Il Calderone di Severus

I Cesari

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view post Posted on 30/10/2016, 23:13
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Sfascia-calderoni

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CITAZIONE (Ida59 @ 30/10/2016, 22:16) 
CITAZIONE (Labarbadiadriano @ 30/10/2016, 21:24) 
(c'erano ad esempio i versi fescennini, che fra i loro vari utilizzi avevano quello di scacciare il malocchio; fra l'altro, tra le varie ipotesi, c'è chi crede che il nome dei versi fescennini derivi dal termine fascinum, che vuol dire, appunto, malocchio, ma anche membro virile, che a Roma era simbolo di fortuna e fertilità, oppure dalla città di Fescennium, in Etruria, dove si svolgevano feste agresti diffuse anche in Grecia, durante le quali le persone, in onore a Priapo, dio della fertilità dotato di un lungo fallo, si scambiavano battute sboccate, battute dalle quali, ci informa Aristotele, nascerà la commedia)

Tu l'hai buttata lì, tra parentesi, però poi hai scomodato addirittura Aristotele: mi sa che qui siamo curiose e vogliamo sapere qualche cosa di più su quei "versi fescennini". ;) :)

Beh, quello dei versi fescennini è un discorso che si inserisce bene nel quadro della letteratura latina, ma anche nella cultura classica in generale. Infatti Aristotele sostiene che la commedia sia nata dalle cosiddette feste falloforie, ovvero delle celebrazioni agresti dove venivano portati in processione enormi simulacri di fallo, e durante le quali venivano scambiate battute sboccate e sfrontate. D'altro canto, lo stesso termine commedia viene da κῶμος, komos, ovvero questo tipo particolare di feste, ed ᾠδή, odè, cioè canto, ed è proprio dall'etimologia che Aristotele ipotizza l'origine della commedia.

I versi fescennini dunque, data la loro etimologia, ben si ricollegano alla tradizione greca, che vuole il fallo come un oggetto portatore di fertilità e benessere. Sappiamo inoltre che presso i romani era uso appendere vicino all'ingresso delle abitazioni un Tintinnabulum, un sonaglio a forma di fallo volante che serviva appunto a scacciare il malocchio. Eccone un esempio:



Arrivando dunque ai versi fescennini, si trattano sostanzialmente di versi comico-popolari, se mi passate il termine. Erano usati per scopo vario, ma quello principale era appunto quello di scacciare il malocchio. Un esempio di composizione in versi fescennini sono i carmina triumphalia, ovvero dei lazzi e degli insulti che i soldati facevano all'imperator, sia per alleggerire la situazione dopo il rischio della guerra, sia per evitare che il generale sviluppasse la temuta ὕβϱις, hybris, ovvero la tracotanza, aborrita dai greci (infatti i personaggi che la mostrano, come Aracne, Marsia e Niobe, che osano compararsi agli dèi, sono regolarmente puniti nei miti in modo più o meno atroce) quanto dai romani. Ad esempio, questo è ciò che i soldati cantarono a Cesare, durante il suo trionfo per la conquista della Gallia ed i pompeiani, facendo riferimento ad una relazione omosessuale che sarebbe intercorsa fra un giovane Cesare e Nicomede, re di Bitina, nella quale Cesare era stato inviato quale legato:


Cesare ha sottomesso le Gallie, Nicomede Cesare
ecco, ora trionfa Cesare, che sottomise le Gallie,
mentre non trionfa Nicomede, che pur sottomise Cesare.


Quelli relativi a Cesare li conosciamo (anche se solo parzialmente) grazie a Svetonio, ma purtroppo, essendo i versi fescennini di matrice popolare e completamente improvvisati, non esiste una tradizione scritta che ce li abbia tramandati. Sappiamo però da fonti terze che venivano pronunciate per motteggiare gli sposi durante i matrimoni (spesso si alludeva alle grazie della sposa), oppure per schernire i criminali posti al pubblico ludibrio.
 
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view post Posted on 30/10/2016, 23:31
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Ma lo sai che sei davvero incredibile, Giacomo?
Sei velocissimo a rispondere e questo denota che le cose le sai, e anche davvero molto bene.
Complimenti vivissimi!
Siamo state proprio fortunate ad intercettarti nell'immensità del web!

:applauso:
 
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view post Posted on 31/10/2016, 00:43
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Mi associo a Ida nel complimentarmi per la tua incredibile velocità nel rispondere, e sempre esaurientemente, alla nostra voglia di sapere o anche solo a semplici curiosità. Sono sempre stata appassionata di storia riguardante l'antica Roma ma, ovviamente, per pigrizia e mancanza di tempo non ho mai potuto approfondire più di tanto l'argomento.
Adesso sto imparando un sacco di cose belle e avvincenti grazie alle tue "lezioni"! :D
Fantastico il Tintinnabulum, anche se credo che attualmente, per tenere lontano il malocchio, sia un cicinino più elegante appendere il classico specchietto :lol:
 
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view post Posted on 31/10/2016, 17:02
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Carissimo Giacomo, ogni tuo post è sempre più interessante dell’altro ed ha un corollario di spiegazioni che meriterebbero ciascuna un discorso a parte.
Sui fescennini hai detto tanto e bene, anche questo argomento mi piacerebbe riprenderlo per parlare più diffusamente della commedia e delle sue origini.

Mi attengo qui ed ora ad argomenti che consentono maggiore brevità e magari suscitano un filino di curiosità.

Tintinnabulum

Io sono abbastanza scaramantica. Quindi, sperando che non ti dispiaccia aggiungo poche notiziole.
"Statue, amuleti e gesti apotropaici sono profondamente radicati in superstizioni, religioni e spiritualità di ogni cultura. Le pernacchie o le linguacce come scongiuro contro la sfortuna o i ferri di cavallo messi a mo' di corna, lo sputo per stornare il diavolo, il crocifisso per i vampiri - fino ad esorcismi più complessi -, così come anche pietre diverse diversamente foggiate, e piante ed erbe, per scacciare ora questo ora quel male; [...] fino a grandi statue, dipinti o festeggiamenti benauguranti dedicati ai due sessi e alla fertilità - elemento apotropaico, questo, meno presente nelle culture cristiane ma che altrove riveste un ruolo da protagonista".

http://unaparolaalgiorno.it/significato/A/apotropaico


I tintinnabula itifallici (campanelli) erano oggetti dalla forte valenza apotropaica, - da apotropaios, termine greco costituito da apo 'da' e trepein 'allontanare' che significa, dunque, 'da allontanare' - data dall’unione del simbolo fallico, dispensatore di fortuna e prosperità, con l’elemento sonoro, da sempre utile ad allontanare il maligno.

Utilizzati talvolta durante i sontuosi banchetti per chiamare le portate, più di frequente erano sospesi alle porte delle abitazioni private e, soprattutto, degli esercizi pubblici, in modo da risuonare al passaggio dei visitatori e per tenere lontano il malocchio, in qualche modo alla stregua del Priapo conservato in situ sullo stipite destro della porta che dà sull’atrium della Casa dei Vetti di Pompei.

mercurio-priapo
Dipinto parietale, Casa dei Vetti, Pompei


Mercurio-Priapo, in questo caso, esibisce il suo pene enorme come garante della fecondità e come possibile punizione per la non equità del commercio. La sua verga diviene una sorta di asta della bilancia della giustizia.
Voglio collegare questo oggetto con uno di uso comune ancora oggi: il corno rosso

Blog+Corno


Il corno napoletano si configura come l’unione della potenza del pene di Priapo, del corallo( notoriamente portafortuna) accanto alla potenza offensiva del corno di bufalo e alla violenza urticante, ma difensiva e terapeutica del peperoncino rosso, introdotto in Italia in seguito alla scoperta dell’America e molto diffuso al Sud.

Aggiungo un’altra similitudine e collegamento.
Al tempo stesso il corno napoletano ha attinenze formali con la cornucopia, dispensatrice di beni e di fortuna, secondo gli antichi. La potenza dell’immagine apotropaica scaturisce proprio dalla sovrapposizione formale di più elementi magici di tipo offensivo-difensivo.

La lex de imperio Vespasiani.

Il testo della tavola bronzea superstite è conservata a Roma nella sala del Fauno del Museo Capitolino (inv. n. 7180 = CIL VI, 930) e comunemente è denominata Lex de imperio Vespasiani.

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Traduzione


[a Cesare Vespasiano Augusto] sia lecito concludere trattati con chiunque voglia, come fu lecito al divo Augusto, a Tiberio Giulio Cesare Augusto e a Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico.

