Grazie mille per il sostegno! Scusate per la mia presenza tanto sporadica, ma gli impegni mi assorbono completamente.
I Cesari: i flaviParte 2: due fratelli diversiNel 79, Vespasiano morì. Lasciava uno Stato ben ripreso dai tumulti e dai disordini del 69, ristabilendo la disciplina nell'esercito, a Roma, e stabilizzando la figura del principe quale monarca, che gradualmente assumeva sempre di più l'aspetto di sovrano assoluto, idea tanto invisa ai romani quanto ormai, e i più l'avevano capito, inevitabile. Vespasiano non ebbe problemi con la successione: aveva infatti due figli, Tito e Domiziano, i quali divennero ambo imperatori, ma che la storiografia ci ha tramandato in modo assai differente.
TitoFin dall'infanzia emersero in lui le qualità del corpo e dello spirito che si svilupparono progressivamente con il passare degli anni: una bellezza incomparabile in cui vi era maestà non meno che grazia, un vigore estremo, nonostante la statura non molto alta e il ventre un poco prominente, una memoria straordinaria, una particolare inclinazione a tutte le arti militari e civili. Era abilissimo nell'uso delle armi e nel cavalcare, capace di tenere discorsi e comporre versi, sia in greco, sia in latino, con una facilità che arrivava fino all'improvvisazione; non era inesperto nemmeno di musica, perché cantava e sonava la lira in maniera gradevole e secondo le regole della tecnica. Sono venuto a sapere che aveva anche l'abitudine di stenografare con estrema rapidità, giacché si divertiva a competere con i suoi segretari e a imitare tutte le scritture che vedeva, ciò che gli faceva dire spesso che 'avrebbe potuto essere un ottimo falsario'.Statua di Tito, dettaglio del voltoRaramente ci sono stati sovrani che hanno goduto in modo tanto imperituro del titolo di monarca illuminato come Tito. Basti pensare alla trasposizione musicale che ne fece Mozart su un libretto tratto da un lavoro di Pietro Metastasio nel 1791 nell'opera
La clemenza di Tito, ed altre opere meno famose con lo stesso titolo mandate in scena sempre nel secolo XVIII basate anch'esse sul lavoro metastasiano. Ma tralasciando interpretazioni letterarie specifiche, cosa si può dire veramente di Tito, una figura che pare quasi irrealistica per la sua smoderata bontà e gentilezza?
Tito Flavio Vespasiano (noto col nome di Tito) nacque, stando a Svetonio, nel 41, l'anno
reso famoso dall'assassinio di Gaio, anche se lo stesso autore si contraddice più tardi; Dione, più preciso, sostiene un'età, alla sua accessione al trono, di 39 anni. Considerato che Tito divenne imperatore nel 79, probabilmente la sua data di nascita va collocata piuttosto nel 39. Suoi genitori erano Vespasiano e Flavia Domitilla. Non sappiamo molto della sua giovinezza: Dione ad esempio ci narra che Tito prese parte alla campagna in Britannia sotto Claudio, salvando addirittura il padre, ma questa è sicuramente una notizia apocrifa, in quanto all'epoca della spedizione in Britannia Tito non era che un bambino. Ci è stato però tramandato che Tito fu allevato nella corte imperiale dagli stessi precettori che si prendevano cura di Britannico. In particolare, Tito fu molto amico di questi, e Svetonio arriva a dire che, il giorno della morte del figlio di Claudio, Tito stesse seduto di fianco a lui, e che avesse ingerito anche lui il veleno mortale, che tuttavia lo fece solo star male. Tito mantenne vivo il ricordo di Britannico una volta raggiunta l'età matura, tant'è che pare che gli fece erigere una statua dorata sul Palatino ed una, equestre, di marmo.
