Il Calderone di Severus

Ida59 - Solo amicizia, Genere: Introspettivo - Avvertimenti: Nessuno - Epoca: HP 3^ anno - Pairing: Nessuno - Personaggi: Remus

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view post Posted on 2/4/2017, 15:56
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I ♥ Severus


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Da un dolce sogno d'amore!

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Solo amicizia



 
 
Autore: Ida (Settembre 2003)
Censura: Per Tutti
Tipologia: one-shot
Censura: Per Tutti
Genere: Fantasy, introspettivo
Personaggi: Piton e Lupin
Pairing: nessuno.
Epoca: HP a Hogwarts 3° anno e successiva estate
Avvertimenti: What if
Riassunto: Una storia banale, neppure troppo originale, però è tra i miei due personaggi preferiti: Severus Piton e Remus Lupin. Racconta di ciò che è veramente accaduto tra loro durante il 3° anno di scuola di Harry Potter, e di ciò che è accaduto l'estate successiva. Se poi volete sapere utto, ma proprio tutto... allora leggete "Non solo amicizia".
Parole/pagine: 4617/14.
Disclaimer:I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
Nota 1: In questa storia non c’è niente di nuovo, nulla di particolarmente fantasioso. Ho già letto altre storie, simili, che trattano quest’argomento e la mia non aggiunge nulla di particolare. Ma quest’idea mi frullava per la mente da troppo tempo ormai e non ho saputo resistere. Del resto, prima di innamorarmi perdutamente di Severus, era Lupin il mio preferito e… il primo amore non si scorda mai!
Nota 2: questa storia è stata scritta alcuni anni primi dell’uscita del 6° libro, quando tutti ancora ritenevano che Piton fosse un Purosangue.
 
 
 
 
 


Solo amicizia


L’ondulato paesaggio della campagna inglese scorreva veloce, illuminato a tratti da un sole vivido che faceva capolino dalle nubi. 
Severus Piton guardava amaramente fuori dal finestrino dell’Espresso per Hogwarts e si chiedeva, scrollando lentamente la testa, cosa diavolo ci facesse lì, proprio lui, nel viaggio di ritorno verso King’s Cross.
Lo sapeva, lo sapeva benissimo: lui, solo lui era la causa di quell’ignominioso viaggio.
Davanti a lui c’era l’unica persona che negli ultimi quattordici anni gli aveva dimostrato amicizia, amicizia disinteressata: Remus Lupin, l’uomo del quale aveva rivelato il vergognoso segreto, rendendogli la vita, una volta ancora, sempre più difficile.
Già, come se fosse stata facile la sua, di vita, invece!
Così ora si trovava a dover “scortare” Lupin che, squattrinato com’era, aveva dovuto prendere l’Espresso per Londra, insieme a tutti gli altri studenti che tornavano a casa per le vacanze estive.
Di sicuro non si poteva lasciare un Mannaro vicino ai ragazzi: quale perversa e sottile mente, se non quella di Silente, avrebbe potuto pensare di mettere un ex-Mangiamorte a difesa degli studenti ed a guardia di un Lupo Mannaro?!
Un sorriso triste, senza alcuna luce, attraversò il viso del Professore di Pozioni che, per un istante, alzò i profondi occhi scuri per guardare il mago seduto di fronte a lui.
Remus dormiva: aveva la coscienza pulita lui! Ma aveva l’aria più stanca del solito. Anche se, sul suo viso, aleggiava l’ombra di un sorriso.
Già… un sorriso.
Era la specialità di Remus: un sorriso riusciva sempre a tirarlo fuori, lui. Un sorriso con la luce dentro. Quella luce che, invece, in Severus se n’era andata da troppo tempo, ormai.
Eppure, durante quell’ultimo anno di scuola aveva creduto, aveva sperato che…
Ma, come sempre, alla fine era riuscito a distruggere tutto, anche la luce ed il calore di un’amicizia appena nata.
Piton tornò a guardare fuori del finestrino: il sole, ora, era completamente oscurato da una densa nuvola nera.
Ma non era solo colpa sua, dannazione! Remus l’aveva tradito, aveva tradito tutti quanti: aveva aiutato quel criminale di Black.
Traditore.
Proprio lui usava quella parola.
La smorfia di tristezza sul viso di Piton si tramutò in un amaro ghigno di disprezzo.
Per se stesso.
 

