Il Calderone di Severus

I lirici greci: pura poesia, Cultura Greca - Lezione 3

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view post Posted on 24/8/2013, 14:04
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Introduzione





“… Anche il poco che si è salvato basta a dirci quanta e quale fosse la genialità, l’ispirazione, l’impeto, la ricchezza d’immagini e di forme ritmiche della lirica greca, che nutrì di sé la lirica romana e diede stampi, o non mai cancellati o di recente ricomposti, alla lirica moderna “ (A. De Marchi, Gli Elleni.)

Lirici




Prima di cominciare a raccontare e spiegare chi fossero i lirici greci, voglio individuare l’epoca in cui decidiamo di aggirarci.
Si tratta del VII e VI secolo a. C.
Tanto, tanto tempo fa, quindi, tuttavia sarà stupefacente l’attualità di ciò che ci apprestiamo a leggere, sorprendenti saranno anche le emozioni, oggettivamente condivisibili, trasmesse al lettore da poeti di duemilasettecento anni fa. Qualcuno ha detto che la poesia, quella vera, è immortale: qui ne avremo una prova tangibile.

Dopo i poemi epici, che sono narrazione, e prima delle rappresentazioni teatrali, come saranno commedia e tragedia, nasce un altro genere letterario che è esortazione, effusione, meditazione, immediatezza e sentimento.
L’interesse dell’io e del presente prevale sulle rievocazioni di tempi lontani, la storia dell’individuo e dei suoi sentimenti si sostituisce al racconto sull’eroe e sulle sue imprese.
Il dizionario Le Monnier definisce la poesia lirica: un genere ispirato o motivato dalla trasfigurazione di vicende spirituali soggettive , ma, secondo me, essa è molto di più. Come vedremo, le storie delle anime che scrissero tanto tempo fa sono ancora attuali e, quando leggiamo i loro versi, la loro capacità di emozionare attraversa il tempo e lo spazio per arrivare al nostro cuore.
Lirica era, per gli antichi, la poesia cantata con un accompagnamento musicale: esso avveniva per lo più con uno strumento detto Lira o Cetra (strumento musicale a corde). Da qui il nome del genere detto lirico, cioè accompagnato dalla lira.

Non voglio soffermarmi troppo a distinguere, come gli antichi studiosi alessandrini di buona memoria, tra elegia, giambo, melica e via dicendo.
L’unica distinzione che ritengo debba essere menzionata è quella tra lirica monodica ( monos, solo e ode, canto), cioè cantata da uno e lirica corale, cioè composizioni eseguite da un gruppo di cantori con accompagnamento musicale.

( Lascio per questo argomento la parola a Leonora ( Alaide) che ha promesso di tenere una lezione apposita sugli strumenti e l’intonazione utilizzati.)

E’ difficile anche ordinare temporalmente i vari poeti lirici, infatti, chi può stabilire con precisione l’ordine cronologico di un frammento? Perché questo è ciò di cui stiamo parlando: brevi e stupendi frammenti sopravvissuti alle ingiurie del tempo e degli uomini.
Furono conservati poemi epici, testi teatrali, ma i testi lirici, ordinati con tanta cura dai filologi alessandrini, caddero nel dimenticatoio; furono per la maggior parte trascurati e perduti e con loro fu perduta una parte dell’anima dei greci, uomini e donne, che li scrissero.

Qui voglio raccontarvi la storia di Tirteo, Mimnermo, Solone, Anacreonte, Ipponatte, Archiloco, Alceo e Saffo, la quale avrà un suo capitolo a parte, perché donna e quindi trattata con dovizia di particolari in una discussione apposita, e perché Saffo la bella è particolarmente cara al mio cuore.
Tutti costoro furono poeti monodici che scrissero nei loro versi sentimenti, pensieri, impressioni, odi e invettive, senza risparmiare niente e nessuno, compresi gli dei e lo fecero usando la lingua più comune per ciascuno di loro e cioè il loro proprio dialetto locale.

Resta da spiegare brevemente dove venivano declamate o lette le composizioni di cui parliamo. La lettura, ritmata e cantata, avveniva in piccole cerchie di ascoltatori: nel tìaso (associazione di carattere religioso), durante un simposio o in un’eterìa (gruppi o leghe di carattere politico),ciò avveniva a breve intervallo di tempo dalla redazione dei versi, un intervallo appena sufficiente all’autore per cesellare parole e suoni, ma senza lasciare appassire il calore del sentimento.


Bibliografia e link:
www.treccani.it/vocabolario
Ezio Savino, Saffo,liriche e frammenti.
F.Pedrina, Musa Greca.
Albini-Bormann, Letteratura Greca
G.Rosati, Scrittori di Grecia.


In questa discussione verranno trattati i seguenti argomenti:




Archiloco, il primo.

Ipponatte il dissacratore.

Callino, Tirteo e Mimnermo: l'elegia.

Saffo: la decima musa
Il tiaso

La vita e le scelte
Saffo e gli dei
Saffo e la natura
L’amore in Saffo: sofferenza e passione
Saffo: desiderio, sensualità, gelosia e memoria
Le rivali Gorgo e Andromeda

Alceo: amore e impegno politico



Edited by chiara53 - 22/1/2023, 20:08
 
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view post Posted on 24/8/2013, 14:22
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Archiloco, il primo e Ipponatte, il dissacratore.



Della vita di entrambi conosciamo poco, pochissimo. Sappiamo solo quello che ci è pervenuto attraverso citazioni dei versi degli stessi poeti oltre ad alcuni epigrammi tratti dall’antologia palatina. In altre parole quello che si sa della loro vita è frutto di chiacchiere tra studiosi e supposizioni nate sulla base di personaggi ed eventi citati da loro stessi.

