Il Calderone di Severus

Durmstrang - Dicembre, Poppy Chips - Foresta proibita - Spada di Grifondoro - Oscar (rospo di Neville)

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view post Posted on 10/11/2021, 19:29
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Scriviamo qui se qualcuno ha già un'idea per la sfida, se é sicuro di partecipare, se vuole fare il campione, oppure se ha dubbi sulla trama, chiedere consigli e tutto quello che ci viene in mente!



Ricordo che qui ci sono tutte le regole della sfida e dei punteggi.

Oltre a Severus occorre inserire nella storia:
- Poppy Chips
- Foresta proibita
- Spada di Grifondoro
- Oscar (rospo di Neville)



Campione (punti raddoppiati): serpeverde
Portatore delle insegne (punti invariati): bandieraserpe
Scudiero (punti dimezzati): serpescudo
 
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view post Posted on 16/11/2022, 10:37
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Dato che novembre ce lo togliamo dalle scatole in fretta. Qualcuno ha già idee per Dicembre? :lol:
 
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view post Posted on 16/11/2022, 10:47
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Io ho un’idea che sto iniziando a buttar giù.
 
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view post Posted on 16/11/2022, 10:55
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Bene!
Ci ragionerò pure io. Al momento non ho nulla in mente, ma ci ragiono bene.
 
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view post Posted on 18/11/2022, 04:52
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Io ho il vuoto assoluto, purtroppo. 😢
 
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view post Posted on 18/11/2022, 10:06
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CITAZIONE (biboarwen @ 18/11/2022, 04:52) 
Io ho il vuoto assoluto, purtroppo. 😢

Non ti preoccupare.
Sistemiamo la questione dei personaggi, posto Novembre e poi ci ragiono su. ^_^
 
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view post Posted on 9/12/2022, 18:16
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Sto buttando giù qualcosa... nella speranza che sia decente.
Voi come siete messe?
 
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view post Posted on 9/12/2022, 18:34
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Niente Elena, tabula rasa. Purtroppo la carenza di tempo non aiuta per niente. Temo di aver scritto la mia ultima storia del concorso con “tre madri”
Scusate!
 
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view post Posted on 9/12/2022, 18:55
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Non preoccuparti Bianca.
Siamo un po' tutte arrivate all'ultimo... per fortuna é finita. :lol: :lol:
 
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view post Posted on 9/12/2022, 20:27
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Io sto scrivendo… anche se devo ancora capire come gestire la Spada.
 
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view post Posted on 15/12/2022, 18:39
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Mi sono completamente dimenticata le nomina.
Leonora dato che non ho capito se la storia sarà pronta o meno ti ho messo come portatore d'insegne. Così se dovesse succedere qualcosa e non riesci a trovare una quadra non sei obbligata a postarla.
Scusate... l'ho fatto senza consultarvi, ma sono arrivata all'ultimo e mi era proprio sfuggito.
 
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view post Posted on 15/12/2022, 18:54
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Hai fatto benissimo, elly, perché io sono in completo alto mare e dubito di riuscire a finire in tempo.
 
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view post Posted on 15/12/2022, 18:56
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CITAZIONE (Alaide @ 15/12/2022, 18:54) 
Hai fatto benissimo, elly, perché io sono in completo alto mare e dubito di riuscire a finire in tempo.

Meno male! ^_^
Zero pressioni.
Sta spada da del filo da torcere anche me. :huh:
 
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view post Posted on 15/12/2022, 19:03
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La spada è un vero e proprio incubo (potrei finire con il distruggerla in modo creativo ;) )
 
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view post Posted on 26/12/2022, 13:00
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ellyson, sono riuscita a finire la storia che spero abbia senso. La devo rileggere, quindi, con ogni probabilità, il numero di caratteri cambierà, ma, al massimo, sistemerò degli errori di battitura o delle frasi poco chiare.

Autore/data: Alaide – dicembre 2022
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One-Shot
Rating: Per tutti
Personaggi: Severus Piton, Madama Chips
Genere: Introspettivo, drammatico
Pairing: nessuno
Epoca: Più epoche
Avvertimenti: nessuno
Riassunto: La Foresta Proibita era cupa e triste.
Era solitaria e, da dove si trovava, gli sembrava immensa, infinita quasi.

Nota: Storia scritta per l’iniziativa 15 anni con Severus. Sfida del mese di novembre. Scuola: Durmstrang. Ruolo: Portatore d’insegne
Il titolo è una citazione del Don Carlos di Verdi.
Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
Lunghezza: 32.599 caratteri



