Dopo secoli, propongo un nuovo frammento di giardino. Ne mancano due, massimo tre, che spero di proporre al più presto.Nobiltà d’animo
Parigi e Villandry, 18-19 maggio 2003
La voce di Ygraine si levò dolce nell’immensità della sala, mentre evocava i cieli azzurri dell’Egitto dei Faraoni. Era inginocchiata in mezzo alla grande scena vuota, in abiti che non avevano nulla a che fare con l’epoca di svolgimento della storia, ma che sembravano rendere in maniera più brutale il fatto che Aida era una schiava.
Severus osservava con attenzione ogni minimo movimento della moglie, ogni impercettibile segno di fatica, ma Ygraine appariva quasi eterea, mentre chiudeva le ultime note dell’aria. Conosceva perfettamente la messa in scena e sapeva che il regista l’aveva adattata alle condizioni della sua sposa, togliendo in parte drammaticità alle scene, ma rendendo più fragile la protagonista.
Come le altre quattro serate, venne catturato dal modo in cui la moglie riusciva a diventare Aida, a metterne in luce le fragilità, a mostrare come l’unica vera scelta compiuta dalla giovane etiope fosse la morte al fianco di Radames.
Come le altre quattro serate, era preoccupato per Ygraine e per i bambini che portava in grembo.
Sapeva razionalmente che non esisteva nessun rischio e che, dopo quella sera, la moglie non si sarebbe più esibita su un palcoscenico fino alla nascita dei gemelli. Eppure, quella parte di lui, che aveva temuto la felicità trovata insperatamente accanto a Ygraine e Rebecca, non riusciva a restare tranquilla.
E non lo fu nemmeno quando l’ultima nota risuonò quasi impalpabile, né quando i cantanti si portarono alla ribalda per ricevere gli applausi.
Da dove si trovava, nell’ampia platea di Opéra Bastille, non riusciva a leggere l’espressione degli occhi nocciola di Ygraine, ma era certo che fossero radiosi al pari del suo sorriso. Il pubblico sciamò, scambiando commenti entusiasti, mentre Severus si recava verso una porta nascosta su un lato dell’ampia platea e passava rapidamente dietro le quinte. Nessuno fece caso a lui, ma il retropalco sembrava più simile ad un porto di mare che ad un teatro.
D’altronde, lo avevano visto per tutte le prove e per le altre quattro recite. Seguì alcuni corridoi intricati fino a che non raggiunse il piano dove si trovavano i camerini degli artisti. La prima volta che aveva accompagnato la moglie si era detto che il progettista di quell’enorme teatro doveva aver tratto un sadico piacere nel complicare la vita a chi vi lavorava.
Dominique, che aveva interpretato Amonasro, lo salutò con un cenno del capo, quando Severus raggiunse il camerino di Ygraine, che aveva già tolto il semplice abito di scena per indossare il vestito primaverile con cui era uscita dalla casa di Villandry quella mattina.
«Sto bene» gli disse, prima ancora che aprisse bocca, un dolce sorriso sulle labbra. «Ma sono felice di rimanere a casa per i prossimi mesi.»
Ygraine si alzò in piedi e si avvicinò a Severus. Era la prima volta che pronunciava quelle parole, ma non aveva voluto preoccuparlo. Mentre cantava non sentiva alcuna stanchezza, che la coglieva sempre nel camerino o quando era circondata dalle persone che volevano un suo autografo.
«Se vuoi possiamo evitare di andarcene dall’uscita artisti.»
«Non è necessario. Abbiamo il treno tra un’ora e mezzo e io sono già pronta.»
Severus annuì, anche se avrebbe voluto evitare quella fatica alla moglie. Eppure, sapeva che era troppo rischioso Smaterializzarsi, soprattutto considerando che Ygraine era una Babbana e non c’era molta letteratura in proposito. Aveva cercato qualsiasi informazione in proposito, ma, a quanto sembrava, erano molto più frequenti le unioni tra una strega e un Babbano che il caso contrario. Presero insieme l’ascensore che portava dai camerini, posti al sesto piano, fino al pianterreno. Una volta giunti si mise in disparte, dopo che l’addetto alla portineria ebbe fatto accomodare la moglie dietro il bancone.
