Il Calderone di Severus

I Cesari

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view post Posted on 16/9/2016, 21:33
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Sfascia-calderoni

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I Cesari


Indice della discussione



Prologo al principato
Parte 1
Parte 2
Parte 3

L'impero di Augusto

I giulio claudi
Parte 1: il dramma di Tiberio
Parte 2: La sorte dell'impero. Caligola e Claudio
Parte 3: La follia di Nerone

L'anno dei quattro imperatori. Galba, Otone e Vitellio

I flavi
Parte 1: Vespasiano, l'imperatore venuto dalla campagna
Parte 2: Due fratelli diversi. Tito e Domiziano

Gli imperatori per adozione
Parte 1: L'apice dell'impero. Nerva e Traiano
Parte 2: Adriano il cosmopolita
Parte 3: Antonino Pio, imperatore fra due mondi
Parte 4: Marco Aurelio, guerriero e filosofo
Parte 5: L'impero di ruggine di Commodo

L'anno dei cinque imperatori. Pertinace, Didio Giuliano, Pescennio Nigro e Clodio Albino

I severi
Parte 1: Settimio Severo, imperatore soldato
Parte 2: Caracalla, il fratricida
Parte 3: Le donne dei Severi. Macrino ed Eliogabalo

L'anarchia militare - la crisi del III secolo
Parte 1: Massimino e l'anno dei sei imperatori
Parte 2 - Pressione ai confini
Parte 3 - Paure ed incertezze
Parte 4: Valeriano e Gallieno: padre e figlio contro il mondo
Parte 5: L'inizio della ripresa
Parte 6: Sogni infranti e nuove speranze
Parte 7: La dinastia carana: la corsa finale al potere

Diocleziano e la tetrarchia

I costantinidi
Parte 1: Costantino ed il Cristianesimo
Parte 2 - I figli di Costantino[URL]
#entry428289029]Parte 3: Giuliano, l'ultimo pagano


I valentinianidi
Parte 1: Un mondo sconvolto
Parte 2: Due fanciulli alla fine del mondo

I teodosiani
Parte 1: Teodosio, l'ultimo signore del mondo
Parte 2: Onorio, debolezze e violenza








Prologo al principato- Parte 1




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Girovagando in questa sezione, ho notato una carenza sul piano socio-politico di Roma, e dei suoi personaggi che spesso rasentano il mito. Me ne duole, giacché tali soggetti sono figure spesso affascinanti: sovrani magnanimi e generosi, tiranni folli e sanguinari... tanti ne sono sfilati sul soglio del mondo (perché tale era l'imperatore romano), una struttura socio-politica invisa dai più ma che si rivelò estremamente soddisfacente per la maggior parte della sua storia. Per giungere a tale momento storico tanto particolare, però, è necessario passare per decenni foschi e bui, che videro Roma cadere e sollevarsi più volte. Arriviamoci assieme.

Siamo nel II secolo a.C. La repubblica romana è all'apice del suo potere. L'Oriente è stato ampiamente conquistato ed integrato efficientemente nel mondo latino grazie all'opera degli Scipioni, prima l'Africano e l'Asiatico, poi l'Emiliano, a dispetto dei vecchi conservatori come Catone il Censore. Sono secoli ormai che il sistema repubblicano va avanti, da quando - così dice il mito - Tarquinio il Superbo fu scacciato da Roma in seguito allo stupro di Lucrezia, moglie di Collatino, da parte del lust-breathed (come lo definisce Shakespeare) figlio di Tarquinio, Sesto. Ormai, dopo la distruzione di Corinto e Cartagine, sembra prospettarsi un lungo periodo di pace. Si sono estinti i Persei, gli Antiochi e tutti coloro che avevano messo in dubbio la potestà di Roma. I regni ellenistici sono quasi tutti conquistati, e Roma esercita un ferreo controllo su di essi. Tuttavia, le cose stanno per prendere una piega drastica. Finiti i nemici, si esaurisce la paura di essi, il metus hostilis di Sallustio. E ciò, secondo lo scrittore stesso, ne causa un rapido declino dovuto a conflitti intestini. Ma andiamo con ordine.

La decadenza della repubblica romana è stato oggetto di intenso dibattito fra gli studiosi, ma anche fra gli autori antichi. Secondo Sallustio, la distruzione di Cartagine (146 a.C.) avrebbe segnato l’inizio della degenerazione morale dei costumi della repubblica in quanto sarebbe sparita la paura del nemico (metus hostilis), che cementificava lo Stato romano, teoria . Un altro dato al quale Sallustio guarda in modo critico è l’estensione della cittadinanza romana a tutti gli italici dopo la guerra sociale (91-88 a.C.). Lo storico di età Giulio-Claudia Velleio Patercolo attribuisce la perdita degli antichi valori sia alla fine di Cartagine, sia alla crisi graccana (133-132 a.C.), che avrebbe istigato una serie di violenze senza fine. Anche Cicerone accusa Tiberio Gracco di essere responsabile della crisi della repubblica. Gli studiosi moderni hanno parimenti provato a dare una spiegazione al tramonto dell’istituzione repubblicana: alcuni tendono a riprendere le teorie degli antichi autori, accusando vari personaggi della tarda età repubblicana (come Tiberio Gracco e Pompeo Magno) di aver ignorato le convenzioni repubblicane con l’uso della forza; altri hanno mostrato come il governo della repubblica fosse disfunzionale, che garantiva la libertà solo ad un ristretto numero di persone; altri ancora hanno cercato di dimostrare come la repubblica fosse ancora efficiente alla fine del II secolo a.C., e che non aveva bisogno di essere sostituita da un’autocrazia. Oggettivamente, però, dobbiamo dire che il periodo che va dall’assassinio di Tiberio Gracco (132 a.C.) fino alla battaglia di Azio ed alla conseguente invasione dell’Egitto (31-30 a.C.) fu testimone di violenze e scontri sanguinosi, che vedevano prevalere non il più persuasivo, ma il più forte. In tal senso, caratteristica della tarda repubblica, complice la riforma mariana, fu anche la tendenza ad identificare l’esercito non più come controllato dallo Stato e da esso dipendente, ma più come legato alla singola persona del comandante militare, che dunque poteva usufruire di una forza del tutto personale. Questa tendenza ebbe inizio nel corso della prima delle tre guerre civili del I secolo a.C., quella fra Gaio Mario e Lucio Cornelio Silla (87-82 a.C.), e si accentuò andando avanti nel tempo. Il senato, inoltre, non riusciva più a tenere sotto controllo la situazione, complice non indifferente la vastità del territorio che ormai comprendeva lo Stato romano. Vediamo passo dopo passo la degenerazione della decadenza della Repubblica.

Nel 133 a.C. fu eletto tribuno della plebe Tiberio Gracco. Figlio di Cornelia, dunque nipote di Scipione l'Africano, questo giovane di circa trent'anni ha del fegato da vendere. Infatti osa sfidare i ricchi possidenti a favore della plebe che rappresenta, e decise di stipulare una lex Agraria con l'aiuto del console Scevola e del pontefice Crasso. Tale legge prevedeva una redistribuzione dei terreni che i ricchi possidenti avevano comprato ai più piccoli: infatti è bene sapere che le lunghe guerre lontano da Roma costringevano questi ultimi a partire e non dover trascurare l'agricoltura, perdendo ogni forma di sostentamento e dunque il permesso di mantenersi anche un solo appezzamento. Risultava a costoro dunque molto più conveniente vendere le proprie terre ai ricchi latifondisti. Tale pratica fu testimoniata da un generale impoverimento della gente: infatti fra il 163 ed il 135 a.C., il numero di persone che potevano prestare servizio militare scese da 337.000 a 318.000. Un crollo spaventoso, dovuto al fatto che molti cittadini, perso il lavoro nelle campagne, si riversò nelle città e andò a formare un proletariato. Vivevano di assistenza pubblica, anche se avevano servito con dedizione nell'esercito ed erano ligi cittadini. Era facile che si asservissero dunque ai ricchi e potenti per il loro malcontento, pronti a qualunque cosa pur di riceve qualcosa che li togliesse dalla loro condizione di indigenza.

Tiberio Gracco volle rimettere in sesto le cose. La legge prevedeva che il limite delle terre sul territorio dello Stato posseduto da un ricco latifondista non superasse i 125 ettari (500 iugeri); i 1000 iugeri sarebbe stato invece il limite per una singola famiglia. Le terre 'in più' sarebbero state distribuite a 30 iugeri ai cittadini impoveritisi, in cambio di un canone annuo. Tale riforma fu accolta col favore della folla, ma con lo sdegno dei patrizi e dei ricchi latifondisti. Costoro si appoggiarono dunque sul collega Marco Ottavio, che pose il veto alla decisione di Tiberio: questi riuscì però a farlo dimettere, dichiarando che non agiva nell'interesse della plebe. La legge fu infine approvata, ma Tiberio volle andare oltre, e si propose come tribuno della plebe anche per il 132 a.C. Ciò andava oltre la Lex Villia annalis, una serie di norme risalenti al 180 a.C. circa la candidatura nelle varie magistratura, e vietava appunto l'azione di Tiberio di farsi rieleggere. Quando poi il tribuno osò toccare l'eredità del re di Pergamo Attalo III per aiutare il proletariato, il sospetto che Tiberio volesse imporsi sullo Stato con ferocia si fece forte, poiché non spettava ai tribuni della plebe gestire il patrimonio estero. La fine a questo punto fu inevitabile: nel 132 a.C. in uno scontro sul Campidoglio fra i partigiani di Tiberio ed i patrizi guidati da Nasica e Scipione Emiliano il tribuno perse la vita. Per la prima volta, dunque, i romani agirono contro i romani: la disavventura di Tiberio Gracco è dunque generalmente accettata come inizio della fine per la Repubblica. Dieci anni dopo circa, il fratello di Tiberio, Gaio, tentò di continuare l'opera del parente, ma alcuni suoi provvedimenti, come la proposta di fare gli italici cittadini romani, si rivelarono troppo arditi, e ciò condusse alla caduta di Gaio: isolato dal Senato, da questo dichiarato nemico pubblico, provò a fomentare una rivolta, ma fallì e si fece uccidere da uno schiavo in un boschetto sacro sul Gianicolo per non cadere in mano ai nemici. 300 dei seguaci di Gaio furono processati e giustiziati: per la prima volta, le armi romane andarono contro gli stessi concittadini. Con la fine di Gaio, si esaurì anche la stagione delle riforme, ma la Repubblica aveva subito un violento scossone, il primo di una lunga serie.

