| 12. Progetti matrimoniali
Londra, Camden, febbraio 2002
La nostra casa a Camden, nel cuore di Londra, era il perfetto connubio di arredamento Babbano ed energia magica. Dove c’era magia, la tecnologia perdeva il suo scopo di esistere. Era passato un mese da quella chiacchierata con Charlie. La vita al di fuori di me continuava, ma c’era uno stallo nella mia mente, ferma a quella conversazione con Charlie, fissa sui ricordi con Severus. Ogni occasione era buona per ricordare a Ron di quanto fossi dispiaciuta di essermi separata da lui la notte in cui salvai Severus dalla morte. Ogni occasione era buona per parlare indirettamente di Severus. A Ron continuavo a ripetere che il giorno del nostro primo bacio era stato memorabile, non importava se avessi salvato l’eroe nascosto, l’eroe che nessuno di noi si aspettava. Ero innamorata di Ron dal primo giorno a Hogwarts e le nostre lunghe pause e gli interminabili bisticci ci erano servite per renderci più uniti e consapevoli della volontà di stare insieme. Ron ne era convinto, e questo lo riempiva di orgoglio. Finivo per crederci anche io. Poi però pensavo spesso a una cosa che mi diceva sempre Minerva, “noi ci innamoriamo della persona su cui investiamo le nostre migliori energie”. Più di mille giorni trascorsi accanto al suo letto, fingendo di prepararmi per il concorso che mi ha dato il lavoro che ora svolgo al Ministero.
Credevo davvero di essere ancora innamorata di Ron, mentre guardavo Severus incosciente e mi prendevo cura di lui? Le mie energie seguivano una direzione diversa. Come la magia, l’energia segue la forza della volontà. Risponde solo ad essa, a nient’altro. Per quanto io mi sforzassi razionalmente di considerarmi innamorata di Ronald Weasley, non lo ero, e forse non lo sono mai stata. Ron puntualmente si mostrava comprensivo, ogni volta che nominavo la notte del 4 maggio 1998. Mi ha confessato di essere rimasto molto colpito, quasi scioccato, dalla mia ferma volontà di salvare quello che allora, ai nostri occhi, non era che il detestato Professore di Pozioni, la causa di centinaia di lacrime, una spia, un Mangiamorte. In quei momenti potevo solo limitarmi a chiudevo gli occhi e a baciare le labbra di Ron, che nella mia mente prendevano la forma stretta di quelle di Severus Piton.
Un giorno, mentre finivo di completare gli incantesimi per mettere in ordine la nostra nuova camera da letto, Ron si avvicinò per dirmi: "Dobbiamo invitare anche Piton al nostro matrimonio."
"Come?" Non seppi trattenere la sorpresa, ma cercai di non apparire troppo scossa.
"Dopo quello che hai fatto per lui sarebbe il minimo, e poi mi piacerebbe vederlo in compagnia di una donna. Non me lo riesco nemmeno ad immaginare. Sarebbe anche un'occasione di conoscere Artemis Amani! Sono quasi un Auror, non te lo ricordi?"
Che magnifico quadretto: io che mi sposo con uno dei peggiori studenti in Pozioni della sua carriera e lui accanto alla compagna dei sogni, l’Auror più famosa d’America, corteggiata anche dal mio futuro marito, forse già signora Piton, con tanto di figlio perfetto, certamente bellissimo, almeno quanto lei, a giudicare dalle foto. Dopo i racconti di Charlie, avevo deciso di cercare il maggior numero di immagini e di articoli di giornali su di lei. Era una donna di una bellezza poco convenzionale, eppure sconvolgente. Uno sguardo profondo da cui non riesci a staccarti. Occhi bui come quelli di Severus, ma sempre vivaci e ardenti, mai freddi, mai fermi e impenetrabili.
"Credo che tu abbia ragione. Non so se sia completamente in forma, ma ci possiamo provare. Scriverò una lettera di invito e gli manderò un gufo". Non lo feci. Non lo avrei mai potuto e voluto fare. Anche se forse sarebbe stato un buon motivo per rivederlo.
