| Ho ripreso questa vecchia sfida a quest'ora tarda. Non so bene che cos'ho scritto ma spero di essere rimasta in tema.
Titolo: Mors Tua Vita Mea Autore: Ale Data: 7 Giugno 2008 Tipologia: One-shot Raiting: Per tutti Genere: Introspettivo/Drammatico Personaggi: Severus Piton Pairing: Nessuno Epoca: Fine del 6o libro Avvertimenti: Nessuno Sfida: Il padre di Severus... Tobias o Silente?
Mors Tua Vita Mea
L’aria freme di lampi. Danzano sulla mia pelle. Aspettiamo. Sorridendo, alzo gli occhi dalle mie mani, ancora leggermente tremanti dopo che hanno strappato una vita, verso il viso del mio adorato padre, ora, più che mai, vivo nella mia mente, nei miei pensieri, nei miei occhi. I suoi tratti sono i miei: naso e mento aguzzi, da falco, grandi occhi scuri, i suoi inflessibili e talvolta languidi quando vi prendeva posto l’ebbrezza di una bevuta di troppo, capelli corvini e pelle chiarissima. Figlio di tenebra e tenebra io stesso, per me non ci sarà pietà come non ce n’è stata per te, padre. Ormai lo sai anche tu. In questo mondo non c’è pietà per gli assassini e i deboli. E tu, come presto accadrà anche a me, hai seguito il corso del destino e hai percorso la strada che ti sei scelto, fino alla fine. Non c’è nessun dubbio che io e te siamo legati dal sangue, anche se nel tuo, spesso, scorreva più di un fluido per permetterti di guardare l’orribile figlio che ritenevi di avere. Perché io non sono mai stato tuo, non mi ritengo una tua proprietà, non ti riconosco nulla, anche ora che sei morto e mi fissi attraverso i miei stessi occhi, tornando dal mio passato, in questo momento di dolore, per occupare la mia mente.
La tenebra di questa grotta, di questo luogo di dolore e riflessione, oscura i miei pensieri, mi riporta a tante cose. Che cos’ho fatto? Perché il mio animo brucia e continua a bruciare come quando si cosparge del sale su una ferita aperta, consci del fatto che non si chiuderà mai e continuerà ad ardere, consumando la carne e l'anima sottostante? Quale orribile azione hanno commesso queste mani per continuare a fremere e tremare sotto le bianche folgori dei lampi? Una cosa orribile, padre. Hanno ucciso. Di nuovo.
Ancora rivedo il volto dell'uomo che ha offuscato la mia giovinezza, che ha scandito con note orribili le mie giornate, condannandomi a diventare ciò che sono ora, additandomi sempre come un piccolo mostro. Sì, noi due ci somigliamo, esteticamente. Ma la somiglianza finisce qui, poiché l’intelligenza e la sapienza magica posseduta dai nostri antenati scorre solo nelle mie vene. E tu sei morto.
Pensi che io non lo sappia? Tu mi temevi e ora avresti delle buone ragioni per farlo, se il tuo squallido vizio non ti avesse portato a una morte precoce e inattesa. Tu sai tutto ciò che si può sapere del tradimento, vero padre? Oh sì: nella mia mente tu ricambi il mio sguardo con innaturale tranquillità, ma io leggo nel tuo cuore privo di battito un odio feroce e al contempo una squallida rassegnazione a una realtà che non hai mai compreso e accettato, rovinando la vita ai pochi affetti che attorniavano la tua, per così dire, esistenza. Le mie labbra si curvano verso l’alto mentre la mia mente ritorna a te, al passato, ai momenti in cui ti guardavo dal basso, mentre, seduto a un tavolo, ti crogiolavi nei tuoi errori, nelle tue debolezze, nei suoi infiniti, deliranti sproloqui, insulti, minacce, rivolte a nient’altro che a un povero bambino e a una moglie infelice. Guardati: non riuscivi a reggerti sulle gambe senza stringere in mano la solita bottiglia di vino o il bicchiere perennemente mezzo vuoto. Quale veleno hai continuato a introdurre nel tuo corpo, fino a lasciare che questo raggiungesse il tuo cuore, i tuoi organi vitali, per avvelenarli e distruggerli per sempre? Così sei morto, ma i tuoi errori sono rimasti in vita, gravando sulle mie spalle.