Forêt immense et solitaire



7 novembre 1981


La Foresta Proibita era cupa e triste.
Era solitaria e, da dove si trovava, gli sembrava immensa, infinita quasi.
Ma a lui quella solitudine e quell’immensità sembravano quasi confortanti.
Era la prima volta che riusciva a rimanere veramente da solo da quando Silente gli aveva riferito la notizia. Non sapeva nemmeno come avesse fatto a insegnare da lunedì in poi. Non ricordava quasi nulla della settimana precedente, se non che aveva tentato di non pensare mai a Lily, che aveva immagazzinato il dolore in un angolo della mente, che aveva messo a tacere la rabbia che provava verso sé stesso e verso il Preside che non era riuscito a proteggere Lily come aveva, invece, promesso.
Aveva vissuto – sempre che si potesse parlare di vita – avvolto in una sorta di nebbia.
Era crollato davanti a Silente.
Poi, più nulla.
Aveva vissuto dei giorni ovattati, dei giorni in cui aveva compiuto ogni azione in maniera quasi automatica. Sapeva di aver insegnato, di essersi attenuto al programma che aveva preparato quell’estate, ma non rammentava null’altro. Era unicamente certo che nelle classi non era avvenuto nessun incidente.
In quella domenica di novembre poteva finalmente essere solo.
Realmente solo.
Non correva il rischio che qualche studente di Serpeverde avesse improvvisamente bisogno di lui nel cuore della notte o che Gazza si rivolgesse a lui perché aveva colto un ragazzo della sua Casa in giro per i corridoi dopo il coprifuoco.
In quell’angolo della Foresta Proibita, poteva essere solo, poteva pensare a Lily, poteva piangerla, come non aveva potuto fare. Il lamento nello studio di Silente non era un vero pianto, ma la risposta ad una stilettata che gli aveva lacerato il cuore.
Sapeva – lo aveva letto sulla Gazzetta del Profeta – che i funerali si erano già svolti, ma lui, com’era naturale che fosse, non aveva potuto parteciparvi e non avrebbe nemmeno portato un fiore sulla sua tomba. Forse, quell’estate, avrebbe depositato un unico iris. Erano stati, quando era una bambina, i suoi fiori preferiti.
Rimase immobile, appoggiandosi ad un albero della piccola radura, un luogo in cui si era rifugiato a volte, quando era stato uno studente. Non aveva mai incontrato nessuno, né intravisto uno dei Centauri che sapeva abitavano la Foresta Proibita.
Era un luogo di solitudine.
Un luogo adatto a lui.
Cercò di piangere, ma le lacrime non lasciarono i suoi occhi.
Nella nebbia ovattata, in cui aveva vissuto i giorni precedenti, a volte aveva avuto la tentazione di piangere. Gli era accaduto quando si era recato in Sala Grande, quando aveva fatto lezione a ragazzi poco più giovani di lui, quando aveva pattugliato i corridoi, quando si era ritirato nelle sue stanze ed aveva trascorso notti, per lo più, insonni.
In quel momento era solo, con il suo dolore e i suoi sensi di colpa, ma non riusciva a piangere.
La morte di Lily era una ferita profonda, che non si sarebbe mai rimarginata, un dolore lancinante che non si manifestava attraverso le lacrime.
Chiuse per un attimo gli occhi, richiamando alla mente il volto di quella che, un tempo, era stata sua amica.
Non l’aveva più vista dopo la fine della scuola.
L’immaginava più adulta, ma il volto che gli sorgeva alla mente era quello della bambina con cui aveva parlato per la prima volta, accanto a delle altalene.
«Professor Piton», Severus credette di non essere sobbalzato unicamente perché era appoggiato ad un albero. «L’ho cercata ovunque.»
Prima di voltarsi verso la nuova venuta, si prese qualche istante per ritrovare una parvenza di calma. Non aveva pianto, ma aveva la netta sensazione che il dolore fosse visibile sul suo volto e nei suoi occhi. Richiamò alla mente gli insegnamenti di Silente e occluse, come aveva imparato a fare, da quando era diventato una spia.
Quando si girò, notò che Madama Chips sembrava quasi non aver fiato e che il suo volto era palesemente preoccupato.
«Ed ora mi ha trovato.»
Non sapeva cos’altro dire. Avrebbe dovuto, forse, essere più accomodante con Madama Chips, ma non voleva che la donna lo prendesse in simpatia.
Non voleva che nessuno lo prendesse in simpatia.
Desiderava che tutti lo odiassero, che tutti provassero gli stessi sentimenti che lui nutriva per sé stesso.
Era una giusta punizione per quello che aveva fatto.
«Due studenti hanno pensato bene di sperimentare con degli incantesimi troppo difficili per loro ed ora ho bisogno urgente di alcune pozioni.»
Severus annuì soltanto.
Immergersi nella sottile arte pozionistica gli avrebbe permesso di non pensare alla morte di Lily.
E alle sue scelte sbagliate.
E alle altre morti che aveva provocato.
«E di quale casa sono questi due geni?»
Non che gli interessasse, ma non voleva che Madama Chips capisse per quale motivo si trovasse in quel luogo, che potesse notare qualcosa, nonostante fosse certo di aver nascosto con cura il suo dolore e il suo senso di colpa.
La donna, d’altronde, si occupava già dell’infermeria della scuola, quando lui era stato uno studente e poteva aver notato la sua vicinanza con Lily.
Forse, però, se n’era dimenticata.
«Corvonero», rispose bruscamente Madama Chips.
Severus quasi non l’ascoltò.
In fondo, non importava. Aveva letto sulla Gazzetta del Profeta che avevano iniziato a interrogare i Mangiamorte che già avevano arrestato. Non ci sarebbe voluto molto prima che qualcuno facesse il suo nome.
Silente gli aveva detto che lo avrebbe tenuto fuori da Azkaban e Severus sperava che il vecchio Preside avesse ragione.
Gli aveva promesso di proteggere il figlio di Lily.
Ed aveva promesso a sé stesso di riuscire, per quanto sapesse già che sarebbe stato impossibile, a rimediare al male che aveva fatto.