Questi due poeti vengono menzionati quasi sempre in coppia, per la predilezione che ebbero nell’uso del verso giambico di cui Archiloco viene considerato l’inventore.

A questo punto non posso sottrarmi dal dire due parole sulla scansione metrica che dava musicalità e slancio a ciò che veniva scritto.

Le poesie e tutto quanto non veniva espresso in prosa era sottoposto ad un insieme di regole e leggi che disciplinavano la composizione dei versi e delle strofe. Ogni parola era divisa in sillabe che avevano una lunghezza diversa, abbastanza simile a battute musicali.
A seconda dello schema utilizzato, il verso poteva essere, per esempio, un giambo, un esametro e così via. La metrica antica comprende tantissimi tipi di scansione metrica. Nel caso del giambo (letteralmente dal greco iambos, colpo, getto, nel senso traslato verso satirico che ferisce) esso doveva essere particolarmente ritmato, ma, nonostante le supposizioni e le regole con cui i versi vengono divisi e letti oggi, dobbiamo ricordare che si tratta pur sempre di ipotesi e che non potremo sapere mai con certezza come in realtà questi metri venissero declamati.

Accontentiamoci di immaginare.

Archiloco, il primo


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Il più anziano dei poeti lirici è Archiloco che visse nella seconda metà del VII secolo. Utilizzò per le sue composizione non solo il metro di lettura giambico, ma anche il distico elegiaco e fu creatore di cadenze metriche originali che faranno impazzire gli studenti di ogni epoca.

Archiloco si può definire il primo poeta di se stesso ed è il primo che si può definire lirico.
Quello che prova, quello che sente basta a commuoverlo ed a commuoverci, perché mette a nudo il suo cuore e scopriamo che dentro ci sono odio e amore espressi entrambi con immediata irruenza. Egli non è solo colui che attacca, insulta o biasima, ma è anche colui che parla d’amore con tenerezza e grazia e riesce a racchiudere in pochi versi malinconia e desiderio.


I frammenti che seguono sono la descrizione asciutta, ma incisiva, degli effetti della passione d’amore: per la prima volta, precorrendo Saffo che ne parlerà assai più diffusamente, Archiloco descrive l’amore come un’esperienza che toglie le forze, rende quasi privi dei sensi e provoca una sensazione simile alla morte: l’amore può farsi dolore cocente.

Fr. 191 W
Tale desiderio d’amore avvolge il cuore
versa una fitta nebbia sugl’occhi
rubando la tenera anima dal petto.


Fr. 104 W
Infelice nella brama giaccio
Senza vita, da atroci spasimi per volere degli dei
Trafitto attraverso le ossa



Il frammento che segue a me è sembrato quasi una fotografia, un’istantanea che coglie con immediatezza la grazia e la gioia di una fanciulla che è felice per avere tra le dita rami di fiori. Archiloco si abbandona a contemplarla e ciò testimonia un cuore sensibile e poetico. Non vi sembra di vederla scuotere i lunghi capelli sulle spalle nude?

lamia_waterhouse


Fr.25 W
D’avere un ramo di mirto gioiva
E il fiore della rosa…
…e la sua chioma
le copriva le spalle e il dorso.




Ma il nostro non è solo questo. Non si può dimenticare che Archiloco fu un soldato di ventura, un mercenario. Egli era nato da padre nobile e da una schiava, questo non gli rese certo dolce la vita. Non volle fare il contadino, così scelse il mestiere delle armi (tertium non datur, cioè non era ammessa una terza possibilità). Combatté contro i Sai* in Tracia e vi cito un frammento molto famoso che racchiude la sua filosofia di vita.
(* Antica stirpe tracia stanziata, almeno nel 7° sec. a.C., sulla costa di fronte a Samotracia.)

scudo

Fr.5 W.
Del mio scudo si fa bello
uno dei Sai. Presso un cespuglio
lo dovetti lasciare; e non volevo.
Che bellezza di scudo! Ma salvai
la pelle. Alla malora
lo scudo. Un altro
ne comprerò, migliore.


Archiloco non si rallegra di aver abbandonato lo scudo: ne è dispiaciuto, però soppesa la situazione e si giustifica con un argomento che anche per gli antichi doveva sembrare (pur istintivamente) di una logica stringente: lo scudo si ricompra, la vita è salva; non mi sembra abbia tutti i torti.

Il poeta-soldato ci racconta anche, con la stessa asprezza e sinteticità, la dura esistenza che conduce un militare di mestiere e, con poche parole, spiega da cosa tragga sostentamento la sua vita. Nel Campo i soldati mangiavano pane d’orzo impastato e cotto senza lievitazione e il pasto avveniva dove era possibile.

Fr.2 W
Nella lancia ho il mio pane, nella lancia il vino
di Ismaro, alla lancia appoggiato io trinco.



Uno dei frammenti meno ricordati, ma, secondo me, molto bello, perché ricco di umanità e amarezza è quello che vi presento qui di seguito.
Nel VII secolo era ormai caduto l’ideale dell’eroe la cui gloria resta viva dopo la morte e anche Omero con le sue epopee è morto e sepolto. Archiloco si fa interprete della noncuranza dei morti da parte dei vivi e sull’oblio che dissolve il loro nome e le loro opere.

Fr. 64 W
Nessuno è rispettato tra i cittadini né ha un nome una volta morto. Noi vivi
Ricerchiamo piuttosto il favore di chi è vivo; il peggio tocca sempre a
chi è morto.