Tito iniziò la sua carriera militare facendo leva in Germania e Britannia, e diede in quell'occasione di aver ereditato dal padre una grande astuzia tecnica, pur non eccellendo in campo aperto. Seguì Vespasiano in Giudea, dove Tito diede nuova prova delle sue capacità militari, almeno stando a ciò che disse di lui lo storiografo tardo antico Eutropio. Quando Galba si impadronì del potere, Vespasiano lo mandò a Roma per ricevere ordini dal nuovo imperatore, ma quando Tito era ancora in Acaia, Galba fu assassinato da Otone e da questi sostituito. Il futuro imperatore decise allora di ricongiungersi col padre per decidere sul da farsi. I due sulle prime sostennero Otone, ma quando quest'ultimo fu ucciso, e salì al trono Vitellio, Vespasiano decise di prendere in mano la situazione. Dunque lasciò Tito in Giudea, con l'incarico di finire la guerra, mentre lui stesso marciò contro Vitellio, vincendolo e diventando imperatore.
In Giudea, Tito non ebbe gioco difficile nel vincere i locali: già tutti i territori attorno a Gerusalemme erano stati presi, e in più varie faide di carattere religiose dividevano gli abitanti della Giudea. Sulla condotta di Tito, si narrano storie eccezionali: addirittura Svetonio afferma che con dodici frecce uccise tutti e dodici i difensori delle città sulle mura. Aneddoti inverosimili, ma che offrono un efficace spunto di paragone col punto di vista ebreo. Difatti, se presso i romani Tito godette sempre di fama ottima, nel Talmud, uno dei testi centrali dell'ebraismo, si parla del futuro imperatore come un uomo violento e dispotico, crudele e sanguinario. Addirittura si arriva a dire che Dio, per punirlo, gli abbia inviato una zanzara nel cervello, e che, ronzando nella sua testa per sette lunghi anni, lo fece impazzire e morire. Quel che è certo è che Tito riuscì non solo a prendere Gerusalemme, ma anche a distruggere il tempio di Gerusalemme, ricostruito dai tempi delle incursioni di Nabuccodonsor (587 a.C.), rubando tutto ciò che era custodito al suo interno. Era questo l'inizio della seconda diaspora.
La distruzione del tempio di Gerusalemme, Francesco Hayez, 1867Tito rientrò a Roma con gli onori del trionfo, che fu celebrato accompagnato dal padre. Per questa sua vittoria, gli furono eretti ben due archi, uno dei quali è ancora visibile oggi. Subito dopo, affiancò il padre nel governo: fu fatto console sette volte nonché prefetto del pretorio. Era questa una mossa voluta da Vespasiano stesso: infatti era necessario stabilire una linea di sangue ben stabile a Roma, e far partecipare il figlio così attivamente alla vita politica era un buon modo per radicare la nuova dinastia regnante. Ciò implicò anche una severità di Vespasiano contro i suoi nemici ripresa da Tito. Quest'ultimo iniziò infatti a farsi odiare particolarmente, in quanto si comportò con estrema intransigenza: ogni qualvolta sospettasse di qualcuno, anche solo per una delazione, non esitava a giustiziarlo. Era ciò necessario in uno Stato appena uscito da un periodo di tumulto come il 69, ma naturalmente questo comportamento non gli assicurò le simpatie dei romani. Dunque si costruì ben presto attorno a Tito la fama di un giovane vizioso e corrotto, un nuovo Nerone. Si narrava infatti che di notte si desse ad orge sfrenate. Queste sono storie forse inventate da coloro che lo odiavano, ma che inficiavano di base alla sua fama.