*

 
Remus Lupin non dormiva.
Era stanco, sì, molto stanco: di continuare a fuggire da se stesso e dalla sua maledizione che, periodicamente, tornava a rovinargli la vita.
Ma, questa volta, la colpa era soprattutto sua: aveva insensatamente dimenticato di bere la pozione di Piton. Quante cose sarebbero state diverse se non fosse stato così stupido!
Sirius!
Sirius era tornato ed era innocente. Il suo caro amico di gioventù: ma com’era cambiato!
Ma c’era un’altra persona, soprattutto, che era cambiata: Severus Piton.
Con quella sua complessa pozione che gli permetteva una vita quasi normale, e quell’amicizia, nata così faticosamente e lentamente.
E lui, Remus, aveva rovinato tutto.
Così, ancora una volta doveva ricominciare da capo, sempre più solo, sempre più stanco.
Questa volta, però, il rimpianto sembrava più forte del solito, e non era solo per il lavoro perso. No, era un altro il punto dolente: Severus.
Era lì, seduto di fronte a lui, anche se Remus non osava aprire gli occhi e guardarlo. Aveva paura di incontrare il suo scuro sguardo accusatore, nuovamente gelido, duro e sprezzante nei suoi confronti.
Se pensava, invece, a quanto era stato diverso quello sguardo, negli ultimi mesi, quali fiamme aveva potuto scorgervi, quale calore gli aveva saputo dare quell’amicizia!
Ma ormai era tutto finito.
Non gli aveva creduto, non aveva saputo convincerlo. Severus continuava a pensare che Sirius fosse un criminale e che lui, Remus, ne fosse stato consapevolmente complice.
Poi Severus si era lasciato sfuggire il suo “segreto” davanti ai Serpeverde.
E tutto era finito…
Ma, in fondo, Remus non aveva nulla da rimproverargli.
Severus aveva fatto solo quello che riteneva essere il suo dovere: mettere in guardia i suoi ragazzi. Riteneva che la presenza di un Lupo Mannaro nella scuola fosse un pericolo per gli studenti e per tutto l’anno aveva cercato, senza successo, di convincerne anche Silente. E proprio lui, Remus, quella notte gli aveva dato la dimostrazione di quanto i suoi timori fossero fondati: solo per un miracolo non aveva ucciso nessuno!
No, non aveva proprio nulla da recriminare: aveva solo avuto quello che si meritava e Severus non aveva alcuna colpa.
 

*

 
Disprezzo.
Era da così tanti anni che Severus si disprezzava che quell’espressione aveva ormai scavato sul suo volto, in modo indelebile, delle profonde rughe.
Disprezzo per sé, per il suo passato e per tutte le colpe commesse nel perseguire quel suo antico e bellissimo sogno, disperatamente affogato, poi, in un mare di sangue.
Ma anche disprezzo per la sua incapacità di fare qualcosa nel suo nuovo presente, vuoto, senza più ideali, inutile, che ormai odiava quanto il suo passato. Il disprezzo che, misto a paura, vedeva molto spesso sui volti di chi gli stava intorno.
Ma non c’era mai stato disprezzo negli occhi di Remus, mai!
Neppure ora, dopo quello che aveva detto di lui! Né disprezzo né odio, solo tristezza. Perché, invece, non lo odiava?!
Lui era preparato all’odio, lo sapeva affrontare bene. Invece, quel sorriso infelice, era così disarmante!
Era stato quel sorriso la causa di tutto, quel sorriso triste e rassegnato alla sofferenza che gli aveva visto sul volto quella sera, tanti mesi prima. Quel sorriso che lo ringraziava, come se gli stesse regalando una nuova possibilità di vita, pur nel dolore.
Era l’effetto iniziale della Pozione Anti-Lupo: un intenso, devastante dolore. Soprattutto le prime volte, con il corpo ancora molto lontano dall’assuefazione, e ci volevano anni, prima di raggiungerla!
Era una pozione molto complessa e potente, veramente difficile da preparare, e con quel doloroso effetto collaterale. In seguito, aveva cercato in tutti i modi di eliminarlo, ma era solo riuscito ad attenuarlo un po’.
Ma Remus non se n’era mai lamentato, neppure le prime volte. Anzi, continuava a ringraziarlo.
Quella sera, la prima volta che gli aveva fatto bere la pozione, la sofferenza del mago era stata terribile, e completamente imprevista per Lupin. Severus, invece, sapeva bene quale sarebbe stata la reazione, ma non aveva avvertito Remus. Temeva che si sarebbe rifiutato di berla: quanto si era sbagliato sul suo conto!
Si abbandonò ai ricordi di quella sera, ancora perfettamente vividi nella sua mente.
 
