I Cesari: prologo al principatoParte 2Negli anni 70 del I secolo a.C., Roma esce piuttosto scossa dalla tremenda dittatura sillana. Molti perseguiti sono stati uccisi in modo assolutamente barbaro da fedeli delatori, fra i quali spicca il nome di Catilina, che vende il cognato proscritto pur di guadagnare un paio di talenti. L'episodio di Silla (e anche, parzialmente, quello di Mario) ha dimostrato appieno la decadenza delle istituzioni repubblicane, non più capaci di affrontare uomini forti ed autoritari. Ormai il senato è un gruppo di codardi, che cerca di proteggere non più gli interessi del popolo, ma solo i propri.
Sugli altri fronti, la situazione non è affatto migliorata. La situazione tremenda nella quale versano gli schiavi da oltre un secolo va avanti senza sosta. Costoro non sono considerate persone (tranne alcuni, che avevano il ruolo di precettori domestici), ma arnesi di lavoro, e lasciati morire se ammalati o vecchi. Tale comportamento era dovuto all'ondata di schiavi provenienti dalle province che si ebbe nel II secolo a.C., con le grandi conquiste in Oriente. Già nel 135 a.C. Euno, uno schiavo, aveva fomentato una rivolta nell'odierna Enna uccidendo i padroni ed impadronendosi del loro terreno assieme ad altri complici, ma tale gesto fu spento nel sangue. Nel 73 a.C., si preparava una sommossa di proporzioni ancora maggiori. Infatti a Capua in quell'anno uno schiavo (probabilmente Trace) di nome Spartaco condannato a fare il gladiatore si ribellava al proprio lanista Lentulo Batiato assieme ad un'orda di schiavi d'ogni etnia e sesso. La mossa fu vista come un affronto d'indicibile gravità dai romani, che tuttavia, trattandosi di schiavi, presero la situazione sottogamba. Fu un errore fatale. Infatto Spartaco ed i suoi vinsero i romani più volte, fra le quali una celebre battaglia alle pendici del Vesuvio, e proseguirono fino al nord Italia, dove però il gruppo si divise in due. Uno, guidato dal luogotenente di Spartaco Crixo, decise di andare verso l'Italia Meridionale, e bloccare l'approvvigionamento di Roma; l'altro volle ritornare nelle terre d'origine dei barbari che componevano il gruppo, a partire dalla vicina Gallia. Crixo tuttavia incappò nel console Publicola, che lo vinse e lo uccise. Spartaco ne onorò la memoria facendo combattere i prigionieri romani come gladiatori.
Spartaco non si lasciò tuttavia intimorire dalla morte di Crixo, ma proseguì fino all'oltralpe, mentre il senato romano incominciava a preoccuparsi veramente, dopo varie e tremende sconfitte che erano costate parecchie perdite ai romani. Spartaco, a questo punti, compì una manovra inaspettata: non fece rotta verso la Gallia, ma tornò in Lucania, forse per rifornire il proprio equipaggiamento. A questo punto fu Marco Licinio Crasso a prendere la situazione in mano, chiedendo ed ottenendo il comando su otto legioni, che rese fedeli con una sanguinosa disciplina. Infatti Crasso non esitò a fare ricorso alla decimazione, pur di spegnere la rivolta di Spartaco, che intanto si stava dirigendo in Sicilia, per dar man forte ad una rivolta di schiavi indipendente dalla sua. Ma fu Crasso stesso a prevenire tale mossa, in complicità col governatore di Sicilia Verre, noto per i suoi crimini efferati; di fatti, fu fortificata Messina, e fu creato un muro che sbarrasse i rifornimenti che giungevano a Spartaco attraverso disperati e disertori. Ma il Trace riuscì ad abbattere anche questo blocco, e riuscì a passare in Puglia, dove vinse Crasso. Tuttavia, a questo punto, l'esercito degli insorti era debole e stanco: una serie di tradimenti e indiscipline da parte dei suoi uomini contribuirono alla sconfitta definitiva di Spartaco nel 71 a.C. per mano di Crasso. Spartaco morì in battaglia, ed il suo corpo non fu mai riconosciuto; i suoi sostenitori furono invece appesi crocifissi per la via Appia fra Roma e Capua.
