravo, ma la vague etait en colère ( le onde erano in collera) quella notte e non è tornato, mai più, perduto per sempre. – Sussurra abbassando un attimo lo sguardo - Mi perdoni, ma anche lei porta il lutto per qualcuno? - Mi chiede indicando timidamente il mio e il suo abbigliamento: entrambi neri.
Il mio lutto non è per una sola persona, il mio lutto è per tante persone e per la mia anima morta, vorrei risponderle. Penso agli occhi di Silente e a quelli della Burbage e non posso fare a meno di rispondere con un laconico sì.
Ormai siamo quasi arrivati al bivio e le nostre strade si dividono.
La saluto e lei mi rivolge un pallido sorriso.
- Alla prossima volta. allora.
- A presto. – Rispondo, e resto fermo, mentre lei si allontana con i corti capelli spettinati dal vento.
Non ci siamo nemmeno presentati eppure sento che ci rivedremo.


3




Stamattina fa davvero freddo, è la fine dicembre.
Accendo il fuoco velocemente, appena alzato, mentre l’odore del caffè aleggia in casa.
Ormai l’appuntamento con il mare e con Tina Seznac, così si chiama la donna che incontro all’alba, è un’abitudine quotidiana.
Ci scambiamo poco più che un saluto e qualche commento sul tempo, ho capito che l’amore perduto è ancora vivo in lei e il nostro giornaliero incontro è solo una consuetudine nata per caso, niente di più.
Se non la vedessi, mi preoccuperei.
Nessun intralcio meteorologico può trattenere né me né lei dal raggiungere la scogliera, la spiaggia e il faro.
Guardare questo mare tempestoso ha su di me un effetto positivo, mi rasserena, rende le mie giornate sempre diverse: mi chiedo perché. Eppure l’acqua ribolle e spesso il cielo è carico di nuvole di piombo.
Non è mai uguale.
Ogni giorno mare e cielo assumono un diverso colore ed un’ asprezza o dolcezza differenti.
Sto imparando ad apprezzare sempre più questo luogo, i suoi colori tenui, la sua concretezza: potrei restare qui per sempre.
Arrivo al solito posto, ma le onde oggi sono davvero impetuose, camminare sulle rocce è scomodo, ma è l’unica possibilità per raggiungere il faro Mean Ruz.
Tina è quasi all’estremità del piccolo molo.
Le onde sono alte e una è davvero troppo alta, la vedo indietreggiare, corro verso di lei, ma non riuscirò a raggiungerla in tempo. La bacchetta è nella mia mano e l’incantesimo, rapidissimo, la fa volare letteralmente tra le mie braccia, tremante e sconvolta.
- Cosa credeva di fare? – Grido sopra il fragore delle onde. La mia voce esprime tutto il disappunto e il timore provato di vederla affogare sotto i miei occhi.
Ho compiuto una magia.
Ho svelato il mio segreto.
Lei mi guarda esterrefatta.
- Come ha fatto? - Sussurra tremando, non solo di paura, ma anche per il freddo. - Come mi ha salvata?
Inutile discutere qui.
- Ora andiamo subito a casa mia, poi parleremo. - Pronuncio asciutto.
Sta tremando e anch’io tremo per l’emozione che ho involontariamente provato.
La strada è breve, anche con lei in braccio.
Oltre le rocce mi fa cenno che camminerà e la faccio scendere.

Siamo in casa e il fuoco è ancora acceso.
Le consegno velocemente una coperta.
Lei si toglie il giaccone zuppo d’acqua e resta in maglione.
Ormai il danno è fatto: non posso far peggio di così, tutt’al più con un Oblivion le cancellerò la memoria, ma le risparmio una polmonite.
La bacchetta è puntata, eseguo un Arefacio silenzioso e i suoi abiti sono asciutti.
Adesso è davvero stupita, o spaventata? Non so.
Le indico la poltrona, mentre scaldo l’acqua per un tè .
- Ma lei chi è? - Finalmente ritrova la parola, quando entrambi siamo seduti con in mano la tazza calda e fumante.
Cosa posso dirle? Decido che è meglio la verità, in fondo questo paese è pieno di leggende e stranezze, forse accetterà l’idea più facilmente di quanto io pensi.