Ben presto, mentre guardava Remus contorcersi a terra per l’improvviso dolore che lo aveva assalito, erano stati i lontani ricordi di Severus ad assalire il suo cuore.
Quanti uomini, troppi, aveva visto contorcersi a terra in quel modo nel suo lontano passato per le maledizioni lanciate loro, per le ferite mortali loro inferte!
Vedeva il corpo di Lupin tremare, senza poter fare assolutamente nulla.
Aveva creduto di poter assaporare la sua vendetta per quello scherzo giocatogli tanti anni prima, ma era tutto il sangue innocente che c’era sulle sue mani che, ora, chiedeva vendetta. Così si era avvicinato per cercare di dargli conforto, ma Remus si era ritratto, sembrava terrorizzato:
- Vuoi osservare da vicino l’effetto del tuo veleno, Severus… - sussurrò debolmente. – Vieni a gioire della tua vendetta, perfettamente riuscita?
Severus si bloccò: quello stupido stava pensando che lo avesse avvelenato. Eppure non c’era odio nella sua voce, né nei suoi occhi, solo tanta tristezza.
- Sei uno stupido, Lupin. Non era mia intenzione avvelenarti: solo renderti inoffensivo per i nostri studenti. – esclamò con durezza, mentre i suoi occhi scintillavano pericolosamente. – Ma, se credi di non aver alcun bisogno di me, non assisterò oltre a questa disgustosa scena. – e si girò di scatto facendo volteggiare il mantello.
- No… ti prego. Resta, io ho… bisogno del tuo aiuto! – mormorò il mago, sopraffatto dal dolore, tendendo una mano verso di lui.
Si voltò lentamente ed i suoi occhi incontrarono quelli grigi di Lupin.
Era difficile decifrare il messaggio di quello sguardo, ma non poteva neppure restarsene lì, indifferente al suo dolore. Anche se, purtroppo, sapeva di non potere fare assolutamente nulla di concreto per alleviarlo. Poteva solo rimanergli vicino.
E Severus lo fece.
Si avvicinò, s’inginocchiò e, incredibilmente, lo abbracciò con forza, cercando di interrompere quello sconvolgente tremito. Non poteva fare altro che dargli quel conforto.
Negli occhi di Remus, fissi nei suoi, e totalmente increduli, c’era un muto ringraziamento. Passarono ore, prima che il tremito cessasse. E Severus restò in ginocchio, immobile e silenzioso, tenendo il mago tremante stretto fra le braccia. Infine lo aiutò ad infilarsi nel letto, ancora vestito. Poi disse, con decisione:
- Mi dispiace, Lupin. Ma domani sera te ne porterò un’altra dose. E così sarà per ogni notte di luna piena.
- Grazie!
Solo grazie, aveva detto Remus.
E gli aveva sorriso.
Severus girò su se stesso ed uscì velocemente dalla stanza senza proferire parola.
 