Ancora più evidente è la separazione tra la tradizione epica e Archiloco nel frammento 114 W, in cui si respinge il concetto di bello e buono: la kalokagathìa tradizionale (da kalos, bello e agathos buono), cioè l’etica per cui chi era bello non poteva non essere valoroso.
Il nostro poeta mercenario è originale e moderno, pur non smantellando l’ideale che era stato anche omerico, lo aggiorna e lo spoglia dell’aura mitica, lo rende più attuale, non lo deride, ma ce lo restituisce più umano e vivo.

Fr.114 W
Non amo un generale alto, che sta a gambe larghe,
fiero dei suoi riccioli e ben rasato.
Uno basso ne voglio, con le gambe storte,
ma ben saldo sui piedi, e pieno di coraggio.


Infine, vi lascio con l’invettiva, perché in Archiloco c’è, ed è potente - c’è poco da dire - meglio di lui quanto a maledizioni c’è solo Ipponatte!
Il poeta, maledice un amico fedifrago, gli augura di naufragare sulle coste barbariche del Ponto e si dilunga in particolari affinché gli dei (se lo ascoltano) sappiano cosa riservare a costui.

Fr.79*
……
... sbattuto dai flutti
e nudo in Salmidesso lo acchiappassero
(con la migliore intenzione!)
i Traci irsuti e, in mezzo a mille triboli,
schiavo strappasse il suo pane,
col corpo intirizzito e sovraccarico
d'alghe pel fortunale,
e i denti come un can battesse, esausto,
lungo disteso bocconi,
ancora tra i flutti e contro a scogli ripidi...
Così vorrei vedere
Chi mi fece torto e calpestò i giuramenti,
lui che un tempo mi era amico.

*A proposito del frammento appena citato, vorrei fare una breve precisazione.
Alcuni studiosi lo attribuiscono ad Ipponatte e, pertanto, la paternità non risulta certa.
Tanto era dovuto per la precisione. ;)

( continua con Ipponatte alla prossima puntata... abbiate pazienza ;) )


*******


(I frammenti proposti seguono la numerazione data loro dal filologo e studioso di antichità classica britannico Martin Litchfield West)
(le traduzioni sono per lo più di Manara Valgimigli )

Bibliografia e link
www.loescher.it/mediaclassica/Greco/storia/Archiloco
F.Pedrina, Musa Greca.
Albini-Bormann, Letteratura Greca
G.Rosati, Scrittori di Grecia.


Edited by chiara53 - 14/9/2013, 16:15
 
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view post Posted on 24/8/2013, 15:26
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Une delle cose che adoro particolarmente della letteratura classica e soprattutto la poesia, è la schiettezza con la quale i poeti descrivono i vari aspetti della vita quotidiana e non. Mi piace come vanno dritti al punto fregandosene di censure, gente che se la prende o quant'altro, c'è una totale libertà di espressione e un totale rispetto nell'altro pure negli insulti che vengono fatti, che noi dobbiamo solo che imparare.

Amo la letteratura classica, greca come latina, ma quella latina la amo di più se non altro perchè conosco e comprendo la lingua originale e questo secondo me è un grosso vantaggio, invece se mi metti davanti agli occhi uno scritto greco ti guardo così ---> O__O per me è più semplice decifrare il geroglifico XD
Se imparassi il greco antico potrei finalmente amare la letteratura greca come quella latina, ne sono convinta, perché mi piacerebbe proprio conoscere le varie sfumature che hanno utilizzato gli antichi.
È una cosa che mi riesce benissimo con il latino, ma il greco no :( ahimè :(
Però me lo leggo in italiano XD

Detto ciò, riprendo un attimo quello che dicevo sopra e lo lego ad Archiloco.
Io trovo che il giambo sia spettacolare, e lo adoro proprio perchè è il verso della schiettezza se posso definirlo tale, è quello che usavano per insultare, attaccare qualcuno, sbeffeggiarlo pubblicamente o semplicemente ridere di qualcuno o qualcosa. È un verso schietto, che non le manda a dire, eppure c'è una tremenda poeticità in quelle parole, c'è un senso profondo in quello che dicono, e questi frammenti di Archiloco ne sono l'assoluta prova.
Gli antichi parlavano di tutto senza remora alcuna, non avevano timori seppur ovviamente si veniva criticati, era normale.
Parlavano di erotismo con eleganza e naturalezza e spesso con molta dovizia di particolari, secoli e secoli fa, mentre noi, uomini e donne del 2013 spesso facciamo fatica persino a dire la parola "sesso",
Facciamo gli "aperti", i "liberali", quelli che non hanno problemi a parlare di tutto, e poi in realtà scopriamo di avere ancora tanti di quei tabù che sono spesso assai ridicoli.
Dovremmo imparare molto dagli antichi, dalla loro letteratura e dalla loro poesia.
Dovremmo imparare molte cose in realtà da loro.

Ok, ho un po' divagato, comunque è sempre bello immergersi in queste cose, poi io le AMO quindi lo faccio sempre volentieri quando posso.
Per quel che ho studiato dei greci e per quel che ricordo, Archiloco e Ipponate mi avevano sempre lasciato una buona impressione (ma Saffo sarà il mio stupendo amore), quindi rileggerli è stato bello, quindi è ovvio che mi fionderò anche su Ipponate :D
Alla prossima! :woot:
 
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CITAZIONE (Severus Ikari @ 24/8/2013, 16:26) 
Une delle cose che adoro particolarmente della letteratura classica e soprattutto la poesia, è la schiettezza con la quale i poeti descrivono i vari aspetti della vita quotidiana e non. Mi piace come vanno dritti al punto fregandosene di censure, gente che se la prende o quant'altro, c'è una totale libertà di espressione e un totale rispetto nell'altro pure negli insulti che vengono fatti, che noi dobbiamo solo che imparare.