1° giugno 1993


La Foresta Proibita era cupa e triste.
Era solitaria e, da dove si trovava, sembrava immensa, infinita quasi.
Severus osservava, quasi senza vederli, gli alberi che circondavano la radura. Sembravano quasi volerlo soffocare o, forse, quell’anno gli era parso più duro del precedente.
Più preoccupante, anche.
La scuola stessa era diventata un edificio che pareva restringersi su coloro che la occupavano, ma, con ogni probabilità, quella sensazione apparteneva unicamente a lui.
Il figlio di Lily era quasi morto anche quell’anno e lui non aveva potuto far nulla per impedirlo, per tenerlo al sicuro, per proteggerlo come aveva giurato.
Albus, per qualche ragione nota soltanto a lui, sembrava voler costantemente ricompensare il ragazzo ogni volta che questi si metteva in pericolo.
Gli aveva spiegato, brevemente e tenendo alcuni particolari per sé, quello che era avvenuto. Aveva sottolineato più volte di come Potter si fosse rivelato essere degno di brandire la Spada di Grifondoro, ma non lo era stato a sentire quando gli aveva ribadito come il ragazzo stesse seguendo una china pericolosa.
Forse non aveva usato le argomentazioni migliori, ma aveva trascorso troppo tempo a pensare al figlio di Lily come al figlio di Potter per poterne utilizzare di diverse.
Era decisamente più semplice, in quel modo.
Non avrebbe avuto nessun pericoloso cedimento e, soprattutto, avrebbe potuto veder riflesso negli occhi verdi del ragazzo l’odio di cui voleva essere oggetto.
Continuò a stare immobile, nella radura, quella stessa radura in cui si era rifugiato alla morte di Lily e in cui era andato, più di una volta, da quando era diventato insegnante, a riflettere, a ritrovare sé stesso.
Era una sorta di rifugio, un luogo oscuro, com’era oscura la sua anima.
Forse avrebbe dovuto provare a parlare di nuovo con Albus, ma aveva la strana sensazione che il Preside avrebbe unicamente nominato nuovamente la Spada di Grifondoro e forse avrebbe persino deciso di mostrargli quella reliquia di un passato lontano.
O, forse, non l’avrebbe fatto.
In fin dei conti, quella spada rappresentava animi coraggiosi e impavidi, cavallereschi e l’uomo sapeva di non essere nessuna di quelle cose.
Era soltanto un miserabile che stava cercando di porre rimedio all’irrimediabile.
Era diventato un mostro e per i mostri non c’era reale redenzione.
E di quella verità si rendeva conto ancora di più da quando Potter era entrato a Hogwarts l’anno scolastico precedente.
La radura gli parve ancora più cupa, al pari dei suoi pensieri.
Era certo che sarebbero diventati ben più funesti se un improvviso gracidare non l’avesse distratto.
Non c’erano ruscelli, né paludi nelle vicinanze, ma, nonostante ciò, era chiaro che nell’erba verde della radura si celava un rospo.
Si guardò intorno con attenzione, decidendo di cercare l’animale senza ricorrere alla magia e non fu nemmeno complicato notarlo. Si trovava ai suoi piedi. Quando si inginocchiò, notò che il rospo sembrava osservarlo, quasi che volesse chiedergli quale strada dovesse prendere per tornare dal suo proprietario.
Non gli era nemmeno difficile capire a chi appartenesse l’anfibio. Minerva aveva parlato più di una volta del rospo di Neville Paciock che pareva fuggire fin troppo spesso al suo proprietario.
Oscar – così gli era stato detto che si chiamava l’animale – gracidò nuovamente, in maniera quasi petulante.
O, forse, era spaventato.
Come Paciock durante le sue lezioni.
Sapeva di essere particolarmente crudele con il ragazzo, ma non riusciva a trovare altro modo per tentare di spronarlo.