*

 
Certo, era stata dura, ricordava Lupin.
Quella pozione gli provocava dei terribili dolori, ma gli aveva anche permesso di avere una vita pressoché normale. Dopo alcuni mesi di assunzione, infatti, gli impediva di trasformarsi in Lupo Mannaro al culmine della luna piena e così, almeno di giorno, si era sentito ragionevolmente sicuro di poter restare tra gli studenti. I raggi della luna piena, anche quando era visibile durante il giorno, erano molto meno pericolosi. Severus gli aveva accordato il permesso, così non aveva più dovuto farsi sostituire nelle lezioni.
Inoltre, Severus gli era sempre stato vicino.
Non l’avrebbe mai immaginato, eppure… Quell’uomo, che sembrava così arcigno, così lontano dal provare qualsiasi sentimento, aveva passato molte sere a tenerlo stretto a sé mentre il dolore provocato dalla pozione lo sconquassava.
Ancora non riusciva a capacitarsene.
Poco per volta, si era reso conto che portargli quella pozione era diventata una scusa  per Severus per restare con lui. Ogni sera, in quella settimana di luna piena, Severus arrivava sempre con qualche minuto d’anticipo rispetto la sera precedente, ed impiegavano quel tempo a parlare, a cercare di conoscersi, di diventare amici.
Era stato facile capire che, in un certo senso, avevano tante cose in comune. Prima fra tutte la solitudine. Una grande, terribile, infinita solitudine. Nessuno dei due, seppur per motivi alquanto diversi, aveva un amico.
Era stata proprio la loro solitudine che, lentamente, giorno per giorno, li aveva spinti inesorabilmente l’uno verso l’altro, in un disperato tentativo di alleviare la loro intima sofferenza.
Quando veniva il momento di prendere la pozione, Remus sapeva che il suo amico gli sarebbe stato vicino, come sempre, ed avrebbe condiviso il suo dolore rendendogli più facile sopportarlo.
Con il sorriso sulle labbra.
 

*

 
Il sorriso di Lupin, pensava Severus guardando il paesaggio, nuovamente illuminato dal sole, che ora scorreva sempre più veloce fuori del finestrino.
Gli sarebbe mancato enormemente. Ma non solo quello. Gli sarebbe mancata la speranza che Remus sapeva infondergli, la sua voglia di vivere.
Lui, in fondo, aveva saputo dargli ben poca cosa in confronto a quegli inestimabili doni. Certo, gli distillava quella complicatissima pozione. A dir la verità, aveva anche cercato di insegnargli a farsela da solo. Ma Remus non sembrava affatto sforzarsi per imparare e Severus aveva facilmente desistito.
Del resto, quella era l’unica scusa che gli permetteva di passare, per una settimana al mese, le serate col suo nuovo amico. E non intendeva assolutamente rinunciare a quella possibilità.
Anche se, spesso, doveva ancora sostenerlo mentre percepiva il dolore che sferzava con crudeltà il suo corpo.
Sentiva che Remus, ogni volta di più, si abbandonava fiducioso al suo abbraccio. Quella sensazione lo imbarazzava un poco. Ma si rendeva conto, anche, che Remus aveva veramente bisogno di lui. Non si era quindi mai sottratto a quel compito.
In fondo, era il giusto modo per punire la superbia dei suoi pensieri sull’inferiorità di un Lupo Mannaro: un immondo essere non del tutto umano, dal sangue impuro ed infetto. 
Quante cose erano mutate da quei primi giorni in cui si era recato da Lupin con il solo scopo di controllare che prendesse la pozione. Quanta pena gli procurava vederlo soffrire. Quanta gioia e quanto calore umano gli donava, invece, quell’amicizia così difficilmente nata! E quanto bisogno aveva di quell’amicizia, anche se non voleva ammetterlo, neppure con se stesso.
E quanto era stato dannatamente idiota a rovinare tutto.
 

*

 
Ogni volta che il dolore lo assaliva, ricordava Lupin, sempre con quella solita ed improvvisa sferzata, le braccia forti e decise di Severus erano pronte a sostenerlo. Sapeva che il suo amico soffriva con lui e questo gli rendeva più facile sopportare il dolore.
Quel dolore straziante: la scusa per abbandonarsi a quell’abbraccio, la scusa per poter essere, finalmente, debole e bisognoso d’aiuto.
Ma c’era ben altro, nella loro amicizia.
Severus era sempre stato uno studente in gamba, ma ora si era rivelato essere un mago straordinariamente potente. Era ridicolo che la cattedra di Difesa Contro le Arti Oscure non gli fosse ancora stata assegnata. Se c’era un mago in grado di insegnare, con ogni cognizione di causa, quella materia, quello era solo, e soltanto Severus Piton. Che le Arti Oscure le aveva imparate… sul campo.
Severus gli aveva raccontato tutto: della sua infanzia, della sua giovinezza, delle sue scelte sbagliate. E di quei due terribili anni di oscurità in cui si era macchiato di crimini atroci. Così lui, Remus, aveva capito tante cose dell’odioso Professore di Pozioni.
Aveva compreso il tremendo rimorso che lo lacerava, aveva percepito fino in fondo la sua infelicità e la sua solitudine.
Così era arrivato, infine, il suo turno per sostenere l’amico, con un lungo e fermo abbraccio. Severus aveva avuto un iniziale moto di rifiuto a quel gesto fraterno, ma poi aveva appoggiato la fronte sulla sua spalla… ed era rimasto lì, a lungo, immobile e in silenzio.
E Remus aveva capito quanto grande era il coraggio di quell’uomo.
Severus gli aveva insegnato un sacco di cose sulle Arti Oscure, che sui libri non erano mai state scritte, ed era sicuro che ci fosse ancora molto che avrebbe potuto insegnargli. C’erano ancora tante cose che avrebbero potuto imparare l’uno dall’altro, se solo si fosse ricordato di prendere la pozione, quella dannata notte!
 

