Il Calderone di Severus

Sfida Originali n. 3 - I sussurri del bosco

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Xe83
view post Posted on 22/6/2021, 12:23 by: Xe83




Titolo: Echi lontani
Autore: Xe83
Data: giugno 2021
Beta: Arwen68 (grazie, P. sei un tesoro). 🌹
Tipologia: One Shot
Raiting: per tutti
Genere: fantasy contemporaneo
Avvertimenti: nessuno
Riassunto: I sentieri del reale sanno inabissarsi e riemergere seguendo percorsi ignoti, a volte quasi incomprensibili.

ECHI LONTANI

Aprì gli occhi: il chiarore celeste della luna si declinava alle pareti in una tonalità cerea, a tratti spettrale.
Il silenzio regnava docile e placido. Lo schermo illuminato del cellulare suggeriva che aveva perso di recente una telefonata.
Un flebile fischio prolungato giungeva dall'indefinito alle sue orecchie sospinto da un soffio di vento.

L’albore del cielo illuminava in tralice le vissute e solcate assi del parquet a spina di pesce.
Si alzò e infilò maldestramente le scarpe: era deciso ad uscire in pigiama perché indossare jeans e giubbotto lo trovava tanto pleonastico, quasi innaturale a quell’ora della notte.

Diede una rapida occhiata alla piccola camera impolverata dagli anni che, per quella notte, dopo tanto tempo, era ritornata ad essere la sua "isola".
L'intonaco pallido e opaco trasudava ricordi antichi. Rammentò i giochi da bambino, le lotte sull'asfalto in pomeriggi arsi dal sole, i dardeggi con la sorellina a sovrastare i richiami della madre, i primi scherzi goliardici con i compagni di scuola, le urla curiose tra le querce del viale, le grida festose sotto la pioggia. Ora il silenzio.

Accompagnò il pomolo d’ingresso alle spalle e si indirizzò verso il bosco di fronte. A volte la solitudine sa condurre tanto lontano, altre volte porta ad un ritorno inaspettato e ci si ritrova a passeggiare senza meta lungo crocchianti ed ermetici sentieri silvani.
Una distesa verde rorida e tenera gli sfiorava le gambe e attraverso il pigiama percepiva la tenue presenza di duttili fili d'erba flettersi al suo passaggio.

Entrava senza la minima precauzione in un universo sconosciuto e magnetico; vagava lentamente come sospinto a proseguire da una quiete mite e paziente.
Giunse ad una radura cinta da longevi carpini: ritorte radici solcavano il terreno come fitte trame, stilemi affettivi di un luogo incantato. La falce di luna illuminava l'area e un dolce alito di vento scosse le foglie. Si girò, scorse una anomala luce eterea e si specchiò nell'infinito di due occhi scuri come i propri, tanto intensi da rapirlo all'istante.

La brezza frizzante e leggera alzava le opime chiome degli alberi, come un tocco malizioso a sollevare le vesti di tante donne intente a osservare. In cielo pingui cirri viaggiavano uniformi e sostenuti con la stessa fretta di viaggiatori in partenza. Di notte le nuvole sanno muoversi furtive, con la presunzione di non venire osservate.
Un essere antropomorfo, un ragazzino esile e smunto appoggiato ad un cerbiatto fissava ogni suo movimento. Una visione strana, notturna, incredibile, diversa dai sogni.

Trasecolò ma non riusciva a levare gli occhi da quella placida e calma visione che emetteva un’onirica luce azzurro tenue, come una sorta di ologramma manieristico e sofisticato. «Diamine, che cosa siete?» si rivolse al bimbo con un timbro stupito e quello, con un mezzo sorriso, non fece attendere la risposta «Non ricordi?».
«Non capisco» rispose allora l’uomo, turbato, disorientato, colto come da un enorme stupore. La voce del bimbo era sottile e leggera, ma il timbro gli entrava dentro, risuonava nei meandri del cervello, arpionava l'anima, come a trovare un ancoraggio sicuro, un porto dove attraccare. E lui balbettava confuso «Dio mio, che fate qui soli, di notte, fa freddo. Andate a casa».
Poi, aggiunse tra sé e se, per ritrovare la necessaria concentrazione «Ah, sto dormendo e voi due non siete reali. Siete lo scherzo della mia fantasia. Siete la trasformazione faticosa dei peperoni di ieri sera».