- Sono un mago, vengo dalla Scozia e sono qui dopo aver subito un grave incidente. – Ecco, l’ho detto. Ora aspetto la sua reazione che però non arriva.
- Un mago. Lei, monsieur Piton è un mago! Avevo “sentito” qualcosa di strano quando le ero accanto o la salutavo: una forza sconosciuta fluisce da lei. Vede, - si schiarisce la voce e abbassa lo sguardo. - Io sono quella che si potrebbe definire un’empatica. Sento le emozioni delle persone e, accanto a lei, anche occasionalmente, sono sommersa di emozioni. Tristezza, disperazione, angoscia, solitudine n’est pas?(non è vero?) Lei è una persona piena di malinconia e disillusa. Scusi, ma ho guardato nei suoi occhi una volta ed ho avuto paura. Lei è infelice, credo. – Tace, è a disagio per aver pronunciato parole vere e pesanti.
In fondo per lei dovrei essere uno sconosciuto, ma sembra che non sia così.
Ha letto in me molto più dei tanti che conosco bene.
La guardo e scuoto il capo sconfitto.
- Lei è davvero un’empatica - le dico, - forse. - E mi lascio andare ad un sorriso amaro - o forse è una strega e viene dal mio mondo? Sa troppo di me. - Affermo con durezza. Lei ride.
- No, non sono una strega. Non è difficile capire, se si è come me. La sua aura è disarmonica e le sue emozioni talmente forti…- si ferma un momento poi aggiunge - Questa è una terra strana, sa?
Verso altro tè, ho una domanda che mi frulla in testa e, visto che siamo qui, credo che gliela rivolgerò. Ma la donna mi precede.
- Signor Piton, lei vuole chiedermi qualcosa non è vero? Ha bisogno di risposte?
Resto di stucco e mi accomodo meglio in poltrona.
Ora so che questa non sarà una giornata come le altre.
Il ruggito della tempesta arriva nitido da fuori, mentre le rispondo.
- Sì voglio farle una domanda, ma lei non ne ha per me?
- Che altro posso domandarle, quando lei stesso mi ha appena detto che quello che “sento” è la verità? Il perché me lo dirà se e quando vuole, ma non è importante. – Sorride, un sorriso piccolo e triste sul volto pallido e minuto. – Lei è un mago, posso accettarlo, questo è un angolo di mondo dove l’impossibile può essere la normalità. – Tace, poi aggiunge – Cosa voleva sapere, monsieur Piton?
Sospiro e so che non dovrei più stupirmi di nulla con la vita che ho trascorso fino ad ora, ma questa donna ha il potere di spiazzarmi.
- Perché ogni mattina si avvicina all’acqua e la tocca, perché si avvicina tanto alle onde da esserne bagnata? Lei, signora, aspetta le onde a braccia aperte e poi è come se volesse abbracciare il vento, il mare, il nulla. – Sono davvero curioso, in attesa della risposta che non tarda.
- Severus, posso chiamarla così?- accenna con il capo ed io approvo. – Per risponderle devo prima parlarle di mia nonna, ma grand-mére, perché è lei che me lo ha spiegato, quando ero ancora bambina: l’acqua ha una memoria, non è soltanto un liquido freddo o caldo, ma si arricchisce delle nostre emozioni, delle gioie e delle pene, dei rimpianti e dei rimorsi; li conserva per noi e li trasmette, se lo vogliamo, a chi sa ascoltarli. L’acqua assorbe i pensieri e può restituirli. – Sospira e sorride, mentre continua - Il mio sposo, Andreas, è laggiù, in fondo al mare. Al mare ha confidato tutti i suoi pensieri, tutto il suo amore per me, prima di morire. La sua anima è là e l’acqua me la riporta, mi fa sentire che mi è vicino e la sua tenerezza. Lui è con me, quando l’onda mi bagna. E’ la memoria dell’acqua. Io le affido i miei pensieri e tutto il mio amore, ma anche il dolore e la solitudine. Il mare lo sa, li purifica e li porta al mio amore, oppure li tiene in sé per restituirmeli mondati. Io sono più leggera, perché posso rievocarli senza soffrire e i ricordi dolorosi non fanno più male come prima, quando ritornano.
Stringe le mani e le strofina tra loro, sembra quasi in imbarazzo ed io la guardo pensando che inconsapevolmente il mare, l’acqua del mare, ha agito anche su di me, anche per me.