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Morte di Gaio Gracco, Félix Auvray, 1830 circa

Passarono anni ed anni dalla morte dell'ultimo dei Gracchi. Il potere si mantenne strettamente in mano all'oligarchia, ma l'esperienza delle riforme non era stata senza conseguenze: incominciava a nascere un partito popolare, i populares, del quale i Gracchi si possono considerare gli iniziatori, che si contrapponevano agli optimates, emergente partito degli oligarchici. Ed un paladino del primo partito salì alla luci della ribalta nel 107 a.C. Il suo nome era Gaio Mario, homo novus (titolo dato al primo membro della famiglia che riusciva ad ottenere cariche politiche), figlio di un manovale di Arpino, nell'odierna Ciociaria. Costui sarà la prima delle stelle politiche della tarda repubblica.

Era dal 112 a.C. che andava avanti, senza successo, una guerra contro Giugurta, re della Numidia, conflitto nato da un eccidio di mercanti italici e romani perpetuato dal sovrano stesso. L'esercito romano non si dimostrò all'altezza della situazione, infatti si fece facilmente corrompere da Giugurta, facendosi battere apposta in cambio d'oro e di gioielli. Gaio Mario decise di prendere in mano la situazione quando nel 107 a.C. fu eletto al consolato. Egli decise di riformare l'esercito, rendendo il soldato romano non più un semplice cittadino in armi, ma un vero e proprio professionista, il quale equipaggiamento non era più pagato di tasca propria, ma dallo Stato. Dunque chiunque poteva arruolarsi volontariamente, e avere una carriera professionale di sedici anni al termine della quale riceveva un appezzamento di terreno e anche, se già non ce l'aveva, la cittadinanza romana. Molti fra i miseri scelsero questa via piuttosto che la miseria. La manovra di Mario risultò efficiente: in due anni, abbatté Giugurta e pose fine alla guerra. Questo successo gli valse altre cinque elezioni al consolato negli anni successivi. Mario in questo periodo vinse sui Cimbri e Teutoni ai Campi Raudii ed ad Acquae Sextiae rispettivamente nel 102 e 101 a.C.

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Mario vincitore dei Cimbri, Francesco Saverio Altamura, 1863 circa

Dopo questi successi, Roma dovette affrontare un conflitto dentro casa: era infatti scoppiata nel 91 a.C. una rivolta fra i popoli italici, che pretendevano la cittadinanza romana, privilegio al quale i romani tenevano molto e che causò pure la morte, come abbiamo visto, di Gaio Gracco. Livio Druso, tribuno della plebe, provò a seguire il suo esempio, ma finì anch'esso martoriato. Gli italici, dunque, visto che non riuscivano a ottenere la tanto ambita cittadinanza legalmente, decisero di appropiarsene con una rivolta. L'epicentro dell'azione fu Ascoli, dove tutti i romani presenti in città furono massacrati. In seguito fu stabilito un proprio senato guidato da due consoli indipendenti ed addirittura una capitale, Corfinio. Il conflitto si protrasse per due anni, finché nell'89 a.C. Lucio Cornelio Silla, console di quell'anno e membro degli optimates, conquistò la capitale. Ai cittadini italici venne comunque concessa la cittadinanza, ed il numero di cittadini romani crebbe da 400.000 a 900.000 e passa. Ciò affrettò la fine della Repubblica: infatti, le vecchie strutture non potevano reggere ad un tanto alto numero ci cittadini e dunque possibili elettori. In questa guerra era intanto emerso il nome del giovane Gneo Pompeo, figlio del padre omonimo, che si era distinto alla giovanissima età di sedici anni. Incontreremo nuovamente più tardi, ed in ben altra veste questa importante figura.

Intanto Silla incominciò a contendere il primato a Mario, facendo pressione sul Senato col suo partito aristocratico affinché gli venisse affidata la missione contro lo scatenato re del Ponto Mitridate VI, che si era ribellato. La missione fu data dunque a Silla, che partì subito per l'Oriente. Tuttavia i populares erano scontenti di tale scelta, e proposero Mario come valido sostituto di Silla, in quanto questi vantava esperienze militari ragguardevoli, ben più del suo rivale. A lui fu dunque affidata la missione, e fu ordinato a Silla di tornare indietro. Ma Silla decise di non sottostare al comando, e trasformò l'esercito di Stato nel suo esercito personale, un gesto che sarà ripetuto più volte in seguito, e che segnerà il definitivo crollo della Repubblica. Silla dunque aveva a sua disposizione un vastissimo gruppo di uomini che sottostavano solo al suo comando, e non più a quello di Roma. La missione in Oriente ebbe successo: Mitridate VI fu vinto ma non ucciso (continuò a dar fastidio ai Romani per un ventennio circa), ed ovunque passassero gli eserciti di Silla, questi si davano al saccheggio più sfrenato. Nel frattempo, a Roma, regnava il caos. Mario, dopo un breve esilio in Africa (dove, in un aneddoto molto famoso, si pose a sedere sulle rovine di Cartagine), tornò nella capitale, che invase con un gran numero di seguaci, approfittando dell'assenza di Silla. Nell'86 a.C. si fece eleggere console per la settima volta: ma Mario era vecchio ormai, e si spense per cause naturali all'inizio dell'anno, lasciando il collega Cinna come console unico. Cinna era a capo di un aspro partito conservatore, che aveva favorito il rientro di Mario nell'Urbe; morto questo, Cinna divenne di fatto il dittatore della città, e tale rimase per due anni. Costui iniziò una vera e propria purga di optimates, un eccidio di massa che accompagnò a riforme a favore del popolo. L'azione fu decisamente troppo violenta, e Silla tornò in patria pieno di rancore e vendetta. Cinna provò ad organizzarsi per contrastarlo, ma fu ucciso dal suo stesso esercito. L'ultima resistenza a Silla la fece il figlio omonimo di Gaio Mario, che fu vinto ed ucciso a Porta Collina, dopo una violenta battaglia dove si distinse per la prima volta Marco Licinio Crasso, altra figura che emergerà in futuro. Silla, invece, marciò su Roma e si fece nominare dittatore a tempo indeterminato, essendo ambo i consoli periti in battaglia. Assunse il nome di Felix, felice, nel senso di fortunato, per la sua buona sorte.

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Possibile ritratto di Silla


Nel biennio 82-81 a.C., Silla compilò delle liste di proscrizione, dove erano segnati tutti coloro che avevano sostenuto il massacro degli anni precedenti (e comunque tutti gli aderenti al partito popolare). Tali liste erano esposte al foro, e chiunque si trovasse lì sarebbe stato ucciso da chiunque in modo del tutto legale. Ecco come ce ne parla lo storico Plutarco, che scrisse due secoli dopo Silla:

Silla si diede a mietere vittime e riempì la città di morti senza numero e senza limite; molti venivano tolti di mezzo anche per inimicizie personali e senza che avessero niente a che fare con Silla [...] Silla proscrisse subito ottanta persone senza averne reso partecipe nessuno dei magistrati [...] Per chi aveva accolto o salvato un proscritto, senza eccezione alcuna per fratelli, figli e genitori, prescrisse con pubblico bando una punizione di quell'atto di umanità, stabilendo la pena di morte, mentre all'uccisore andava un compenso di due talenti (unità monetaria dell'antichità pari a 32 kg circa, ndr), anche se era uno schiavo che aveva ucciso il padrone od un figlio che aveva ucciso il padre [...]

Poco dopo, Plutarco ci narra anche una sventura capitata ad un certo Quinto Aurelio:

Quinto Aurelio, che era un uomo lontano dagli affari politici, [...] scese al Foro e, leggendo le liste di proscrizione, vi trovò il proprio nome: 'Oh, sventurato me!', disse. 'Le mie terre d'alba mi perseguitano!'. E, fatti pochi passi, fu scannato da un tale che l'aveva seguito

Traduzione di L. Ghilli

Se Silla si dimostrò spesso violento e sanguinario, la sua azione politica ebbe anche dei risvolti relativamente positivi. Pur provando ad emarginare i cavalieri ed i non aderenti al partito degli optimates, Silla stabilì anche il così detto pomerium, ovvero il limite entro il quale si poteva detenere l'imperium sull'esercito, che fu slittato dai consoli ai proconsoli, affinché questi ultimi se ne servissero per contrastare i nemici fuori dall'Italia, mentre i consoli avrebbero facilmente potuto cedere all'ambizione ed usarlo (come, d'altra parte, aveva fatto lui), per fini personali. Il pomerium andava dal Rubicone, fiume che scorre nell'attuale Emilia-Romagna e che segnava anche il confine fra l'Italia e la provincia della Gallia Cisalpina, e procedeva pure tutta l'Italia centrale e meridionale. Tale territorio rimase sostanzialmente invariato per i secoli successivi. Con tale manovra, Silla volle evitare altre svolte autoritarie del potere per i decenni a seguire, provvedimento che, come sappiamo, fallirà. In buona sostanza, Silla non guardava agli interessi propri, ma della Repubblica - i suoi metodi violenti, tuttavia, agirono con troppa forza per una struttura in piena decadenza.