Gli schiavi crocifissi, Fedor Bronnikov, 1878La vittoria su Spartaco ed i suoi fu di fatto merito di Crasso, ma Pompeo, che abbiamo già incontrato, giunse all'ultimo e si prese il merito della vittoria. Ciò spinse Crasso all'invidia (caratteristica in lui preponderante, secondo Plutarco), ma non alla rivalità. Infatti ben presto Crasso e Pompeo si alleeranno, dando il via ad uno dei più grandi atti della fine della Repubblica.
Pompeo era nato nel 106 a.C. circa, ed era dunque di circa otto anni più giovane di Crasso. Come abbiamo accennato nel post precedente, si era già distinto nella guerra sociale affianco al padre Pompeo Strabone, ed era stato inviato in Spagna a contrastare la rivolta di stampo popolare di Quinto Sertorio, che fu prontamente spenta col sangue. Tornato in Italia nel 71 a.C., combatté l'ultima parte della rivolta di Spartaco. Questi trionfi gli fecero assumere il titolo di
magnus, ma aumentarono anche i sospetto del senato, che temevano che i suoi trionfi potessero favorire una rinascita di un'autarchia come quella sillana (e di fatto Pompeo, come Silla e Crasso, era uno degli
optimates). Non si sbagliò del tutto. Difatti Pompeo nel 70 a.C. fece accampare i suoi soldati poco lontano da Roma, facendo pressioni sul senato e rendendolo console assieme a Crasso senza aver percorso il
cursus honorum. Nel loro consolato, Pompeo e Crasso corressero le riforme sillane che emarginavano i non-patrizi dalle cariche di potere, anche perché Crasso stesso era un cavaliere. Nel 67 a.C. tramite la celebre
Lex Gabinia fu permesso a Pompeo di far guerra ai pirati che ormai da tempo infestavano il Mediterraneo. Pompeo ebbe la meglio anche in questo caso, e trionfò nuovamente quando dovette affrontare, l'anno dopo, Mitridate VI re di Ponto, che stavolta, sconfitto, si suicidò, lasciando il suo regno in mano al figlio Farnace. Per dimostrare dedizione al Senato ed allo Stato, Pompeo, quando tornò da vincitore, sciolse le sue truppe a Brindisi.
Ritratto di PompeoPompeo e Crasso stavano dando un nuovo saggio della decadenza della repubblica, quando emerse un sinistro personaggio: Lucio Sergio Catilina. Costui, membro della
gens Sergia, che da tempo non riusciva ad assurgere a cariche importanti nell'organizzazione dello Stato, provò a divenire console designato per l'anno 64 e 63 a.C., fallendo tutte e due le volti per via dei suoi numerosi debiti e del mancato svolgimento del
cursus honorum da parte sua. A ciò si aggiunse anche il fatto che i patrizi non lo vedevano di buon occhio, e probabilmente evitarono la sua elezione tramite brogli elettorali e gesti non proprio leciti. Catilina non si arrese, e organizzò una congiura. Appiano di Alessandria così ci parla della preparazione della cospirazione:
Catilina dunque si astenne completamente dall'amministrazione dello Stato per questo, che non portasse nessuna forma di governo assoluto in modo rapido e grande, ma fosse piena di discordia e malevolenza; raccogliendo numerose ricchezze da molte donne, le quali speravano che i mariti morissero nell'insurrezione, congiurò con parecchi del Senato e dei cavalieri, radunando assieme sia popolani che schiavi che servitori. Fra tutti i suoi capi furono Cornelio Lentulo e Cetego, i quali erano pretori della città. Non solo mandò attraverso l'Italia i Sillani ma anche coloro che desideravano cose simili, non solo mandò Gaio Manlio a Fiesole di Etruria, ma anche gli altri a Piceno ed in Puglia, i quali gli radunarono un esercito in segreto.Traduzione miaLa cospirazione di Catilina era stata tuttavia organizzata di fretta e senza troppa cautela. Fu Curio, uno dei congiurati, a rivelare all'amante Fulvia la congiura. L'uomo lo fece per farsi bello alla donna, ma questa decise di tradire la confidenza di Curio e andare a rivelare la congiura ad uno dei due consoli di quell'anno, Cicerone, che aveva fatto molta carriera dai tempi di Sesto Roscio Amerino. Cicerone denunciò dunque violentemente ai senatori riuniti al Tempio di Giove Statore la cospirazione di Catilina, quando Catone, altra vittima dei brogli, sollevò la questione dei brogli elettorali avvenuti per l'elezione del console Licinio Murena. Catilina, vistosi perduto, si ritirò in Etruria, ma non furono altrettanto rapidi alcuni dei suoi complici come i sopracitati Lentulo e Cetego, che, rinchiusi nel Carcere Mamertino, furono giustiziati senza il regolare appello al popolo, cosa che costerà molto cara a Cicerone in futuro.