Non avevo mai risposto alla lettera di Severus. Avrei voluto scrivergli proprio a gennaio, per il suo compleanno, ma dopo quella conversazione con Charlie persi la voglia di farlo. Avrei voluto dire a Ginny di lasciar perdere i grandi festeggiamenti, di organizzare per noi una cerimonia intima, discreta, magari alla Tana. Volevo sposarmi in segreto. Il pensiero andò a Harry e mi sentii egoista. Quanto sarebbe stato felice di rivedere Severus! Non smetteva mai di nominarlo e, in tutte le interviste che rilasciava, per la Gazzetta del Profeta, per il Cavillo, non c’era una volta in cui non nominasse Severus. A Il settimanale delle Streghe aveva raccontato una cosa che quando me la riferì non sapevo se crederci. Severus allora non riusciva ancora a parlare, ma si lasciò abbracciare. Dopo tutto quello che si erano fatti, era commovente pensare al fatto che si fossero riconciliati. Chi ama una volta è in grado di farlo sempre. Ero consapevole che per Severus rivedere Harry, guardarlo negli occhi, era sempre un tuffo al cuore. Avrebbe potuto amare anche centinaia di donne, ma nessuna sarebbe stata Lily. Io non sarei mai stata capace di amare Ron così. "Aveva conosciuto donne più degne del suo sangue", erano parole di Lord Voldemort. Harry una volta me le riferì, durante il lungo sonno di Severus, pensando che sua madre non era stata l’unica donna di cui Piton fosse stato innamorato. Una donna degna del suo sangue. Una donna arrivata prima di me. La migliore amica di Tonks, l'amore che Charlie non dimentica. Una donna certamente speciale per aver compreso Severus ed essere amata così devotamente da lui.
Scrissi a Minerva e ad Hagrid per invitarli al matrimonio. Decisi che dopo sarei uscita, sarei andata in un caffè a Londra, tra i Babbani, magari a Bloomsbury, in quel caffè letterario di fronte al British Museum, e da lì avrei scritto a Severus, ma non del mio imminente matrimonio.
13. L’uomo delle stelle
New York, Tribeca, febbraio 2002
Sapevo che non avrei rivisto mio figlio fino alla fine del mese di febbraio. Era in Arizona con la nonna, la suocera che non ho mai conosciuto. Il padre di Artemis era morto da un paio d’anni a quasi cent’anni. Artemis sapeva di avere fratelli e sorelle in Medio Oriente, in Inghilterra e in America, avuti da altre mogli del padre nel corso degli anni, ma lei non si era mai preoccupata di conoscerli. Mancavano ventuno giorni al mio primo incontro con Kallistos. La madre e la zia di Artemis, le due pozioniste esperte in filtri d’amore, dicevano che dovevano preparare il bambino all’incontro con me. Nessuno di aspettava che Artemis sarebbe tornata a New York in compagnia.
Camminare per le strade innevate di New York con un bastone non era semplice. Per fortuna l’appartamento di Artemis era a sud dell’isola di Manhattan in un quartiere dal nome curioso, Tribeca. Una vista sull’Hudson, un fiume che non aveva nulla del Tamigi. Era blu, profondo come un mare, un ponte lunghissimo che collegava l’isola al continente, a Jersey City. Io ero solo, quasi senza magia, in una casa che non potevo sentire mia. Non era il tugurio di Spinner’s End. Quel tugurio che era completamente mio, che parlava di me, raccontava la mia storia infelice a chiunque vi ci entrasse. Non mi ero mai allontanato dall’Inghilterra ed era passata solo una settimana, ma non mi ero ancora riuscito ad ambientare ad una vita che non era la mia. Mi resi conto che stavo vivendo la vita di un’altra persona, la vita della sola luce nell’oscurità dei miei oltre quarant’anni. Non era il momento degli egoismi, ma restare giornate intere ad aspettare il suo ritorno all’alba era avvilente. Con la bacchetta riuscivo a malapena ad accendere la luce con Lumos o a prendere oggetti con l’incantesimo di appello, e ogni volta che usavo la bacchetta saltava la corrente elettrica.
Per essere una Purosangue, Artemis aveva studiato minuziosamente le abitudini dei Babbani e pretendeva che la casa fosse perfettamente adatta ad ospitare i vicini Babbani. Che differenza c’era tra me e un Babbano? Io ero quasi un disabile. La gamba destra era quasi del tutto intorpidita ed insensibile.
Leggevo molto, libri di maghi americani, report di Auror. Artemis era impegnata nella caccia ad una orribile banda di maghi oscuri che amavano rubare oggetti di valore nelle case Babbane per stregarli e trasformarli in delle Passaporte, per condurre i malcapitati in una spiaggia deserta in Islanda e torturarli e gettarli in mare, per il solo gusto di fargli del male. Non molto lontano da quello che facevo io una ventina d’anni prima. Ogni Paese ha i suoi Mangiamorte.
