Ipponatte il dissacratore
immagine dal Promptuarii Iconum Insigniorum,l'unica immagine che ho reperito di Ipponatte
Ed eccomi qui a raccontarvi la storia e le vicissitudini di Ipponatte.
Tutti gli studiosi concordano sull’epoca in cui visse cioè tra il 500 e il 550 a C.
E’ facile, infatti, collocarlo temporalmente, perché la maggior parte dei suoi scritti sono violente e talora rancorose invettive verso personaggi storicamente noti: lo scultore Bupalo, il fratello di costui Atenide, l'impudica Arete, il pittore Mimnè, il ciarlatano Cicone coi suoi compari Codalo e Babi. Di alcuni sappiamo solo il soprannome che è un'ingiuria parlante: così per esempio la dama
Kypsò, il cui nome richiama la ninfa omerica
Kalypsò, ma anche l'avverbio
kybda «a capo chino», con allusione a una pratica sessuale oscena.
Il nostro nacque ad Efeso, ma per la sua opposizione ad Atenagora, tiranno della città , dovette optare per l’esilio a Clazomène.
Ipponatte (famoso per la sua bruttezza fisica), era certamente di famiglia ricca e questo lo si può dedurre dal suo nome che contiene la radice "
ippos" (cavallo). Si ritiene, infatti, che, essendo il possesso di un cavallo dimostrazione di ricchezza, tutti i nomi che facessero riferimento a questo animale indicassero uno stato di ricchezza o almeno agiatezza in chi lo portasse (Filippo, Ippolito, ed altri). Dunque il nome lo qualifica come uomo dell’alta società e la sua opera tradisce la mano dell’artista colto e smaliziato, attento conoscitore della tradizione letteraria e padrone dei mezzi stilistici.
Per lungo tempo Ipponatte fu studiato e considerato come un poeta per eccellenza "maledetto" con l'aggiunta di varie, supplementari etichette: "plebeo", "proletario", "delinquente".
In realtà un esame attento dei testi ha mostrato che Ipponatte, non fu affatto un mendicante, ma un artista aristocratico ed i suoi versi, stilisticamente ricercati, contraddistinti da ironia, sono destinati a colpire l’ascesa della volgare borghesia commerciale dell’epoca con parole altrettanto volgari.
Ipponatte, è un poeta spontaneo ed immediato, anche se violento, sboccato e i frammenti (pochi) lo confermano. La sua non sembra essere poesia, bensì un racconto di vita vissuta, di una realtà amara che gli dei beffardi si divertono a rendere sempre più dura. Nei frammenti c’è il gusto del realismo e della brutalità. I suoi temi sono sesso, soldi, miseria, risse ed odi profondi, lo sfondo sono vicoli, case di tolleranza e tuguri. Al turpiloquio si accompagna un’ immediatezza espressiva che qualcuno ha avvicinato a quella di Cecco Angiolieri: il nostro sapeva ostentare il brutto, ma, almeno, lo faceva con originalità.
Voglio qui citare l’opinione dello studioso Ernesto Degani che ha approfondito questo personaggio così controverso nel giudizio degli esperti.
Ad una lettura filologicamente attenta, i suoi frammenti tradiscono in realtà la mano dell'artista fine e scaltrito, tutt'altro che "plebeo", singolarmente dotato di una vena comica schietta e arguta che appare sempre, pur nei contenuti talora assai grevi, letterariamente divertita e consapevole. Ipponatte è poeta colto, conosce perfettamente l'epos e il patrimonio mitico tradizionale, che fanno di continuo le spese del suo estro poetico vivace e fantasioso. Egli sa come pochi deformare gli altisonanti moduli omerici, mescolare abilmente la formula aulica del contenuto "volgare" e viceversa, sempre allo scopo di trarne impensati effetti parodistici. La sua arte, dunque, non è mai "volgare", a meno che non si vogliano formulare giudizi di stampo moralistico e perfino bigotto.Concordo pienamente con l’opinione di Degani, infatti attraverso il frammento che segue si può apprezzare l’abilità con cui Ipponatte si spinge a parodiare Omero. Non si può fare una parodia se non si è profondi conoscitori di un’opera, non credete?