Che gli sia lecito convocare il senato, presentare una proposta o rigettarla e far passare un senatoconsulto [...]

Che nelle elezioni si tenga conto, al di fuori dell’ordine normale, dei candidati che egli avrà raccomandato al
senato e al popolo romano per una magistratura, per un potere, per un imperiumo per una curatela e ai quali egli
avrà dato e promesso il proprio sostegno. [...]

Che egli abbia il diritto e il potere di agire e di compieretutto ciò che ritenga utile allo stato, conformemente alla
maestà delle cose divine e umane, così come fu per il divo Augusto, per Tiberio Giulio Cesare Augusto e per Tiberio
Claudio Cesare Augusto Germanico. [...]

Che gli atti, le azioni, i decreti, gli ordini da parte dell’imperatore Cesare Vespasiano Augusto, o da chiunque lo abbia fatto su suo ordine o comando prima della votazione di questa legge, ciò sia legittimato e sia ratificato, come se fosse avvenuto per ordine del popolo o della plebe. [...]




Nella parte conservata vengono riconosciuti a Vespasiano molti diritti (concludere trattati, convocare il Senato, estendere il pomerio, non essere vincolato da leggi, presentare candidati) sull'esempio degli imperatori Augusto, Tiberio e Claudio.

La Lex de imperio Vespasiani definisce i poteri imperiali di Vespasiano e fu emanata nel 70 d.C. e ci è giunta – purtroppo solo nella sua parte conclusiva – incisa su una tavola bronzea scoperta nel Medioevo e che dal 1576.
Il testo è costruito secondo la forma del senatoconsulto (il parere che il senato romano esprimeva sulla questione sottopostagli), come si capisce dalla formula che apre ogni paragrafo:
«(i senatori) deliberarono che sia lecito...».
Secondo alcuni storici la Lex de imperio Vespasiani non fu un decreto che confermava la situazione precedente, ma venne emanato per consolidare definitivamente il regime imperiale: in sostanza le prerogative dell’imperatore venivano decise in via definitiva e non più attribuite di volta in volta dal senato.

Tuttavia tale legge ha fatto discutere enormemente la dottrina, infatti:
— discusso è il suo contenuto e il suo significato. Alcuni ritengono che essa debba essere intesa come atto unitario di attribuzione dell’imperium, mentre, in precedenza, sul modello augusteo, esso era stato conferito attraverso atti separati. Altri, invece, respingono tale interpretazione;
— dubbio è se la legge abbia attribuito poteri speciali a Vespasiano oppure abbia semplicemente confermato i poteri già conferiti ai principi a partire da Augusto.

Ma non vi è alcun dubbio che ebbe, comunque, una notevole importanza, dando crisma di giuridicità a quanto, fino ad allora e per molti secoli, si era affermato solo per consuetudine, in quanto estraneo alla costituzione repubblicana.

In estrema sintesi la legge stabilisce che il princeps può fare praticamente quello che vuole.

Si richiama, da parte di molti studiosi, l’attenzione su eventuali elementi di “costituzionalismo” presenti in età imperiale. L'argomento è molto controverso.
Sottolineo e cito un passaggio famoso della Lex de Imperio Vespasiani.
« Utique quaecumque ex usu rei publicae maiestate divinarum, humanarum, publicarum privatarumque rerum esse censebit, ei agere facere ius potestasque sit, ita ut Divo Augusto, Tiberio Iulio Caesari Augusto, Tiberioque Claudio Caesari Augusto Germanico fuit »
« Perché abbia il diritto e il potere di fare ed effettuare tutto ciò che riconoscerà utile per lo stato e gli rechi grandezza nelle questioni divine e umane, pubbliche e private, come spettò ad Augusto, Tiberio e Claudio »
(CIL VI, 930)


http://www.infonotizia.it/costituzionalism...rio-vespasiani/
www.sapere.it/enciclopedia/Lex+de+imperio+Vespasiani.html
http://www.simone.it/newdiz/newdiz.php?act...nario=3&id=1701
 
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view post Posted on 31/10/2016, 17:46
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I ♥ Severus


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Waaaao! Certo che anche tu, Chiara, non scherzi in quanto a velocità di inserimento di contenuti e loro completezza!

Cioè, insomma, il famoso cornetto napoletano, alla fine deriva da un fallo!!! :lol:
 
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view post Posted on 31/10/2016, 18:04
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:P :D :wub:
 
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view post Posted on 31/10/2016, 21:17
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Grazie a tutte. Sono contento che le mie spiegazioni siano apprezzate. Amo esporre e spiegare, e spero di poterlo fare professionalmente un giorno. Ma sto studiando proprio per questo.

Grazie anche a chiara53 per le sue integrazioni, che apprezzo molto, segno di una vivida comprensione e partecipazione. Per chi volesse approfondire la lex de imperio Vespasiani, lascio (oltre al materiale di chiara53) anche questa pregevole lezione di Elena Tassi, che insegna diritto romano (e non solo) alla Sapienza:

http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/alfr...vespasiani1.pdf
 
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view post Posted on 31/10/2016, 21:36
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CITAZIONE (Labarbadiadriano @ 31/10/2016, 21:17) 
Grazie a tutte. Sono contento che le mie spiegazioni siano apprezzate. Amo esporre e spiegare, e spero di poterlo fare professionalmente un giorno. Ma sto studiando proprio per questo.

Noi, è ovvio, facciamo un tifo sfegatato per te! ;)
 
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view post Posted on 1/11/2016, 12:30
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Grande, Chiara, apprezzatissime le tue integrazioni! Il cornetto che pure lui deriva da... quella cosa là, insomma :lol: Incredibile!

CITAZIONE (Ida59 @ 31/10/2016, 21:36) 
CITAZIONE (Labarbadiadriano @ 31/10/2016, 21:17) 
Grazie a tutte. Sono contento che le mie spiegazioni siano apprezzate. Amo esporre e spiegare, e spero di poterlo fare professionalmente un giorno. Ma sto studiando proprio per questo.

Noi, è ovvio, facciamo un tifo sfegatato per te! ;)

:ola:
 
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view post Posted on 5/11/2016, 22:49
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Grazie mille per il sostegno! Scusate per la mia presenza tanto sporadica, ma gli impegni mi assorbono completamente.

I Cesari: i flavi

Parte 2: due fratelli diversi

Nel 79, Vespasiano morì. Lasciava uno Stato ben ripreso dai tumulti e dai disordini del 69, ristabilendo la disciplina nell'esercito, a Roma, e stabilizzando la figura del principe quale monarca, che gradualmente assumeva sempre di più l'aspetto di sovrano assoluto, idea tanto invisa ai romani quanto ormai, e i più l'avevano capito, inevitabile. Vespasiano non ebbe problemi con la successione: aveva infatti due figli, Tito e Domiziano, i quali divennero ambo imperatori, ma che la storiografia ci ha tramandato in modo assai differente.

Tito

Fin dall'infanzia emersero in lui le qualità del corpo e dello spirito che si svilupparono progressivamente con il passare degli anni: una bellezza incomparabile in cui vi era maestà non meno che grazia, un vigore estremo, nonostante la statura non molto alta e il ventre un poco prominente, una memoria straordinaria, una particolare inclinazione a tutte le arti militari e civili. Era abilissimo nell'uso delle armi e nel cavalcare, capace di tenere discorsi e comporre versi, sia in greco, sia in latino, con una facilità che arrivava fino all'improvvisazione; non era inesperto nemmeno di musica, perché cantava e sonava la lira in maniera gradevole e secondo le regole della tecnica. Sono venuto a sapere che aveva anche l'abitudine di stenografare con estrema rapidità, giacché si divertiva a competere con i suoi segretari e a imitare tutte le scritture che vedeva, ciò che gli faceva dire spesso che 'avrebbe potuto essere un ottimo falsario'.

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Statua di Tito, dettaglio del volto

Raramente ci sono stati sovrani che hanno goduto in modo tanto imperituro del titolo di monarca illuminato come Tito. Basti pensare alla trasposizione musicale che ne fece Mozart su un libretto tratto da un lavoro di Pietro Metastasio nel 1791 nell'opera La clemenza di Tito, ed altre opere meno famose con lo stesso titolo mandate in scena sempre nel secolo XVIII basate anch'esse sul lavoro metastasiano. Ma tralasciando interpretazioni letterarie specifiche, cosa si può dire veramente di Tito, una figura che pare quasi irrealistica per la sua smoderata bontà e gentilezza?