Amo la letteratura classica, greca come latina, ma quella latina la amo di più se non altro perchè conosco e comprendo la lingua originale e questo secondo me è un grosso vantaggio, invece se mi metti davanti agli occhi uno scritto greco ti guardo così ---> O__O per me è più semplice decifrare il geroglifico XD
Se imparassi il greco antico potrei finalmente amare la letteratura greca come quella latina, ne sono convinta, perché mi piacerebbe proprio conoscere le varie sfumature che hanno utilizzato gli antichi.
È una cosa che mi riesce benissimo con il latino, ma il greco no :( ahimè :(
Però me lo leggo in italiano XD

Detto ciò, riprendo un attimo quello che dicevo sopra e lo lego ad Archiloco.
Io trovo che il giambo sia spettacolare, e lo adoro proprio perchè è il verso della schiettezza se posso definirlo tale, è quello che usavano per insultare, attaccare qualcuno, sbeffeggiarlo pubblicamente o semplicemente ridere di qualcuno o qualcosa. È un verso schietto, che non le manda a dire, eppure c'è una tremenda poeticità in quelle parole, c'è un senso profondo in quello che dicono, e questi frammenti di Archiloco ne sono l'assoluta prova.
Gli antichi parlavano di tutto senza remora alcuna, non avevano timori seppur ovviamente si veniva criticati, era normale.
Parlavano di erotismo con eleganza e naturalezza e spesso con molta dovizia di particolari, secoli e secoli fa, mentre noi, uomini e donne del 2013 spesso facciamo fatica persino a dire la parola "sesso",
Facciamo gli "aperti", i "liberali", quelli che non hanno problemi a parlare di tutto, e poi in realtà scopriamo di avere ancora tanti di quei tabù che sono spesso assai ridicoli.
Dovremmo imparare molto dagli antichi, dalla loro letteratura e dalla loro poesia.
Dovremmo imparare molte cose in realtà da loro.

Ok, ho un po' divagato, comunque è sempre bello immergersi in queste cose, poi io le AMO quindi lo faccio sempre volentieri quando posso.
Per quel che ho studiato dei greci e per quel che ricordo, Archiloco e Ipponate mi avevano sempre lasciato una buona impressione (ma Saffo sarà il mio stupendo amore), quindi rileggerli è stato bello, quindi è ovvio che mi fionderò anche su Ipponate :D
Alla prossima! :woot:

Quando propongo i brani in italiano, faccio fatica a trovare quello che più renda l'idea dell'espressione greca, diretta e franca, spesso, o dolcissima e triste oppure, a volte, ironica e sarcastica che nemmeno Severus :lol:
Tuttavia cercherò di scegliere sempre la traduzione più calzante al testo greco.
Anch'io amo Saffo ed insieme a lei le altre meno conosciute perchè meno frammenti ci sono giunti. Sono felice che questa lezione ti sia piaciuta, Ipponatte è un po' più diretto, ma anche a me piace proprio perchè è così.
Grazie per aver letto.
 
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view post Posted on 24/8/2013, 16:16
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I ♥ Severus


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Archiloco descrive l’amore come un’esperienza che toglie le forze, rende quasi privi dei sensi e provoca una sensazione simile alla morte: l’amore può farsi dolore cocente.

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Tale desiderio d’amore avvolge il cuore
versa una fitta nebbia sugl’occhi
rubando la tenera anima dal petto.

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Senza vita, da atroci spasimi per volere degli dei
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Credo che Severus sia perfettamente d'accordo... per averlo provato sulla sua stessa pelle, ossa, cuore ed anima!

CITAZIONE
Il frammento che segue a me è sembrato quasi una fotografia, un’istantanea che coglie con immediatezza la grazia e la gioia di una fanciulla che è felice per avere tra le dita rami di fiori. Archiloco si abbandona a contemplarla e ciò testimonia un cuore sensibile e poetico. Non vi sembra di vederla scuotere i lunghi capelli sulle spalle nude?

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Direi di sì, soprattuto perchè tu hai scelto un'immagine perfetta... e anche molto bella.


CITAZIONE (chiara53 @ 16/8/2013, 16:04) 

Fr.5 W.
Del mio scudo si fa bello
uno dei Sai. Presso un cespuglio
lo dovetti lasciare; e non volevo.
Che bellezza di scudo!Ma salvai
la pelle. Alla malora
lo scudo. Un altro
ne comprerò, migliore.

Ma lo sai che questo Archiloco mi piace proprio?
Soldato di ventura (mi inchino alla sua coraggiosa scelta) che ha la sensibilità di un poeta. Sì, mi piace proprio.


Edited by chiara53 - 22/6/2015, 17:17
 
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view post Posted on 24/8/2013, 17:20

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Leggere la lezione sui lirici è stato come fare un tuffo nel passato di circa quindici anni.
E devo dire che è stato un tuffo piacevolissimo, perché i lirici coinvolgono emotivamente in una modalità diversa da Omero.
In un certo senso sono "più moderni", decisamente coinvolgenti con le loro faccende private poste in poesia.

Complimenti, Chiara, perchè hai unito la semplicità della spiegazione all'approfondimento accurato e molto ben fatto.

P.S. : lo scudo di Archiloco è sempre stato uno dei miei preferiti, troppo bello!
 