Cicerone accusa Catilina davanti al Senato, Herbert Schmidt, 1920Catilina in Etruria organizzò l'esercito che teneva segreto, che in realtà era piuttosto piccolo. Decise a dare il tutto per tutto, provò a dirigersi verso la Gallia Cisalpina, ma gli sbarrò la strada Marco Petreio presso Pistoia, dove avvenne una violentissima battaglia nella quale lo stesso Catilina perse la vita. Cicerone si glorificò molto della sua vittoria sul rivale, tant'è vero che nelle sue orazioni contro Catilina, le
Catilinarie o
Orationes in Catilinam si attribuisce gran parte del merito per la salvezza dello Stato. Tuttavia la cospirazione di Catilina dimostrava solamente ancora una volta il livello di estremo degrado che avevano raggiunto le istituzione, e delle quali Cicerone, in un modo o nell'altro, era rappresentante.
Nella cospirazione furono coinvolti nomi illustri, quali quelli di Marco Licinio Crasso ed un emergente politico, imparentato con Gaio Mario: Gaio Giulio Cesare. Costui nacque a Roma il 13 Luglio dell'anno 100 a.C. Sebbene la sua famiglia, la
gens Iulia, fosse illustre ed antichissima, la famiglia di Cesare non versava in buone condizioni, tant'è vero che il giovanissimo Cesare crebbe nelle strade del quartiere del Suburra, fra le
insulae, schiamazzi e risse da strada. Aveva neppure vent'anni quando Silla si impose quale dittatore della città. Per le sue origini, Cesare entrò in contrasto con Silla, che voleva spingerlo a ripudiare Cornelia, sua moglie e figlia di quel Cinna che aveva dominato Roma prima dell'avvento di Silla. Cesare rifiutò, e ottene dunque la persecuzione di Silla, che gli tolse anche ogni onore e ricchezza. Cesare era costretto, nonostante soffrisse di salute cagionevole, a cambiare continuamente nascondiglio, finché non ottenne l'intercessione da parte delle Vestali e Mamerco Emilio ed Aurelio Cotta, suoi parenti ed amici. Pare che in questa occasione, secondo Svetonio, Silla esclamò:
Esultate e tenetevelo stretto, ma sappiate che colui che volete salvo ad ogni costo un giorno sarà la rovina del partito aristocratico che voi avete difeso insieme con me. In Cesare, infatti, sono nascosti molti Mari.Traduzione di Progetto OvidioCesare spese la giovinezza in Oriente, dove fece il servizio di leva. Si attardò molto in Bitinia, dove si dice si prostituì al re Nicomede, diceria che continuerà a perseguitarlo per tutta la vita. Quando morì Silla, Cesare rientrò in città cercando di approfittare della situazione a lui vantaggiosa, ma ben presto lasciò Roma, in seguito ad una serie di discordie con alcuni membri del Senato, per ritirarsi a Rodi presso il maestro di retorica Apollonio Molone. Tuttavia nel viaggio fu catturato da dei pirati presso l'isola di Farmacusa, presso i quali rimase quaranta giorni, schernito da minacce ed insulti. Quando il suo riscatto (che consisteva in cinquanta talenti) fu pagato appieno, Cesare fu rilasciato, ma non perse tempo: radunò una flotta, sbaragliò i pirati e li condannò alla crocifissione.