Anch’io ho ucciso questa notte: ho avvelenato il mio cuore esattamente come facesti tu, ma, a differenza di te, padre, io ho agito nel bene, non nella debolezza di una realtà troppo opprimente per i miei stessi occhi. I miei valorosi sostenitori, i Mangiamorte, mentre mi attorniavano in attesa che scagliassi il temuto colpo, hanno fatto ben poco: hanno guardato, mentre io, infine, agivo. Mentre mi appropriavo di una vita non mia, di cui ora usufruisco indebitamente.
Albus. Giurai fedeltà a te e per mantenere la mia promessa, il mio voto permanente di redenzione ed espiazione, ho accettato di fare ciò che per altri sarebbe stato inaccettabile. Mentire, fingere e infine uccidere un amico, un affetto, il genitore che ho sempre desiderato avere e che queste stesse mani, che ora sto stringendo spasmodicamente, hanno annientato. La tua fine era ormai prossima, ne sono pienamente consapevole: il tuo corpo ne era la chiara testimonianza ma, per il bene di tutti, ho dovuto agire come spietato emissario di morte, prima che la natura facesse il suo corso. E ora tu sei morto, caro padre. Ucciso, alla fine, da quelle stesse mani che ti hanno curato e in cui tu hai riposto tutta la tua fiducia. In me. Nel tuo unico figlio.
In quei momenti agghiaccianti, sulla torre, in cui la bilancia del destino oscillava tra la speranza e la condanna, la mia mente si è sgombrata di ogni pensiero, di ogni emozione e ha comandato al corpo l'agghiacciante sentenza: morte. Ma prima di tutto ciò, ho fissato i tuoi occhi per un'ultima volta, più azzurri del mare e dello zaffiro, saggi e gentili e, in essi, ho scorto molteplici cose: ho visto lo sguardo dei miei morti e della mia perduta amata, lo sguardo scuro e inflessibile del mio padre naturale, di tutte le mie vittime e, dietro di esse, un’oscurità infinita. Con quell'unico incantesimo, i tuoi occhi si sono chiusi per sempre. Ho rischiato di cadere in quello stesso oscuro baratro in cui ti ho gettato, ma ho resistito. La mia mano si è abbassata mentre tu morivi e scomparivi per sempre dalla mia vista. Il dovere mi ha imposto di agire, per finire ciò che avevo iniziato. Con la morte nel cuore, sono corso, lasciandomi alle spalle una parte di me, spenta, inanimata, morta, per ricominciare a seguire il corso del mio destino.
Ancora tranquillità nel cielo, solcato, ogni tanto, da qualche lampo. Rimiro echi di oscuri presagi nel cupo scenario che si staglia sopra di me, sopra i miei occhi scuri, ancora aperti e vigili, colmi di una vitalità appartenente a un altro. Non temo il tuono, il gelido respiro del vento sulla mia pelle, prima che la tempesta si abbatta su questo mondo cui mi sembra di non appartenere più.
Ho osservato con silenziosa ammirazione la morte di un uomo coraggioso, di un maestro, di un padre che non è sfuggito al suo destino e mi ha esortato lui stesso, fino all’ultimo, a compiere il mio dovere. La sua morte ha aumentato la mia possibilità di sopravvivenza, e la sopravvivenza del nostro piano. Quando ho lasciato Draco, al sicuro… sorrido a questo pensiero, perché nessuno è al sicuro, non ancora, almeno, finché il mostro continuerà a vivere. In quel momento, negli occhi atterriti del ragazzo ho scorto un lampo di terrore, mentre mi fissava e guardava la bacchetta che aveva ucciso al suo posto e che, in quel momento, stringevo ancora nella mia mano. Prima di lasciarlo, per venire qua ad udire nient’altro se non i miei pensieri e il rumore del tuono nel profondo buio di questa grotta, siamo rimasti senza parlare per alcuni istanti, sentendo le gocce d’acqua scendere silenziosamente dal cielo cupo e pungere le mie guance come fredde lacrime.