Tito Flavio Vespasiano (noto col nome di Tito) nacque, stando a Svetonio, nel 41, l'anno reso famoso dall'assassinio di Gaio, anche se lo stesso autore si contraddice più tardi; Dione, più preciso, sostiene un'età, alla sua accessione al trono, di 39 anni. Considerato che Tito divenne imperatore nel 79, probabilmente la sua data di nascita va collocata piuttosto nel 39. Suoi genitori erano Vespasiano e Flavia Domitilla. Non sappiamo molto della sua giovinezza: Dione ad esempio ci narra che Tito prese parte alla campagna in Britannia sotto Claudio, salvando addirittura il padre, ma questa è sicuramente una notizia apocrifa, in quanto all'epoca della spedizione in Britannia Tito non era che un bambino. Ci è stato però tramandato che Tito fu allevato nella corte imperiale dagli stessi precettori che si prendevano cura di Britannico. In particolare, Tito fu molto amico di questi, e Svetonio arriva a dire che, il giorno della morte del figlio di Claudio, Tito stesse seduto di fianco a lui, e che avesse ingerito anche lui il veleno mortale, che tuttavia lo fece solo star male. Tito mantenne vivo il ricordo di Britannico una volta raggiunta l'età matura, tant'è che pare che gli fece erigere una statua dorata sul Palatino ed una, equestre, di marmo.

Tito iniziò la sua carriera militare facendo leva in Germania e Britannia, e diede in quell'occasione di aver ereditato dal padre una grande astuzia tecnica, pur non eccellendo in campo aperto. Seguì Vespasiano in Giudea, dove Tito diede nuova prova delle sue capacità militari, almeno stando a ciò che disse di lui lo storiografo tardo antico Eutropio. Quando Galba si impadronì del potere, Vespasiano lo mandò a Roma per ricevere ordini dal nuovo imperatore, ma quando Tito era ancora in Acaia, Galba fu assassinato da Otone e da questi sostituito. Il futuro imperatore decise allora di ricongiungersi col padre per decidere sul da farsi. I due sulle prime sostennero Otone, ma quando quest'ultimo fu ucciso, e salì al trono Vitellio, Vespasiano decise di prendere in mano la situazione. Dunque lasciò Tito in Giudea, con l'incarico di finire la guerra, mentre lui stesso marciò contro Vitellio, vincendolo e diventando imperatore.

In Giudea, Tito non ebbe gioco difficile nel vincere i locali: già tutti i territori attorno a Gerusalemme erano stati presi, e in più varie faide di carattere religiose dividevano gli abitanti della Giudea. Sulla condotta di Tito, si narrano storie eccezionali: addirittura Svetonio afferma che con dodici frecce uccise tutti e dodici i difensori delle città sulle mura. Aneddoti inverosimili, ma che offrono un efficace spunto di paragone col punto di vista ebreo. Difatti, se presso i romani Tito godette sempre di fama ottima, nel Talmud, uno dei testi centrali dell'ebraismo, si parla del futuro imperatore come un uomo violento e dispotico, crudele e sanguinario. Addirittura si arriva a dire che Dio, per punirlo, gli abbia inviato una zanzara nel cervello, e che, ronzando nella sua testa per sette lunghi anni, lo fece impazzire e morire. Quel che è certo è che Tito riuscì non solo a prendere Gerusalemme, ma anche a distruggere il tempio di Gerusalemme, ricostruito dai tempi delle incursioni di Nabuccodonsor (587 a.C.), rubando tutto ciò che era custodito al suo interno. Era questo l'inizio della seconda diaspora.

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La distruzione del tempio di Gerusalemme, Francesco Hayez, 1867

Tito rientrò a Roma con gli onori del trionfo, che fu celebrato accompagnato dal padre. Per questa sua vittoria, gli furono eretti ben due archi, uno dei quali è ancora visibile oggi. Subito dopo, affiancò il padre nel governo: fu fatto console sette volte nonché prefetto del pretorio. Era questa una mossa voluta da Vespasiano stesso: infatti era necessario stabilire una linea di sangue ben stabile a Roma, e far partecipare il figlio così attivamente alla vita politica era un buon modo per radicare la nuova dinastia regnante. Ciò implicò anche una severità di Vespasiano contro i suoi nemici ripresa da Tito. Quest'ultimo iniziò infatti a farsi odiare particolarmente, in quanto si comportò con estrema intransigenza: ogni qualvolta sospettasse di qualcuno, anche solo per una delazione, non esitava a giustiziarlo. Era ciò necessario in uno Stato appena uscito da un periodo di tumulto come il 69, ma naturalmente questo comportamento non gli assicurò le simpatie dei romani. Dunque si costruì ben presto attorno a Tito la fama di un giovane vizioso e corrotto, un nuovo Nerone. Si narrava infatti che di notte si desse ad orge sfrenate. Queste sono storie forse inventate da coloro che lo odiavano, ma che inficiavano di base alla sua fama.

Nel 79, alla morte del padre, Tito gli successe in qualità di suo erede. Lo circondava un alone di disprezzo da parte di tutti, che anzi temevano che il nuovo sovrano sarebbe stato feroce e crudele: tuttavia, Tito sorprese tutti. Grazie a Svetonio, abbiamo una ricca aneddotica su questo imperatore ed i suoi gesti di bontà. Ad esempio, si narra che, avendo scoperto una congiura ai suoi danni, invitò i cospiratori a sedersi vicino a lui ad un banchetto, mettendogli in mano addirittura delle spade, nonché ponendo fine alla pratica dei delatori. Addirittura non sposò la principessa Berenice, proveniente dalla Giudea e della quale Tito era follemente innamorato, per compiacere il popolo romano. Offrì larghissime elargizioni (forse pure troppe, promettendo spesso più di quel che possedeva) e sontuosi banchetti, non badando a spese nell'inaugurazione dell'Anfiteatro Flavio, con una grande naumachia ed uno spettacolo che coinvolgeva cinquemila belve selvagge. Più di tutti, gli fu caro il benessere del popolo romano: quando infatti a Roma scoppiò un incendio nell'80, egli si impegnò personalmente per ricostruire ciò che era stato distrutto.

L'evento più famoso che avvenne sotto il principato di Tito fu però l'eruzione del Vesuvio, che distrusse Ercolano, Stabia e Pompei. È errato pensare che i romani non sapessero del pericolo del vulcano: tuttavia, i geografici lo descrivono nelle fonti antiche come in fase di quiescenza, e anzi, ne viene lodata la fertilità, dato che era da lì che giungeva il miglior vino dell'impero. Accadde però che in una data discussa fra l'agosto e il novembre del 79 (la data generalmente accettata, 24 agosto, è stata messa più volte in discussione), il Vesuvio eruttò, sollevando un'altissima nube a forma di pino. Fu di tale violenza l'evento che la pendice del Vesuvio si divise in due, formando la tipica forma a doppio cono che oggi ha il vulcano. Tito si prodigò anche per far fronte a questo disastro, assegnando i beni di coloro che erano morti nell'eruzione senza lasciare eredi alla ricostruzione delle città che erano state distrutte.

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L'ultimo giorno di Pompei, Karl Pavlovič Brjullov, 1830-1833

Il regno di Tito non durò però a lungo. Nell'81, a soli due anni dalla sua accessione, fu colto da una grande febbre, e morì nello stesso letto dove era spirato il padre nella villa di campagna di famiglia ad Aquae Cutiliae. Sulla sua morte, si sono espressi molti storici: fra questi, è comune l'opinione secondo la quale a provocare la morte dell'imperatore sarebbe stato il fratello Domiziano tramite un veleno. Ad ogni modo, il popolo ne pianse la morte, chiudendosi in casa in segno di lutto, mentre il Senato, precipitandosi nella Curia, lo lodò e lamentò la fine del suo regno.

Tito è difficile da giudicare. Dione afferma che il principato di quest'imperatore fu felice nella sua brevità. Certo, il regno di Tito fu funestato prima dall'eruzione del Vesuvio, poi dall'incendio di Roma, ma il suo governo fu fondamentalmente assente da ogni corruzione. Si potrebbe ipotizzare che Tito avesse assunto dei comportamenti tanto bonari e gentili, almeno quelli tanto eclatanti come l'accettare i cospiratori contro di lui a tavola, per cercare di arginare quella fama negativa che lo circondava ormai da tempo, riuscendoci in pieno. Certo, si può anche affermare che la fama di Tito è stata idealizzata anche dal successivo regno del fratello, meno carismatico e più chiuso. La definizione di Dione è dunque la più appropriata che si possa fare: un regno breve e pacifico, retto da un sovrano fondamentalmente corretto e giusto (anche se regnò solo due anni, e dunque difficilmente giudicabile da questo punto di vista), anche se Tito fallì nel lasciare tracce nel governo di Roma, non avendo fatto nulla degno di nota, essendo morto troppo presto. Non sapremo mai quale piega avrebbe preso il governo di Tito, se questi fosse vissuto più a lungo.