*

 
Il treno stava rallentando: ormai Londra era vicina.
Ancora pochi minuti, poi Remus sarebbe uscito per sempre dalla sua vita. La sua esistenza sarebbe tornata ad essere di una totale ed insopportabile inutilità e solitudine.
No, non poteva permetterlo.
Doveva scusarsi, non doveva lasciarlo andare via così, senza avere almeno provato.
E poi… poi doveva dirgli di quel libro, di quell’incantesimo antico, di quella piccola e remota possibilità che la sua maledizione potesse avere una fine.
Anche se, dopo, una volta che Remus fosse stato libero da quella sua condanna, l’avrebbe perso comunque. Se Lupin avesse nuovamente potuto avere una vita normale, Severus era certo che non avrebbe perso il suo tempo con un uomo odioso come lui.
Ma non aveva importanza: almeno avrebbe fatto qualcosa di buono nella vita, avrebbe reso a Remus tutta la gioia ed il calore che, inconsapevolmente, aveva saputo donargli durante tutti quei mesi.
Così Severus si girò a guardare Lupin.
 

*

 
Il viaggio, ormai, era finito e Remus, in tutte quelle ore, non aveva mai avuto il coraggio di guardare Severus negli occhi.
Gli era bastato quell’iniziale, gelido sguardo quando, sgarbatamente, Severus gli aveva ordinato di sedersi e di non muoversi per nessun motivo.
Aveva obbedito ed aveva chiuso gli occhi; e non li aveva più riaperti per tutto il lungo viaggio.
Ma il treno stava rallentando e, alla fine, Remus avrebbe nuovamente dovuto affrontare i gelidi occhi di Severus.
Quei profondi occhi in cui sapeva, invece, che poteva brillare un intenso sguardo carico di passione e di voglia di vivere.
Avrebbe provato un’ultima volta a chiedergli scusa, a cercare di salvare quell’amicizia, così importante per lui.
Remus aprì gli occhi e sollevò il viso verso Severus.
 

*

 
I loro occhi s’incrociarono nello stesso, preciso istante.
Gli occhi neri di Severus, profondi come la sua immensa tristezza e pieni di rammarico per un’amicizia che riteneva ormai irrimediabilmente perduta, solo per causa sua.
Gli occhi grigi di Remus, pieni di timore ma, nonostante tutto, pervasi da un’incrollabile speranza.
Fu uno sguardo interminabile, intenso, che penetrò in profondità le loro anime.
Poi, Remus abbozzò un timido sorriso.
Severus sospirò, era come se tutta la tensione, d’improvviso, fosse uscita dal suo corpo.
- So che non potrai mai perdonarmi Remus, ma io devo… è giusto che io…
Dannazione, non aveva mai chiesto scusa in vita sua, prima di allora.
- Insomma, voglio chiederti scusa per aver detto… quello che ho detto. – terminò bruscamente Severus.
Remus continuava a sorridergli. Allora, allora forse…
- Ma io non ho nulla da perdonarti, Severus. Hai solo fatto ciò che reputavi giusto. Sono io l’imbecille che si è dimenticato di prendere la pozione, sono io che rappresento un pericolo per gli studenti. E’ giusto che debba andarmene! – terminò dolcemente Lupin.
- NO! – ruggì Piton – Io non voglio perdere la tua amicizia! – terminò in un debole sussurro.
Il sorriso di Lupin divenne semplicemente radioso.
- Neppure io, Severus. E’ troppo importante per me.
 