Cesare, a differenza di Pompeo, compì il regolare
cursus honorum, in una carriera politica che culminò col proconsolato di Spagna nel 61 a.C. Fra l'altro, come accennato, Cesare era stato tentato di partecipare alla congiura di Catilina, ma si limitò a simpatizzare per essa, cercando di spingere i Senatori, nel ruolo di pretore, alla grazia per i cospiratori.
Dopo essersi arricchito durante il suo proconsolato, Cesare tornò in patria e si guadagnò il favore dei
populares, agendo come Pompeo (del quale era divenuto cognato nel 67 a.C. sposando Pompea) e Crasso per arginare le riforme sillane. Ormai la strada era spianata per un accordo fra i tre uomini più potenti dello Stato, che prese il nome di Primo Triumvirato (60 a.C.), che ebbe carattere privato e prevedeva la divisione della guida dell'ormai decadente Repubblica. Tutti e tre i membri dell'accordo ne trassero vantaggio: Pompeo ottenne infatti terre da donare ai suoi veterani, Crasso riforme a favore dell classe dei cavalieri alla quale, come abbiamo detto, apparteneva, e Cesare il consolato per il 59 a.C., durante il quale acquisì ancora ulteriore fama donando terreni ai plebei e limitando il potere di veto del Senato, da lungo abusato per stroncare le leggi non gradite all'aristocrazia.
Nel 58 a.C., Cesare inizia il suo proconsolato in Gallia. Questa campagna bellica è forse la più famosa dell'antichità, e contribuì non solo a far crescere in modo esponenziale la fama di Cesare, ma anche il territorio di Roma. Infatti le Gallie, conquistate fra il II ed il I secolo a.C., comprendevano due sole province: la Gallia Cisalpina, che si trovava appena a Nord del fiume Rubicone ma a Sud delle Alpi, e la Gallia Narbonense, che prendeva grosso modo la Provenza. Cesare partì da un incursione di uno dei popoli della Gallia, gli Elvezi, ai danni degli Edui, per accrescere il controllo di Roma, fino a conquistare tutta la Gallia Celtica (che copre sostanzialmente tutta la Francia) fino a toccare la costa settentrionale e spingersi fino in Britannia, dove ebbe modo di compiere conquiste assai limitate durante due campagne avvenute negli anni 55 e 54 a.C. La vittoria definitiva la raggiunse scontrandosi con Vergingetorige, capo degli Arverni, che riuscì a tener testa per un certo periodo a Cesare, prima di arrendersi e, secondo un celebre aneddoto, gettare le armi ai piedi del proconsole nelle celeberrima resa d'Alesia, dicendogli, secondo Floro:
Prendi, hai vinto un uomo valoroso, tu che sei un uomo valorosissimo!Traduzione da Wikipedia, autore ignotoVergingetorige getta le sue armi ai piedi di Giulio Cesare, Lionel Royer, 1899La campagna gallica era durata in tutto dal 58 al 52 a.C. (fino al 51 a.C. furono in realtà condotte campagne minore da parte dell'ufficiale Aulo Irzio), con una sola, breve interruzione nel 56 a.C., dovuta al ritorno di Cesare in patria per rinnovare il patto fra lui, Pompeo e Crasso a Lucca. Tuttavia, durante tutta la durata del proconsolato di Cesare, Roma affrontò un decennio difficile. Cicerone fu esiliato nel 58 a.C. su istigazione dello scatenato tribuno della plebe Clodio Phulcro, suo acerrimo nemico, poiché, come abbiamo detto, aveva sottratto i congiurati di Catilina al giudizio popolare di prassi. Cesare (che al momento dell'avvenimento ancora era a Roma) probabilmente simpatizzò per tale esilio, essendo Cicerone uno dei più agguerriti