Silla mantenne la dittatura per pochi anni, tre soltanto, prima di ritirarsi a vita privata. Ciò che lo spinse a tale scelta è ignoto, ma sembra che volesse semplicemente fuggire da tutto e tutti e ritirarsi in campagna, ormai stanco per la tarda età; quel repubblicano pieno d'ardore aveva fatto la sua parte, e poteva dunque andare 'in pensione'. Il popolo ne gioì, infatti era piuttosto insofferente verso gli eccessi di Silla e dei suoi uomini, in particolare verso il suo liberto Lucio Cornelio Crisogono, che aveva provato ad appropriarsi delle terre di Sesto Roscio Amerino inserendolo nelle liste di proscrizione ed accusandolo dell'omicidio del padre, avvenuto in realtà per altra mano e dunque denunciato con veemenza dall'ancora giovane e sconosciuto Marco Tullio Cicerone nella sua orazione Pro Roscio Amerino, che vinse la causa e che fece pagare a Crisogono il suo sopruso con la vita, dato che questi fu gettato dalla rupe Tarpea, dove si era soliti fin dai tempi più antichi gettare i traditori e coloro che avevano violato la sacralità dei tribuni della plebe. Silla visse ancora un anno, nella sua villa in Campania, circondato, secondo le fonti, da un corteo composto da attori, saltimbanchi, ballerini e prostitute. Alla fine nel 78 a.C. egli morì, forse a causa di un cancro, o forse per il suo vizio del vino che lo accompagnava da sempre. Con Silla, si chiudeva il secondo atto della caduta della Repubblica. Le antiche istituzioni si erano dimostrate inadatte a far fronte sia alle richieste di ceti più bassi, sia all'autoritarismo di uomini forti come Silla e Mario. Una violenta guerra civile si era appena consumata, ma i conflitti non erano affatto spenti, e anzi, serpeggiavano fra la folla, in attesa solo di una nuova stella politica sulla quale appoggiarsi come lo erano stati Silla e Mario.

Edited by Ida59 - 14/1/2018, 21:54
 
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view post Posted on 17/9/2016, 21:17
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I ♥ Severus


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Bello: un nuovo aggiornamento! E' un po' lunghetto: appena riesco a trovare un momento di calma lo leggo! :)
 
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view post Posted on 17/9/2016, 23:28
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Sfascia-calderoni

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I Cesari: prologo al principato

Parte 2

Negli anni 70 del I secolo a.C., Roma esce piuttosto scossa dalla tremenda dittatura sillana. Molti perseguiti sono stati uccisi in modo assolutamente barbaro da fedeli delatori, fra i quali spicca il nome di Catilina, che vende il cognato proscritto pur di guadagnare un paio di talenti. L'episodio di Silla (e anche, parzialmente, quello di Mario) ha dimostrato appieno la decadenza delle istituzioni repubblicane, non più capaci di affrontare uomini forti ed autoritari. Ormai il senato è un gruppo di codardi, che cerca di proteggere non più gli interessi del popolo, ma solo i propri.

Sugli altri fronti, la situazione non è affatto migliorata. La situazione tremenda nella quale versano gli schiavi da oltre un secolo va avanti senza sosta. Costoro non sono considerate persone (tranne alcuni, che avevano il ruolo di precettori domestici), ma arnesi di lavoro, e lasciati morire se ammalati o vecchi. Tale comportamento era dovuto all'ondata di schiavi provenienti dalle province che si ebbe nel II secolo a.C., con le grandi conquiste in Oriente. Già nel 135 a.C. Euno, uno schiavo, aveva fomentato una rivolta nell'odierna Enna uccidendo i padroni ed impadronendosi del loro terreno assieme ad altri complici, ma tale gesto fu spento nel sangue. Nel 73 a.C., si preparava una sommossa di proporzioni ancora maggiori. Infatti a Capua in quell'anno uno schiavo (probabilmente Trace) di nome Spartaco condannato a fare il gladiatore si ribellava al proprio lanista Lentulo Batiato assieme ad un'orda di schiavi d'ogni etnia e sesso. La mossa fu vista come un affronto d'indicibile gravità dai romani, che tuttavia, trattandosi di schiavi, presero la situazione sottogamba. Fu un errore fatale. Infatto Spartaco ed i suoi vinsero i romani più volte, fra le quali una celebre battaglia alle pendici del Vesuvio, e proseguirono fino al nord Italia, dove però il gruppo si divise in due. Uno, guidato dal luogotenente di Spartaco Crixo, decise di andare verso l'Italia Meridionale, e bloccare l'approvvigionamento di Roma; l'altro volle ritornare nelle terre d'origine dei barbari che componevano il gruppo, a partire dalla vicina Gallia. Crixo tuttavia incappò nel console Publicola, che lo vinse e lo uccise. Spartaco ne onorò la memoria facendo combattere i prigionieri romani come gladiatori.

Spartaco non si lasciò tuttavia intimorire dalla morte di Crixo, ma proseguì fino all'oltralpe, mentre il senato romano incominciava a preoccuparsi veramente, dopo varie e tremende sconfitte che erano costate parecchie perdite ai romani. Spartaco, a questo punti, compì una manovra inaspettata: non fece rotta verso la Gallia, ma tornò in Lucania, forse per rifornire il proprio equipaggiamento. A questo punto fu Marco Licinio Crasso a prendere la situazione in mano, chiedendo ed ottenendo il comando su otto legioni, che rese fedeli con una sanguinosa disciplina. Infatti Crasso non esitò a fare ricorso alla decimazione, pur di spegnere la rivolta di Spartaco, che intanto si stava dirigendo in Sicilia, per dar man forte ad una rivolta di schiavi indipendente dalla sua. Ma fu Crasso stesso a prevenire tale mossa, in complicità col governatore di Sicilia Verre, noto per i suoi crimini efferati; di fatti, fu fortificata Messina, e fu creato un muro che sbarrasse i rifornimenti che giungevano a Spartaco attraverso disperati e disertori. Ma il Trace riuscì ad abbattere anche questo blocco, e riuscì a passare in Puglia, dove vinse Crasso. Tuttavia, a questo punto, l'esercito degli insorti era debole e stanco: una serie di tradimenti e indiscipline da parte dei suoi uomini contribuirono alla sconfitta definitiva di Spartaco nel 71 a.C. per mano di Crasso. Spartaco morì in battaglia, ed il suo corpo non fu mai riconosciuto; i suoi sostenitori furono invece appesi crocifissi per la via Appia fra Roma e Capua.

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Gli schiavi crocifissi, Fedor Bronnikov, 1878

La vittoria su Spartaco ed i suoi fu di fatto merito di Crasso, ma Pompeo, che abbiamo già incontrato, giunse all'ultimo e si prese il merito della vittoria. Ciò spinse Crasso all'invidia (caratteristica in lui preponderante, secondo Plutarco), ma non alla rivalità. Infatti ben presto Crasso e Pompeo si alleeranno, dando il via ad uno dei più grandi atti della fine della Repubblica.

Pompeo era nato nel 106 a.C. circa, ed era dunque di circa otto anni più giovane di Crasso. Come abbiamo accennato nel post precedente, si era già distinto nella guerra sociale affianco al padre Pompeo Strabone, ed era stato inviato in Spagna a contrastare la rivolta di stampo popolare di Quinto Sertorio, che fu prontamente spenta col sangue. Tornato in Italia nel 71 a.C., combatté l'ultima parte della rivolta di Spartaco. Questi trionfi gli fecero assumere il titolo di magnus, ma aumentarono anche i sospetto del senato, che temevano che i suoi trionfi potessero favorire una rinascita di un'autarchia come quella sillana (e di fatto Pompeo, come Silla e Crasso, era uno degli optimates). Non si sbagliò del tutto. Difatti Pompeo nel 70 a.C. fece accampare i suoi soldati poco lontano da Roma, facendo pressioni sul senato e rendendolo console assieme a Crasso senza aver percorso il cursus honorum. Nel loro consolato, Pompeo e Crasso corressero le riforme sillane che emarginavano i non-patrizi dalle cariche di potere, anche perché Crasso stesso era un cavaliere. Nel 67 a.C. tramite la celebre Lex Gabinia fu permesso a Pompeo di far guerra ai pirati che ormai da tempo infestavano il Mediterraneo. Pompeo ebbe la meglio anche in questo caso, e trionfò nuovamente quando dovette affrontare, l'anno dopo, Mitridate VI re di Ponto, che stavolta, sconfitto, si suicidò, lasciando il suo regno in mano al figlio Farnace. Per dimostrare dedizione al Senato ed allo Stato, Pompeo, quando tornò da vincitore, sciolse le sue truppe a Brindisi.

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Ritratto di Pompeo

Pompeo e Crasso stavano dando un nuovo saggio della decadenza della repubblica, quando emerse un sinistro personaggio: Lucio Sergio Catilina. Costui, membro della gens Sergia, che da tempo non riusciva ad assurgere a cariche importanti nell'organizzazione dello Stato, provò a divenire console designato per l'anno 64 e 63 a.C., fallendo tutte e due le volti per via dei suoi numerosi debiti e del mancato svolgimento del cursus honorum da parte sua. A ciò si aggiunse anche il fatto che i patrizi non lo vedevano di buon occhio, e probabilmente evitarono la sua elezione tramite brogli elettorali e gesti non proprio leciti. Catilina non si arrese, e organizzò una congiura. Appiano di Alessandria così ci parla della preparazione della cospirazione:

Catilina dunque si astenne completamente dall'amministrazione dello Stato per questo, che non portasse nessuna forma di governo assoluto in modo rapido e grande, ma fosse piena di discordia e malevolenza; raccogliendo numerose ricchezze da molte donne, le quali speravano che i mariti morissero nell'insurrezione, congiurò con parecchi del Senato e dei cavalieri, radunando assieme sia popolani che schiavi che servitori. Fra tutti i suoi capi furono Cornelio Lentulo e Cetego, i quali erano pretori della città. Non solo mandò attraverso l'Italia i Sillani ma anche coloro che desideravano cose simili, non solo mandò Gaio Manlio a Fiesole di Etruria, ma anche gli altri a Piceno ed in Puglia, i quali gli radunarono un esercito in segreto.