O, forse, avrebbe anche potuto trovarlo, se non fosse stato guidato dal desiderio di farsi odiare da tutti, nello stesso modo in cui lui detestava sé stesso.
E se non dovesse misurare ogni minima parola in una classe dove c’erano fin troppi figli di Mangiamorte.
Sentì un fruscio, da qualche parte alle sue spalle.
Il rospo fece per saltare, ma Severus lo afferrò per una zampa. Non seppe nemmeno perché se lo infilò in tasca.
O, forse, lo sapeva fin troppo bene, ma non preferì non soffermarsi su quei sentimenti.
Si rimise in piedi.
Il rospo rimase immobile, rivelandosi stranamente tranquillo, mentre faceva quel movimento.
«Severus», la voce di Poppy quasi non lo stupì, considerando che era l’unica che lo avesse mai trovato in quel luogo. «Non pensavo di trovarti qui.»
La donna rimase ad osservare l’uomo che era stato un alunno in quella scuola e che era poi diventato insegnante. Un tempo, da ragazzino, aveva avuto un volto espressivo, facile da leggere. O, almeno, così le era parso le volte – forse troppe – in cui lo aveva avuto sotto le sue cure. Da quando era tornato come insegnante di Pozioni, le era diventato impossibile comprendere cosa gli passasse per la mente.
Anche il giorno prima, quando le aveva consegnato la pozione a base di radici di mandragola, il suo volto aveva mantenuto un’espressione neutra.
«Ti serve qualcosa?»
Il tono di voce era aspro e Poppy sapeva perfettamente che, con gli studenti, sapeva essere particolarmente sgradevole.
A volte, le pareva che volesse semplicemente respingere tutti.
Aveva sentito diverse lamentele nei suoi confronti, soprattutto durante i primi anni in cui aveva insegnato. C’era chi sosteneva che il Preside non avrebbe nemmeno dovuto assumerlo, ma lei era sempre stata troppo impegnata con l’Infermeria per prestare ascolto a tutte le chiacchiere.
Almeno, Severus le forniva tutte le pozioni di cui avesse bisogno e non doveva più barcamenarsi per avere delle scorte sufficienti per l’intero anno scolastico o preventivare quel che le sarebbe servito ad ogni partita di Quidditch.
«Sono solo venuta a dirti che i ragazzi si sono svegliati, prima di quanto avessi previsto», affermò.
«Come immaginavo», disse soltanto Severus, mentre infilava una mano in tasca per trattenere il rospo che sembrava essersi improvvisamente risvegliato e che pareva agitarsi come non aveva fatto fino a pochi istanti prima.
L’ultima cosa che voleva era che Poppy si accorgesse che aveva in tasca il rospo di Paciock, che potesse collegarlo a quella che qualcuno avrebbe potuto anche definire una buona azione.
Rimase, invece, immobile e silenzioso, a fissare la strega.
Poppy lo osservava come se volesse fargli una domanda, che però non lasciò mai le sue labbra. La donna non aveva di certo bisogno di sapere che aveva modificato una dose, così palesemente sbagliata da credere che il tomo che aveva consultato riportasse un errore di copiatura, nella pozione che era stata somministrata ai ragazzi.
Non era nemmeno necessario che la strega sapesse che si sentiva sollevato nel sapere che tutti sarebbero potuti tornare alle loro vite, inclusi Mrs Purr e Nick-Quasi-Senza-Testa.
«Stai rientrando al castello?»
Poppy non si stupì nemmeno quando Severus annuì senza dire una sola parola. Non era la prima volta che si ritrovava a condividere dei momenti con il Capocasa di Serpeverde in un silenzio quasi assoluto.
Si erano ritrovati, in molte occasioni, a collaborare insieme.
I primi tempi le era parso strano che fosse sempre disponibile ad aiutarla quando si trovava ad affrontare dei casi particolari in infermeria e aveva bisogno di pozioni insolite. Già, verso la metà del primo anno in cui aveva insegnato, aveva annunciato che le avrebbe fornito personalmente ogni singolo composto per evitare che uno degli imbecilli che credeva di essere dei pozionisti le rifilasse una pozione che avrebbe finito con l’uccidere uno studente.