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view post Posted on 24/8/2013, 18:40
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Sono felice che vi sia piaciuto.
Ringrazio Ida ( cercare le immagini è stato laborioso, nessuna mi soddisfaceva) a cui spero di far piacere anche gli altri poeti e poetesse.
Sono quasi certa che ci riuscirò, perchè li amo molto ed è facile trasmettere agli altri nozioni che riguardano ciò che si ama. :D

Grazie a Kià che mi sostiene e fa il tifo, anche se ne sa molto più di me. :wub:
 
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view post Posted on 24/8/2013, 20:58

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CITAZIONE (chiara53 @ 24/8/2013, 19:40) 
Grazie a Kià che mi sostiene e fa il tifo, anche se ne sa molto più di me. :wub:

No, non ne so più di te.
Sono solo più fresca perchè continuo a studiarli dando ripetizioni, ma lettere classiche le hai fatte tu, siamo pari. :D
 
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view post Posted on 11/10/2013, 15:07
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Ipponatte il dissacratore




220px-Hipponax_of_Ephesus


immagine dal Promptuarii Iconum Insigniorum,l'unica immagine che ho reperito di Ipponatte




Ed eccomi qui a raccontarvi la storia e le vicissitudini di Ipponatte.
Tutti gli studiosi concordano sull’epoca in cui visse cioè tra il 500 e il 550 a C.
E’ facile, infatti, collocarlo temporalmente, perché la maggior parte dei suoi scritti sono violente e talora rancorose invettive verso personaggi storicamente noti: lo scultore Bupalo, il fratello di costui Atenide, l'impudica Arete, il pittore Mimnè, il ciarlatano Cicone coi suoi compari Codalo e Babi. Di alcuni sappiamo solo il soprannome che è un'ingiuria parlante: così per esempio la dama Kypsò, il cui nome richiama la ninfa omerica Kalypsò, ma anche l'avverbio kybda «a capo chino», con allusione a una pratica sessuale oscena.
Il nostro nacque ad Efeso, ma per la sua opposizione ad Atenagora, tiranno della città , dovette optare per l’esilio a Clazomène.

Mysia-Lydia_map



Ipponatte (famoso per la sua bruttezza fisica), era certamente di famiglia ricca e questo lo si può dedurre dal suo nome che contiene la radice "ippos" (cavallo). Si ritiene, infatti, che, essendo il possesso di un cavallo dimostrazione di ricchezza, tutti i nomi che facessero riferimento a questo animale indicassero uno stato di ricchezza o almeno agiatezza in chi lo portasse (Filippo, Ippolito, ed altri). Dunque il nome lo qualifica come uomo dell’alta società e la sua opera tradisce la mano dell’artista colto e smaliziato, attento conoscitore della tradizione letteraria e padrone dei mezzi stilistici.

Per lungo tempo Ipponatte fu studiato e considerato come un poeta per eccellenza "maledetto" con l'aggiunta di varie, supplementari etichette: "plebeo", "proletario", "delinquente".

In realtà un esame attento dei testi ha mostrato che Ipponatte, non fu affatto un mendicante, ma un artista aristocratico ed i suoi versi, stilisticamente ricercati, contraddistinti da ironia, sono destinati a colpire l’ascesa della volgare borghesia commerciale dell’epoca con parole altrettanto volgari.
Ipponatte, è un poeta spontaneo ed immediato, anche se violento, sboccato e i frammenti (pochi) lo confermano. La sua non sembra essere poesia, bensì un racconto di vita vissuta, di una realtà amara che gli dei beffardi si divertono a rendere sempre più dura. Nei frammenti c’è il gusto del realismo e della brutalità. I suoi temi sono sesso, soldi, miseria, risse ed odi profondi, lo sfondo sono vicoli, case di tolleranza e tuguri. Al turpiloquio si accompagna un’ immediatezza espressiva che qualcuno ha avvicinato a quella di Cecco Angiolieri: il nostro sapeva ostentare il brutto, ma, almeno, lo faceva con originalità.

Voglio qui citare l’opinione dello studioso Ernesto Degani che ha approfondito questo personaggio così controverso nel giudizio degli esperti.

Ad una lettura filologicamente attenta, i suoi frammenti tradiscono in realtà la mano dell'artista fine e scaltrito, tutt'altro che "plebeo", singolarmente dotato di una vena comica schietta e arguta che appare sempre, pur nei contenuti talora assai grevi, letterariamente divertita e consapevole. Ipponatte è poeta colto, conosce perfettamente l'epos e il patrimonio mitico tradizionale, che fanno di continuo le spese del suo estro poetico vivace e fantasioso. Egli sa come pochi deformare gli altisonanti moduli omerici, mescolare abilmente la formula aulica del contenuto "volgare" e viceversa, sempre allo scopo di trarne impensati effetti parodistici. La sua arte, dunque, non è mai "volgare", a meno che non si vogliano formulare giudizi di stampo moralistico e perfino bigotto.

Concordo pienamente con l’opinione di Degani, infatti attraverso il frammento che segue si può apprezzare l’abilità con cui Ipponatte si spinge a parodiare Omero. Non si può fare una parodia se non si è profondi conoscitori di un’opera, non credete?

Fr. 122 D
Musa, il figlio di Eurimedonte, Cariddi che il mare risucchia,
che ha nella pancia un coltello*, che si ingozza senza pudore,
cantami, perchè crepi di mala morte, con voto di condanna,
per volontà popolare, sulla riva del mare instancabile.


Ipponatte ci offre un esempio costruito interamente con espressioni omeriche, ma sfruttate a fini parodistici,(l’antica dottrina considerava Ipponatte l’inventore della parodia) dimostrando così la sua grande familiarità con quel linguaggio. Prende in giro un personaggio a noi sconosciuto, ma caratterizzato da un appetito...epico. L’esordio è solenne e imita il primo verso dell'Iliade (Cantami o diva del Pelide Achille…) e il primo dell'Odissea. Il tizio in questione è capace di ingurgitare senza masticare*, e l’autore accenna anche ai rumori che produce nell'ingozzarsi senza misura, tanto da meritarsi una condanna a morte per decreto popolare, da eseguirsi "sulla riva del mare instancabile"; conclusione anch'essa di tono epico. L’acredine di Ipponatte nasconde un sorriso e lo stile epico distorto rappresenta un raffinato gioco letterario.