Traduzione mia

La cospirazione di Catilina era stata tuttavia organizzata di fretta e senza troppa cautela. Fu Curio, uno dei congiurati, a rivelare all'amante Fulvia la congiura. L'uomo lo fece per farsi bello alla donna, ma questa decise di tradire la confidenza di Curio e andare a rivelare la congiura ad uno dei due consoli di quell'anno, Cicerone, che aveva fatto molta carriera dai tempi di Sesto Roscio Amerino. Cicerone denunciò dunque violentemente ai senatori riuniti al Tempio di Giove Statore la cospirazione di Catilina, quando Catone, altra vittima dei brogli, sollevò la questione dei brogli elettorali avvenuti per l'elezione del console Licinio Murena. Catilina, vistosi perduto, si ritirò in Etruria, ma non furono altrettanto rapidi alcuni dei suoi complici come i sopracitati Lentulo e Cetego, che, rinchiusi nel Carcere Mamertino, furono giustiziati senza il regolare appello al popolo, cosa che costerà molto cara a Cicerone in futuro.

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Cicerone accusa Catilina davanti al Senato, Herbert Schmidt, 1920

Catilina in Etruria organizzò l'esercito che teneva segreto, che in realtà era piuttosto piccolo. Decise a dare il tutto per tutto, provò a dirigersi verso la Gallia Cisalpina, ma gli sbarrò la strada Marco Petreio presso Pistoia, dove avvenne una violentissima battaglia nella quale lo stesso Catilina perse la vita. Cicerone si glorificò molto della sua vittoria sul rivale, tant'è vero che nelle sue orazioni contro Catilina, le Catilinarie o Orationes in Catilinam si attribuisce gran parte del merito per la salvezza dello Stato. Tuttavia la cospirazione di Catilina dimostrava solamente ancora una volta il livello di estremo degrado che avevano raggiunto le istituzione, e delle quali Cicerone, in un modo o nell'altro, era rappresentante.

Nella cospirazione furono coinvolti nomi illustri, quali quelli di Marco Licinio Crasso ed un emergente politico, imparentato con Gaio Mario: Gaio Giulio Cesare. Costui nacque a Roma il 13 Luglio dell'anno 100 a.C. Sebbene la sua famiglia, la gens Iulia, fosse illustre ed antichissima, la famiglia di Cesare non versava in buone condizioni, tant'è vero che il giovanissimo Cesare crebbe nelle strade del quartiere del Suburra, fra le insulae, schiamazzi e risse da strada. Aveva neppure vent'anni quando Silla si impose quale dittatore della città. Per le sue origini, Cesare entrò in contrasto con Silla, che voleva spingerlo a ripudiare Cornelia, sua moglie e figlia di quel Cinna che aveva dominato Roma prima dell'avvento di Silla. Cesare rifiutò, e ottene dunque la persecuzione di Silla, che gli tolse anche ogni onore e ricchezza. Cesare era costretto, nonostante soffrisse di salute cagionevole, a cambiare continuamente nascondiglio, finché non ottenne l'intercessione da parte delle Vestali e Mamerco Emilio ed Aurelio Cotta, suoi parenti ed amici. Pare che in questa occasione, secondo Svetonio, Silla esclamò:

Esultate e tenetevelo stretto, ma sappiate che colui che volete salvo ad ogni costo un giorno sarà la rovina del partito aristocratico che voi avete difeso insieme con me. In Cesare, infatti, sono nascosti molti Mari.

Traduzione di Progetto Ovidio

Cesare spese la giovinezza in Oriente, dove fece il servizio di leva. Si attardò molto in Bitinia, dove si dice si prostituì al re Nicomede, diceria che continuerà a perseguitarlo per tutta la vita. Quando morì Silla, Cesare rientrò in città cercando di approfittare della situazione a lui vantaggiosa, ma ben presto lasciò Roma, in seguito ad una serie di discordie con alcuni membri del Senato, per ritirarsi a Rodi presso il maestro di retorica Apollonio Molone. Tuttavia nel viaggio fu catturato da dei pirati presso l'isola di Farmacusa, presso i quali rimase quaranta giorni, schernito da minacce ed insulti. Quando il suo riscatto (che consisteva in cinquanta talenti) fu pagato appieno, Cesare fu rilasciato, ma non perse tempo: radunò una flotta, sbaragliò i pirati e li condannò alla crocifissione.

Cesare, a differenza di Pompeo, compì il regolare cursus honorum, in una carriera politica che culminò col proconsolato di Spagna nel 61 a.C. Fra l'altro, come accennato, Cesare era stato tentato di partecipare alla congiura di Catilina, ma si limitò a simpatizzare per essa, cercando di spingere i Senatori, nel ruolo di pretore, alla grazia per i cospiratori.

Dopo essersi arricchito durante il suo proconsolato, Cesare tornò in patria e si guadagnò il favore dei populares, agendo come Pompeo (del quale era divenuto cognato nel 67 a.C. sposando Pompea) e Crasso per arginare le riforme sillane. Ormai la strada era spianata per un accordo fra i tre uomini più potenti dello Stato, che prese il nome di Primo Triumvirato (60 a.C.), che ebbe carattere privato e prevedeva la divisione della guida dell'ormai decadente Repubblica. Tutti e tre i membri dell'accordo ne trassero vantaggio: Pompeo ottenne infatti terre da donare ai suoi veterani, Crasso riforme a favore dell classe dei cavalieri alla quale, come abbiamo detto, apparteneva, e Cesare il consolato per il 59 a.C., durante il quale acquisì ancora ulteriore fama donando terreni ai plebei e limitando il potere di veto del Senato, da lungo abusato per stroncare le leggi non gradite all'aristocrazia.

Nel 58 a.C., Cesare inizia il suo proconsolato in Gallia. Questa campagna bellica è forse la più famosa dell'antichità, e contribuì non solo a far crescere in modo esponenziale la fama di Cesare, ma anche il territorio di Roma. Infatti le Gallie, conquistate fra il II ed il I secolo a.C., comprendevano due sole province: la Gallia Cisalpina, che si trovava appena a Nord del fiume Rubicone ma a Sud delle Alpi, e la Gallia Narbonense, che prendeva grosso modo la Provenza. Cesare partì da un incursione di uno dei popoli della Gallia, gli Elvezi, ai danni degli Edui, per accrescere il controllo di Roma, fino a conquistare tutta la Gallia Celtica (che copre sostanzialmente tutta la Francia) fino a toccare la costa settentrionale e spingersi fino in Britannia, dove ebbe modo di compiere conquiste assai limitate durante due campagne avvenute negli anni 55 e 54 a.C. La vittoria definitiva la raggiunse scontrandosi con Vergingetorige, capo degli Arverni, che riuscì a tener testa per un certo periodo a Cesare, prima di arrendersi e, secondo un celebre aneddoto, gettare le armi ai piedi del proconsole nelle celeberrima resa d'Alesia, dicendogli, secondo Floro:

Prendi, hai vinto un uomo valoroso, tu che sei un uomo valorosissimo!

Traduzione da Wikipedia, autore ignoto

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Vergingetorige getta le sue armi ai piedi di Giulio Cesare, Lionel Royer, 1899

La campagna gallica era durata in tutto dal 58 al 52 a.C. (fino al 51 a.C. furono in realtà condotte campagne minore da parte dell'ufficiale Aulo Irzio), con una sola, breve interruzione nel 56 a.C., dovuta al ritorno di Cesare in patria per rinnovare il patto fra lui, Pompeo e Crasso a Lucca. Tuttavia, durante tutta la durata del proconsolato di Cesare, Roma affrontò un decennio difficile. Cicerone fu esiliato nel 58 a.C. su istigazione dello scatenato tribuno della plebe Clodio Phulcro, suo acerrimo nemico, poiché, come abbiamo detto, aveva sottratto i congiurati di Catilina al giudizio popolare di prassi. Cesare (che al momento dell'avvenimento ancora era a Roma) probabilmente simpatizzò per tale esilio, essendo Cicerone uno dei più agguerriti optimates e dunque un nemico piuttosto arcigno di Cesare. Cicerone ritornò solo un anno dopo, dove riprese a lottare contro Clodio, che girava con facinorose bande per le strade della città a gettare scompiglio e disordine. Fra l'altro di Clodio abbiamo solo ritratti negativi dalle fonti antiche, e ciò è dovuto principalmente dal fatto che gran parte di ciò che sappiamo di lui lo abbiamo appreso attraverso Cicerone; quantunque non si fosse trattato di un personaggio fosco come viene descritto, è tuttavia innegabile che Clodio fosse un gran demagogo. Nel 53 a.C. Crasso, invidioso dei successi degli altri due triumviri, decise di fare una campagna contro i Parti assieme al figlio Publio. Crasso sperava di essere celebrato per una grande impresa, ed invece andò incontro al suo destino: lui ed il figlio perirono in battaglia, i romani furono sbaragliati contro il generale Surena e due aquile furono perse. Fra l'altro si narra che a Crasso fu fatto ingerire oro fuso bollente come sorta di punizione per la sua nota avidità. Era da poco giunta la notizia della sconfitta, che Clodio fu assassinato sulla Via Appia da Milone, tenace avversario del primo. Le dinamiche dell'accaduto sono ancora dubbie, ma ci fu senz'altro una grande furia da parte del popolo che chiedeva giustizia, fomentati dall'energica moglie di Clodio Fulvia, che rincontreremo spesso negli anni a venire. Cicerone provò a difendere Milone, ma fu tutto vano, e tutto si risolse nell'esilio di quest'ultimo. Pompeo intanto si faceva padrone della città; infatti, morto Crasso, era su di lui che il Senato faceva pressioni, vedendolo come un paladino dell'aristocrazia che poteva contrastare Cesare. Cicerone provò a mediare fra le due parti, disperando per la salvezza della Repubblica morente, ma i suoi sforzi furono vani.