Aveva usato parole tutt’altro che accomodanti, ma a Poppy era sembrato un bel gesto, anche perché, se n’era resa conto quasi subito, le pozioni distillate da Severus erano particolarmente efficaci.
Da allora si erano ritrovati a collaborare tante volte, come era avvenuto quell’anno.
Ed ogni volta quella loro unione di forze e saperi avveniva in un silenzio quasi assoluto.
Forse, non c’era nemmeno bisogno che pronunciasse una sola parola.
Forse, bastavano unicamente i gesti.
Poppy si disse che la dedizione con cui l’aiutava, nonostante le ragioni che adduceva o il tono brusco e aspro che utilizzava, dimostrava che Severus era una brava persona.
Anche negli ultimi giorni l’aveva dimostrato.
Sapeva che aveva lavorato alacremente, sacrificando il poco tempo libero dai suoi doveri di insegnante e Capocasa per creare la pozione che aveva risvegliato i ragazzi pietrificati. Aveva anche evidenziato la quantità di composto da somministrare alla gatta e come riuscire a farla assorbire a Nick-Quasi-Senza-Testa, un’impresa quanto mai complessa e che, forse, non sarebbe nemmeno riuscita a portare a termine senza le indicazioni di Severus.
«Saresti un ottimo Guaritore», decise di dire, mentre camminavano verso il castello.
Severus non rispose al commento della donna, troppo impegnato a tenere fermo il rospo che si stava agitando nella sua tasca.
O, forse, non voleva ammettere che, quando era ancora innocente, quando era stato un bambino colmo di sogni, aveva accarezzato quell’idea. Era stata una delle stupide ed illuse fantasticherie che aveva nutrito per un futuro sereno che non era mai stato realmente possibile: si era visto sposato con Lily, mentre lavorava al San Mungo come Guaritore pozionista.
Ma quel sogno era naufragato, così come molti altri, quando aveva deciso di dare ascolto alle persone sbagliate.
E quel segno era completamente morto, quando il Marchio Nero era stato inciso sul suo avambraccio.
«Le nostre strade si dividono qui», disse Poppy, sottolineando un’ovvietà, quando oltrepassarono l’ingresso del castello.
Severus la salutò brevemente, prima di procedere a passo spedito, mantenendo una mano in tasca, anche se il rospo sembrava essersi improvvisamente calmato.
Avrebbe potuto lasciarlo lì, si disse, ma continuò ad avanzare.
Per quanto, poco prima avesse messo a tacere quel pensiero, era perfettamente cosciente del motivo che lo aveva indotto a portare Oscar con sé.
Era un modo per chiedere silenziosamente perdono al ragazzo per la crudeltà con cui lo trattava.
Paciock non avrebbe mai saputo che il suo rospo non era diventato la preda di una creatura della Foresta Proibita soltanto perché lui glielo aveva riportato.
Ma non gli importava avere la riconoscenza del ragazzo.
Non era un cavaliere impavido e coraggioso, dall’animo cavalleresco, degno di brandire la Spada di Grifondoro.
Era soltanto un uomo che aveva vissuto una vita miserabile e che aveva commesso scelte orribili, che gli impedivano di essere un insegnante degno di quel nome, che gli impedivano di aiutare realmente i ragazzi della sua Casa.
Camminò per i corridoi, fino a quando non riuscì a capire dove si trovasse Paciock.
Una volta avvicinatosi abbastanza a lui, rimanendo nell’ombra non gli fu difficile posare per terra Oscar senza che nessuno lo notasse.
Il rospo si avvicinò saltellando al suo proprietario.
Ma Severus non era più lì, quando il giovane Grifondoro lo prese tra le mani con un sorriso.