Domiziano

Domiziano era d’alta statura, con un volto modesto e pieno di rossore, con grandi occhi, ma con vista piuttosto debole; oltre a ciò era bello e decente, soprattutto in gioventù, e certamente in tutto il corpo, eccetto nei piedi, le dite dei quali erano più corte del normale; dopo su abbruttito dalla calvizia e dall’obesità, dalla gracilità delle gambe, che tuttavia gli dimagrirono per una lunga malattia

Domiziano nacque nel 51 da Vespasiano e Flavia Domitilla, essendo fratello di Tito. Si sa poco della sua infanzia, ma, analizzando la sua vita futura, possiamo intuire che il padre Vespasiano lo trattò con relativo affetto, avendo puntato tutto sul più anziano Tito. D'altro canto, né quest'ultimo, né il padre lo stimarono mai e lo ritennero in grado di prendere il potere. Questo isolamento da parte dei suoi familiari gli fecero incominciare a far preferire la solitudine e l'attività letteraria. Sappiamo infatti che Domiziano fu una persona istruita, e che, al contrario del fratello e del padre, non aveva una grande abilità in campo militare.

Essendo ancora troppo giovane, non seguì Vespasiano e Tito in Giudea, ma rimase a Roma con lo zio Sabino. Quando i vitelliani assediarono i partigiani di Vespasiano sul Campidoglio, Domiziano riuscì a sfuggire alla carneficina, travestendosi da sacerdote di Iside. Rimase in tale guisa finché i vespasiani non ebbero la meglio. Dato che Vespasiano e Tito erano lontani da Roma, il potere, in attesa dell'arrivo del padre, fu tenuto in mano a Domiziano. Il padre probabilmente non fu entusiasta di tale scelta, ma ad ogni modo il giovane flavio era aiutato negli affari dai collaboratori più fidi del padre, che di fatto detennero il potere. Il giovane Domiziano fu dunque assai frustato da questa situazione, anche perché l'assaggio del potere che gli era stato fornito aveva forse fomentato la sua arroganza ed ambizione.

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Ritratto di Domiziano

Il giovane s'andò a fare sempre più ombroso e scuro, e nello stesso tempo intrattabile, sotto il governo di Vespasiano. Se Tito, idolatrato dal padre, fu sette volte console e assai attivo politicamente, Domiziano lo fu solo una volta effettivamente e per il resto escluso dall'attività politica. Il futuro imperatore era d'altro canto un giovane che mostrava parecchi segni di insofferenza per la scarsa considerazione del padre nei suoi confronti, ed anche il suo aspetto si contrapponeva sfavorevolmente a quello del fratello: quest'ultimo era bellissimo, mentre Domiziano già in giovinezza fu calvo, obeso e miope. Ho voluto postare il ritratto qui sopra proprio per far notare quello che sembra un riporto od una parrucca, dato che mal soffriva la sua perdita dei capelli, dato che teneva molto alla chioma e si sentiva offeso quando qualcuno, per scherzo, gli faceva notare il suo difetto. A queste battute egli rispose in un opuscolo, che chiamò Sulla cura dei capelli, nel seguente modo:

Non vedi come sono bello e grande anche così? Pertanto la stessa sorte è riservata alla mia capigliatura e io sopporto con coraggio di vederla invecchiare nel pieno della giovinezza. Sappi che niente è più gradevole della bellezza, ma niente è anche più breve.

Tito non si comportò meglio del padre rispetto al fratello, escludendolo del tutto dagli affari di governo, facendolo solo suo erede. Domiziano ne fu irritato e addirittura arrivò a proclamare che il testamento era falso e che il vero erede di Vespasiano era lui provando a sollevare le truppe. Tito a quanto sembra non volle mai punire il fratello per la sua condotta, forse per aumentare il proprio prestigio pubblico, col perdono di un fratello tanto inquieto e turbato quando cupo e al limite della misantropia.

Nell'81, Tito morì, e molti storici accusano Domiziano di aver avvelenato il fratello. Ciò non è dimostrabile, e la cattiva fama dell'imperatore presso le fonti antiche potrebbero aver generato questa storia: tuttavia, l'atteggiamento di Domiziano non fu certo di lutto e di compianto. Non appena il fratello ebbe esalato l'ultimo respiro, senza perder tempo, andò a Roma per farsi incoronare imperatore. Lui, il fratello dimenticato, cupo ed isolato, dall'esclusione totale dagli affari politici si ritrovò in mano il dominio del mondo.

Domiziano si pose subito in contrasto col Senato, che pure era andato d'accordo con Vespasiano e Tito. Egli infatti pretese di essere chiamato 'signore e dio'. Una simile idea, per i romani, era scandalosa: solo dopo la morte, infatti, come era accaduto per Tito e Vespasiano, un imperatore sarebbe potuto diventare divus; ma il titolo deus ad un sovrano vivo e vegeto era qualcosa di inconcepibile. D'altro canto, questo faceva parte della politica di Domiziano, ovvero quella di rafforzare la propria posizione e favorire una monarchia centralizzata ed ellenistica (d'altro canto, Domiziano amava la Grecia e la sua cultura), e, similmente a Claudio, favorì un gruppo di intendenti personali a scapito del Senato. A riprova della sua ideologia, estese i palazzi sul Palatino con quello che viene definito il palazzo di Domiziano, che è la struttura visibile dal Circo Massimo (ben familiare per chi vive a Roma), enorme e a suo tempo ricco di decorazioni quasi barocche. Lo stesso Marziale avrà da scrivere su questa opera immensa nelle sue Satire:

La tua dimora, Augusto, che sfiora le stelle,
vale il cielo ma non vale il suo signore


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Resti del palazzo di Domiziano

Fiero sostenitore del culto e della religione romana, tant'è che egli assunse permanentemente il titolo di censore, annullò ogni onore e festa in ricordo del fratello e del padre, tanto era il risentimento che provava nei loro confronti. D'altro canto, la scarsissima stima di ambo nei suoi confronti lo aveva reso turbato, tenebroso e amante della solitudine, caratteristica che lo possono affiancare a Tiberio quanto a carattere; non è forse un caso che Domiziano abbia studiato a fondo gli atti di Tiberio duranti le sue numerose letture.

Parimenti al padre, Vespasiano fece conoscere a Roma un'intensa stagione edilizia, costruendo, oltre al proprio palazzo sul Palatino, uno stadio, lo stadio di Domiziano (dato che l'imperatore amava moltissimo i giochi e anzi impose ai questori appena entrati in carica di organizzare dei ludi). Domiziano voleva imporre alla città una propria foggia ed un proprio stile, voleva affermarsi sul popolo quale sovrano dopo anni ed anni di isolamento, isolamento che fra l'altro continuava. Si narra infatti che usasse stare solo nei suoi appartamenti, con unica compagnia la sua solitudine, e si divertisse a trafiggere le mosche con degli aghi. D'altro canto, nessuno lo apprezzava veramente, forse anche per il suo aspetto fisico: i senatori lo disprezzavano, ma si sperticavano in lodi adulatorie per lui.

Ad amarlo furono invece i soldati. Ciò ha dell'incredibile, considerando che Domiziano non era adatto alla vita militare né aveva riportato vittorie militari particolarmente rilevanti, se escludiamo un avanzamento dell'occupazione romana in territorio germanico. Un altro successo di rilievo fu quello contro i Caledoni, perpetuato però da Gneo Giulio Agricola, mentre la campagna in Dacia che condusse Domiziano contro il fiero re Decebalo si concluse senza aver portato a termine nulla. Tuttavia l'imperatore seppe assicurarsi il favore delle truppe concedendo ai legionari terre da coltivare lungo il confine del Reno e del Danubio.