I rapporti fra Cesare e Pompeo erano ormai tesissimi. Il primo inviò allora nel 49 a.C. una lettera in Senato, dove dichiarava che era disposto a sciogliere l'imperium sulle sue truppe se Pompeo avesse fatto altrettanto (infatti questi aveva il controllo di un esercito pur essendo dentro il pomerium; a lui era consentito in quanto agiva nell'interesse del Senato). I senatori, ostili a Cesare, mandarono il monito a questi di sciogliere le truppe subito, se non voleva essere dichiarato nemico pubblico. Cesare allora non ebbe altra scelta: a gennaio del 49 d.C. varcò il Rubicone, che, ricordiamolo, segnava il confine del pomerium, dicendo la famosa frase 'il dado è tratto' (o più correttamente 'il dado è stato tratto'), in latino (come ci riporta Svetonio) alea iacta est oppure in greco (come ci riporta Plutarco) ἀνερρίφθω κύβος. Tale gesto, divenuto simbolico come pochi, segnò l'inizio di una nuova Guerra Civile.

Pompeo preferì ritirarsi subito in Grecia, dove aveva un esercito, per cercare di accerchiare Cesare con altre truppe presenti in Spagna. Tuttavia quest'ultimo prevenne con efficienza tale strategia, dirigendosi prima in Spagna e sbaragliando i pompeiani lì collocati, e solo in seguito procedendo verso la Grecia. Pompeo non fu capace di reagire, e, sconfitto nella violenta battaglia di Farsalo (48 d.C.), ormai abbandonato da tutti i suoi seguaci, decise di fuggire a Lesbo, dove si ricongiunse con la moglie Cornelia ed il figlio Sesto (tenete a mente questo nome, che ci servirà in futuro). Da qui salpò in Egitto, cercando ospitalità presso il giovanissimo faraone Tolomeo XIII, che non aveva ancora varcato la soglia dei 15 anni. Il giovane sovrano, consigliato dall'eunuco Potino, decise di far uccidere a tradimento Pompeo per ingraziarsi Cesare, che stava arrivando. L'esecutore fu Lucio Settimio, vecchio compagno d'armi di Pompeo, che lo pugnalò a tradimento, dopo essersi fatto riconoscere e averlo avvicinato. Il corpo di Pompeo fu ance decapitato, e la sua testa fu offerta in dono a Cesare, ormai giunto in Egitto, ma questi fu profondamente sdegnato dal tradimento del quale Pompeo era stato vittima e del modo ignominioso col quale era stato ucciso.

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La testa di Pompeo, Giovanni Antonio Pellegrini, XVIII secolo

In Egitto, Cesare strinse una relazione con la sorella maggiore di Tolomeo XIII, Cleopatra VII, meglio nota come Cleopatra, che andò ad acquisire sempre un maggiore favore nei pressi di Cesare, anche dopo che questi la fece sposare col fratello. Tolomeo XIII volle reagire a questa manovra della sorella e del futuro dittatore: si alleò dunque con la sorella Arsinoe IV e marciò contro Cesare, il quale tuttavia ebbe la meglio. Tolomeo XIII, in fuga, annegò, e Cleopatra venne eletta come unica sovrana d'Egitto.

Pompeo era dunque vinto, ma ciò non voleva affatto dire che i nemici di Cesare fossero tutti scomparsi: questi dovette infatti prima affrontare Farnace, figlio di Mitridate re del Ponto, che si era ribellato come il padre, poi Catone, discendente di Catone il Censore, che si era stabilito in Africa. Dopo essere stato vinto a Tapso, Catone si asserragliò ad Utica e lì si uccise per non sottostare alla tirannia di Cesare. Nel 45 a.C., in Spagna, a Munda, furono vinti i due figli di Pompeo, uno omonimo del padre, l'altro Sesto. Il primo morì, il secondo riuscì a fuggire.

Ormai Cesare era il padrone incontrastato di Roma e del mondo. Rientrò a Roma trionfante, portandosi dietro Cleopatra, che si stabilì per un certo periodo nella capitale col figlioletto Tolomeo XV detto Cesarione, poiché avuto probabilmente da Cesare stesso. I festeggiamenti per il trionfo di Cesare durarono un anno intero, per via delle numerose vittorie conseguite. Furono giustiziati i prigionieri di guerra, fra i quali Vergingetorige, che trovò la morte nel Carcere Mamertino, e Cesare fu nominato dittatore a vita. Ormai la Repubblica cadeva a pezzi, e quest'ultima mossa di Cesare ne fu la prova definitiva. Silla, alla fine, non si era sbagliato sul suo conto.

Cesare rimase dittatore solo per un anno, ma attuò parecchie riforme in vari campi. Il suo prestigio crebbe esponenzialmente, infatti gli furono conferiti i titoli di imperator, ovvero supremo comandante militare, e pater patriae, titolo rarissimo, raggiunto solo da Romolo, Furio Camillo per aver salvato Roma dai Galli di Brenno e Cicerone per la sua azione contro Catilina. Fra l'altro, Cicerone stesso, pur essendo nemico di Cesare, non fu da questi giustiziato, ma fu semplicemente escluso dalla vita politica. Il celebre oratore iniziò perciò a scrivere trattati di varie materie, ritirandosi nello studio.

Ormai Cesare era di fatto il padrone di Roma, e ciò non fu visto di buon occhio da un gruppo di aristocratici guidati da Marco Giunio Bruto, che era stato scelto come erede da Cesare, e Gaio Cassio Longino. Infatti costoro temevano che si potesse instaurare una monarchia con un re, parole aborrite al popolo romano sin dai tempi della cacciata dei Tarquini. Bruto si diceva fra l'altro discendente di Lucio Bruto, che contribuì a scacciare l'ultimo re di Roma. Questa sua presunta discendenza fu sollecitata da delle scritte sue muri fatte da cittadini mossi dal malcontento, nonché dalla paura di Bruto stesso che Cesare diventasse re. Durante il 45 a.C., in realtà, durante i Lupercalia, una festività che si svolgeva a Febbraio, a Cesare era stata offerta una corona per tre volte, e per tre volte lui l'aveva rifiutata. Tuttavia, tale azione fu probabilmente vista più come un modo di abbonire la folla sulle sue presunte ambizioni, che come una scelta dettata da mire politiche personali. Bruto e Cassio raccolsero con loro un elevato numero di aristocratici fra i quali Casca, Cimbro, Decimo Bruto ed altri, anche loro sospettosi riguardo a Cesare. Durante le idi di Marzo (che si svolgevano il 15 del mese come a Maggio, Luglio ed Ottobre, ma al contrario dei restanti mesi nei quali si svolgevano il 13) Cesare fu ucciso da 23 pugnalate mentre il Senato era riunito nella Curia del teatro di Pompeo, essendo la Curia Iulia, dove si riuniva di solito il Senato, temporaneamente inservibile per un incendio. Ecco come si svolsero i fatti secondo Plutarco:

Antonio dunque, che era fedele a Cesare e robusto, lo tratteneva fuori Bruto Albino, avendo iniziato intenzionalmente una discussione che tirava per le lunghe; e mentre entrava Cesare il senato si alzò facendo atto di riverenza, e tra i complici di Bruto alcuni si disposero dietro il suo seggio, altri invece si fecero incontro proprio come se intendessero rivolgergli una supplica assieme a Tillio Cimbro che lo supplicava per il fratello esule, e parteciparono insmeme alla supplica accompagnandolo fino al seggio. Ma poiché, sedutosi, respingeva le richieste e, siccome insistevano più decisamente, era arrabbiato con ciascuno (di loro), Tillio afferrando la sua toga con entrambe le mani la tirò giù dal collo, il che era il segnale convenuto dell'attentato. E per primo Casca lo colpisce con una spada vicino al collo (procurandogli) una ferita non mortale né profonda, ma, come è naturale, emozionato all'inizio di una importante azione temeraria, tanto che anche Cesare, voltatosi, afferrò il pugnale e lo trattenne. E nello stesso tempo gridarono in qualch modo, il ferito in latino: "Disgraziatissimo Casca, che cosa fai?" e colui che lo aveva ferito, in greco, rivolto al fratello: "Fratello, aiuta(mi)." E tale essendo stato l'inizio, quelli che per nulla erano consapevoli li prese spavento e terrore di fronte alle cose che accadevano, tanto che non osavano né fuggire, né difenderlo, ma neppure pronunciare una parola. Ma siccome di quelli che erano preparati all'assassinio ciascuno mostrava la spada sguainata, circondato intorno, e verso qualsiasi cosa rivolgesse lo sguardo, imbattendosi in ferite e in armi puntate sia contro il volto sia contro gli occhi, cercando di allontanarsi come una fiera era avvolto dalle mani di tutti; tutti quanti infatti bisognava che compissero e assaggiassero l'assassinio. Perciò anche Bruto gli inferse un unico colpo nell'inguine. E da parte di alcuni si dice che allora difendendosi dagli altri e spostandosi qua e là e gridando, quando vide Bruto che aveva sguainato la spada, tirò la toga sulla testa e si lasciò cadere, sia per caso, sia spinto da coloro che lo uccidevano, presso la base su cui è collocata la statua di Pompeo. E l'assassinio la insanguinò abbondantemente, tanto da sembrare che lo stesso Pompeo presiedesse alla vendetta sul nemico, steso sotto i (suoi) piedi e agonizzante per il gran numero delle ferite. Si dice infatti che ne abbia ricevute ventitré, e molti furono feriti gli uni dagli altri, dirigendo tanti colpi contro un solo corpo.