dicembre 1997


La Foresta Proibita era cupa e triste.
Era solitaria e, da dove si trovava, sembrava immensa, infinita quasi.
E quella solitudine era quasi benvenuta.
Si sentiva spossato e oppresso.
Tuttavia, non se ne stupiva nemmeno.
Era da quando aveva preso il titolo di Preside che provava quelle sensazioni. Si sentiva un usurpatore ed era certo che i suoi vecchi colleghi la pensassero tutti a quel modo. Aveva notato le occhiate colme di disprezzo di Minerva e di Poppy.
E degli altri.
Ma lo sguardo delle due streghe era quello che più somigliava ad una stilettata.
Minerva era diventata un’amica, una figura materna, quasi.
Poppy era colei con cui più spesso collaborava e aveva sempre apprezzato i modi spicci della strega e il fatto che non riempisse il silenzio con cui lavoravano di chiacchiere inutili.
Mentre raggiungeva la radura, in cui tante volte si era rifugiato, si sentì quasi vacillare, al punto che avrebbe quasi voluto avere ancora con sé la Spada di Grifondoro.
Un pensiero sciocco.
Avrebbe però avuto, almeno, qualcosa a cui appoggiarsi.
O, quanto meno, uno scopo per quella giornata.
Si fermò, quasi senza rendersene conto, al centro di quella radura che gli pareva essersi fatta ancora più cupa del solito.
Aveva scelto volutamente un percorso lungo e contorto attraverso la Foresta Proibita per ritornare al castello. Tutti sapevano che ancora sperimentava con le pozioni e nessuno avrebbe fatto domande se avesse notato la sua assenza e lo avesse visto rientrare da quella direzione, considerando che la selva era una fonte quasi inesauribile di ingredienti.
Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che, fino a poco tempo prima, si trovava nella Foresta di Dean, con l’intento di consegnare la Spada di Grifondoro a Potter.
Né i Carrow, né gli altri.
Aveva compiuto il suo dovere.
Aveva tenuto tra le mani, per un breve periodo di tempo, quel manufatto appartenuto a Godric Grifondoro e lo aveva consegnato a Potter.
Era rimasto celato, in una foresta, poco tempo prima, un luogo totalmente diverso da quello in cui trovava in quel momento.
La Foresta di Dean gli era parsa meno opprimente, nonostante il rischio che stava correndo. Aveva preso tutte le precauzioni del caso, dopo aver posizionato la Spada di Grifondoro nel posto più adatto, ma qualcosa sarebbe potuto sempre andare storto.
Eppure, avrebbe quasi voluto trovarsi in quel luogo sconosciuto, piuttosto che in quella radura in cui, un tempo, amava rifugiarsi.
In quel momento, gli parve unicamente cupa, simile ad una tomba.
Chiuse per un breve istante gli occhi, oppresso dal peso della missione impossibile che Albus gli aveva affidato.
Si rivide con in mano l’antica lama medievale e ricordò quanto pesante gli fosse sembrata.
Era greve, come il peso lancinante delle sue colpe e della consapevolezza che gli studenti continuavano a soffrire in un luogo che avrebbe dovuto essere un porto sicuro.
C’era stato un brevissimo istante in cui aveva sentito pressante l’indegnità di portare un manufatto che, a detta di Albus, spettava soltanto a chi ne fosse degno, com’era accaduto al figlio di Lily durante il suo secondo anno.
Ed era certo che lui fosse la persona meno indicata per tenere in mano quella reliquia del tempo in cui i quattro fondatori aveva deciso di dare vita a Hogwarts.
Un tempo, forse, avrebbe trovato ironico che un Serpeverde potesse tenere in mano la spada appartenuta a Godric Grifondoro, ma, in quei giorni tragici, nulla di tutto ciò era importante.
Aveva afferrato l’elsa dell’arma e aveva provato la feroce consapevolezza della sua indegnità.
Era una spada che apparteneva ai coraggiosi e agli impavidi e che era stata sfiorata dalle mani di un assassino, di un parricida e di un usurpatore.
Era un’arma in tutto e per tutto simile a quella che aveva visto, una volta, riprodotto sulla tomba di un cavaliere.
Era stato un bambino, allora.
Aveva passato una domenica con Lily e con i suoi genitori e avevano visitato un villaggio medievale non troppo distante dalla cittadina in cui vivevano. Aveva sognato di essere come quel cavaliere che giaceva pacifico, il volto sereno, la spada stretta tra le mani e due cani, simbolo di fedeltà, ai suoi piedi.
Era una statua come dovevano essercene tante altre, ma lui aveva la testa piena di sciocchi sogni irrealizzabili.
Eppure, nonostante tutto, pareva non averli dimenticati.
Aveva ricordato, mentre lasciava andare la spada perché Potter la ritrovasse, di quel cavaliere e dei suoi pensieri di allora, che erano rimasti sopiti, fino a quel momento, nella sua memoria.
E aveva sentito diventare sempre più forte il peso delle sue scelte sbagliate.
Non importava che, forse, quel cavaliere poteva aver compiuto ogni tipo di nefandezza nella sua vita, che gli ideali cavallereschi di cui parlavano i poemi non corrispondevano alla realtà dei fatti.
Ad essere rilevante era soltanto il modo in cui lui aveva considerato quel cavaliere del XIV secolo anni prima e come si fosse messo in testa l’idea che, da grande, sarebbe stato valoroso e scaltro come quell’uomo morto da secoli, che avrebbe amato Lily con fedeltà assoluta, come doveva aver fatto quel cavaliere nei confronti della sua dama, che riposava nella tomba accanto.
Di quelle promesse gli era rimasta soltanto l’ultima.
Riaprì di colpo gli occhi, quando gli parve di sentire uno strano gracidare.