Nel 79, alla morte del padre, Tito gli successe in qualità di suo erede. Lo circondava un alone di disprezzo da parte di tutti, che anzi temevano che il nuovo sovrano sarebbe stato feroce e crudele: tuttavia, Tito sorprese tutti. Grazie a Svetonio, abbiamo una ricca aneddotica su questo imperatore ed i suoi gesti di bontà. Ad esempio, si narra che, avendo scoperto una congiura ai suoi danni, invitò i cospiratori a sedersi vicino a lui ad un banchetto, mettendogli in mano addirittura delle spade, nonché ponendo fine alla pratica dei delatori. Addirittura non sposò la principessa Berenice, proveniente dalla Giudea e della quale Tito era follemente innamorato, per compiacere il popolo romano. Offrì larghissime elargizioni (forse pure troppe, promettendo spesso più di quel che possedeva) e sontuosi banchetti, non badando a spese nell'inaugurazione dell'Anfiteatro Flavio, con una grande naumachia ed uno spettacolo che coinvolgeva cinquemila belve selvagge. Più di tutti, gli fu caro il benessere del popolo romano: quando infatti a Roma scoppiò un incendio nell'80, egli si impegnò personalmente per ricostruire ciò che era stato distrutto.
L'evento più famoso che avvenne sotto il principato di Tito fu però l'eruzione del Vesuvio, che distrusse Ercolano, Stabia e Pompei. È errato pensare che i romani non sapessero del pericolo del vulcano: tuttavia, i geografici lo descrivono nelle fonti antiche come in fase di quiescenza, e anzi, ne viene lodata la fertilità, dato che era da lì che giungeva il miglior vino dell'impero. Accadde però che in una data discussa fra l'agosto e il novembre del 79 (la data generalmente accettata, 24 agosto, è stata messa più volte in discussione), il Vesuvio eruttò, sollevando un'altissima nube a forma di pino. Fu di tale violenza l'evento che la pendice del Vesuvio si divise in due, formando la tipica forma a doppio cono che oggi ha il vulcano. Tito si prodigò anche per far fronte a questo disastro, assegnando i beni di coloro che erano morti nell'eruzione senza lasciare eredi alla ricostruzione delle città che erano state distrutte.
L'ultimo giorno di Pompei, Karl Pavlovič Brjullov, 1830-1833Il regno di Tito non durò però a lungo. Nell'81, a soli due anni dalla sua accessione, fu colto da una grande febbre, e morì nello stesso letto dove era spirato il padre nella villa di campagna di famiglia ad
Aquae Cutiliae. Sulla sua morte, si sono espressi molti storici: fra questi, è comune l'opinione secondo la quale a provocare la morte dell'imperatore sarebbe stato il fratello Domiziano tramite un veleno. Ad ogni modo, il popolo ne pianse la morte, chiudendosi in casa in segno di lutto, mentre il Senato, precipitandosi nella Curia, lo lodò e lamentò la fine del suo regno.
Tito è difficile da giudicare. Dione afferma che il principato di quest'imperatore fu felice nella sua brevità. Certo, il regno di Tito fu funestato prima dall'eruzione del Vesuvio, poi dall'incendio di Roma, ma il suo governo fu fondamentalmente assente da ogni corruzione. Si potrebbe ipotizzare che Tito avesse assunto dei comportamenti tanto bonari e gentili, almeno quelli tanto eclatanti come l'accettare i cospiratori contro di lui a tavola, per cercare di arginare quella fama negativa che lo circondava ormai da tempo, riuscendoci in pieno. Certo, si può anche affermare che la fama di Tito è stata idealizzata anche dal successivo regno del fratello, meno carismatico e più chiuso. La definizione di Dione è dunque la più appropriata che si possa fare: un regno breve e pacifico, retto da un sovrano fondamentalmente corretto e giusto (anche se regnò solo due anni, e dunque difficilmente giudicabile da questo punto di vista), anche se Tito fallì nel lasciare tracce nel governo di Roma, non avendo fatto nulla degno di nota, essendo morto troppo presto. Non sapremo mai quale piega avrebbe preso il governo di Tito, se questi fosse vissuto più a lungo.