Traduzione di Poesia Latina

Come piccola nota aggiuntiva, è dubbio se Cesare abbia pronunciata o meno la famosa frase 'Anche tu Bruto, figlio mio', stupendosi di vedere Marco Bruto fra i suoi carnefici: infatti Plutarco, come abbiamo visto, non lo riporta, mentre Svetonio dice che Cesare cadde senza dire nulla, limitandosi a riportare la frase come una voce sentita ma dubbia. Comunque sia, secondo Svetonio l'avrebbe detta in greco: dunque nonTu quoque, Brute, fili mihi, ma καὶ σύ, τέκνον. È anche possibile che il destinatario non fosse neppure Bruto stesso, ma l'omonimo congiurato Decimo Bruto, anch'esso amato da Cesare. A prescindere da tutto, Cesare morì, secondo i congiurati, per la salvezza della Repubblica. Tuttavia, quest'ultima era ormai soggetta ad un irreversibile declino. L'atto di Cesare, Pompeo e Crasso si era chiuso in modo violento, ed ogni tentativo di tornare indietro risultava ormai vano agli occhi di chiunque. L'assassinio di Cesare apriva dunque l'ultimo atto della fine della Repubblica.

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L'assassinio di Cesare, Karl Theodor Von Piloty, 1865

Fine Parte 2

Edited by Labarbadiadriano - 20/9/2016, 13:56
 
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view post Posted on 18/9/2016, 06:26
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Hai scritto tantissimo, Giacomo.
Ti leggo appena posso e ti ringrazio della tua fattiva collaborazione! :)
 
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Sfascia-calderoni

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CITAZIONE (chiara53 @ 18/9/2016, 07:26) 
Hai scritto tantissimo, Giacomo.
Ti leggo appena posso e ti ringrazio della tua fattiva collaborazione! :)

Ringrazio sia te che Ida. Temo di essere stato un po' prolisso, ma essendo questo un argomento che suscita il mio più profondo interesse ho voluto parlarne di modo che tutti possano apprezzarlo. Spero che la lettura venga gradita.
 
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view post Posted on 18/9/2016, 17:06
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CITAZIONE
Tiberio Gracco volle rimettere in sesto le cose. La legge prevedeva che il limite delle terre sul territorio dello Stato posseduto da un ricco latifondista nonsuperasse i 125 ettari (500 iugeri); i 1000 iugeri sarebbe stato invece il limite per una singola famiglia. Le terre 'in più' venivano sarebbero state distribuite a 30 iugeri ai cittadini impoveritisi, in cambio di un canone annuo

Ci ha provato almeno...
CITAZIONE
il fratello di Tiberio, Gaio, tentò di continuare l'opera del parente, ma alcuni suoi provvedimenti, come la proposta di fare gli italici cittadini romani, si rivelarono troppo arditi, e ciò condusse alla caduta di Gaio: isolato dal Senato, da questo dichiarato nemico pubblico, provò a fomentare una rivolta, ma fallì e si fece uccidere da uno schiavo in un boschetto sacro sul Gianicolo per non cadere in mano ai nemici.

E sono due...

CITAZIONE
Gaio Mario decise di prendere in mano la situazione quando nel 107 a.C. fu eletto al consolato. Egli decise di riformare l'esercito, rendendo il soldato romano non più un semplice cittadino in armi, ma un vero e proprio professionista, il quale equipaggiamento non era più pagato di tasca propria, ma dallo Stato. Dunque chiunque poteva arruolarsi volontariamente, e avere una carriera professionale di sedici anni al termine della quale riceveva un appezzamento di terreno e anche, se già non ce l'aveva, la cittadinanza romana. Molti fra i miseri scelsero questa via piuttosto che la miseria.

Mario e Silla...

***


Ho letto la prima parte e l’ho trovata esposta in modo semplice e chiaro.
Ti dico con estrema sincerità che non ho mai amato studiare la storia, sebbene sia stata costretta per sostenere gli esami di storia greca e romana, nei quali ho peraltro conseguito ottimi voti, ma è stata dura, durissima. :lol:

Ho apprezzato moltissimo il tuo modo di narrarla intercalandola con episodi straconosciuti e personaggi la cui vita e opere hai approfondito senza annoiare, né essere pedante.
Insomma io mi sono divertita a ripercorrere con te questo periodo.

Quello che mi resta in mente è senza dubbio la brama di potere personale di molti dei personaggi, ancorchè nelle cronache storiche siano stati considerati benefattori del popolo.

E la povera Cornelia, matrona austera, madre dei Gracchi, me la vedo a esprimere tutto il suo orgoglio nel pronunciare una frase tanto nota quanto falsa: questi sono i miei goielli!
Grazie per la collaborazione e per il fatto di aver notevolmente alleggerito la trattazione degli argomenti rispetto ai primi interventi.
Bravo, Giacomo! Ritieniti arruolato a contribuire a questa sezione. :D
 
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view post Posted on 18/9/2016, 17:48
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I ♥ Severus


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Aaaarg! Ancora non ho letto la prima parte e già hai inserito la seconda: aiuto!!! :o: :o: :o:
 
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view post Posted on 19/9/2016, 20:57
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Bravo Giacomo: bello e interessante (per ora ho letto solo la prima parte).
Se posso farti un piccolo appunto, un brano un po' troppo lungo e intenso, difficile da leggere a video e memorizzare facilmente (per lo meno, se hai già passato i cinquant'anni... :lol: ).
Ad ogni modo, grazie per tutto il tuo gradito lavoro! :)
Appena riesco proseguo la lettura: hai buttato sul piatto nomi molto interessanti...

CITAZIONE
L'esercito romano non si dimostrò all'altezza della situazione, infatti si fece facilmente corrompere da Giugurta, facendosi battere apposta in cambio d'oro e di gioielli.

Questa poi!!! Manco fosse una partita di calcio odierna, davvero incredibile! :woot:


CITAZIONE (chiara53 @ 18/9/2016, 18:06) 
Bravo, Giacomo! Ritieniti arruolato a contribuire a questa sezione. :D

Perfettamente d'accordo!
 
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view post Posted on 20/9/2016, 12:52
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Sfascia-calderoni

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Ringrazio entrambe, e sono contento che la mia scrittura sia riuscita non ampollosa, come spesso mi capita (da sempre mi si critica d'essere prolisso e molto fissato sui dettagli). Purtroppo ho notato più di un refuso, e devo dire che mi capita spesso di farli non per ignoranza grammaticale ma per semplice scrittura veloce, cambio di frasi e di forme ecc.

Spero di mantenere alte le aspettative con i prossimi post.
 
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view post Posted on 20/9/2016, 14:37
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;) :)
 
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view post Posted on 21/9/2016, 15:48
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Sfascia-calderoni

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I Cesari: prologo al principato

Parte 3

Avevamo lasciato Roma in preda al caos. Morto Cesare, i congiurati inneggiano alla libertà per le strade ad alla rinascita della Repubblica, ma i cittadini sono atterriti, non sanno che dire. Cesare era stato visto da Bruto, Cassio ed i suoi compagni come un pericoloso tiranno in cerca di potere, ma era, a prescindere dai suoi obiettivi, un politico capace ed onesto, il più grande esponente dell'aristocrazia romana. Stava inoltre preparando una guerra contro i Parti, secolari nemici di Roma che, ricordiamolo, avevano sconfitto Crasso nel 53 a.C.; e chissà cosa sarebbe successo se Cesare non fosse stato ucciso. Ma non era il caso di pensare ai problemi esteri, dato che a Roma stavano sorgendo nuove figure, che volevano spartirsi il vuoto enorme lasciato da Cesare.

Il Senato, come sempre, si dimostrò privo di polso ed incapace di prendere una decisione. Che avesse simpatizzato per l'attentato al dittatore, è cosa probabile, dato che Cesare aveva messo in discussione le sue prerogative, come altri avevano fatto prima; ma nulla poté contro l'amore che il popolo tributava a Cesare. Non era certo un amore insensato: infatti nel suo testamento Cesare aveva lasciato 300 sesterzi ad ogni cittadino romano e i suoi giardini attorno al Tevere al popolo. Così, mentre la classe senatoria gioiva dell'accaduto (Cicerone stesso, scrivendo ai congiurati, si rallegrò esplicitamente della morte di Cesare), la plebe spinse alla fuga di Cassio, Bruto e compagni.

In questa situazione così complessa emerse Marco Antonio, uno dei luogotenenti più fidi di Cesare. Costui lo aveva accompagnato sin dai tempi del primo triumvirato, ed aveva parzialmente preso parte alla campagna bellica in Gallia. Nell'anno del cesaricidio, era console con Cesare stesso, e in casa sua che si diede lettura del testamento del dittatore. Rimasto deluso dall'assenza del suo nome fra i lasciti di Cesare, Antonio cercò di emergere comunque sull'erede designato (Gaio Ottavio Turino, in seguitò Ottaviano, pronipote del dittatore, che in quel momento si trovava a preparare la succitata campagna contro i Parti) evitando, almeno per il momento, la guerra civile: infatti propose una amnistia per i congiurati e decise di mandare avanti le riforme del dittatore, proponendo così una politica incline al partito dei populares, mentre lo osteggiava Cicerone, membro conservatore degli optimates che pure aveva aiutato Antonio a far carriera in gioventù, e ritornato sulla scena politica più energico che mai dopo la morte del dittatore. Fu sempre Antonio a parlare durante i funerali di Cesare, pronunciandone l'elogio funebre, scena che viene riproposta nel Giulio Cesare di Shakespeare.