L’aveva già sentito altre volte.
E, come in quelle occasioni, si chinò, fino a che non individuò il rospo.
Oscar sembrava smagrito, ma Severus non se ne stupiva nemmeno.
Doveva soffrire esattamente come Paciock, esattamente come gli studenti che avevano la sventura di studiare a Hogwarts sotto la sua maledetta presidenza.
«Non dovresti vagare», gli disse, rendendosi poi conto di quanto fosse sciocco mettersi a parlare con un rospo.
Eppure, dopo aver lanciato alcuni incantesimi per essere allertato dell’avvicinarsi di qualcuno, si sedette accanto all’anfibio che, preso forse da compassione per lui, gli balzò su un ginocchio.
«Ho creduto, per un istante, che la spada mi respingesse», affermò. «È stata creata per i coraggiosi e per le persone degne, ma io non lo sono. Si adatterebbe di certo di più al tuo proprietario, per quanto sarebbe di certo più sicuro per lui se agisse in maniera più accorta e sottile.»
Il rospo gracidò per un attimo, ma, naturalmente non poteva aver compreso nulla di quello che aveva appena detto.
Un tempo avrebbe potuto confidarsi con Albus, per quanto l’uomo non sempre lo era stato realmente ad ascoltare. O avrebbe potuto parlare con Minerva, senza rivelare troppo, o financo con Poppy, in una delle molte occasioni in cui avevano lavorato fianco a fianco.
Ma non poteva più sperare di avere il benché minimo contatto umano.
Era un reietto.
E si meritava l’odio di tutti.
Oscar lo stava osservando con i suoi occhi tondi.
Per un istante, si chiese se non si potesse fare qualcosa perché anche quel rospo lo odiasse, ma era un pensiero sciocco al pare di parlare con lui.
Si mise Oscar in tasca, come aveva fatto in altre occasioni a partire dall’anno in cui un basilisco aveva pietrificato più di uno studente.
Il rospo non si agitò nemmeno, quando si rialzò in piedi e iniziò a camminare in direzione del castello, ponendo fine agli incantesimi che aveva lanciato.
La foresta, intorno a loro, era immensa e solitaria.
E opprimente.
Ma non silenziosa come pochi istanti prima.
Udì chiaramente dei passi venire nella sua direzione. Forse, avrebbe potuto cambiare strada, ma non lo fece.
Non era a tal punto vigliacco.
«Non pensavo di trovarti qui, da solo, Preside.»
Poppy appariva essersi rattrappita durante quei pochi mesi che li separavano dall’inizio della scuola. La sua voce era, però, ben chiara e colma di disprezzo.
«Non è affar mio quello che pensi.»
La donna si chiese se non dovesse tentare di ucciderlo, ma sapeva che Piton l’avrebbe disarmata prima ancora che lei prendesse in mano la bacchetta.
Minerva e Filius erano gli unici che avrebbe potuto sopraffarlo, ma non si trovavano lì.
«Invece dovrebbe esserlo, Preside, considerando che ho tutti i letti occupati.»
Non seppe nemmeno lei per quale motivo avesse pronunciato quelle parole. Non sarebbero servite, non con quel maledetto traditore.
E dire che, un tempo, l’aveva creduto una brava persona.
Aveva pensato che, per quanto fosse di poche parole, fosse spinto da qualcosa di simile alla generosità e alla volontà di essere utile ogni volta che l’aiutava con le pozioni dell’infermeria; invece, con ogni probabilità, erano gesti che avevano il solo scopo di renderli tutti ciecamente fiduciosi.
«Forse, dovresti imparare a gestire meglio l’infermeria.»
Erano parole crudeli, lo sapeva perfettamente da solo, ma non poteva pronunciare quelle che avrebbe voluto realmente dirle.
Avrebbe desiderato ammettere che gli dispiaceva di non riuscire a fare abbastanza per proteggere gli studenti.
Avrebbe preferito chiederle se avesse bisogno di qualche pozione particolare, di qualche intruglio che potesse rendere meno penosa la situazione per i ragazzi che finivano in infermeria perché erano stati torturati.
Avrebbe voluto dirle di come si fosse sentito indegno quando aveva preso in mano la Spada di Grifondoro.
Avrebbe desiderato rivolgere a lei le stesse parole che aveva rivolto al rospo di Paciock.
Non era stato vicino a lei come lo era stato con Minerva, ma avevano collaborato per anni e quella collaborazione l’aveva portato a rispettare Poppy.
Ma non poteva mostrare nessun cedimento.
Nessuno doveva sospettare, si disse, mentre metteva una mano in tasca per calmare Oscar, che, come altre volte, stava iniziando ad agitarsi. Se Poppy avesse anche solo intravisto il rospo di Paciock, avrebbe capito.
Avrebbe potuto obliviarla subito dopo, ma sarebbe stato comunque un imperdonabile passo falso.
«Dovresti spiegarlo ai tuoi sodali, invece», ribatté la donna.
«Le regole della scuola sono cambiate», rispose l’uomo, la voce così gelida da farla tremare per un attimo. «Alcuni professori non fanno altro che applicarle.»
Severus riprese a camminare verso il castello, lasciando la donna ferma e immobile, cercando di ignorare il sapore amaro della bile, che l’aveva pervaso quando aveva pronunciato quelle parole.
Avanzò a passo svelto, cercando di ignorare il peso dei suoi fallimenti.
Non importava nemmeno che, nel cuore della notte, sgusciava dentro l’infermeria per somministrare alcune pozioni agli studenti ricoverati. Erano intrugli che rinforzavano quelli che Poppy dava loro e di cui la strega non avrebbe potuto accorgersi tanto era sottile la loro azione.
Ma non bastava e sapeva, con certezza, che, per quanto si sforzasse, per quanto tentasse di arginare i Carrow, nulla di quello che faceva avrebbe mai fatto realmente la differenza.