Domiziano2

Ritratto di Domiziano

Domiziano fu un inoltre efficiente amministratore delle province e di Roma, e ciò favorì la fortunata stagione del II secolo. La tradizione che ce lo tramanda come un despota ed un tiranno sanguinario, crudele, inetto ed ingiusto è prevalentemente di origine tacitiana e più genericamente di rango senatorio, che, come ho già detto, odiava a morte l'imperatore e furono quelli più esposti al suo accentramento di potere. Tacito in particolare fu contemporaneo di Domiziano, ed considerò questo imperatore come l'archetipo del tiranno, il dittatore per eccellenza, esaltando i successori Nerva e Traiano come fautori di una nuova epoca di pace; affermazione agli occhi degli storici contemporanei fuorviante, dato che quel periodo di pace tanto decantato senza l'accurata seppur dispotica amministrazione di Domiziano non si sarebbe mai potuta verificare. Inoltre è possibile che il carattere intrattabile del sovrano abbia seriamente compromesso la sua fama: Domiziano era infatti chiuso, frustrato da una vita da eterna secondo e intriso di megalomania ed arroganza, tanto a lungo repressa sotto Vespasiano e Tito. Dunque non poté nascondere l'assetto fondamentalmente dispotico ed autoritario del suo governo, tant'è vero che non solo non esitò a cacciare di città i filosofi e gli attori, dichiarandosi amante dei coriacei costumi degli antenati, ma che fece giustiziare anche Flavio Clemente, il quale era suo nipote di secondo grado. La tradizione vuole che Clemente fosse cristiano, e che proprio questa sua fede abbia causata la sua esecuzione, anche se nelle fonti non c'è alcun riferimento a ciò ed anzi probabilmente si trattava più che altro di una condanna dettata dalla paranoia dell'imperatore più che da motivi religiosi. Questo non fece che aumentare la demonizzazione di Domiziano presso le fonti cristiane successive, attribuendogli una persecuzione mai avvenuta. La politica di chiusura religiosa di Domiziano, che, ribadisco, probabilmente non ebbe nulla a che fare con la condanna di Flavio Clemente, non fu certo una novità né un gesto particolarmente dispotico: lo stesso Augusto un secolo prima aveva fatto lo stesso, non venendo però giudicato ugualmente.

Domiziano iniziò sempre di più a percepire le ostilità dei senatori e della corte, e guardava tutti con sospetti. Era un misantropo, timido e collerico; a tutto ciò, si aggiunse un'ansia costante, che lo spinse a far rinascere la figura del delatore, sparita sotto Tito. Costoro incominciarono ad essere ricoperti di ricchezze per le denunce contro i nemici dell'imperatore, che venivano messi regolarmente a morte. La giustizia, che pure era gestita con amore per il giusto da Domiziano, iniziò in modo molto lento a prendere una piega corrotta già dall'inizio del suo regno, e non a caso l'imperatore ebbe a esclamare che la sorte dei sovrani è misera perché sono creduti se annunciano la scoperta di una congiura, solo quando vengono uccisi. Il Senato non rappresentava una minaccia vera e propria, e forse Domiziano lo sapeva: l'impero romano era dopotutto basato sulla fedeltà militare, e ciò, già messo in pratica da Otone, diverrà chiaro, come vedremo, nel III secolo, con i Severi. Le congiure nascevano invece prevalentemente a corte, spesso istigate dai più fedeli collaboratori del sovrano. Domiziano dunque incominciò ad essere sempre più paranoico. Cionondimeno, il Senato sostenne nel 93 un tentativo di usurpazione guidato dal legato Antonio Saturnino. La rivolta venne repressa dopo neppure un mese, ma l'ansia di Domiziano raggiunse il culmine. Si rinchiuse nel suo ricchissimo palazzo, le cui pareti furono fatte ricoprire di rocce dalle proprietà riflettenti di modo che l'angoscioso sovrano potesse vedere anche ciò che gli accadeva alle spalle.

Ma Domiziano ormai era circondato da un simile odio che le cospirazioni non ebbero difficoltà ad entrare nel seno del potere. Lì, un gruppo di funzionari, quegli stessi funzionari che Domiziano aveva innalzato al potere, incominciò a complottare contro il sovrano, forse col sostegno della moglie di Domiziano, Domizia.

Domiziano ebbe anch'esso dei vaticini sulla sua futura fine:

Il giorno prima della sua morte, quando gli si offrirono dei tartufi, ordinò di conservarli per l'indomani, aggiungendo: 'Se pure mi sarà concesso di mangiarli' poi, volgendosi verso i più vicini disse 'che il giorno seguente la luna si sarebbe tinta di sangue nell'Acquario e che si sarebbe verificato un avvenimento di cui tutti avrebbero parlato nell'universo intero'. Verso la mezzanotte fu preso da un tale spavento che saltò giù dal suo letto. Verso il mattino ricevette un aruspice inviato dalla Germania che, consultato su un colpo di tuono, aveva predetto un cambiamento di regime, lo ascoltò e poi lo condannò. Mentre si grattava vigorosamente un furuncolo infiammato che aveva sulla fronte, il sangue si mise a colare ed egli disse: 'Voglia il cielo che sia tutto qui.' Quando chiese l'ora, al posto della quinta, che temeva, gli fu intenzionalmente annunciata la sesta. Rallegrato da queste due circostanze e credendo che il pericolo fosse ormai passato, si affrettò ad uscire per la cura del corpo, quando il suo servo di camera lo richiamò alla realtà, annunciandogli un visitatore che veniva a portare non so che grave notizia e non poteva attendere.

Questo visitatore altri non era che il procuratore di Domiziano, Stefano, un liberto. Costui, fintosi ferito al braccio, si fece vedere a lungo in giro con un bendaggio di lana per stornare i sospetti, dopodiché si fece dare udienza dall'imperatore perché voleva denunciare un complotto. Stefano nascondeva però nel suo bendaggio un pugnale, col quale colpì l'imperatore mentre questi stava leggendo la lettera che gli aveva consegnato Stefano sulla presunta congiura. Domiziano provò a difendersi pur disarmato, provando, con le dita tagliate dalle ferite del pugnale, a disarmare Stefano, ma presto gli furono addosso altri cospiratori, che lo finirono.

La sua morte fu accolta in modo indifferente dal popolo, con rabbia dai pretoriani (che uccisero Stefano ed altri cospiratori) e dai soldati nelle province (che si sollevarono, pur se per breve tempo, essendo pronti, come dichiaravano, di fare di Domiziano un dio) e con gioia dai senatori, che, in pieno contrasto a quanto era avvenuto con Tito, gioirono pubblicamente della fine del sovrano, decretando per lui la damantio memoriae. A succedergli sarebbe stato Marco Cocceio Nerva, anziano membro del rango senatorio; infatti Domiziano non aveva lasciato eredi. Con lui, si estinse la dinastia flavia. Il corpo del sovrano fu trasportato dai vespilloni, ovvero i becchini, su una bara plebea per le vie di Roma, fra l'indifferenza generale.

image

Dipinto raffigurante l'assassinio di Domiziano, da una serie di dipinti sulle vite degli imperatori romani, Lazzaro Baldi, XVII secolo, dettaglio

Così finiva la triste vita di Domiziano. Amministratore abile ed efficiente, che pose le fondamenta per l'era di pace che seguì, non fu altrettanto abile nelle relazioni col Senato ed il popolo romano. Infatti non diede mistero della sua natura megalomane, una natura che era il risultato di una vita passata sotto le ombre tanto ingombranti del padre del fratello, ombre che lo perseguiteranno anche dopo la morte di questi, tanto erano stati amati durante i rispettivi regni. Lui invece non aveva il loro carisma: era misantropo, collerico, la sua solitudine lo rese un uomo cupo, in preda all'angoscia ed alla sofferenza, sofferenza per un mondo di affetti mancati che egli non fu mai in grado di trovare.

Edited by Labarbadiadriano - 5/1/2017, 15:49
 
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view post Posted on 7/11/2016, 15:39
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CITAZIONE
nonché ponendo fine alla pratica dei delatori.

In che modo?

Sempre molto belle anche le immagini che scegli per illustrare il tuo raccono; mi piace molto anche vedere le effigi dei Cesari di cui parli e leggere le descrizioni del loro aspetto. Non so, è un po' un modo per farceli sentire più vicini e più veri, non solo nomi letti su un libro di storia.

CITAZIONE
Fiero sostenitore del culto e della religione romana, tant'è che egli assunse permanentemente il titolo di censore, annullò ogni onore e festa in ricordo del fratello e del padre, tanto era il risentimento che provava nei loro confronti. D'altro canto, la scarsissima stima di ambo nei suoi confronti lo aveva reso turbato, tenebroso e amante della solitudine, caratteristica che lo possono affiancare a Tiberio quanto a carattere; non è forse un caso che Domiziano abbia studiato a fondo gli atti di Tiberio duranti le sue numerose letture.

Sì, anche a me era venuto in mente proprio Tiberio leggendo!