Certo cadere sotto la lingua di Ipponatte non era consigliabile!
Ora vi presento due disgraziati caduti sotto i colpi della sua penna: il primo è Bupalo, uno scultore che rappresentò Ipponatte, l’altro è un pittore non molto capace, un certo Mimnè.
Ipponatte scrive per entrambi, ma il suo preferito è Bupalo, al quale sono dedicati due dei rari frammenti ritrovati.

Secondo una leggenda la rissa con Bupalo sarebbe nata dal fatto Bupalo aveva raffigurato in modo troppo accentuato la deformità del poeta (che di suo era brutto, ma proprio brutto!). Ipponatte, poi, maledice il momento della nascita di Bupalo, chiedendogli quale medico l'avesse assistito.

Fr. 83
Tenetemi il mantello, un cazzotto
nell'occhio a Bupalo voglio dare.
Sono forte di destro e di sinistro,
i miei colpi sempre fanno centro.

Fr. 33 D
Quale tagliatrice di ombelichi ti raschiò e ti
lavò mentre scalciavi, maledetto da Zeus?




Quello che segue è invece un frammento dedicato al pittore Mimnè. L’espressione scurrile appioppatagli da Ipponatte gli resterà appiccicata per sempre.

Fr.39 D
Mimnè, rotto fino alle spalle, non dipingere più
sulla fiancata dai molti banchi di una trireme un serpente
che saetta dal rostro in direzione del timoniere;
infatti sarà una iattura, un malaugurio, o feccia
e servo dei servi, per il nocchiero
se il serpente gli morde proprio lo stinco»


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Mimnè era un modesto pittore decoratore di navi. Era uso comune che sulla prua delle imbarcazioni si dipingessero, per buon augurio, due grandi occhi (la consuetudine è largamente documentata dalla pittura vascolare), in modo che la nave potesse "vedere" bene la rotta ed evitare l'urto contro gli scogli nascosti sotto il pelo dell'acqua. Ma il pittore Mimnè ha qui commesso un errore imperdonabile; per desiderio di originalità, invece di seguire la tradizione, ha voluto dipingere un serpente sulla murata di una trireme. Però, invece di rivolgerne il capo e lo sguardo verso la prua, lo ha raffigurato con la testa rivolta a poppa, dove stava il timoniere, così che gli occhi del rettile appaiano minacciosamente fissi su di lui, come se l'animale avesse intenzione di azzannargli una gamba. Secondo alcuni, il "serpente" non sarebbe altro che una banda colorata che Mimnè avrebbe dovuto dipingere sulla murata; ma essendo poco capace, l'ha tracciata talmente storta e piena di gobbe da farla rassomigliare a un serpente, attirandosi lo scherno e l'invettiva del poeta, il quale, nel suo linguaggio "colorito", non rifugge dall'uso di termini allusivamente osceni e non greci (katomòkhane, è un neologismo ipponatteo composto da katà (fino)- omous (spalle) khanon (rotto) spaccato fino alle spalle)
=(rott’inculo)

(http://asciascudotradizionecultura.forumfree.it)

Ipponatte se la prendeva anche con gli dei e il bersaglio preferito era quello che lui considerava il suo nume tutelare, il compagno d'avventure che interviene a dare una mano a chi si trova in cattive acque: Hermes, il dio furbo, il dio dei ladri, ma anche il dio dei mercanti cioè dei nuovi ricchi, che hanno ormai soppiantato in tutta la Grecia la classe aristocratica, a cui Ipponatte apparteneva, e con quelli Ipponatte ce l’ha a morte.




hermes

Fr.42° -b 43 D
Hermes, caro Hermes, figlio di Maia, Cillenio*,(*nato sul monte Cillene nel Peloponneso)
ti supplico: davvero, ho un freddo cane [infatti ho davvero freddo malamente]
e batto i denti...
da' ad Ipponatte un mantello e una tunichetta
e sandaletti e babbucce e sessanta stateri d'oro
sull'altro piatto (della bilancia).
******
A me tu non hai dato una tunica pesante
Riparo dal freddo d’ inverno
Né con babbucce spesse mi copristi
I piedi perché non mi scoppino i geloni…


Questa non è una preghiera, ma una parodia di preghiera.
L’uso del matronimico figlio di Maia, dove il greco usa sempre il patronimico, significa quasi definire il dio come
figlio di puttana
Le richieste, poi, sono esose, di oggetti per niente adatti a fronteggiare un’emergenza di freddo e povertà. Lui chiede un mantello pregiato e oggettini preziosi e raffinati: una tunichetta leggera da donna (il termine in greco designa un abito femminile) e dei sandaletti estivi! Non contento, chiede subito dopo una cifra ragguardevole (sessanta stateri d'oro), che non si può certo considerare un'elemosina... quasi a sottolineare l’enormità paradossale della richiesta stessa. Insomma si tratta di una blasfema presa in giro.

Per ultimo voglio menzionare un frammento (unico) in cui Ipponatte parla della donna con termini riferibili. Sinceramente ho scartato alcuni frammenti poco conosciuti, ma solo per stomaci forti .(come si dice per classificare alcune FF :lol: )

Fr. 68 W
“Due giorni sono dolcissimi, con una donna:
quando la sposi e quando la accompagni morta”



Riporto infine l’epitaffio a Ipponatte scritto da Teocrito (poeta greco di epoca ellenistica, scrittore di elegie) che lo omaggiò, apprezzandolo come innovatore e fustigatore dei malvagi di tutti i tempi:

Qui c’è un poeta, c’è Ipponatte che giace.
Da questa tomba, se sei malvagio, stai lungi
Se sei per bene, se ti reputi probo
fidente siedi e dormi pure se vuoi (A.P. 7 405)


Spero di aver dato un’idea di chi fosse Ipponatte, personaggio controverso e discusso dagli studiosi e dalla critica, senza annoiare troppo. Non ha scritto mai versi d’amore, ma ha inventato la parodia, un genere comico che vive ancora oggi e prospera.