optimates e dunque un nemico piuttosto arcigno di Cesare. Cicerone ritornò solo un anno dopo, dove riprese a lottare contro Clodio, che girava con facinorose bande per le strade della città a gettare scompiglio e disordine. Fra l'altro di Clodio abbiamo solo ritratti negativi dalle fonti antiche, e ciò è dovuto principalmente dal fatto che gran parte di ciò che sappiamo di lui lo abbiamo appreso attraverso Cicerone; quantunque non si fosse trattato di un personaggio fosco come viene descritto, è tuttavia innegabile che Clodio fosse un gran demagogo. Nel 53 a.C. Crasso, invidioso dei successi degli altri due triumviri, decise di fare una campagna contro i Parti assieme al figlio Publio. Crasso sperava di essere celebrato per una grande impresa, ed invece andò incontro al suo destino: lui ed il figlio perirono in battaglia, i romani furono sbaragliati contro il generale Surena e due aquile furono perse. Fra l'altro si narra che a Crasso fu fatto ingerire oro fuso bollente come sorta di punizione per la sua nota avidità. Era da poco giunta la notizia della sconfitta, che Clodio fu assassinato sulla Via Appia da Milone, tenace avversario del primo. Le dinamiche dell'accaduto sono ancora dubbie, ma ci fu senz'altro una grande furia da parte del popolo che chiedeva giustizia, fomentati dall'energica moglie di Clodio Fulvia, che rincontreremo spesso negli anni a venire. Cicerone provò a difendere Milone, ma fu tutto vano, e tutto si risolse nell'esilio di quest'ultimo. Pompeo intanto si faceva padrone della città; infatti, morto Crasso, era su di lui che il Senato faceva pressioni, vedendolo come un paladino dell'aristocrazia che poteva contrastare Cesare. Cicerone provò a mediare fra le due parti, disperando per la salvezza della Repubblica morente, ma i suoi sforzi furono vani.
I rapporti fra Cesare e Pompeo erano ormai tesissimi. Il primo inviò allora nel 49 a.C. una lettera in Senato, dove dichiarava che era disposto a sciogliere l'
imperium sulle sue truppe se Pompeo avesse fatto altrettanto (infatti questi aveva il controllo di un esercito pur essendo dentro il
pomerium; a lui era consentito in quanto agiva nell'interesse del Senato). I senatori, ostili a Cesare, mandarono il monito a questi di sciogliere le truppe subito, se non voleva essere dichiarato nemico pubblico. Cesare allora non ebbe altra scelta: a gennaio del 49 d.C. varcò il Rubicone, che, ricordiamolo, segnava il confine del
pomerium, dicendo la famosa frase 'il dado è tratto' (o più correttamente 'il dado è stato tratto'), in latino (come ci riporta Svetonio)
alea iacta est oppure in greco (come ci riporta Plutarco) ἀνερρίφθω κύβος. Tale gesto, divenuto simbolico come pochi, segnò l'inizio di una nuova Guerra Civile.
Pompeo preferì ritirarsi subito in Grecia, dove aveva un esercito, per cercare di accerchiare Cesare con altre truppe presenti in Spagna. Tuttavia quest'ultimo prevenne con efficienza tale strategia, dirigendosi prima in Spagna e sbaragliando i pompeiani lì collocati, e solo in seguito procedendo verso la Grecia. Pompeo non fu capace di reagire, e, sconfitto nella violenta battaglia di Farsalo (48 d.C.), ormai abbandonato da tutti i suoi seguaci, decise di fuggire a Lesbo, dove si ricongiunse con la moglie Cornelia ed il figlio Sesto (tenete a mente questo nome, che ci servirà in futuro). Da qui salpò in Egitto, cercando ospitalità presso il giovanissimo faraone Tolomeo XIII, che non aveva ancora varcato la soglia dei 15 anni. Il giovane sovrano, consigliato dall'eunuco Potino, decise di far uccidere a tradimento Pompeo per ingraziarsi Cesare, che stava arrivando. L'esecutore fu Lucio Settimio, vecchio compagno d'armi di Pompeo, che lo pugnalò a tradimento, dopo essersi fatto riconoscere e averlo avvicinato. Il corpo di Pompeo fu ance decapitato, e la sua testa fu offerta in dono a Cesare, ormai giunto in Egitto, ma questi fu profondamente sdegnato dal tradimento del quale Pompeo era stato vittima e del modo ignominioso col quale era stato ucciso.