DomizianoDomiziano era d’alta statura, con un volto modesto e pieno di rossore, con grandi occhi, ma con vista piuttosto debole; oltre a ciò era bello e decente, soprattutto in gioventù, e certamente in tutto il corpo, eccetto nei piedi, le dite dei quali erano più corte del normale; dopo su abbruttito dalla calvizia e dall’obesità, dalla gracilità delle gambe, che tuttavia gli dimagrirono per una lunga malattiaDomiziano nacque nel 51 da Vespasiano e Flavia Domitilla, essendo fratello di Tito. Si sa poco della sua infanzia, ma, analizzando la sua vita futura, possiamo intuire che il padre Vespasiano lo trattò con relativo affetto, avendo puntato tutto sul più anziano Tito. D'altro canto, né quest'ultimo, né il padre lo stimarono mai e lo ritennero in grado di prendere il potere. Questo isolamento da parte dei suoi familiari gli fecero incominciare a far preferire la solitudine e l'attività letteraria. Sappiamo infatti che Domiziano fu una persona istruita, e che, al contrario del fratello e del padre, non aveva una grande abilità in campo militare.
Essendo ancora troppo giovane, non seguì Vespasiano e Tito in Giudea, ma rimase a Roma con lo zio Sabino. Quando i vitelliani assediarono i partigiani di Vespasiano sul Campidoglio, Domiziano riuscì a sfuggire alla carneficina, travestendosi da sacerdote di Iside. Rimase in tale guisa finché i vespasiani non ebbero la meglio. Dato che Vespasiano e Tito erano lontani da Roma, il potere, in attesa dell'arrivo del padre, fu tenuto in mano a Domiziano. Il padre probabilmente non fu entusiasta di tale scelta, ma ad ogni modo il giovane flavio era aiutato negli affari dai collaboratori più fidi del padre, che di fatto detennero il potere. Il giovane Domiziano fu dunque assai frustato da questa situazione, anche perché l'assaggio del potere che gli era stato fornito aveva forse fomentato la sua arroganza ed ambizione.
Ritratto di DomizianoIl giovane s'andò a fare sempre più ombroso e scuro, e nello stesso tempo intrattabile, sotto il governo di Vespasiano. Se Tito, idolatrato dal padre, fu sette volte console e assai attivo politicamente, Domiziano lo fu solo una volta effettivamente e per il resto escluso dall'attività politica. Il futuro imperatore era d'altro canto un giovane che mostrava parecchi segni di insofferenza per la scarsa considerazione del padre nei suoi confronti, ed anche il suo aspetto si contrapponeva sfavorevolmente a quello del fratello: quest'ultimo era bellissimo, mentre Domiziano già in giovinezza fu calvo, obeso e miope. Ho voluto postare il ritratto qui sopra proprio per far notare quello che sembra un riporto od una parrucca, dato che mal soffriva la sua perdita dei capelli, dato che teneva molto alla chioma e si sentiva offeso quando qualcuno, per scherzo, gli faceva notare il suo difetto. A queste battute egli rispose in un opuscolo, che chiamò
Sulla cura dei capelli, nel seguente modo:
Non vedi come sono bello e grande anche così? Pertanto la stessa sorte è riservata alla mia capigliatura e io sopporto con coraggio di vederla invecchiare nel pieno della giovinezza. Sappi che niente è più gradevole della bellezza, ma niente è anche più breve.Tito non si comportò meglio del padre rispetto al fratello, escludendolo del tutto dagli affari di governo, facendolo solo suo erede. Domiziano ne fu irritato e addirittura arrivò a proclamare che il testamento era falso e che il vero erede di Vespasiano era lui provando a sollevare le truppe. Tito a quanto sembra non volle mai punire il fratello per la sua condotta, forse per aumentare il proprio prestigio pubblico, col perdono di un fratello tanto inquieto e turbato quando cupo e al limite della misantropia.