A proposito dell’epitaffio mi è venuto in mente che sarebbe stato molto più adatto al nostro quello che fu scritto per Pietro Aretino (lui, soprannominato “masnadiero della penna”).
“ Di tutti disse mal fuor che di Cristo scusandosi col dir: ”non lo conosco!”

Alla prossima. :D


Bibliografia e link
E. Degani, "Note sulla fortuna di Archiloco e di Ipponatte", in "Poeti greci giambici ed elegiaci. Letture critiche", a c. di E. Degani, Mursia, Milano 1977,
Ernesto Degani-Giovanni Burzacchini, Lirici Greci, La Nuova Italia, Firenze, 1977,
www.pksoft.it/anonimo_olevanese/public/Ipponatte.htm
Albini-Bormann, Letteratura Greca
G.Rosati, Scrittori di Grecia.
F Sisti, "Lirici greci"
E. Mandruzzato, "Lirici greci dell'età arcaica"


Edited by chiara53 - 22/1/2023, 19:25
 
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view post Posted on 12/10/2013, 14:22
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I ♥ Severus


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Insomma, era uno brutto... e incazzato, che con la sua capacità di usare le parole sapeva benissimo quel che faceva e dove andava a colpire, magari anche parodiando Omero!

Ammetto di aver apprezzato il primo spoiler che mi ha confermato l'idea che avevo avuto. E il secondo spoiler che m'ha spiegto ciò che non ero in gardo di capire.
Ma soprattutto ho apprezzato le dotte spiegazioni che mi hanno permesso di comprendere bene qualcosa che a me sarebbe per sempre rimasto incompreso.
Per cui, di nuovo, un sincero grazie!


Edited by chiara53 - 22/6/2015, 17:17
 
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view post Posted on 12/10/2013, 15:14

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Mi hai fatto fare un piacevolissimo tuffo nel tempo, Chiara.
I lirici greci li ho adorati, studiandoli come una pazza, ma quanto belli sono... :wub:

E ancora rido, perchè la nostra prof di greco non aveva peli sulla lingua per spiegare ben bene tutti i sottintesi del poeta.

Ottima lezione e ottima spiegazione, coinvolgente al massimo e con una scelta più che azzeccata tra testi ed immagini.
:applauso:
 
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view post Posted on 12/10/2013, 17:47
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Grazie ad Ida e a Kià, davvero è stata una faticaccia cercare i frammenti meno volgari, ce n'è uno che, sinceramente, mi è parso eccessivo anche per i tempi di oggi.
La prossima volta spero di poter spaziare su argomenti un po' più romantici. :P
 
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view post Posted on 27/12/2013, 15:42
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john_william_godward_041_nel_giorno_di_saffo_190


Saffo dai capelli di viola divina dal dolce sorriso… (Alceo fr. 63)



Il Tìaso



Saffo, la poetessa più nota dell’antichità, dirigeva un tìaso.
Che cos’era un tìaso?
Il termine tìaso viene dal verbo greco thyo che sta per “mi agito, infurio, smanio” da cui anche thyo “sono trasportato con impeto, ardo”, thyos “furore” e typhon “vento forte, turbine”(tifone).
Interpretando l’etimologia si può pensare che le partecipanti al tìaso, forse, si lanciassero in danze sfrenate sui prati fioriti o in radure montane, al suono dei flauti e dei tamburi. Danze anche di tipo erotico, le quali comprendevano magari movimenti sensuali come lo scuotimento del bacino e delle natiche per incantare dolcemente le danzatrici, dimentiche dei limiti e dei pensieri spazzati via dal Soffio divino che erano riuscite ad evocare in loro. Queste donne sapevano farsi prendere dalla pazzia provocata dalla presenza del Dio o della Dea che invocavano, in modo da abbandonarsi totalmente ad esso.
Il tiaso nasce dunque come un sodalizio di donne che professavano il culto del Dio che più di tutti rappresentava l’abbandono all’ebbrezza ed alle licenziosità: Dioniso.
Quello che la poetessa Saffo fondò nell’isola di Lesbo, a Mitilene, era qualcosa di molto diverso.

Leghe



A cavallo tra la fine del settimo e l’inizio del sesto secolo prima di Cristo, Saffo fondò, invece, un tìaso dedicato ad Afrodite, cioè una scuola per fanciulle aristocratiche dove si esercitavano la poesia, la musica il canto e la danza e si insegnavano la delicatezza, la grazia, la capacità di sedurre e l’eleganza raffinata. E fu quasi naturale che al suo interno ardesse l’amore omosessuale femminile.
Quando le ragazze completavano il loro corso di studi, abbandonavano il tìaso e spezzavano cuori, in particolare quello di Saffo, che molti versi dedica a questi dolorosi distacchi.
Il tìaso era concepito come una struttura culturale che si riuniva intorno al tempio ed aveva dei miti religiosi. Nel tìaso femminile si produceva e si cantava poesia: esso era un'eccellente sede scolastica, era un microcosmo autosufficiente basato sulla visione della bellezza del corpo e dell’anima.
Una delle finalità del tìaso, anzi, una delle più importanti, come ho appena accennato, era la formazione intellettuale di giovani ragazze, ed era tutta rivolta ad un solo scopo: il matrimonio.