*

 
Erano passate ormai quasi tre settimane da quel viaggio sull’Espresso di Hogwarts ed il periodo di plenilunio era nuovamente alle porte.
Piton era nel suo maniero, di fronte al grande camino del salone, e misurava la stanza a lunghi passi. Era enormemente nervoso: Lupin sarebbe arrivato a momenti.
Alla fine gli aveva raccontato tutto dell’incantesimo che aveva trovato in quel libro antico, con le pagine rovinate dall’umidità e dalla muffa, le parole che s’intuivano appena; quell’incantesimo sconosciuto e pericoloso, che avrebbe anche potuto essere fatale, forse, per entrambi.
L’aveva invitato a venire al suo castello, prima della successiva luna piena.
Lupin era rimasto sconvolto da quella notizia, incredulo e spaventato, eppure felice. Difficile, molto difficile interpretare il suo sorriso, leggere nei suoi occhi, nella sua anima.
O, forse, Severus non aveva voluto leggere fino in fondo.
Le fiamme del camino stavano assumendo la consueta colorazione verde e dopo pochi istanti Lupin era là, con il suo solito sorriso dolce.
Con un leggero salto fu subito fuori dal cammino, si guardò in giro per un attimo e poi, con un fischio d’ammirazione, esclamò:
- Accidenti, Severus, ma è un posto meraviglioso!
Piton sorrise, improvvisamente rilassato ora:
- Dato che sei arrivato in anticipo, puoi visitare il castello, se desideri.
Lupin annuì con entusiasmo ed il mago cominciò a fargli strada tra i saloni ed i corridoi dell’antico maniero, attraverso la biblioteca e su per le torri, raccontando vecchie leggende di famiglia. In pochi minuti la confidenza e l’amicizia costruite durante l’anno scolastico tornarono vivide a legare i due uomini ed il pomeriggio passò in soffio.
Infine Piton mostrò all’amico l’antico testo inaspettatamente recuperato e spiegò ogni cosa nei dettagli.
- Mago purosangue da almeno dieci generazioni? – esclamò Lupin abbattuto – ma è una cosa davvero impossibile!
- Certo, tra qualche decennio quest’incantesimo diverrà assolutamente improponibile. – sorrise beffardo Piton. – Ma, per ora, tu sei molto fortunato ad aver incontrato me. - terminò, pieno d’orgoglio.
Lupin gli lanciò uno strano sguardo.
Era meglio lasciar perdere quel discorso, si disse Piton.
Infine venne la sera, con una piacevole cena alla quale Lupin fece abbondantemente onore, mentre le prime stelle facevano capolino nella notte.
- E’ ora di andare. – disse Piton all’improvviso.
Lupin osservò il cielo scuro attraverso la grande vetrata del salone e sospirò, alzandosi per seguire il mago che, nervosamente, stava già salendo i primi gradini del grande scalone.
Piton procedeva con passo rapido e deciso, senza guardarsi indietro, il mantello che ondeggiava, mentre Lupin lo seguiva, quasi a fatica, per i lunghi corridoi, le scalinate ed ancora corridoi più stretti e le ripide scale circolari della torre est, fino alla sommità.
Ora erano fuori, sotto la tenue luce delle prime stelle, nell’aria tiepida della notte estiva.
Piton indicò un cerchio tracciato per terra, esattamente al centro della torre, quindi trasse dalla tasca un piccolo pugnale intarsiato di pietre preziose. Nell’altra mano teneva il piccolo e consunto libricino.
Lupin si diresse verso il cerchio, incerto, fermandosi prima di varcare il segno tracciato a terra. Piton lo sospinse con fermezza, quindi si sistemò anch’egli all’interno del cerchio, vicinissimo e di fronte a lui.
Si guardarono negli occhi per un lungo istante: entrambi avevano paura, eppure erano anche eccitati per quanto stava per accadere.
- Ora dammi i tuoi polsi. – ordinò seccamente Piton. – Li inciderò con un sottile taglio, poi farò lo stesso con i miei. Il mio sangue si mescolerà al tuo e, unitamente all’incantesimo, lo purificherà.
Lupin gli porse i polsi, lentamente, quasi con riluttanza. Piton li afferrò bruscamente e praticò, rapido e con decisione, due sottili ma lunghe incisioni, dal polso verso l’incavo del gomito, dalle quali stillarono solo poche gocce di sangue. Quindi rivolse la lama verso i propri polsi, praticandovi due profonde incisioni a forma di V.