Nell'81, Tito morì, e molti storici accusano Domiziano di aver avvelenato il fratello. Ciò non è dimostrabile, e la cattiva fama dell'imperatore presso le fonti antiche potrebbero aver generato questa storia: tuttavia, l'atteggiamento di Domiziano non fu certo di lutto e di compianto. Non appena il fratello ebbe esalato l'ultimo respiro, senza perder tempo, andò a Roma per farsi incoronare imperatore. Lui, il fratello dimenticato, cupo ed isolato, dall'esclusione totale dagli affari politici si ritrovò in mano il dominio del mondo.
Domiziano si pose subito in contrasto col Senato, che pure era andato d'accordo con Vespasiano e Tito. Egli infatti pretese di essere chiamato 'signore e dio'. Una simile idea, per i romani, era scandalosa: solo dopo la morte, infatti, come era accaduto per Tito e Vespasiano, un imperatore sarebbe potuto diventare
divus; ma il titolo
deus ad un sovrano vivo e vegeto era qualcosa di inconcepibile. D'altro canto, questo faceva parte della politica di Domiziano, ovvero quella di rafforzare la propria posizione e favorire una monarchia centralizzata ed ellenistica (d'altro canto, Domiziano amava la Grecia e la sua cultura), e, similmente a Claudio, favorì un gruppo di intendenti personali a scapito del Senato. A riprova della sua ideologia, estese i palazzi sul Palatino con quello che viene definito il palazzo di Domiziano, che è la struttura visibile dal Circo Massimo (ben familiare per chi vive a Roma), enorme e a suo tempo ricco di decorazioni quasi barocche. Lo stesso Marziale avrà da scrivere su questa opera immensa nelle sue Satire:
La tua dimora, Augusto, che sfiora le stelle,
vale il cielo ma non vale il suo signoreResti del palazzo di DomizianoFiero sostenitore del culto e della religione romana, tant'è che egli assunse permanentemente il titolo di censore, annullò ogni onore e festa in ricordo del fratello e del padre, tanto era il risentimento che provava nei loro confronti. D'altro canto, la scarsissima stima di ambo nei suoi confronti lo aveva reso turbato, tenebroso e amante della solitudine, caratteristica che lo possono affiancare a Tiberio quanto a carattere; non è forse un caso che Domiziano abbia studiato a fondo gli atti di Tiberio duranti le sue numerose letture.
Parimenti al padre, Vespasiano fece conoscere a Roma un'intensa stagione edilizia, costruendo, oltre al proprio palazzo sul Palatino, uno stadio, lo stadio di Domiziano (dato che l'imperatore amava moltissimo i giochi e anzi impose ai questori appena entrati in carica di organizzare dei
ludi). Domiziano voleva imporre alla città una propria foggia ed un proprio stile, voleva affermarsi sul popolo quale sovrano dopo anni ed anni di isolamento, isolamento che fra l'altro continuava. Si narra infatti che usasse stare solo nei suoi appartamenti, con unica compagnia la sua solitudine, e si divertisse a trafiggere le mosche con degli aghi. D'altro canto, nessuno lo apprezzava veramente, forse anche per il suo aspetto fisico: i senatori lo disprezzavano, ma si sperticavano in lodi adulatorie per lui.
Ad amarlo furono invece i soldati. Ciò ha dell'incredibile, considerando che Domiziano non era adatto alla vita militare né aveva riportato vittorie militari particolarmente rilevanti, se escludiamo un avanzamento dell'occupazione romana in territorio germanico. Un altro successo di rilievo fu quello contro i Caledoni, perpetuato però da Gneo Giulio Agricola, mentre la campagna in Dacia che condusse Domiziano contro il fiero re Decebalo si concluse senza aver portato a termine nulla. Tuttavia l'imperatore seppe assicurarsi il favore delle truppe concedendo ai legionari terre da coltivare lungo il confine del Reno e del Danubio.