Chi andava a scuola da Saffo (ma c’erano anche altri tiasoi) riceveva un'istruzione di tipo superiore che garantiva, nel 99% dei casi, un buon matrimonio, si trattava ovviamente di fanciulle provenienti da famiglie ricche.

I prìncipi dell'Asia Minore sceglievano le loro spose dal tìaso e le fanciulle uscivano dalla scuola quando trovavano un marito aristocratico e ricco.
Si trattava, dunque, di una struttura molto particolare e l'unica testimonianza ci è offerta dalla sua direttrice più famosa: lei, la decima musa, Saffo.

Definire quest'ultima come poetessa monodica sarebbe riduttivo; di essa abbiamo diversi canti corali, tra cui spiccano gli epitalàmi, composti in occasione del matrimonio delle ragazze: essi erano struggenti canti d'amore, per le sue allieve destinate a nozze ed anche questo ha lasciato supporre un innamoramento non privo di componenti sessuali.

Saffo, affezionata alle sue allieve, li scriveva anche perché le vedeva destinate ad una triste sorte: lasciavano infatti l'isola dove si trovavano, dove erano accudite e felici, per andare nella casa dei loro mariti e non uscirne quasi mai; lì sarebbero state in pratica rinchiuse a vita, come voleva la tradizione greca di cui abbiamo già parlato.

Può parere strano ma la grandezza di Saffo sta anche nella sua capacità di accettare ogni tipo d'amore: quello istituzionalizzato, maschile e nuziale, e la tenerezza tra fanciulle del tìaso che tale amore, talvolta, distrugge.
Non c'è distinzione né contrasto tra essi, i due sentimenti possono avere il medesimo nome e si chiamano amore ambedue, amore con la A maiuscola che prevale su tutte le gioie, all’interno del tìaso.

L’educazione impartita nella cerchia di Saffo consisteva, dunque, nella preparazione delle fanciulle al matrimonio, attraverso una serie di riti, di danze e di canti dedicati ad Afrodite. Abbiamo motivo di supporre, anche se non ne possediamo indizi certi, che una parte di questi riti consacrassero sul piano religioso, i legami omosessuali tra l’amante e l’amata. E, se da un lato questi legami erano transitori ed avviavano all’ amore eterosessuale, (nel tìaso avveniva – come già detto - una fase di iniziazione alla futura vita matrimoniale), dall’altro il loro carattere temporaneo e precario provocava inevitabilmente, in una persona la cui omosessualità era stabile, quegli stati di ansia e di depressione di cui alcuni studiosi trovano le tracce in quasi tutte le poesie saffiche centrate sul ricordo.

Per valutare correttamente le esperienze omosessuali di Saffo (e quindi la sua stessa creazione poetica), bisogna inquadrarle nel contesto della cultura greca antica.
In un’epoca non molto distante da quella di Saffo, Alcmane* ci narra, per la Sparta del VII secolo a.C., di sentimenti schiettamente “omoerotici” da parte di ragazze nei confronti della loro maestra di canti e danze. Ed è attestato, per la cultura greca, il fatto per cui il rapporto omosessuale con un uomo più anziano costituiva la base per l’educazione, non solo sessuale, del ragazzo, introducendolo – senza contatti con il mondo femminile chiuso e inibito all’esterno - al sesso e alla conoscenza del proprio corpo.

Concludo questa introduzione con pochi versi di Saffo.
Nel fr.16 dal papiro di Ossirinco 1231 la poetessa, con un'infinita libertà spirituale, esprime il suo ideale di vita:

"Alcuni un esercito di cavalieri, altri di fanti,
altri uno stuolo di navi, dicono che sulla terra nera
sia la cosa più bella; io invece,
ciò che si ama".


*Alcmane (gr. ᾿Αλκμάν, lat. Alcman -anis). - Poeta lirico greco (fine del sec. 7º a. C.); originario, sembra, di Sardi (in Lidia), visse a Sparta dove continuò una tradizione poetica iniziatavi da Taleta e Terpandro. È il più antico autore di "lirica corale", di cui ci restino frammenti (poco più di un centinaio).


Bibliografia e link
www.treccani.it/enciclopedia
http://livinglgbt.forumcommunity.net/?t=30292008
C. Calame, L’amore omosessuale nei cori di fanciulle.
V. Di Benedetto e F.Ferrari, Saffo. Poesie.
E.Mandruzzato, Lirici greci dell'età arcaica.
E.Savino, Saffo, liriche e frammenti.
Albini-Bormann, Letteratura greca. Profilo storico e pagine critiche.


Edited by chiara53 - 22/1/2023, 19:32
 
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view post Posted on 27/12/2013, 23:54

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Wow, bella lezione! Conoscendo molto poco la poesia greca, per me è proprio una lezione nel vero senso della parola, come quella su Ipponatte. Continuerò a seguire con diligenza, prof.
P.S.: Bellissima anche l'immagine di apertura! :D
 
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view post Posted on 28/12/2013, 08:22
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CITAZIONE (Sewa @ 27/12/2013, 23:54) 
Wow, bella lezione! Conoscendo molto poco la poesia greca, per me è proprio una lezione nel vero senso della parola, come quella su Ipponatte. Continuerò a seguire con diligenza, prof.
P.S.: Bellissima anche l'immagine di apertura! :D

Saffo è la poetessa che amo di più tra i lirici greci e così mi sono fatta un regalo per Natale cominciando a parlare di lei. Le poesie che ha scritto fanno rimpiangere che non siano state ritrovate tutte le sue opere, ma solo frammenti...
Grazie! :D
 
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