CITAZIONE
Dunque si costruì ben presto attorno a Tito la fama di un giovane vizioso e corrotto, un nuovo Nerone. Si narrava infatti che di notte si desse ad orge sfrenate. Queste sono storie forse inventate da coloro che lo odiavano, ma che inficiavano di base alla sua fama.
[...]
Nel 79, alla morte del padre, Tito gli successe in qualità di suo erede. Lo circondava un alone di disprezzo da parte di tutti, che anzi temevano che il nuovo sovrano sarebbe stato feroce e crudele: tuttavia, Tito sorprese tutti. Grazie a Svetonio, abbiamo una ricca aneddotica su questo imperatore ed i suoi gesti di bontà
[...]
La tradizione che ce lo tramanda [Domiziano]come un despota ed un tiranno sanguinario, crudele, inetto ed ingiusto è prevalentemente di origine tacitiana e più genericamente di rango senatorio, che, come ho già detto, odiava a morte l'imperatore e furono quelli più esposti al suo accentramento di potere. Tacito in particolare fu contemporaneo di Domiziano, ed considerò questo imperatore come l'archetipo del tiranno, il dittatore per eccellenza, esaltando i successori Nerva e Traiano come fautori di una nuova epoca di pace; affermazione agli occhi degli storici contemporanei fuorviante, dato che quel periodo di pace tanto decantato senza l'accurata seppur dispotica amministrazione di Domiziano non si sarebbe mai potuta verificare.

Ed ecco che gli storici entrano di nuovo in gioco, con la loro "personale" visione che, forse, invece di riportare ed illustrare la realtà, la distorce per motivi diversi.

CITAZIONE
Si rinchiuse nel suo ricchissimo palazzo, le cui pareti furono fatte ricoprire di rocce dalle proprietà riflettenti di modo che l'angoscioso sovrano potesse vedere anche ciò che gli accadeva alle spalle.

Sono davvero curiosa. Si sa di quali rocce si tratta?

CITAZIONE
Così finiva la triste vita di Domiziano. Amministratore abile ed efficiente, che pose le fondamenta per l'era di pace che seguì, non fu altrettanto abile nelle relazioni col Senato ed il popolo romano. Infatti non diede mistero della sua natura megalomane, una natura che era il risultato di una vita passata sotto le ombre tanto ingombranti del padre del fratello, ombre che lo perseguiteranno anche dopo la morte di questi, tanto erano stati amati durante i rispettivi regni. Lui invece non aveva il loro carisma: era misantropo, collerico, la sua solitudine lo rese un uomo cupo, in preda all'angoscia ed alla sofferenza, sofferenza per un mondo di affetti mancati che egli non fu mai in grado di trovare.

Ma lo sai che sei davvero bravo? Nelle tue conclusioni riesci sempre a dare un grande tocco di umanità a questi personaggi, a renderli "veri".


Edited by Ida59 - 10/11/2016, 17:08
 
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view post Posted on 9/11/2016, 16:46
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Grazie!

Tito si propose di incarcerare (o esiliare, non ricordo bene) i delatori, considerando questa pratica una forma criminale. Questo è un evento storico di portata notevole, se è effettivamente accaduto: infatti sin da quando la Grecia stava attraversando la sua età d'oro la figura del delatore (che in Atene era nota come sicofante) era stata ampiamente abusata. A Roma i delatori ebbero fortuna alterna, ma prosperarono sotto l'impero, grazie alle leggi di lesa maestà che furono imposte da Augusto e che prevedevano la tortura e la condanna a morte (o l'esilio). Gli accusati non avevano nessuna colpa se non quella di aver oltraggiato gli imperatori morti e deificati, ma anche di aver oltraggiato anche solo a parole il sovrano allora sul trono. Molti allora furono coloro che, sull'accusa di lesa maestà, proprio tramite i delatori, riuscirono a far condannare i propri nemici. Seiano, ad esempio, aveva un lungo stuolo di clienti che egli usava, appunto, proprio come delatori, e grazie ai quali riuscì a liberarsi di gran parte dei sostenitori di Agrippina. In somma delle somme, le delazioni potevano essere tranquillamente accettate, anche se questa pratica era già vista negativamente.

Sulla roccia di Domiziano, non ricordo esattamente il tipo. Appena avrò notizie le farò sapere.
 
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view post Posted on 10/11/2016, 17:11
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Grazie a te! :)
 
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view post Posted on 13/11/2016, 00:35
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I Cesari: gli imperatori per adozione

Parte 1: L'apice dell'impero

Nel 96, Domiziano viene assassinato in una congiura. Ciò potrebbe far nascere una guerra civile: infatti, l'ultima volta che una dinastia di sangue si era estinta (Nerone), era scoppiata una violenta guerra civile. Fortunatamente, stavolta i tumulti saranno tenuti a freno, e l'impero andrà incontro alla sua stagione di massimo splendore.

Nerva

Fu un uomo di grande cultura e si fece spesso arbitro nelle dispute. Esiliò Calpurnio Crasso, che aveva allettato le truppe con grandi promesse, dopo essere stato scoperto, ed avendo confessato, a Taranto con la moglie, mentre il Senato gli rimproverò la sua clemenza. E quando si chiese di condannare a morte gli assassini di Domiziano, egli fu tanto costernato che non si trattenne dal vomitare e dall'avere un forte mal di pancia, tuttavia obbiettò con ardore, dicendo che era più giusto morire che lordare l'autorità dell'impero per l'aver tradito gli autori del potere che avrebbe acquisito.

Marco Cocceio Nerva nacque in Umbria attorno al 30 od al 35. Le fonti su questo imperatore sono poche e scarne: infatti, mentre le biografie di Svetonio si interrompono subito dopo Domiziano, la continuazione ideale, l'Historia Augusta, riprende solo da Adriano (117-138). Da ciò consegue la lacunosità biografica su Nerva, tant'è che non sappiamo praticamente nulla sulla sua giovinezza. Quel che è certo è che egli apparteneva ad una nobilissima famiglia: suo nonno, ad esempio, importante giurista nonché suo omonimo, era stato un amico di Tiberio, che lo aveva seguito a Capri e che si era lasciato morire di fame nel 33, non potendo più vedere né l'impero ridotto al degrado. Tiberio provò a salvarlo, facendo allestire enormi banchetti, ma tutto fu inutile, e l'imperatore perse uno dei suoi pochi, veri amici.

La prima volta che appare nelle fonti storiche è nel 65, quando fu tra coloro che scoprirono la congiura di Pisone contro Nerone. Pare inoltre che nello stesso periodo abbia avuto modo di conoscere Vespasiano e la sua famiglia, tant'è che Svetonio ci dice che il giovane Domiziano si prostituì a Nerva.

Nel 71, lo ritroviamo come console. Ciò ci fa intuire quanto fosse importante Nerva: infatti durante il regno di Vespasiano, raramente il consolato fu concesso ai non-Flavi. Nel 90, fu fatto nuovamente console assieme a Domiziano. Nerva visse dunque una vita politica alquanto attiva, senza però mai prevalere sugli altri senatori.

È ignoto, come nel caso di Claudio, se Nerva fosse effettivamente a conoscenza della cospirazione ai danni del predecessore. Ciò che è certo, tuttavia, è che nello stesso giorno della morte di Domiziano, il Senato si riunì e proclamò Nerva Cesare. Era il settembre del 96, e Nerva aveva già una sessantina d'anni.

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Statua togata di Nerva

L'ascensione di Nerva fu effettivamente sostenuta dal Senato che, dopo essere stato esposto a lungo alle angherie accentratrici di Domiziano, poteva finalmente vedere uno di loro nel ruolo di Cesare. È particolare infatti come persino Tacito, filo-repubblicano della razza più arcigna, lodi Nerva, definendolo colui che ha conciliato la libertà ed il principato. Queste lodi furono probabilmente dovute ad una moderazione incredibile da parte del nuovo princeps: sospese tutte le delazioni, oltre a non mettere a morte alcun senatore durante il suo regno.

