Mentre mi aggiornavo mi sono venute in mente due idee, non sapendo scegliere le metto entrambe, tanto sono corte (nella prima mi è nato un personaggio che mi serviva e ne sono molto felice )-1-
Il suo sorriso sadico parlava molto più delle parole, molto più delle mani immobili che nascondevano una certa eccitazione.
Ah, il crepitare del fuoco che suono dolce che era.
Quando la legna iniziava a consumarsi velocemente e il nero inghiottiva quel duro marrone, il suo cuore iniziava ad accelerare come nessun amplesso aveva mai fatto.
Oh, sì, nonostante quei colori che portava addosso, aveva sperimentato più di una volta le gioie di un corpo sotto il proprio –
legato, imbavagliato ed inerme –, spesso di un giovane corpo, e poco importava quale parte di esso avrebbe preso.
In ogni incontro, in ogni singolo incontro, però, c’era sempre il fuoco dietro di lui, quel piccolo mostro che rubava ossigeno e divorava la notte con quelle minuscole mani gialle e arancioni, e poi dita nient’altro che rosse come l’abito che indossava.
Rosse come non era il sangue.
E a lui, il sangue, non piaceva. Non particolarmente.
Il fuoco invece…
Sadico bastardo, si definiva lui stesso quando si leccava le labbra col sapore di pelle e fiamme, ma per la gente era soltanto un messaggero di Dio, uno dei suoi più fidati e forti, e la sua spada era fatta di preghiere e pire.
E rideva sempre nel buio delle sue stanze sentendo l’odore della carne bruciata sui vestiti. Rideva e si mordeva un labbro –
e si toccava.
Mentre tutti si allontanavano da quella spietata composizione d’arte, lui avanzava, un passo avanti nelle sue scarpe eleganti, un passo avanti verso il fuoco, verso quell’enorme mostro che mangiava e si saziava e poi sputava nient’altro che cenere e fumo.
Quello che aveva addosso quando rideva, quella che si leccava sulla pelle.
Ah, le urla, che deliziosa musica che erano.
-2-
La prima volta che aveva sentito quella canzone, le era venuta voglia di andare in mezzo ad un bosco e ballare, ballare fino a stancarsi, fin quando del fuoco non ne sarebbe rimasto nient’altro che cenere.
L’avevano tutti presa un po’ per pazza, ma a lei non importava, era lì, davanti a quelle fiamme che pian piano salivano e si facevano più forti e attendeva.
Forse il momento giusto o forse qualcosa che non sapeva neppure lei.
Stava lì a fissare quei colori mentre una parte della foresta andava a dormire e un’altra si svegliava; li guardava incantata.
Quelle sfumature che s’intrecciavano e si perdevano le une nelle altre, erano come ipnotiche e avrebbe voluto vedere com’erano sui suoi stessi occhi, come sarebbero stati i riflessi su di essi.
O su qualcun altro.Scosse la testa e un pezzo di cenere che volava verso di lei.
Era quello il momento giusto, lo sapeva.
Era il momento di sentire il fuoco sulla pelle e danzare con lui, danzare e chiudere gli occhi e spalancare le braccia. Danzare e dimenticarsi di tutto.
E quel calore colorato sarebbe rimasto lì come un amante a tendere le mani, e le avrebbe afferrate anche se ne voleva altre, e si sarebbe fatta scaldare anche se desiderava un altro corpo.
E altri occhi su di lei e su di lui, e ne avrebbe visto i riflessi.
Cantò anche se non conosceva le parole.
Cantò al fuoco e alla notte.
E attese un altro canto.