4 maggio 1998


La Foresta Proibita era cupa e triste.
Era solitaria e, da dove si trovava, sembrava immensa, infinita quasi.
Poppy trattenne le lacrime, dicendosi che a lui non sarebbe piaciuto vederla piangere, non dopo quello che gli aveva detto nell’inverno dell’anno precedente, quando lo aveva incontrato non troppo lontano da quella radura.
Era arrivata prima degli altri.
E provava una strana rabbia a pensare che lo avrebbero sepolto quasi di nascosto. Harry Potter aveva fatto sapere a tutti quanto eroico fosse stato Severus, ma né lei, né Minerva pensavano che bastasse.
Era stato decretato dal governo provvisorio che i cadaveri di coloro che portavano il Marchio Nero sarebbero stati sepolti in una fossa comune in un luogo sconosciuto a tutti.
Era stata Minerva la prima a proporre che si sarebbero dovuti occupare loro di Severus.
Era stata lei a mostrare all’altra donna quella radura in cui aveva incontrato più di una volta il mago.
Si erano occupate insieme del loro corpo e tra poco lo avrebbero sepolto in quella tomba discreta.
«Avrei dovuto capirlo», la voce di Minerva la colse di sorpresa.
«Avremmo dovuto farlo tutti noi che lo conoscevamo da quando era un bambino», mormorò Poppy. «Siamo, invece, state accecate da quello che ha voluto farci credere.»
La strega sapeva che Minerva era stata ben più legata di lei a Severus. Eppure, con il tempo, era giunta a rispettarlo, a considerarlo quasi un collega. Avevano lavorato molte volte fianco a fianco. Il mago le forniva tutte le pozioni di cui avesse bisogno e, nel caso in cui fossero coinvolte le Arti Oscure, l’aiutava anche nella diagnosi.
Come aveva potuto anche solo credere che quelle nottate passate insieme in infermeria a curare i ragazzi della scuola non fossero state altro che un trucco, che un mezzo per ingannarla?
«Ogni anno dovremo omaggiarlo», affermò Minerva.
Poppy annuì.
Severus era stato un eroe immenso e solitario, come quella radura della Foresta Proibita, non troppo lontana dalla scuola e estranea al territorio dei Centauri o di altre creature magiche che si trovavano in quella parte di Hogwarts.
Avrebbe voluto dire qualcosa, ma tacque, quando arrivarono gli altri.
Harry Potter precedeva quella piccola processione, seguito da coloro che portavano, a mano, come dei comuni Babbani, la salma di Severus.
Filius e Minerva si sarebbero poi occupati di dare forma alla bara, ma, in quegli ultimi momenti, avevano deciso di salutarlo osservandone il volto che, alla luce delle loro bacchette, sembrava stranamente in pace.
E Poppy sperò che fosse realmente così, che, ovunque fosse in quel momento, Severus avesse veramente trovato la pace.
Rimasero tutti in silenzio.
Poppy si disse che nessuno, con ogni probabilità, aveva il coraggio di dire alcunché.
L’avevano tutti giudicato con durezza, l’avevano tutti odiato l’anno precedente, quando, con ogni probabilità avrebbe avuto più bisogno di loro.
Erano stati crudeli e gli avevano rivolto delle parole altrettanto crudeli.
E lei si sentiva ancora più miserabile, quando, il giorno prima, poco dopo aver sistemato il corpo di Severus per la sepoltura, era stata raggiunta dal giovane Potter che le aveva fatto sapere che il ritratto di Silente gli aveva comunicato che il preside Piton aveva preparato più di una pozione per i ragazzi in infermeria.
Avrebbe dovuto capirlo.
Invece, non l’aveva fatto.
Le pozioni che aveva usato quell’anno non erano state distillate da Severus e non erano altrettanto efficaci, ma i ragazzi guarivano comunque in fretta, come quando era lui ad occuparsi delle pozioni per l’Infermeria.
Era stata una stolta.
Come tutti loro.
«Credo che dovremmo seppellirla con lui.»
Poppy si voltò verso Neville Paciock, che teneva in mano una spada, la stessa con cui aveva ucciso il serpente che aveva morso mortalmente Severus.
Minerva le aveva spiegato che si trattava della spada appartenuta a Godric Grifondoro.
Gli altri ne discussero a lungo, ma lei rimase in silenzio.
Aveva visitato, con i suoi genitori, diverse chiese medievali ed aveva visto, in più di un’occasione, le tombe di alcuni cavalieri. Mamma era una Babbana, appassionata d’arte, e le aveva mostrato le riproduzioni precise delle spade e la simbologia degli animali che si trovavano ai piedi della statua.
Mentre gli altri parlavano, tentò di immaginarsi Severus in un’altra epoca, come un signore dei tempi passati che per ovviare ad un errore passava il resto della sua vita a difendere gli indifesi e gli innocenti.
«Credo che sia una buona idea», intervenne all’improvviso nella discussione.
Non disse poi più nulla.
Alcuni si chiesero cosa sarebbe accaduto se la spada fosse servita a qualcuno in futuro o se fosse andata in soccorso a qualcuno come era accaduto fin troppo recentemente.
«Forse c’è un modo per ovviare a questo problema.»
Fu così che spiegò di quelle tombe medievali.
Minerva e Filius annuirono.
Poppy si allontanò da loro, così come fecero gli altri.
Non voleva vedere il momento in cui il corpo di Severus sarebbe stato rinchiuso nella sua tomba, né sapere quali incantesimi sarebbero stati utilizzati.
Fu un lavoro lungo e già albeggiava quando giunse al termine.
Nella radura si trovava una tomba di semplice pietra grigia, sopra una statua che teneva tra le mani una spada. Minerva aveva celato perfettamente la Spada di Grifondoro in un disegno di pietra.
Si riunirono tutti intorno ad essa.
Minerva stava piangendo, Potter disse qualche breve parola.
Poppy, invece, si concentrò su un improvviso gracidare.
Da una tasca degli abiti di Neville Paciock il suo rospo era saltato sulla tomba.
E, per un breve istante, alla strega sembrò che stesse, a suo modo, intonando un canto funebre.

 
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