Tuttavia, Nerva non era amato dalle truppe, che invece preferivano Domiziano. Già subito dopo l'assassinio di questi, infatti, si erano dichiarati pronti a vendicarlo e pretesero la deificazione di Domiziano; Nerva, invece, si era dimostrato benigno, forse pure troppo, nei confronti dei criminali e dei congiurati contro Domiziano che erano sopravvissuti ai pretoriani. Non mise a morte neppure coloro che cospirarono contro di lui, limitandosi ad esiliarli. Questa mancanza di forza e di autorevolezza da parte di Nerva gli guadagnò il disprezzo e del Senato e delle truppe, che presto decisero di non sottostare più a quel sovrano anziano e debole. Nei primi mesi del 97, infatti, i pretoriani, guidati da Casperio Eliano, presero d'assedio il palazzo imperiale, tenendo segregato lo stesso Nerva. Quest'ultimo fu costretto dai ribelli a mettere a morte i cospiratori rimasti: già da soli i pretoriani si erano fatti giustizia, uccidendo i cospiratori Petronio, sgozzato con un sol colpo, e Partenio, i cui genitali erano stati strappati brutalmente e gli erano stati spinti in gola. Nerva acconsentì, e lì si concluse l'episodio.

Nerva tuttavia si rese conto che l'impero dipendeva fortemente dalla fedeltà militare, fedeltà che lui non possedeva, in quanto, da quel che sappiamo, cagionevole di salute come era (aveva per esempio frequenti conati di vomito), non aveva avuto precedente esperienza in campo militare, e se dunque voleva mantenere intatta la sua autorità, uscita disastrata dall'episodio di Casperio Eliano, doveva assicurarsi il sostegno dei soldati. Dunque decise di adottare un uomo molto popolare in campo militare, Marco Ulpio Traiano, che in quel momento era governatore della Germania Superiore. Questo fu l'inizio dei così detti imperatori per adozione, ovvero una successione imperiale dettata dalla meritocrazia, non dal sangue. Ad essere proprio onesti, questa idea non nacque proprio da una volontà di democratizzare il potere: Nerva in realtà non aveva figli, ed i pochi parenti che aveva erano tutti distanti ed inadatti a ruoli politici. Inoltre, come già ribadito, l'imperatore fu costretto, per sua stessa debolezza, a cercare il sostegno di uomo amato dalle truppe.

Nel 97, con solenne cerimonia, Traiano, che tuttavia era rimasto in Germania, e dunque non era presente, fu adottato. Nel 98, Nerva e Traiano condivisero il consolato, senza che Traiano rientrasse in città; tuttavia, Nerva morì già verso la fine del gennaio dello stesso anno per una febbre.

Nerva è incluso dallo storico Edward Gibbon nei 'cinque buoni imperatori', ovvero una serie di Cesari, da, appunto, Nerva, a Marco Aurelio, abili, giusti, capaci ed efficaci. Sul nostro Nerva, tuttavia, possiamo dire molte cose positive, quante negative. Nerva mancò dell'autorità necessaria per il ruolo che svolgeva, sia per l'età avanzata, sia per la salute cagionevole, sia, forse, per inclinazione personale; la sua eccessiva benignità lo fa trasparire chiaramente. Tuttavia, Nerva fu in grado di prevenire una sanguinosa guerra civile, che sarebbe potuta nascere sulle ceneri della dinastia Flavia. Inoltre, traghettò con efficienza l'impero dall'assolutismo di Domiziano al suo immenso successore Traiano.

Traiano

Nel suo quarantaduesimo anno d'età, quando iniziò a regnare, egli aveva un corpo robusto, tanto che in ogni impresa di adoperò quasi quanto gli altri; e il suo potere mentale era al suo apice, di modo che non avesse né la sconsideratezza propria della gioventù, né la trascuratezza tipica della vecchiaia. Non provò invidia né uccise mai nessuno, ma onorò ed esaltò tutti gli uomini probi, senza alcuna eccezione, e dunque non ebbe da temere né da odiare nessuno di loro. Presto pochissimo ascolto alle delazioni e non era soggetto ad ira. Si astenne equamente sia dal rubare sia dagli omicidi ingiustificati.

Marco Ulpio Traiano, l'optimus princeps, un nome che evoca tutte le virtù del monarca illuminato, una fama rimasta praticamente immutata nel corso dei secoli. Non è un caso, infatti, che ancora alla fine del IV secolo, secondo lo storico Eutropio, si augurasse ancora ai nuovi imperatori d'essere felicior Augusto, melior Traiano ('più fortunato di Augusto, migliore di Traiano'). Ma cos'è che ha reso Traiano tale? Ed è veramente degno di tale titolo?

Marco Ulpio Traiano nacque ad Italica, in Hispania, nel 53. Egli dunque era nato in una provincia, non in Italia, come i precedenti Cesari (eccezion fatta per Claudio, nato nelle Gallie, a Lione - al secolo Lugdunum). Come per Nerva, non sappiamo molto della sua giovinezza, né della sua carriera, in quanto ci mancano delle vere e proprie biografie di questo sovrano. Sappiamo che si distinse per ampi meriti militari nel sopprimere la rivolta di Antonio Saturnino ed in delle campagne in Germania. Perciò, fu premiato, ancora giovanissimo, nel 91, col consolato. In una data sconosciuta fra l'assassinio di Domiziano e l'accessione di Nerva, egli divenne governatore della Germania Superiore.

Nel 97, lo raggiunse la notizia della sua designazione ad erede, col conferimento della potestà tribunizia, ma non tornò ugualmente a Roma; nel 98 condivise il consolato con l'imperatore, sempre non rientrando nella capitale. Neppure quando Nerva spirò a fine gennaio Traiano rientrò. Infatti quest'ultimo aveva capito che l'impero si reggeva sulla fedeltà militare, dunque, già popolare fra le truppe, si volle prima assicurare la fedeltà degli eserciti stanziati al fronte, facendo un lungo giro di ricognizione. In seguito, entrò nella capitale, accolto dal popolo in festa.

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Ritratto di Traiano con la corona civica

Traiano si impegnò all'inizio del suo principato, dopo aver deificato Nerva, per instaurare un buon rapporto col Senato. Per questo egli ben presto ottenne il titolo non ufficiale di optimus, e si guadagnò le lodi di Tacito, suo contemporaneo. In realtà, a ben vedere, Tacito non fu meno dispotico di Domiziano, anzi, allargò le aree di influenza del principe, togliendo al Senato addirittura il controllo di alcune province. Ma Traiano non era Domiziano: quest'ultimo era capriccioso, misantropo e collerico, mentre Traiano era un uomo da una natura fondamentalmente generosa ed espansiva. Fattosi forte del suo carisma, dunque, Traiano non ebbe alcuna difficoltà a guadagnare prestigi per sé e per la propria carica.

Nel 101, partì per la prima guerra dacica. La Dacia rappresentava una sorta di spina nel fianco dell'impero. Le campagne di Domiziano si erano infatti limitate a prendere accordi col re Decebalo che gli imponevano una certa condotta, accordi molto deboli e che venivano continuamente infranti. Traiano organizzò così due campagne, l'una fra il 101 ed il 102, la seconda fra il 105 ed il 106, per sottomettere del tutto questa provincia tanto ribelle. Traiano ebbe dalla sua anche l'architetto Apollodoro da Damasco, che fece costruire vari passaggi per facilitare il movimento delle colonne sull'aspro territorio dacico. La prima si risolse in una successo: Traiano riuscì a soffocare Decebalo con un'efficace manovra 'a tenaglia', ed alla fine il re dacico capitolò, e accettò di prostrarsi davanti a Traiano, che ottenne parte del regno di Dacia. Le condizioni di pace imposte dall'imperatore a Decebalo furono assai dure; d'altro canto, Roma doveva mostrare subito una forte autorità contro una provincia appena annessa e ancora ricca di fuochi di sedizione. Decebalo diveniva dunque un re cliente di Traiano, che poté fregiarsi del titolo di Dacico: una grande umiliazione per il dacico.

Attorno al 105, il fiero Decebalo riarmò l'esercito e riprese le offensive, attraversando il Danubio. Si ebbe così una seconda campagna dacica. Traiano capì dunque che, se voleva che ci fosse la pace nella provincia, questa doveva essere conquistata completamente. Questa seconda campagna si distinse per l'asprezza di Traiano nei confronti degli autoctoni. Decebalo fu ben presto costretto a riparare nella capitale del regno dacico, dove, braccato dai romani, si diede la morte. La sua testa fu portata a Traiano. La seconda campagna dacica era finita, e la provincia era interamente in mano romana. La vittoria fu commemorata in uno dei monumenti più famosi di Roma, la colonna Traiana, alta quasi 40 metri, dove tutte e due le campagne sono narrate tramite una serie di rilievi, anche nei dettagli e nei momenti più drammatici (come il suicidio di Decebalo). Si trovava nel foro di Traiano, ultimo dei fori imperiali, ad opera dell'imperatore stesso. Il trionfo di Traiano durò 123 giorni, e si ebbero numerosi giochi (si sa che Traiano era piuttosto prodigo da questo punto di vista, forse per assicurarsi il favore del popolo), durante i quali, secondo la tradizione, avvenne il martirio di sant'Ignazio. Oltre alla Dacia, Traiano riuscì ad annettere l'Arabia, con la sconfitta dei Nabatei.