Fortunatamente non c’erano molte persone ad attendere gli artisti. Severus osservò Ygraine sorridere e rispondere gentilmente ad ogni persona che si avvicinava a lei. Gli parve più bella del solito, con i lunghi capelli biondi raccolti in una treccia morbida.
E mentre la osservava si sentì incredibilmente fortunato ad averla incontrata.
Senza di lei non starebbe toccando una felicità che aveva sempre creduto che gli fosse preclusa. Con ogni probabilità si sarebbe trovato ancora davanti al quadro di Sancta Lilias ad osservare le fattezze di una donna che non era veramente Lily, a credersi ancora innamorato di un fantasma perfetto che aveva creato nella sua mente.
Sarebbe stato ancora bloccato nell’inverno della sua anima e non avrebbe mai conosciuto la primavera del perdono.
Doveva tutto il suo presente alla moglie e a Rebecca, ma era intimamente certo che la bambina non sarebbe stata sufficiente per fargli realmente comprendere in quale modo avesse sprecato tre anni della vita che si era ritrovato inaspettatamente a vivere dopo che si aveva creduto di morire per il morso di Nagini.
Ygraine lo aveva perdonato e, mentre la osservava ricevere dal teatro un vaso di garofani del poeta, si rese conto che aveva imparato a perdonarsi. Non sentiva più il peso della colpa ogni volta che pensava ad Albus o quando ripercorreva i suoi anni di spia perché era cosciente che aveva fatto il suo dovere per portare alla caduta dell’Oscuro Signore.
Tutti i suoi rimpianti, tutta la sua colpa si concentrava ormai sulla scelta che aveva compiuto guidato dalla rabbia, dalla frustrazione e dal senso di rivalsa ed era abbastanza realista da sapere che quella maledetta decisione non sarebbe mai riuscito realmente a perdonarsela.
Eppure, la decisione di diventare Mangiamorte, presa quando era forse troppo giovane, non offuscava più la felicità che provava in quel momento.
«Possiamo andare» disse Ygraine, raggiungendolo quando all’uscita artisti di Opéra Bastille erano rimasti soltanto gli addetti del teatro.
Mentre camminavano verso la metropolitana, la donna passò i fiori a Severus, prima di prenderlo sottobraccio. Si sentiva malinconica per quanto sapesse di non averne alcun reale motivo. Avrebbe interrotto la sua carriera per qualche mese, per poi tornare a cantare in un ciclo di recital quando i bambini avrebbero avuto quattro mesi.
Eppure, il palcoscenico le sarebbe mancato.
Non erano gli applausi ad attrarla del suo mestiere, quanto, piuttosto il poter immergersi nella musica, lo scavare a fondo il personaggio che avrebbe interpretato e confrontarsi con gli altri interpreti.
Il viaggio in metropolitana fino a Gare Montparnasse fu tranquillo e ben presto si sedette accanto al marito sul treno per Tours, dove Stéphane, il padre di Renaud, sarebbe andato a prenderli per riaccompagnarli a casa.
«Credi che potremmo piantarli in giardino?» domandò a Severus, mentre il treno partiva.
«Naturalmente.»
Ygraine gli sorrise, prima di appoggiare il capo contro la sua spalla. L’uomo rimase per qualche istante immobile, i garofani posati sul tavolino del treno, prima di stringere a sé la moglie. Si riteneva incredibilmente goffo, per quanto quello fosse un gesto ormai abituale, ma non riusciva a sentirsi a suo agio a manifestare il suo affetto in pubblico, sebbene sapesse che nessuno degli altri passeggeri stava facendo caso a lui.
Eppure, quando si accorse che Ygraine si era addormentata, si sentì stranamente in pace.
Ogni momento di quella nuova vita era fatto di gesti normali, che aveva visto fare a innumerevoli persone, ma che gli erano sempre stati preclusi.
Quando era stato giovane e sciocco aveva creduto che, un giorno, avrebbe potuto abbracciare in quel modo Lily, ma erano stati dei vani sogni, che si erano scontrati con quel senso di disagio che provava ogni volta che era accanto alla ragazza. Gli era sempre apparso, allora, di essere una specie di spaventapasseri che cercava di attirare l’attenzione di un essere perfetto.