La testa di Pompeo, Giovanni Antonio Pellegrini, XVIII secoloIn Egitto, Cesare strinse una relazione con la sorella maggiore di Tolomeo XIII, Cleopatra VII, meglio nota come Cleopatra, che andò ad acquisire sempre un maggiore favore nei pressi di Cesare, anche dopo che questi la fece sposare col fratello. Tolomeo XIII volle reagire a questa manovra della sorella e del futuro dittatore: si alleò dunque con la sorella Arsinoe IV e marciò contro Cesare, il quale tuttavia ebbe la meglio. Tolomeo XIII, in fuga, annegò, e Cleopatra venne eletta come unica sovrana d'Egitto.
Pompeo era dunque vinto, ma ciò non voleva affatto dire che i nemici di Cesare fossero tutti scomparsi: questi dovette infatti prima affrontare Farnace, figlio di Mitridate re del Ponto, che si era ribellato come il padre, poi Catone, discendente di Catone il Censore, che si era stabilito in Africa. Dopo essere stato vinto a Tapso, Catone si asserragliò ad Utica e lì si uccise per non sottostare alla tirannia di Cesare. Nel 45 a.C., in Spagna, a Munda, furono vinti i due figli di Pompeo, uno omonimo del padre, l'altro Sesto. Il primo morì, il secondo riuscì a fuggire.
Ormai Cesare era il padrone incontrastato di Roma e del mondo. Rientrò a Roma trionfante, portandosi dietro Cleopatra, che si stabilì per un certo periodo nella capitale col figlioletto Tolomeo XV detto Cesarione, poiché avuto probabilmente da Cesare stesso. I festeggiamenti per il trionfo di Cesare durarono un anno intero, per via delle numerose vittorie conseguite. Furono giustiziati i prigionieri di guerra, fra i quali Vergingetorige, che trovò la morte nel Carcere Mamertino, e Cesare fu nominato dittatore a vita. Ormai la Repubblica cadeva a pezzi, e quest'ultima mossa di Cesare ne fu la prova definitiva. Silla, alla fine, non si era sbagliato sul suo conto.
Cesare rimase dittatore solo per un anno, ma attuò parecchie riforme in vari campi. Il suo prestigio crebbe esponenzialmente, infatti gli furono conferiti i titoli di
imperator, ovvero supremo comandante militare, e
pater patriae, titolo rarissimo, raggiunto solo da Romolo, Furio Camillo per aver salvato Roma dai Galli di Brenno e Cicerone per la sua azione contro Catilina. Fra l'altro, Cicerone stesso, pur essendo nemico di Cesare, non fu da questi giustiziato, ma fu semplicemente escluso dalla vita politica. Il celebre oratore iniziò perciò a scrivere trattati di varie materie, ritirandosi nello studio.
Ormai Cesare era di fatto il padrone di Roma, e ciò non fu visto di buon occhio da un gruppo di aristocratici guidati da Marco Giunio Bruto, che era stato scelto come erede da Cesare, e Gaio Cassio Longino. Infatti costoro temevano che si potesse instaurare una monarchia con un re, parole aborrite al popolo romano sin dai tempi della cacciata dei Tarquini. Bruto si diceva fra l'altro discendente di Lucio Bruto, che contribuì a scacciare l'ultimo re di Roma. Questa sua presunta discendenza fu sollecitata da delle scritte sue muri fatte da cittadini mossi dal malcontento, nonché dalla paura di Bruto stesso che Cesare diventasse re. Durante il 45 a.C., in realtà, durante i
Lupercalia, una festività che si svolgeva a Febbraio, a Cesare era stata offerta una corona per tre volte, e per tre volte lui l'aveva rifiutata. Tuttavia, tale azione fu probabilmente vista più come un modo di abbonire la folla sulle sue presunte ambizioni, che come una scelta dettata da mire politiche personali. Bruto e Cassio raccolsero con loro un elevato numero di aristocratici fra i quali Casca, Cimbro, Decimo Bruto ed altri, anche loro sospettosi riguardo a Cesare. Durante le idi di Marzo (che si svolgevano il 15 del mese come a Maggio, Luglio ed Ottobre, ma al contrario dei restanti mesi nei quali si svolgevano il 13) Cesare fu ucciso da 23 pugnalate mentre il Senato era riunito nella Curia del teatro di Pompeo, essendo la