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L'orazione di Marco Antonio, George Edward Robertson

Le mire di Antonio furono però messe in discussione dall'erede designato di Cesare che, come abbiamo detto sopra, era Gaio Ottavio Turino. All'epoca del cesaricidio Ottavio aveva ancora 18 anni (era nato nel 63 a.C.), ma dimostrava già una particolare intelligenza politica. Con l'adozione da parte di Cesare, Ottavio assumeva il nome di Gaio Giulio Cesare Ottaviano. Noi ci riferiremo a lui come Ottaviano da questo punto in poi, ma è bene sapere che a quell'epoca i romani non lo chiamavano Ottaviano ma Cesare.

Ottaviano giunse in città, con la naturale sicurezza di chi è stato scelto quale legittimo erede da un dittatore potentissimo. Egli riuscì ad ammiccarsi il favore dei romani a scapito di Antonio. Infatti, mentre quest'ultimo esitava nel compiere la distribuzione di sesterzi prevista da Cesare, dato che ritenne fosse necessaria una ratificazione del testamento del dittatore, Ottaviano anticipò la somma alla plebe usando le sue stesse sostanze. Ciò non gli attirò chiaramente le simpatie di Marco Antonio, che, a quanto pare, lo definiva un giovane senza esperienza che aveva raggiunto il suo posto di prestigio solo grazie a Cesare. Il Senato invece vedeva nel giovane Ottaviano un modo per eliminare Marco Antonio. Infatti i senatori, compreso Cicerone, lo ritenevano fedele alla causa repubblicana e facile da manipolare.

Il potere si andava dunque polarizzando per la terza volta fra due contendenti: da una parte l'esperto Antonio, dall'altra Ottaviano, erede designato. Il primo vide la sua posizione di favore in pericolo, specialmente a causa dello sfavore nei suoi confronti di Ottaviano. Cicerone stesso scrisse le sue famose Filippiche, ovvero delle orazioni contro Antonio. Quest'ultimo decise quindi di appoggiarsi su delle legioni stanziate in Macedonia per prendersi la Gallia Cisalpina, che gli era stata assegnata con una regolare legge, e riprendere il controllo della situazione che precipitava. Mentre Antonio era occupato nelle sue azioni militari, Ottaviano si guadagnò il favore dei veterani di Cesare con delle elargizioni. Poco più tardi, il permesso dato ad Antonio di assediare la Gallia Cisalpina fu abrogato e gli fu imposto di ritornare. Al rifiuto di questi, scoppiò una breve guerra civile fra Antonio ed Ottaviano, ai quali si aggiunse un fervido sostenitore del primo, Lepido. Le due fazioni si diedero guerra nel territorio di Modena, ed Ottaviano ne uscì vincitore, mentre Antonio e Lepido si ritirarono al di là delle Alpi, dichiarati ormai nemici pubblici. Ottaviano, tuttavia, giunto a Roma, fece revocare questa nomina, e li riconvocò, decise a stringere con loro un patto per la spartizione del potere. I tre giunsero ad un accordo stipulato presso Bononia (Bologna) chiamato Secondo Triumvirato (43 a.C.). A differenza del Primo Triumvirato, questo Secondo Triumvirato non era un accordo privato ma ratificato dai comizi, al punto da essere riconosciuta come una magistratura a sé stante.

La prima mossa dei tre fu quella di punire i propri nemici attraverso delle liste di proscrizione simili a quelle che Silla aveva stipulato circa 40 anni prima. Vittima illustre fu Cicerone, odiato ferocemente da Antonio, che lo fece uccidere da un suo sicario mentre l'oratore si trovava nella sua villa a Formia. Ecco come Plutarco, nelle sue Vite Parallele, parla della morte dell'oratore:

Ed egli, come era solito, toccandosi le guance con la mano sinistra, impassibilmente rivolse lo sguardo ai sicari, ricoperto dal sudore e dalla capigliatura e disfatto nel volto dalle preoccupazioni, tanto che i più si coprirono il volto mentre Erennio lo uccideva. E fu ucciso mentre sporgeva il collo dalla lettiga, quando quello che trascorreva era il suo sessantaquattresimo anno. E, per ordine di Antonio, tagliarono la sua testa e le sue mani, con le quali aveva scritto le Filippiche. Cicerone stesso infatti intitolò Filippiche le orazioni contro Antonio e tuttora sono chiamate Filippiche.

Traduzione da Wikipedia, autore ignoto

Sia le mani che la sua testa furono esposti al Foro ed in senato. Fulvia, già moglie di Clodio ed ora moglie di Antonio, fu felice della morte dell'oratore, tant'è che Dione ci narra che con uno spillo dorato bucò la lingua della testa di Cicerone come vendetta per la sua ostilità al marito Antonio ed a sé stessa. Pare inoltre che Fulvia si distinse in crudeltà nella persecuzione dei proscritti, negando loro clemenza. D'altro canto, Fulvia ha sempre goduto di cattiva fama nelle fonti antiche: Velleio Patercolo ci dice persino che di donna non aveva nulla, se non il corpo. Se è probabile dunque che Fulvia abbia avuto una parte attiva persecutrice nella vicenda delle liste di proscrizione, forse le fonti, come spesso accade con personaggi tanto controversi, potrebbero averne demonizzato eccessivamente la figura.

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Fulvia con la testa di Cicerone, Pavel Svedomsky

In seguito, Antonio ed Ottaviano mossero guerra contro i cesaricidi, la quale amnistia era stata rotta da Ottaviano stesso, mentre Lepido fu lasciato a presidiare Roma. La battaglia si svolse a Filippi nel 42 a.C. Antonio si occupava delle schiere di Cassio, mentre Bruto fronteggiava quelle di Ottaviano. Antonio vinse Cassio, ma Ottaviano non ebbe successo contro Bruto, tant'è vero che si dice sia scappato subito dopo la sconfitta e si sia rifugiato in una palude o fra i legionari di Antonio. Cassio, osservando da un'altura, pensò tuttavia che anche Bruto fosse stato sconfitto, e preferì darsi la morte gettandosi sulla sua spada. Bruto pianse a lungo sul corpo del compagno, definendolo l'ultimo dei romani. La vittoria definitiva di Antonio ed Ottaviano non giunse molto tempo dopo, e anche Bruto si gettò sulla sua spada per non cadere in mano ai nemici.

Morti i capi dei cesaricidi (alcuni membri minori erano ancora in circolazione in realtà, ma tutti incontreranno una morte violenta entro l'anno 30 a.C.), la situazione sembrò essersi pacificata, e fu così per alcuni anni. I tre triumviri si divisero le province in tre aree di influenza: a Lepido spettò l'Africa, ad Antonio le Gallie e le province orientali e ad Ottaviano l'Italia e l'Europa Occidentale. Nel 41 a.C. scoppiò tuttavia una rivolta guidata da Fulvia e da Lucio Antonio, fratello di Marco Antonio. Infatti costoro temevano che l'influenza di Ottaviano, rimasto in Italia, aumentasse a scapito di quella di Antonio. Inoltre Fulvia volle forse farsi notare dal marito, che in Egitto andava stringendo una relazione con Cleopatra, già amante di Cesare. Per fomentare la rivolta, i due fecero leva sul malcontento che si era generato quando Ottaviano, per premiare i veterani di Filippi, fece delle ampie confische territoriali in Etruria e donò quegli appezzamenti di terra ai suoi soldati. Lucio e Fulvia, dopo aver radunato un esercito a Preneste, provarono a far cadere Ottaviano durante il consolato del primo (41 a.C.), facendo perno su una piccola fetta di senatori che si opponevano ad Ottaviano. Tuttavia la fama di quest'ultimo presso gli eserciti risultò troppo forte, e Lucio e Fulvia furono costretti a ritirarsi a Perugia, dove Ottaviano li asserragliò fra il 41 ed il 40 a.C., fino alla loro resa. La vendetta di Ottaviano ricadde su Perugia, dove il triumviro compì degli eccidi di massa, prima di distruggerla del tutto. Fulvia e Lucio ebbero invece salva la vita, ma la prima morì poco dopo, mentre si trovava in esilio in Grecia, per cause non ben chiare, forse per amalttia. Antonio pare non appoggiò la rivolta, per non scaturire nuovi contrasti fra lui ed Ottaviano; d'altro canto Ottaviano preferì risparmiare Fulvia e Lucio per lo stesso motivo.

Nel 38 a.C. fu rinnovato il patto fra i tre triumviri, ma subito dopo si andarono a creare dei dissapori: infatti Antonio, la quale area di influenza comprendeva l'Egitto, disertò Roma del tutto e si trasferì ad Alessandria, dove coltivò la sua relazione con Cleopatra, ed ebbe da lei tre figli. Lepido invece, che controllava l'Africa, fu man mano scalzato da Ottaviano. L'ultimo trionfo dei triumviri fu quello di porre fine alla guerra, tramite un accordo, contro Sesto Pompeo, figlio di Pompeo che dopo essere fuggito da Munda si era fatto pirata e stava causando non pochi problemi con l'approvvigionamento della città, avendo occupato la Sicilia, la Sardegna e la Corsica. Subito dopo Antonio ritornò in Egitto, nonostante Ottaviano avesse ristabilito la pace col triumviro facendolo sposare con la sorella Ottavia Turina in occasione della guerra contro Pompeo, e sposò Cleopatra nel 37 a.C., ignorando ogni altro suo legame. La coppia incominciò a dare una prova assai scandalosa agli occhi dei Romani di sé, ma Antonio, ignorando queste voci, decise persino di celebrare il suo trionfo le sue deboli vittorie in Armenia in Egitto e non a Roma.