Mentre sentenziava con malcelata saccenza, la sua mano si prodigava a frugare tra i calzoni in cerca del telefono. Desiderava immortalare lo strano e incredibile fenomeno apparso davanti ai suoi occhi, ma lo sforzo era inutile e vano. Negli stessi attimi lo smartphone ansimava lontano, sul comodino, scosso da tremiti ripetutamente ignorati. Il pigiama che indossava non aveva tasche: era uscito di casa completamente solo, senza supporti tecnologici e con le stringhe slacciate.

Il piccolo cerbiatto dagli enormi occhi languidi annusava l'aria e di tanto in tanto abbassava la testa; il bimbo, con movimenti impacciati, si strofinava il naso sul dorso di una mano e non cessava di fissare l'uomo con aria interrogativa.
«No, tu non sei reale. Non dirmi che anche il tuo amico peloso comprende le mie parole e può rispondermi. » incalzò con un rivolo di sarcasmo. «Assurdo, tutto questo è assurdo» aggiunse quasi sconsolato, mentre un sudore tiepido di stupore gli rigava le tempie.

La coppia eterea si mosse lentamente e si avvicinò all’uomo rimanendo a filo d’erba. Il bimbo gli si fece accanto e con tono confidenziale sussurrò «Ti aspettavamo. Sei tornato, ora sei qui con noi.» Le iridi scure del bimbo dai pigmenti luminosi trattennero gli occhi dell'uomo, risucchiandolo da quel palmo di terra per proiettarlo in un vortice di multiformi sensazioni. Fu raggiunto da una pioggia di stimoli sensoriali: alcuni noti, ancestrali, altri inediti e opportunamente rielaborati da risultare sconosciuti. Un turbinio, un vortice di sollecitazioni che si propagavano all'infinito. Scorgeva pagine scollegate del proprio passato in cui il lasso temporale era divenuto pura fantasia; vedeva il perimetro di accostamenti arditi e confusi; percepiva suoni stordenti, stridenti e stranianti. Ricordi, immagini, desideri riapparivano semplicemente alla mente, blandendola senza evoluzioni retoriche, per poi planare accatastati in una collina di memoria.

Le sue palpebre follemente sollecitate si abbassarono in un involontario gesto di protezione. Quando le riaprì si ritrovò solo, circondato da alberi rigidi, discreti, muti.
L'umidità del sottobosco gli suggerì di imboccare la via del ritorno: inciampò in un tronco mozzato, rivestito da muschio scuro e da simbiotici licheni che avevano avvolto la corteccia come un abbraccio possessivo e totalizzante.
Procedeva a ritmo sostenuto, desiderava raggiungere l'abitazione nella quale si sentiva protetto. Il porto sicuro, l'estrema tule, il suo avamposto soltanto per quella notte. Voleva levarsi le scarpe sporche di umido terriccio, cambiarsi e riflettere. Comprimeva e custodiva nel petto quegli attimi di enorme stupore vissuti tra l'onirico e il reale, in un inesorabile gioco di concreta fantasia.

Coltivava nell'anima due sole limpide certezze. Sarebbe ritornato presto nel bosco, al calar della sera, per riprendere il dialogo lasciato a metà e sapeva che non avrebbe mai concesso di radere al suolo quel lembo boschivo.
Sì, non avrebbe dato il proprio consenso a una scelta che sarebbe sfociata in un eristico e spietato contenzioso.
Non avrebbe accostato il proprio nome ad un gesto infame e spietato.
Il mondo là fuori, quell'ermetico e fascinoso universo, ancora lo apparteneva e sentiva forte il bisogno di proteggerlo. Era cresciuto con esso, rispettando anche l'enorme e impenetrabile mistero che esso celava. Divenuto adulto non avrebbe voltato le spalle a quel luogo magico per il più arido e bieco interesse.

Mentre rifletteva, con le dita scostava le tende a motivi geometrici del salotto e in alto nel cielo la falce di luna metallo rischiarava l'oscurità donando spessore ai fruscii della notte. Era certo che presto l'alba sarebbe giunta a portare con sé una nuova, ritrovata consapevolezza: pulita, fresca, tersa come l’aria che sa scuotere i pensieri più puri, quelli suggeriti dal cuore.

Edited by Xe83 - 22/6/2021, 13:53
 
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