Ora, nel precedente paragrafo ho sollevato due importanti aspetti di Traiano: l'aspetto architettonico e religioso. Sul primo, tanto, troppo si può dire: i suoi fori sono di grandissima importanza. Infatti lì risiedevano, oltre che alla colonna succitata, due biblioteche e la Basilica Ulpia (con annessa statua equestre di Traiano, a noi non giunta ma senz'altro gigantesca - molto più grande di quella di Marco Aurelio, che oggi si trova nei Musei Capitolini). Inoltre, poco distante, nei pressi del Quirinale, furono costruiti i Mercati di Traiano, un centro di esportazione e di importazione di merci fra i più importanti dell'impero, ormai giunto alla massima espansione. A Traiano sono inoltre legate delle strade, una delle quali veniva introdotta a Benevento da un arco enorme (che esiste ancora oggi) e proseguiva fino a Brindisi (la via Traiana), oppure una che seguiva i confini del Danubio. Anche i porti di Civitavecchia, Ostia ed Ancona furono restaurati, e ciò favorì il trasporto del grano, che, potendo arrivare più facilmente in città, gli procurò l'amore del popolino. Traiano fece edificare, infine, dove si trovava la Domus Aurea di Nerone, un enorme impianto termale, assieme ad un acquedotto, che partiva sin dal lago di Bracciano. In tutto ciò, Traiano probabilmente, già di suo appassionato di architettura, si valse dell'aiuto del già citato Apollodoro di Damasco.

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Foro di Traiano oggi

Quanto alla questione religiosa, sappiamo che Traiano si comportò con relativa moderazione nei confronti dei Cristiani. Infatti sappiamo, da uno scambio epistolare fra Plinio iunior e l'imperatore, che quest'ultimo approvò la politica del primo, ovvero quella di concedere clemenza a chi abiurava pubblicamente la propria religione, senza causare spargimenti di sangue inutili. Tuttavia, egli vedeva il Cristianesimo come una setta, sì da combattere, ma relativamente innocua.

Parlando di politica interna, Traiano istituì i così detti alimenta, ovvero delle assistenze per aiutare i ragazzi preclusi dall'istruzione, ed i curatores, che assumevano il controllo finanziario di località circoscritte e rispondevano direttamente all'imperatore. In quest'ultima mossa si legge una volontà di accentramento da parte di Traiano, che fra l'altro tendeva a porre sotto il suo diretto controllo anche l'amministrazione delle province tramite fitti rapporti epistolari (come quello, già citato, fra l'imperatore e Plinio iunior). L'autocrazia di Traiano, tuttavia, pur non essendo troppo dissimile da quella di Domiziano, grazie al carisma ed alla furbizia del sovrano (Traiano ebbe infatti il buon senso di farsi eleggere console 'solo' 6 volte durante il suo principato, per non dare il senso di tirannia, non 17, come Domiziano, che invece non nascondeva affatto la natura dispotica del suo potere), non gli fu mai contestata.

Merita infine anche una parentesi la vita sessuale dell'imperatore. L'Augusta Plotina era una donna molto intelligente, assai istruita ed aderente all'Epicuresimo, dunque ben distante dal marito, uomo di azione e più rude. Nonostante ciò, i due condividevano una grande (o, almeno, apparente, come ci appare più verosimile) modestia, tant'è che Plotina, entrando nel palazzo imperiale, pare esclamò che volesse uscire da quel palazzo come vi era entrata, e che non ricevette il nome di Augusta se non nel 105. Fra i due sembrò esserci un matrimonio felice, ma probabilmente non fu così: è noto, infatti, che Traiano fosse omosessuale, un costume non troppo raro né eccessivamente scandaloso all'epoca. A prova di ciò, sappiamo che Abgar VII, sovrano orientale, ottenne il perdono per un torto fatto a Traiano inviando all'imperatore il proprio piacente e giovane figlio. Dunque, l'unione con Plotina fu con tutta probabilità di carattere diplomatico, e dunque solo d'immagine.

Traiano era un uomo ambizioso, e mal sopportava la vita in città. Dopo la vittoria sulla Dacia, era rimasto a Roma, ma probabilmente scalpitava, scalciava per ripartire. Ma l'età avanzava, rendendolo sempre più debole e stanco. Ma la forza d'animo di Traiano fu più forte della vecchiaia: nel 113 ebbe l'occasione che tanto desiderava. Infatti in quell'anno Traiano partì per una campagna contro i Parti, da sempre nemici dell'impero, e mai sconfitti. La causa era stata la nomina di un re armeno senza l'approvazione di Roma. La campagna partì sotto ottimi auspici, ma poi si fece lunga e logorante, senza che Traiano riuscisse a prevalere sul nemico. Nel 117, dunque, visto che la sua salute peggiorava gradualmente, e anche che si stava addentrando eccessivamente in un territorio tanto ostile, decise, abbattuto, di tornare a Roma. Nella via per la capitale, tuttavia, Traiano si ammalò in Siria e spirò lì, nell'agosto del 117. Il suo corpo fu cremato, e le ceneri deposte nella Colonna Traiana (che era vuota all'interno, e funzionava anche come mausoleo).

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Traiano inconsolabile dopo la battaglia di Ctesifonte, John William Lewin, ?1815

La questione della successione non era mai stata chiarita ufficialmente dall'imperatore. Infatti Traiano si limitò a favorire molto il lontano cugino Adriano, sembra mai nominarlo esplicitamente erede. Pare che quest'ultimo gesto avvenne solo sul letto di morte. Non è mai stato chiaro se Traiano effettivamente abbia nominato Adriano o meno; secondo alcuni, sarebbe stata l'Augusta Plotina, affezionata al giovane, a falsare la volontà di Traiano, ed a trasmettere una nomina inesistente. In realtà, questa è solo una voce, ed analizzando bene la situazione, probabilmente Adriano era effettivamente colui designato per la successione. Con l'adozione di quest'ultimo, continuò la linea meritocratica del potere.

Traiano aveva inaugurato così il secolo d'oro dell'impero. Nei suoi 19 anni di regno si era dimostrato un sovrano giusto e capace, abile ed anche astuto. Aveva una gran forza d'animo, che, unito ad un innato carisma e forse anche ad un discreto fascino, gli resero spianata la strada verso la costruzione di uno Stato più centralizzato ed autoritario, sul modello del più chiuso e misantropo Domiziano. Su ciò, assieme ad una graduale militarizzazione della società, lo si può criticare; tuttavia, Traiano aveva probabilmente intuito che per gestire un impero (che sotto questo sovrano ebbe la massima espansione) serviva un potere più centrale possibile, e seppe quindi amalgamare le richieste del Senato alle esigenze del vastissimo territorio romano, con un atteggiamento moderato che nascondeva un gran potere. Traiano diede inoltre lustro e grandezza alla capitale, che cercò di rafforzare dalla pressione sempre maggiore delle province, riuscendoci in pieno. Insomma, Traiano fu un ottimo principe, forse danneggiato da una discreta ambizione, che seppe avviare la strada che percorreranno i suoi successori in quello che verrà definito il beatissimum saeculum.

Edited by Labarbadiadriano - 13/11/2016, 13:15
 
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view post Posted on 13/11/2016, 17:08
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Mi viene da dire che se non sei cattivo e violento non diventi un bravo imperatore!

Naturalmente i tempi erano quello che erano e ben si comprende come il povero Nerva pur essendo una brava persona e un buon politico dovette sottostare alle leggi della forza bruta.

Nerva non potè fare a meno di compromessi, dei quali è esempio il restituire la prefettura del pretorio a un fedele di Domiziano, Casperio Eliano, e acconsentire che egli e i pretoriani punissero nel modo che tu hai descritto gli uccisori di Domiziano. Ma è appunto con questi compromessi, secondo me, che Nerva poté salvare la sua posizione e tramandare sicuro lo stato all'erede, che egli aveva avuto il grande acume di scegliere: Ulpio Traiano, allora comandante le legioni della Germania Superiore.
Scegliere Traiano fu comunque segno di intelligenza e lungimiranza e non è cosa da poco in tempi come quelli.

Grazie Giacomo! :D
Nel post di seguito a questo accenno all'arco di Traiano che si trova nel porto di Ancona.

Edited by chiara53 - 13/11/2016, 18:20
 
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