La stanza di Kallistos era luminosa, lettino e mobili di legno dipinti di bianco, tende giallo pallido, una serie di morbidi peluche di animali, come orsi, cani, gatti, conigli, civette e un unicorno. Non mancavano bacchette di liquirizia e una minuscola scopa giocattolo.
Una notte mi sedetti sulla sedia dietro la scrivania dello studio di Artemis, lei era tornata a casa più presto del solito ed era andata a letto. Mi piaceva contemplare la sua enorme libreria ricca di testi di magia. Non mancavano libri Babbani. Era una ragazza curiosa, doveva essersi appassionata davvero al mondo Babbano, o forse lo aveva fatto per evitare domande indiscrete dei vicini sul lavoro che facesse. Per tutti gli abitanti del grattacielo in cui si trovava il suo appartamento, Artemis lavorava per i servizi segreti americani. Aveva apparentemente scelto di fare il mestiere che sarebbe potuto essere il mio se fossi stato Babbano. Nessuno si azzardava a farle domande, ed essendo una Legilimens per lei era semplice prepararsi una risposta prima che qualcuno potesse farle una domanda. Anche in aeroporto aveva ingannato il poliziotto della dogana con un falso documento. Aveva semplicemente trasfigurato il tesserino del MACUSA con uno della CIA e si era creata una falsa identità: Melissa Kenney. Io ero John Wilson, il suo anonimo compagno di nazionalità britannica.
Sulla scrivania, sotto una pila di scartoffie, c’era una sua foto, la presi in mano e mi avvicinai per guardarla meglio. Alle sue spalle c’era un unicorno, accanto a lei un uomo. Alto, poco più di lei, una lunga giacca di montone rovesciato, portamento fiero, il mento all’insù incorniciato da una barba color bronzo, i capelli morbidi e un po’ ingrigiti. Doveva avere la mia età. Un tempestoso cipiglio di minaccia, uno sguardo freddo e penetrante di un azzurro scuro, profondo come l’acqua in una insenatura rocciosa, dove talvolta vi è riflesso un raggio luminoso. In quell’aria gelida e severa, percepivo un temperamento orgoglioso, un fuoco che bruciava di passione. Accanto alla foto c’era un biglietto, una grafia lunga e stretta, “Nulla è destinato a durare, tranne noi, Asterion”. Asterion, l’uomo delle stelle. Era datata 1997. Un anno prima dell’anno della mia morte scampata. Da quell’unicorno venivano gli ingredienti del mio risveglio? Quell’unicorno era la prova del perché fossi sopravvissuto. Ma c’era qualcuno che aveva permesso anche ad Artemis di sopravvivere.
Fui costretto a sedermi sulla sedia dietro la sua scrivania. Ero rigido, mi specchiai al vetro della finestra alle mie spalle ed ero bianco come un lenzuolo. Rimasi per ore a fissare il vuoto, non riuscivo a sopportare di guardare quegli occhi di ghiaccio e il sorriso di Artemis rivolto a lui. Dove lo hai conosciuto? Chi è? Che fine ha fatto quest’uomo? Perché non mi hai dimenticato? Dopo alcune ore, Artemis venne a cercarmi e mi trovò nel suo studio, seduto dietro la sua scrivania, e percepì il buio nella mia anima. Ci guardammo negli occhi senza dirci nulla. Non aveva senso chiederle spiegazioni. Poteva mentirmi, io non le leggevo più la mente. Lei poteva leggere la mia, e in questo modo comportarsi di conseguenza e rispondere con le azioni alle domande che non osavo farle. Venne accanto a me e tolse la foto dalla mia mano inerte. Aprì un cassetto, la posò dentro e chiuse a chiave, gettando poi quella chiave nel camino.
“Non la strappo perché sai che sarebbe inutile, non cancellerebbe il suo ricordo. Questo cassetto è la mia memoria, è seppellito qui e non tornerà”. Disse lentamente con un tono pacato e allo stesso tempo fermo. Mi prese per mano, chiedendomi di tornare a letto, ma io non la seguii. Avevo bisogno di tempo e rimasi fino al pomeriggio del giorno dopo immobile sulla sua sedia.
Edited by NickySnape - 15/7/2021, 22:36
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