Curia Iulia, dove si riuniva di solito il Senato, temporaneamente inservibile per un incendio. Ecco come si svolsero i fatti secondo Plutarco:
Antonio dunque, che era fedele a Cesare e robusto, lo tratteneva fuori Bruto Albino, avendo iniziato intenzionalmente una discussione che tirava per le lunghe; e mentre entrava Cesare il senato si alzò facendo atto di riverenza, e tra i complici di Bruto alcuni si disposero dietro il suo seggio, altri invece si fecero incontro proprio come se intendessero rivolgergli una supplica assieme a Tillio Cimbro che lo supplicava per il fratello esule, e parteciparono insmeme alla supplica accompagnandolo fino al seggio. Ma poiché, sedutosi, respingeva le richieste e, siccome insistevano più decisamente, era arrabbiato con ciascuno (di loro), Tillio afferrando la sua toga con entrambe le mani la tirò giù dal collo, il che era il segnale convenuto dell'attentato. E per primo Casca lo colpisce con una spada vicino al collo (procurandogli) una ferita non mortale né profonda, ma, come è naturale, emozionato all'inizio di una importante azione temeraria, tanto che anche Cesare, voltatosi, afferrò il pugnale e lo trattenne. E nello stesso tempo gridarono in qualch modo, il ferito in latino: "Disgraziatissimo Casca, che cosa fai?" e colui che lo aveva ferito, in greco, rivolto al fratello: "Fratello, aiuta(mi)." E tale essendo stato l'inizio, quelli che per nulla erano consapevoli li prese spavento e terrore di fronte alle cose che accadevano, tanto che non osavano né fuggire, né difenderlo, ma neppure pronunciare una parola. Ma siccome di quelli che erano preparati all'assassinio ciascuno mostrava la spada sguainata, circondato intorno, e verso qualsiasi cosa rivolgesse lo sguardo, imbattendosi in ferite e in armi puntate sia contro il volto sia contro gli occhi, cercando di allontanarsi come una fiera era avvolto dalle mani di tutti; tutti quanti infatti bisognava che compissero e assaggiassero l'assassinio. Perciò anche Bruto gli inferse un unico colpo nell'inguine. E da parte di alcuni si dice che allora difendendosi dagli altri e spostandosi qua e là e gridando, quando vide Bruto che aveva sguainato la spada, tirò la toga sulla testa e si lasciò cadere, sia per caso, sia spinto da coloro che lo uccidevano, presso la base su cui è collocata la statua di Pompeo. E l'assassinio la insanguinò abbondantemente, tanto da sembrare che lo stesso Pompeo presiedesse alla vendetta sul nemico, steso sotto i (suoi) piedi e agonizzante per il gran numero delle ferite. Si dice infatti che ne abbia ricevute ventitré, e molti furono feriti gli uni dagli altri, dirigendo tanti colpi contro un solo corpo.Traduzione di Poesia LatinaCome piccola nota aggiuntiva, è dubbio se Cesare abbia pronunciata o meno la famosa frase 'Anche tu Bruto, figlio mio', stupendosi di vedere Marco Bruto fra i suoi carnefici: infatti Plutarco, come abbiamo visto, non lo riporta, mentre Svetonio dice che Cesare cadde senza dire nulla, limitandosi a riportare la frase come una voce sentita ma dubbia. Comunque sia, secondo Svetonio l'avrebbe detta in greco: dunque non
Tu quoque, Brute, fili mihi, ma καὶ σύ, τέκνον. È anche possibile che il destinatario non fosse neppure Bruto stesso, ma l'omonimo congiurato Decimo Bruto, anch'esso amato da Cesare. A prescindere da tutto, Cesare morì, secondo i congiurati, per la salvezza della Repubblica. Tuttavia, quest'ultima era ormai soggetta ad un irreversibile declino. L'atto di Cesare, Pompeo e Crasso si era chiuso in modo violento, ed ogni tentativo di tornare indietro risultava ormai vano agli occhi di chiunque. L'assassinio di Cesare apriva dunque l'ultimo atto della fine della Repubblica.
L'assassinio di Cesare, Karl Theodor Von Piloty, 1865Fine Parte 2Edited by Labarbadiadriano - 20/9/2016, 13:56