Ritratto di DomizianoDomiziano fu un inoltre efficiente amministratore delle province e di Roma, e ciò favorì la fortunata stagione del II secolo. La tradizione che ce lo tramanda come un despota ed un tiranno sanguinario, crudele, inetto ed ingiusto è prevalentemente di origine tacitiana e più genericamente di rango senatorio, che, come ho già detto, odiava a morte l'imperatore e furono quelli più esposti al suo accentramento di potere. Tacito in particolare fu contemporaneo di Domiziano, ed considerò questo imperatore come l'archetipo del tiranno, il dittatore per eccellenza, esaltando i successori Nerva e Traiano come fautori di una nuova epoca di pace; affermazione agli occhi degli storici contemporanei fuorviante, dato che quel periodo di pace tanto decantato senza l'accurata seppur dispotica amministrazione di Domiziano non si sarebbe mai potuta verificare. Inoltre è possibile che il carattere intrattabile del sovrano abbia seriamente compromesso la sua fama: Domiziano era infatti chiuso, frustrato da una vita da eterna secondo e intriso di megalomania ed arroganza, tanto a lungo repressa sotto Vespasiano e Tito. Dunque non poté nascondere l'assetto fondamentalmente dispotico ed autoritario del suo governo, tant'è vero che non solo non esitò a cacciare di città i filosofi e gli attori, dichiarandosi amante dei coriacei costumi degli antenati, ma che fece giustiziare anche Flavio Clemente, il quale era suo nipote di secondo grado. La tradizione vuole che Clemente fosse cristiano, e che proprio questa sua fede abbia causata la sua esecuzione, anche se nelle fonti non c'è alcun riferimento a ciò ed anzi probabilmente si trattava più che altro di una condanna dettata dalla paranoia dell'imperatore più che da motivi religiosi. Questo non fece che aumentare la demonizzazione di Domiziano presso le fonti cristiane successive, attribuendogli una persecuzione mai avvenuta. La politica di chiusura religiosa di Domiziano, che, ribadisco, probabilmente non ebbe nulla a che fare con la condanna di Flavio Clemente, non fu certo una novità né un gesto particolarmente dispotico: lo stesso Augusto un secolo prima aveva fatto lo stesso, non venendo però giudicato ugualmente.
Domiziano iniziò sempre di più a percepire le ostilità dei senatori e della corte, e guardava tutti con sospetti. Era un misantropo, timido e collerico; a tutto ciò, si aggiunse un'ansia costante, che lo spinse a far rinascere la figura del delatore, sparita sotto Tito. Costoro incominciarono ad essere ricoperti di ricchezze per le denunce contro i nemici dell'imperatore, che venivano messi regolarmente a morte. La giustizia, che pure era gestita con amore per il giusto da Domiziano, iniziò in modo molto lento a prendere una piega corrotta già dall'inizio del suo regno, e non a caso l'imperatore ebbe a esclamare che la sorte dei sovrani è misera
perché sono creduti se annunciano la scoperta di una congiura, solo quando vengono uccisi. Il Senato non rappresentava una minaccia vera e propria, e forse Domiziano lo sapeva: l'impero romano era dopotutto basato sulla fedeltà militare, e ciò, già messo in pratica da Otone, diverrà chiaro, come vedremo, nel III secolo, con i Severi. Le congiure nascevano invece prevalentemente a corte, spesso istigate dai più fedeli collaboratori del sovrano. Domiziano dunque incominciò ad essere sempre più paranoico. Cionondimeno, il Senato sostenne nel 93 un tentativo di usurpazione guidato dal legato Antonio Saturnino. La rivolta venne repressa dopo neppure un mese, ma l'ansia di Domiziano raggiunse il culmine. Si rinchiuse nel suo ricchissimo palazzo, le cui pareti furono fatte ricoprire di rocce dalle proprietà riflettenti di modo che l'angoscioso sovrano potesse vedere anche ciò che gli accadeva alle spalle.
Ma Domiziano ormai era circondato da un simile odio che le cospirazioni non ebbero difficoltà ad entrare nel seno del potere. Lì, un gruppo di funzionari, quegli stessi funzionari che Domiziano aveva innalzato al potere, incominciò a complottare contro il sovrano, forse col sostegno della moglie di Domiziano, Domizia.