Lawrence_Alma-Tadema-_Anthony_and_Cleopatra

Antonio e Cleopatra, di Lawrence-Alma Tadema, 1885

Ottaviano, che era rimasto a Roma, decise dunque di eliminare del tutto Lepido, che avanzava pretese per il dominio della Sicilia sottratta al controllo di Sesto Pompeo (il quale era intanto stato ucciso da alcuni sicari di Antonio), esiliandolo al Circeo (dove rimarrà fino alla morte, sopraggiunta vent'anni dopo per cause naturali) e di presentare Antonio come un pericolo per lo Stato. Infatti si temeva che questi potesse farsi monarca assoluta allo stile ellenistico con Cleopatra, spostando la capitale da Roma ad Alessandria; una farsa che Antonio aveva messo in scena nel ginnasio di Alessandria, durante il quale, vestito da Dioniso, aveva donato le province orientali a Cleopatra ed a figli nel suo testamento, rafforzò la paura. Nel 33 a.C. il Senato reagì a tali sospetti dichiarando Antonio nemico pubblico, e Ottaviano fu libero di fargli guerra. Fra l'altro, pare che Ottaviano dovette mettere in risalto l'effeminatezza acquisita da Antonio durante il suo soggiorno 'dissoluto' in Egitto; addirittura, pare che dovette dire che Antonio aveva iniziato a truccarsi per convincere i suoi a muovergli contro.

Antonio aveva dalla sua sia le truppe egiziane sia alcune truppe romane a lui fedeli, capeggiate da Enobarbo. Antonio, aiutato da Cleopatra, provò a spostare il perno del conflitto in Occidente, ma tale mossa fu prevenuta ad Azio, in Grecia. Qui la flotta di Ottaviano e del suo fido Marco Vipsanio Agrippa si scontrò con quella egiziana. La battaglia è spesso esaltata a dismisura come un conflitto di epiche proporzioni, ma la realtà andò in modo ben diverso: vistasi in difficoltà, infatti, Cleopatra preferì fuggire quasi subito, ed Antonio, malato d'amore per la regina, la seguì subito dopo, mentre i soldati rimasero a combattere a lungo, sia per mare sia per terra, senza sapere che il proprio comandante li aveva abbandonati. I due amanti si ritirarono in Alessandria, ma Ottaviano li inseguì e invase l'Egitto nel 30 a.C. senza praticamente incontrare resistenza alcuna. Antonio allora, vistosi perduto e essendo stato tradito da alcuni suoi uomini quali Enobarbo, preferì suicidarsi, per non cadere in mano al rivale. Cleopatra si disperò per la morte dell'amante, e pochi giorni dopo, per evitare di essere trascinata a Roma come un trofeo per il trionfo di Ottaviano, si diede la morte attraverso il veleno d'un aspide secondo la tradizione più famosa o, più probabilmente, bevendo una miscela di sostanze tossiche.

640px-Death_of_Cleopatra_by_Rixens

La morte di Cleoptra, di Jean-André Rixens

Le morti di Antonio e di Cleopatra segnarono la fine dell'ultimo regno ellenistico, l'Egitto, che fu annesso alle province romane ed in seguito resa proprietà privata del Principe. Ottaviano decise di sopprimere Tolomeo XV/Cesarione, poiché essendo questo probabile figlio naturale di Cesare la sua esistenza avrebbe potuto causare ulteriori disordini. Ormai solo al comando, Ottaviano tornò a Roma come unico uomo al comando. La Repubblica era morta, e la fine di Cesare non aveva fatto altro che accelerarne la lenta agonia. Una nuova era si apriva all'orizzonte.

Edited by Labarbadiadriano - 22/4/2017, 17:20
 
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view post Posted on 21/9/2016, 18:47
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Devo ancora leggere la seconda parte, ma ce la posso fare :D
Ho dato solo un'occhiata e mi pare mooolto interessante quello che hai scritto.
Voglio leggerlo con calma.
 
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view post Posted on 21/9/2016, 20:33
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I ♥ Severus


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Aaaaaaaaarg! Posso, leggermente, dolcemente, senza crudeltà alcuna, ucciderti lentamente, Giacomo?
Ancora non ho letto la seconda parte e già pubblichi la terza... mi fai sentire indeguata, uffissima!!!
 
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view post Posted on 22/9/2016, 14:19
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Ooh... ti prego, puoi fare i messaggi più brevi, Giacomo? Per leggere con la dovuta attenzione ci vuole tempo e spesso non riesco a finire tutto il messaggio... e poi non mi ricordo più dove ero arrivata!!! :P :D
 
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view post Posted on 22/9/2016, 15:20
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CITAZIONE (Labarbadiadriano @ 18/9/2016, 00:28) 
L'episodio di Silla (e anche, parzialmente, quello di Mario) ha dimostrato appieno la decadenza delle istituzioni repubblicane, non più capaci di affrontare uomini forti ed autoritari. Ormai il senato è un gruppo di codardi, che cerca di proteggere non più gli interessi del popolo, ma solo i propri.

I fatti storici hanno la pessima abitudine di ripetersi (corsi e ricorsi...) ma sembriamo non voler imparare nulla dalle passate esperienze...

Mi è piaciuta molto la narrazione su Spartaco, di cui non conoscevo nulla se non lo scempio della realtà storica fattone dai film americani. E' scivolata via grazie ad uno stile scorrevole e piacevole che ha reso il tutto interessante e facile da leggere. Bravo!

Perdana la mia ignoranza, ma cos'è il cursus honorum?

CITAZIONE
... raccogliendo numerose ricchezze da molte donne, le quali speravano che i mariti morissero nell'insurrezione...

Questa è fantastica!!! Un vero esempio di amore muliebre! :lol:

CITAZIONE
La cospirazione di Catilina era stata tuttavia organizzata di fretta e senza troppa cautela. Fu Curio, uno dei congiurati, a rivelare all'amante Fulvia la congiura. L'uomo lo fece per farsi bello alla donna, ma questa decise di tradire la confidenza di Curio e andare a rivelare la congiura ad uno dei due consoli di quell'anno, Cicerone, che aveva fatto molta carriera dai tempi di Sesto Roscio Amerino. Cicerone denunciò dunque violentemente ai senatori riuniti al Tempio di Giove Statore la cospirazione di Catilina, quando Catone, altra vittima dei brogli, sollevò la questione dei brogli elettorali avvenuti per l'elezione del console Licinio Murena. Catilina, vistosi perduto, si ritirò in Etruria, ma non furono altrettanto rapidi alcuni dei suoi complici come i sopracitati Lentulo e Cetego, che, rinchiusi nel Carcere Mamertino, furono giustiziati senza il regolare appello al popolo, cosa che costerà molto cara a Cicerone in futuro.

Waaaaaao! E io finora ho ignorato tutto questo!!! Sì, sapevo che Cicerone se l'era presa parecchio con Catilina: diciamo che il Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra? è così famoso da essere conosciuto anche da chi non ha fatto il liceo, ma riguardo al contesto storico sapevo davvero ben poco. Oppure l'ho dimenticato... ma è più probabile che non lo abbia mai studiato più di tanto alle superiori... :(

CITAZIONE
Tuttavia nel viaggio fu catturato da dei pirati presso l'isola di Farmacusa, presso i quali rimase quaranta giorni, schernito da minacce ed insulti. Quando il suo riscatto (che consisteva in cinquanta talenti) fu pagato appieno, Cesare fu rilasciato, ma non perse tempo: radunò una flotta, sbaragliò i pirati e li condannò alla crocifissione.

Un tipetto decisamente deciso... ;)
Ok, Giulio Cesare ricordo di averlo studiato, ma anche in questo caso qualche particolare rilevante devono avermelo nascosto :rolleyes: , quindi grazie per aver colmato le mie lacune. :)
Storia era la mia materia preferita a scuola... e gli aneddoti che hai raccontato mi piacciono moltissimo, tra l'altro ben sottolineati anche dai quadri che hai inserito, e in generale ho gradito lo stile del tuo racconto, questa volta più leggero e scorrevole. Di nuovo bravo!

Altra mia domanda da ignorante:
CITAZIONE
sciogliere l'imperium sulle sue truppe

Anche se, più o meno, al concetto generale ci sono anche arrivata dal contesto della frase, cos'è esattamente l'imperium?

CITAZIONE
Il giovane sovrano, consigliato dall'eunuco Potino, decise di far uccidere a tradimento Pompeo per ingraziarsi Cesare, che stava arrivando. L'esecutore fu Lucio Settimio, vecchio compagno d'armi di Pompeo, che lo pugnalò a tradimento, dopo essersi fatto riconoscere e averlo avvicinato. Il corpo di Pompeo fu ance decapitato, e la sua testa fu offerta in dono a Cesare, ormai giunto in Egitto, ma questi fu profondamente sdegnato dal tradimento del quale Pompeo era stato vittima e del modo ignominioso col quale era stato ucciso.

E complimenti a Cesare.

CITAZIONE
Fra l'altro, Cicerone stesso, pur essendo nemico di Cesare, non fu da questi giustiziato, ma fu semplicemente escluso dalla vita politica. Il celebre oratore iniziò perciò a scrivere trattati di varie materie, ritirandosi nello studio.

Ecco, qui sarei curiosa di saperne di più. Come mai Cicerone, abile oratore e nemico di Cesare, resta in silenzio? Forse era nel frattempo invecchiato? O c'è stato un qualche tipo di accordo tra loro?

CITAZIONE
Durante il 45 a.C., in realtà, durante i Lupercalia, una festività che si svolgeva a Febbraio, a Cesare era stata offerta una corona per tre volte, e per tre volte lui l'aveva rifiutata. Tuttavia, tale azione fu probabilmente vista più come un modo di abbonire la folla sulle sue presunte ambizioni, che come una scelta dettata da mire politiche personali.

C'è una verità storica di questo fatto? Cesare era un re in pectore, o no?


CITAZIONE
Ecco come si svolsero i fatti secondo Plutarco:

Bellissimo il resoconto!


Un messaggio davvero molto lungo, ma che ho trovato molto interessante e ho letto con molto piacere.
Grazie, Giacomo!
:)



EDIT - In considerazione della complessità della discussione che hai impostato, ho ritenuto opportuno inserire un indice all'inizio con i collegamenti ai vari messaggi successivi.


Edited by Ida59 - 22/9/2016, 16:36
 
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