Ho iniziato questa recita ed ora sono tenuto a finirla, poiché sarà il mio ultimo ricordo da mortale, se dovessi perire, se il Giuda dovesse seguire lo stesso destino del padre che ha ucciso. Tutto questo per salvare la mia passata gioventù, Draco, e me stesso, nel tentativo di annientare definitivamente un mostro a cui sono costretto a prostrami e venerare: Voldemort! Perché, nonostante ciò che ho fatto, lui è più malvagio di me e più spietato: annienta giovani, vecchi, uomini, bambini senza riguardo per la loro intelligenza, il loro attaccamento per la vita o qualsivoglia circostanza. Io ho ucciso per dovere, per rispondere a un ordine, a una preghiera e, a differenza sua, non ne traggo alcun ignobile piacere. Il Signore Oscuro non ha scrupoli. Uccide allo stesso modo il fedele e il nemico e il grado di sofferenza che infligge non ha relazione con la devozione della vittima, quand’anche essa sia parte del branco di servi di cui si circonda. Lui rimira l’incantevole e lento sorgere del terrore negli occhi che si prepara a spegnere e si nutre di esso, accrescendo il suo smisurato orgoglio e la sua anima nera, insaziabile di morte e dolore. Basta un’ombra di sospetto, un’esitazione, un pensiero sbagliato e la sua bacchetta sprigiona lampi mortali e impietosi, come quelli che sono scaturiti dalla mia poco fa.
Sono stato per tutta la vita, mio malgrado, uno studioso della morte, che ho fissato in volto nella speranza di poterla capire, ghermire e infine imparare ad accettare. Ho udito i singhiozzi imploranti, le grida e il lento cessare dei battiti di molti cuori innocenti. In ogni istante ho guardato i loro occhi, gli occhi delle mie vittime, e ho cercato di capire il segreto che celavano mentre passavano dalla vita al nero Abisso, facendomi carico del loro dolore.
Ma non devo morire adesso! Non quando sono così vicino all’Oscuro Signore e all’Eternità. Alla Redenzione.
Guardo fuori dalla grotta. L’aria, grigia per la tempesta imminente, porta con sé uno strano odore leggero: di lampi, di sangue e di acqua che scorrerà per mondare e lavare la terra dal sangue appena sparso e, forse, anche per la mia anima. La morte, ora, mi è sicuramente più vicina che in qualsiasi altro momento. Ma anche tu lo sei, Albus, padre, e lo sarai sempre. Perché hai assolto i doveri di un altro, mi hai dato la possibilità di dimostrare il mio valore e di riscattarmi, possibilità che l'uomo, che in gioventù chiamavo con un nome che non gli apparteneva, non mi avrebbe mai concesso.
Non ho paura: le mie membra, la mia mente, il mio petto in cui batte ancora un cuore pulsante di vita e di coraggio, formicolano di una nuova energia, come se il mio corpo fosse stato svuotato del suo contenuto e riempito di una forza consistente e vitale, che lo anima e lo spinge ad agire. Lascerò che la morte cammini al mio fianco, che mi minacci e mi sfiori, finché non deciderà lei di condurmi per mano, per ricongiungermi a te. Padre…
E' ora di muoversi: esco nel temporale che avanza, preceduto dal tuono, senza curarmi di nulla se non della mia ritrovata determinazione. Il mio mantello si spiega come ali nere, smosso dal frusciare del vento. Inspiro profondamente, scrutando il cupo orizzonte con un nuovo sguardo. Le mie labbra si stirano in un sogghigno, le scure sopracciglia scendono sugli occhi socchiusi, la mano si serra sulla bacchetta: la tua morte per la mia vita. Grazie Albus, grazie padre. Sono pronto. E così sia.
Edited by ale85leosign - 12/6/2008, 14:20
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