Fr. 122 D
Musa, il figlio di Eurimedonte, Cariddi che il mare risucchia,
che ha nella pancia un coltello*, che si ingozza senza pudore,
cantami, perchè crepi di mala morte, con voto di condanna,
per volontà popolare, sulla riva del mare instancabile.Ipponatte ci offre un esempio costruito interamente con espressioni omeriche, ma sfruttate a fini parodistici,(l’antica dottrina considerava Ipponatte l’inventore della parodia) dimostrando così la sua grande familiarità con quel linguaggio. Prende in giro un personaggio a noi sconosciuto, ma caratterizzato da un appetito...epico. L’esordio è solenne e imita il primo verso dell'Iliade (
Cantami o diva del Pelide Achille…) e il primo dell'Odissea. Il tizio in questione è capace di ingurgitare senza masticare*, e l’autore accenna anche ai rumori che produce nell'ingozzarsi senza misura, tanto da meritarsi una condanna a morte per decreto popolare, da eseguirsi "sulla riva del mare instancabile"; conclusione anch'essa di tono epico. L’acredine di Ipponatte nasconde un sorriso e lo stile epico distorto rappresenta un raffinato gioco letterario.
Certo cadere sotto la lingua di Ipponatte non era consigliabile!
Ora vi presento due disgraziati caduti sotto i colpi della sua penna: il primo è Bupalo, uno scultore che rappresentò Ipponatte, l’altro è un pittore non molto capace, un certo Mimnè.
Ipponatte scrive per entrambi, ma il suo preferito è Bupalo, al quale sono dedicati due dei rari frammenti ritrovati.
Secondo una leggenda la rissa con Bupalo sarebbe nata dal fatto Bupalo aveva raffigurato in modo troppo accentuato la deformità del poeta (che di suo era brutto, ma proprio brutto!). Ipponatte, poi, maledice il momento della nascita di Bupalo, chiedendogli quale
medico l'avesse assistito.
Fr. 83
Tenetemi il mantello, un cazzotto
nell'occhio a Bupalo voglio dare.
Sono forte di destro e di sinistro,
i miei colpi sempre fanno centro.
Fr. 33 D
Quale tagliatrice di ombelichi ti raschiò e ti
lavò mentre scalciavi, maledetto da Zeus? Quello che segue è invece un frammento dedicato al pittore Mimnè. L’espressione scurrile appioppatagli da Ipponatte gli resterà appiccicata per sempre.
Fr.39 D
Mimnè, rotto fino alle spalle, non dipingere più
sulla fiancata dai molti banchi di una trireme un serpente
che saetta dal rostro in direzione del timoniere;
infatti sarà una iattura, un malaugurio, o feccia
e servo dei servi, per il nocchiero
se il serpente gli morde proprio lo stinco» Mimnè era un modesto pittore decoratore di navi. Era uso comune che sulla prua delle imbarcazioni si dipingessero, per buon augurio, due grandi occhi (la consuetudine è largamente documentata dalla pittura vascolare), in modo che la nave potesse "vedere" bene la rotta ed evitare l'urto contro gli scogli nascosti sotto il pelo dell'acqua. Ma il pittore Mimnè ha qui commesso un errore imperdonabile; per desiderio di originalità, invece di seguire la tradizione, ha voluto dipingere un serpente sulla murata di una trireme. Però, invece di rivolgerne il capo e lo sguardo verso la prua, lo ha raffigurato con la testa rivolta a poppa, dove stava il timoniere, così che gli occhi del rettile appaiano minacciosamente fissi su di lui, come se l'animale avesse intenzione di azzannargli una gamba. Secondo alcuni, il "serpente" non sarebbe altro che una banda colorata che Mimnè avrebbe dovuto dipingere sulla murata; ma essendo poco capace, l'ha tracciata talmente storta e piena di gobbe da farla rassomigliare a un serpente, attirandosi lo scherno e l'invettiva del poeta, il quale, nel suo linguaggio "colorito", non rifugge dall'uso di termini allusivamente osceni e non greci (
katomòkhane, è un neologismo ipponatteo composto da
katà (fino)-
omous (spalle)
khanon (rotto)
spaccato fino alle spalle)
(http://asciascudotradizionecultura.forumfree.it)Ipponatte se la prendeva anche con gli dei e il bersaglio preferito era quello che lui considerava il suo nume tutelare, il compagno d'avventure che interviene a dare una mano a chi si trova in cattive acque: Hermes, il dio furbo, il dio dei ladri, ma anche il dio dei mercanti cioè dei nuovi ricchi, che hanno ormai soppiantato in tutta la Grecia la classe aristocratica, a cui Ipponatte apparteneva, e con quelli Ipponatte ce l’ha a morte.