Mentre il sangue cominciava a fluire dal vertice della ferita, Piton afferrò le mani di Lupin e fece combaciare le ferite, quindi intrecciò fermamente le sue dita a quelle dell’altro e lo fissò negli occhi.
- Ne sei sicuro? – chiese Remus esitante.
- Ho forse scelta? – rispose Severus di rimando, scortesemente. – Conosci forse un altro mago, purosangue da almeno dieci generazioni, tanto pazzo da essere disposto ad abbracciare un Lupo Mannaro in una notte di plenilunio? – finì con tono ironico, sollevando leggermente un sopracciglio.
Remus sorrise, silenzioso.
Chissà se il riferimento all’abbraccio era rivolto al passato, al presente… o al futuro?
Severus ora osservava l’orizzonte, oltre il prato scuro, oltre il grande e tenebroso bosco, oltre le colline nere, mentre il suo sangue sgorgava dalla ferita e scendeva adagio lungo il braccio dell’altro penetrando nella sottile incisione: la luna, fredda e pallida, cominciava ad affiorare da quel mare d’oscurità, con lentezza estenuante.
La voce di Severus, calma ed armoniosa, cominciò ad intonare la lunga cantilena di quell’incanto dimenticato da tempo immemorabile. Le parole della lingua sconosciuta uscivano dalle sue labbra e sembravano assumere una diafana consistenza, andando a formare una nebbiolina perlacea che, gradualmente, avvolse i corpi dei due maghi, stretti fra loro, schermandoli dai raggi della luna.
All’improvviso, la luna fu alta nel cielo limpido, in tutto il suo freddo e regale splendore, ed i suoi raggi cominciarono a filtrare attraverso il tenue schermo opalescente.
Severus vide l’astro specchiarsi negli occhi terrorizzati di Remus, e strinse più forte le sue mani, mentre pronunciava le ultime parole dell’incantesimo.
Progressivamente il corpo di Lupin fu scosso da tremiti, brevi e leggeri da prima, poi sempre più intensi e prolungati. Severus faticava a trattenere le mani del mago, che vibravano forte tra le sue, ed i polsi si allontanarono mentre le gocce preziose del suo sangue cadevano a terra.
- Remus… Remus, mantieni le tue braccia vicino alle mie! – gridò Piton allarmato. – Il mio sangue deve continuare a fluire in te!
Lupin era ormai travolto dalla forza dei raggi lunari: i suoi occhi erano inondati di quella fredda e selvaggia luce, i suoi sensi obnubilati dall’irresistibile richiamo dei lupi che echeggiava distante nelle sue orecchie.
La pelle cominciò a tendersi e poi ad incresparsi, mentre duri ed ispidi peli grigi ne fuoriuscirono rapidamente. Potenti unghie completarono presto le dita della mano destra che si stava trasformando in una potente arma.
Poi i tremiti cessarono all’improvviso e rimase solo lo sguardo terrorizzato ed affranto di Lupin che si perdeva nella profonda oscurità degli occhi dell’altro.
Piton si riscosse subitaneamente:
- Il mio sangue non fluisce più come dovrebbe: il taglio sul mio polso si sta rimarginando!
Lupin sembrava disorientato, come trattenuto in parte in un’altra, irreale, lontanissima dimensione.
- Remus… Remus! – urlò Piton. – Torna in te, resisti, tu sei un uomo!
Solo il silenzio intorno a loro, mentre la luce fredda della luna inondava i due maghi.
- Remus, con le tue unghie da lupo devi riaprire il taglio sul mio polso: ti serve ancora il mio sangue!
- Non… non posso, non ci riesco! - rispose il mago con voce tremante. – Ho paura… di farti del male!
- Stupido Mannaro! – sibilò rabbiosamente Piton.
Lasciò la mano umana di Lupin, che ricadde stancamente lungo il corpo dell’altro, ed afferrò invece la zampa guidandola a lacerare in profondità, con le sue forti unghie, la ferita sul proprio polso che già si stava rimarginando a causa della sua forte energia magica.
Il sangue di Piton sgorgò di nuovo, bruciante, con forza. Il mago premette quindi ancora il proprio polso insanguinato sul sottile taglio nella zampa del lupo, incurante del dolore.
Lupin fu di nuovo sopraffatto da tremiti incontrollabili e Severus lo sorresse con il braccio libero, stringendolo strettamente al proprio corpo. Presto la trasformazione in lupo regredì e Severus si trovò nuovamente a stringere la mano pallida e magra di Remus.
La luna regnava incontrastata nel cielo limpido, attorniata dalla sua corte di stelle, illuminando i due maghi abbracciati.
 