Ed anche quella era stata una stupida illusione, ma aveva impiegato fin troppo tempo per rendersene conto.
Mentre Ygraine dormiva tranquilla, appoggiata contro di lui, si rese conto di non essersi mai sentito inadeguato accanto a lei, benché fosse perfettamente consapevole di essere ancora simile ad uno spaventapasseri.
Sfiorò delicatamente il ventre arrotondato della moglie, mentre cercava di immaginare i mesi a venire e i due bambini che sarebbero venuti al mondo. Da quando aveva parlato con Ygraine dei suoi dubbi, da quando le aveva rivelato anche l’unico tassello della sua vita che le aveva taciuto, si sentiva più tranquillo. Era certo di amare i suoi figli, così come amava Rebecca che quella domenica era rimasta a Villandry perché era il compleanno della sorella minore di Renaud.
Aveva avuto paura di poter diventare come Tobias, ma osservando la bambina che lo chiamava papà si era reso conto che Ygraine aveva ragione e che non sarebbe diventato come l’uomo che lo aveva messo al mondo.
Scosse appena la moglie, quando il treno iniziò a rallentare poco prima di entrare nella stazione TGV di Tours e, poco dopo, insieme scesero dalla carrozza. Stéphane li attendeva sul binario insieme a Rebecca e a Renaud.
«Sono voluti venire anche loro» disse l’uomo come spiegazione, mentre li accompagnava all’automobile.
Ygraine si sistemò nel sedile, ascoltando vagamente Rebecca e Renaud spiegare come avevano trascorso la giornata. Forse avrebbe dovuto procurarsi una macchina quando si erano trasferiti in Francia, ma aveva preso l’abitudine di andare in bici alla piccola stazione di Savonnières quando doveva andare a cantare oppure, quando il tempo era brutto, di dipendere dalla magia del marito. Non che la Smaterializzazione fosse piacevole, ma aveva il pregio della rapidità.
Forse, se ne sarebbe procurata una dopo la nascita dei bambini.
Il viaggio fu tranquillo e fu felice di trovarsi nuovamente a casa. Lasciò che Severus preparasse la cena – d’altronde il marito era un cuoco decisamente migliore di lei – mentre Rebecca le faceva alcune domande sulla recita di quel giorno.
La malinconia che l’aveva presa uscita da teatro sembrò lasciarla durante il pasto. Era tutto così naturale, si disse, mentre osservava la sua famiglia e cercò di immaginarsi due maschietti dai capelli e dagli occhi neri come Severus. Sapeva che il marito sperava che lei stesse aspettando due bambine e, per un istante, si chiese se non dovesse chiedere al prossimo controllo di sapere il sesso dei nascituri, ma scacciò subito l’idea. Voleva assaporare la sorpresa, cercare i nomi e condividere quella ricerca con l’uomo che amava.
Quando si ritirarono, Severus lasciò i garofani dei poeti sul tavolo della cucina, illuminati dalla dolce luce della luna crescente.
Al risveglio l’uomo li vide illuminati dalla luce del sole e già li immaginò nel giardino accanto alla serenella in mezzo alle campanule, ai fiordalisi e ai garofani rosa. Sarebbe stato un altro simbolo del suo amore per Ygraine, che Alfred, quando sarebbe venuto a trovarli ai primi di luglio, avrebbe osservato con un sorriso.
Dopo aver accompagnato Rebecca a scuola e aver comprato il pane, rispondendo all’abituale domanda della panetteria sulla gravidanza della moglie, rincasò. Ygraine stava chiacchierando con Françoise che lo salutò con un cenno del capo. Era certo che la vicina di casa avesse formulato più di un’ipotesi su quello che lui faceva per vivere, ma era abbastanza discreta per non tormentarlo con inutili domande.
Si perse, per qualche ora, nel suo lavoro, aggiungendo alcune annotazioni alla nuova ricerca che gli era stata affidata e che, se avesse dato buoni frutti, avrebbe potuto aiutare a combattere alcune malattie magiche infantili.