Fr.42° -b 43 D
Hermes, caro Hermes, figlio di Maia, Cillenio*,(*nato sul monte Cillene nel Peloponneso)
ti supplico: davvero, ho un freddo cane [infatti ho davvero freddo malamente]
e batto i denti...
da' ad Ipponatte un mantello e una tunichetta
e sandaletti e babbucce e sessanta stateri d'oro
sull'altro piatto (della bilancia).
******
A me tu non hai dato una tunica pesante
Riparo dal freddo d’ inverno
Né con babbucce spesse mi copristi
I piedi perché non mi scoppino i geloni…Questa non è una preghiera, ma una parodia di preghiera.
L’uso del matronimico figlio di Maia, dove il greco usa sempre il patronimico, significa quasi definire il dio come
Le richieste, poi, sono esose, di oggetti per niente adatti a fronteggiare un’emergenza di freddo e povertà. Lui chiede un mantello pregiato e oggettini preziosi e raffinati: una tunichetta leggera da donna (il termine in greco designa un abito femminile) e dei sandaletti estivi! Non contento, chiede subito dopo una cifra ragguardevole (sessanta stateri d'oro), che non si può certo considerare un'elemosina... quasi a sottolineare l’enormità paradossale della richiesta stessa. Insomma si tratta di una blasfema presa in giro.
Per ultimo voglio menzionare un frammento (unico) in cui Ipponatte parla della donna con termini riferibili. Sinceramente ho scartato alcuni frammenti poco conosciuti, ma solo per stomaci forti .(come si dice per classificare alcune FF
)
Fr. 68 W
“Due giorni sono dolcissimi, con una donna:
quando la sposi e quando la accompagni morta”Riporto infine l’epitaffio a Ipponatte scritto da Teocrito (
poeta greco di epoca ellenistica, scrittore di elegie) che lo omaggiò, apprezzandolo come innovatore e fustigatore dei malvagi di tutti i tempi:
Qui c’è un poeta, c’è Ipponatte che giace.
Da questa tomba, se sei malvagio, stai lungi
Se sei per bene, se ti reputi probo
fidente siedi e dormi pure se vuoi (A.P. 7 405)Spero di aver dato un’idea di chi fosse Ipponatte, personaggio controverso e discusso dagli studiosi e dalla critica, senza annoiare troppo. Non ha scritto mai versi d’amore, ma
ha inventato la parodia, un genere comico che vive ancora oggi e prospera.
A proposito dell’epitaffio mi è venuto in mente che sarebbe stato molto più adatto al nostro quello che fu scritto per Pietro Aretino (lui, soprannominato “
masnadiero della penna”).
“ Di tutti disse mal fuor che di Cristo scusandosi col dir: ”non lo conosco!” Alla prossima.
Bibliografia e link
E. Degani, "Note sulla fortuna di Archiloco e di Ipponatte", in "Poeti greci giambici ed elegiaci. Letture critiche", a c. di E. Degani, Mursia, Milano 1977,
Ernesto Degani-Giovanni Burzacchini, Lirici Greci, La Nuova Italia, Firenze, 1977,
www.pksoft.it/anonimo_olevanese/public/Ipponatte.htm
Albini-Bormann, Letteratura Greca
G.Rosati, Scrittori di Grecia.
F Sisti, "Lirici greci"
E. Mandruzzato, "Lirici greci dell'età arcaica" Edited by chiara53 - 22/1/2023, 19:25