Un lungo abbraccio, silenzioso, rispettoso.
Piton sosteneva l’amico che si era abbandonato stremato tra le sue braccia e attendeva, immobile.
Lupin si rifugiava in quell’abbraccio protettivo, senza avere il coraggio di guardare la luna, senza avere il coraggio di guardare Severus.
Infine Piton allentò l’abbraccio, si scostò un poco dall’altro e disse, gentilmente:
- Credo che ora tu… ce la possa fare da solo, Remus.
Poche parole, semplici, eppure così dolorose.
Come se fossero un addio, di chi perde una persona cara, di chi, nuovamente, è condannato a rimanere da solo.
Severus si aspettava, ora, solo i ringraziamenti di Remus, poi il suo addio. Il mago poteva tornare a vivere in pieno, anzi, poteva finalmente cominciare a vivere.
E Severus sarebbe nuovamente rimasto solo.
Remus si raddrizzò e si staccò completamente da Piton. Alzò lo sguardo alla luna, così luminosa nel cielo nero da offuscare anche le stelle, poi si guardò le mani ed i sottili tagli sugli avambracci. Infine incrociò lo sguardo sconsolato dell’altro.
- Non ce l’avrei mai fatta senza di te: ti devo la vita… che non ho mai avuto! – sussurrò Lupin – Una vita che, forse, ho paura di cominciare a vivere. - terminò in un soffio.
- Paura? – chiese Piton stupito.
- Già, paura. Forse sarò sciocco, ma, ora, non posso più nascondermi dietro la mia maledizione. Ora tutto dipenderà da me, solo e solamente da me, il mio successo… o la mia sconfitta. 
- Non capisco, Remus, non era forse quello che volevi: essere libero? Ora puoi andartene di qui e vivere a testa alta la tua vita.
Negli occhi neri di Piton avvampavano fiamme vorticanti.
Gli occhi grigi di Lupin riflettevano la luce della luna… e la sua paura.
 - Sì, era quello che volevo. Non ti ringrazierò mai abbastanza per quello che hai fatto per me. Nondimeno… ho paura. Non possiedo la tua forza ed il tuo coraggio, Severus. L’ho sempre desiderato, è vero, ma come si desidera una chimera, che tu ora hai improvvisamente trasformato in realtà. – Lupin sorrise, dolcemente, tristemente – Ed io non mi sento pronto, io non voglio andarmene, io ho ancora bisogno di te, Severus!
Piton rimase immobile, silenzioso.
Guardò l’uomo davanti a sé, il mago che la sua magia aveva saputo rendere libero, l’amico che aveva temuto di perdere.
Guardò la luce del suo sorriso. Aveva voglia di abbracciarlo di nuovo, di dirgli quanto avesse bisogno di lui… di non andare via!
Ma continuò a rimanere immobile e silenzioso. Pallido sotto la luce della luna.
Lupin continuò a sorridergli poi si avvicinò nuovamente a lui, scrollando lievemente la testa:
- E tu hai bisogno di un amico, Severus. Cosa credevi, che ti avrei voltato le spalle, lasciandoti nuovamente nella tua dolorosa solitudine? Ora che, finalmente, posso essere io a fare qualcosa per te? E’ questa la paura che riempie di fuoco i tuoi occhi neri?
Un sorriso, solo un sorriso sulle labbra sottili di Severus. Un sorriso con la luce dentro, finalmente. Un sorriso come quello di Remus.
Lo vedeva riflesso negli occhi grigi dell’altro, il proprio sorriso, finalmente felice.
Le parole erano inutili: Severus finalmente non era più solo.
 
 

 
 
 
 

Edited by Ida59 - 26/11/2022, 15:18
 
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Copertina per il racconto.

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