Domiziano ebbe anch'esso dei vaticini sulla sua futura fine:
Il giorno prima della sua morte, quando gli si offrirono dei tartufi, ordinò di conservarli per l'indomani, aggiungendo: 'Se pure mi sarà concesso di mangiarli' poi, volgendosi verso i più vicini disse 'che il giorno seguente la luna si sarebbe tinta di sangue nell'Acquario e che si sarebbe verificato un avvenimento di cui tutti avrebbero parlato nell'universo intero'. Verso la mezzanotte fu preso da un tale spavento che saltò giù dal suo letto. Verso il mattino ricevette un aruspice inviato dalla Germania che, consultato su un colpo di tuono, aveva predetto un cambiamento di regime, lo ascoltò e poi lo condannò. Mentre si grattava vigorosamente un furuncolo infiammato che aveva sulla fronte, il sangue si mise a colare ed egli disse: 'Voglia il cielo che sia tutto qui.' Quando chiese l'ora, al posto della quinta, che temeva, gli fu intenzionalmente annunciata la sesta. Rallegrato da queste due circostanze e credendo che il pericolo fosse ormai passato, si affrettò ad uscire per la cura del corpo, quando il suo servo di camera lo richiamò alla realtà, annunciandogli un visitatore che veniva a portare non so che grave notizia e non poteva attendere.Questo visitatore altri non era che il procuratore di Domiziano, Stefano, un liberto. Costui, fintosi ferito al braccio, si fece vedere a lungo in giro con un bendaggio di lana per stornare i sospetti, dopodiché si fece dare udienza dall'imperatore perché voleva denunciare un complotto. Stefano nascondeva però nel suo bendaggio un pugnale, col quale colpì l'imperatore mentre questi stava leggendo la lettera che gli aveva consegnato Stefano sulla presunta congiura. Domiziano provò a difendersi pur disarmato, provando, con le dita tagliate dalle ferite del pugnale, a disarmare Stefano, ma presto gli furono addosso altri cospiratori, che lo finirono.
La sua morte fu accolta in modo indifferente dal popolo, con rabbia dai pretoriani (che uccisero Stefano ed altri cospiratori) e dai soldati nelle province (che si sollevarono, pur se per breve tempo, essendo pronti, come dichiaravano, di fare di Domiziano un dio) e con gioia dai senatori, che, in pieno contrasto a quanto era avvenuto con Tito, gioirono pubblicamente della fine del sovrano, decretando per lui la
damantio memoriae. A succedergli sarebbe stato Marco Cocceio Nerva, anziano membro del rango senatorio; infatti Domiziano non aveva lasciato eredi. Con lui, si estinse la dinastia flavia. Il corpo del sovrano fu trasportato dai vespilloni, ovvero i becchini, su una bara plebea per le vie di Roma, fra l'indifferenza generale.
Dipinto raffigurante l'assassinio di Domiziano, da una serie di dipinti sulle vite degli imperatori romani, Lazzaro Baldi, XVII secolo, dettaglioCosì finiva la triste vita di Domiziano. Amministratore abile ed efficiente, che pose le fondamenta per l'era di pace che seguì, non fu altrettanto abile nelle relazioni col Senato ed il popolo romano. Infatti non diede mistero della sua natura megalomane, una natura che era il risultato di una vita passata sotto le ombre tanto ingombranti del padre del fratello, ombre che lo perseguiteranno anche dopo la morte di questi, tanto erano stati amati durante i rispettivi regni. Lui invece non aveva il loro carisma: era misantropo, collerico, la sua solitudine lo rese un uomo cupo, in preda all'angoscia ed alla sofferenza, sofferenza per un mondo di affetti mancati che egli non fu mai in grado di trovare.
Edited by Labarbadiadriano - 5/1/2017, 15:49