Quando ebbe finito, si sentì soddisfatto dei progressi fatti, di cui avrebbe parlato a Tours il giorno successivo. Sistemò con cura il laboratorio, prima di uscire e recarsi in salotto che trovò deserto, al pari della cucina da cui erano spariti anche i garofani dei poeti.
Si avvicinò alla portafinestra e vide la moglie, seduta su una delle comode panche che avevano sistemato vicino al bacino. Stava leggendo un libro, i capelli sciolti mossi leggermente dalla brezza.
Rimase immobile ad osservarla per qualche lungo istante, prima di raggiungerla e sedersi accanto a lei.
«Dove sono i garofani dei poeti?» chiese, dopo che la moglie ebbe posato il libro. «Vorrei piantarli.»
«Mentre eri nel laboratorio Françoise si è offerta di sistemarli.»
Severus seguì lo sguardo della moglie che indicava un punto vicino alla quercia, una delle poche parti del giardino prive di fiori.
«Sarebbero stati perfetti accanto ai garofani rosa» affermò l’uomo.
«Immaginavo che avresti voluto piantarli in quella parte di giardino, ma li ritengo più adatti a stare in compagnia della quercia» spiegò Ygraine, voltandosi verso di lui. «Ho telefono a papà poco prima che arrivasse Françoise e abbiamo parlato del particolare tipo di garofani che mi hanno regalato. Non avrei potuto trovare posto migliore.»
Severus osservò per qualche istante la moglie, gli occhi nocciola colmi di amore e dolcezza, poi portò la sua attenzione sulla quercia. Ricordava il modo in cui Ygraine aveva associato quell’albero a lui.
Gli aveva detto che era stato leale e costante.
L’uomo non sapeva se ritenersi realmente tale, se sarebbe mai riuscito a guardare a sé stesso con l’ammirazione della moglie.
Forse, poteva ritenersi leale, perché, dopo che era diventato una spia per Silente, non aveva nemmeno immaginato di tornare sui suoi passi.
Forse, poteva credersi costante, negli anni in cui aveva dovuto fingere di essere un leale seguace dell’Oscuro Signore.
Ma non sarebbe mai riuscito a ritenersi nobile d’animo, secondo il significato araldico del garofano dei poeti.
«Ygraine» iniziò a dire, prendendo una mano della moglie tra le sue. «Il mio animo non è nobile. So che tu mi ritieni una brava persona e, credimi, sto cercando in tutti i modi di tentare di vedermi sotto questa luce, ma non so se ci riuscirò mai e anche se accadesse non potrei mai trovare alcuna nobiltà nel mio animo.»
«Eppure, soltanto una persona dotata di un animo nobile possiede la forza di comprendere il proprio errore e di porvi rimedio.»
Il volto di Ygraine era illuminato dalla dolce luce del perdono che era stata in grado di donargli e che lui aveva imparato, lentamente, a concedersi.
Forse, avrebbe potuto far sue le parole appena pronunciate dalla moglie, per quanto non fosse sicuro di riuscirci realmente.
«Il giardino è sempre stato un dono per te e per Rebecca e per i bambini» disse infine.
«So che tutti i fiori che hai piantato e che curi con tanta dedizione sono per noi. Papà mi ha fatto una curiosa lezione sul loro significato, ma una parte di questo nostro giardino è anche tua. O, forse, il giardino rappresenta la nostra famiglia. Papà mi ha detto che i fiori di pero rappresentano l’amicizia duratura e che il crisantemo rosa dice io amo e che quelle belle rose screziate bianche e rosa parlano dell’unità di una coppia.»
Severus osservò il volto della moglie e i suoi occhi nocciola sempre così colmi d’amore. Portò poi lo sguardo sul giardino, sulle ninfee che si specchiavano nel bacino centrale, sul pero che si trovava sul limitare del prato, sulle rose screziate accanto alla parete della casa e sui garofani del poeta che facevano bella mostra di sé accanto alla quercia.
Aveva creduto di costruire uno specchio di Ygraine e Rebecca.
Invece, la sua dolce sposa aveva ragione e quel giardino così bello e armonioso rappresentava tutti loro.