La voce di Tina riprende a parlarmi spiegando.
- Il ricordo è in fondo un modo per incontrarsi con le persone che non ci sono più, che abbiamo amato ed a cui abbiamo voluto bene. E’ un modo per stare con il proprio passato, ma deve avvenire senza l’asprezza del dolore, senza il rimorso delle azioni sbagliate. Come l’orma è cancellata dalla marea e la spiaggia torna pulita e nuova, pronta per essere nuovamente calpestata, così io mi sento dopo aver impresso i miei messaggi nel mare. Provi, Severus, posso aiutarla ad imparare. Basta volerlo e l’innocenza dell’acqua può essere informata dai suoi pensieri, la memoria dell’acqua le riporterà la purezza e la pace. Mi prometta che ci penserà.
Guardo gli occhi scintillanti di gioia di questa donna, che piange sorridendo ogni giorno e comunica con il mare.
Chiudo le palpebre dietro le quali riesco a vedere tutto il mio male, vedo il passato che non si trasformerà mai in futuro, passando attraverso il vuoto presente.
Penso che vorrei deporre il peso delle mie colpe, dei rimorsi e tutto il dolore che ho provocato e subito.
Vorrei poter sciogliere il nero della rabbia che provo, lavarlo via e rivestirmi di una nuova anima. Ma non sono capace di spezzare le catene del passato, non è possibile cancellarlo.
Tuttavia potrei provare a percorrere la strada che questa donna mi indica per perdonarmi e accettare i miei ricordi insopportabili e dolorosi.
Potrei imparare a custodirli là dove io possa tirarli fuori ogni qualvolta ne senta il bisogno, ma senza provare strazianti rimorsi.
Sospiro e desidererei che i miei errori diventassero un passaporto per il futuro, per aiutarmi a cancellare il vuoto che provo davanti alla vita e ridarle un senso.
L’emozione mi travolge e tra le ciglia scivolano via lacrime che mai avrei pensato di poter versare: lacrime di speranza.
Guardo stupito negli occhi di questa giovane vedova che mi sta insegnando a volermi di nuovo bene, a non odiarmi più e ad amare persino il passato che fa di me quello che sono stato, che sono, ma anche quello che potrei essere.
Desidero tornare verso il mare e provare con piena coscienza quello che fino ad oggi ho sperimentato inconsapevolmente.
Mi alzo e lei mi segue, mi sorride, mi sprona.
- Vada con fiducia verso il mare, Severus, - quasi sussurra - e conceda una possibilità all’acqua. La sua anima è pronta. La vicinanza con il mare ha già compiuto in lei qualche cambiamento. Si lasci bagnare e regali al mare il suo fardello, il mare è lì ad attenderlo e riportarglielo più leggero. Potrà raccontare tutto all’acqua e la memoria non svanirà, sarà solo più dolce, meno dura e dolorosa, smetterà di essere un ostacolo al cammino della speranza.
La saluto sulla porta, mentre ricambia l’arrivederci e sorride, stringendosi nel giaccone nero.
Respiro il salmastro, mi lascio lavare dalla pioggia.
La pioggia non è che altra acqua e l’acqua conserva la memoria e mi purifica, ora lo so, lo sento.
Pochi passi veloci e sono solo davanti all’immensa distesa del mare.
Mi copro il viso con le mani e piango.
Finalmente piango per me, per il mio cuore desolato, per la mia giovinezza sbagliata e solitaria; piango per gli errori e per le scelte giuste, per tutto quello che fa di me l’uomo che sono diventato.
Perché adesso so che anche per me c’è speranza, redenzione e perdono.
Mentre singhiozzo, nel grigiore plumbeo di cielo e mare, mi appaiono nella mente gli occhi di Albus, sorridenti e paterni, sento raggiungermi e scaldarmi l’affetto di Minerva. L’ultimo pensiero è per Lily, bambina sorridente e giovane donna, che credevo perduta; invece è viva in me e nei miei pensieri ed è allora che allargo le braccia alle onde per accoglierle, per stringere nell’acqua che mi bagna l’amore che mi ha sostenuto, per dirle addio e colmare anche quel vuoto con la speranza.
Oggi per me il futuro comincia.
 
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