La chiamavano Bocca di rosa o Neera?
Come promesso vi racconto la storia della prima e, forse, la meno conosciuta delle tre etère: Neera.
Museo di Bengasi - Etèra
Mentre pensavo a lei mi è venuta in mente la canzone di Fabrizio De Andrè per un motivo preciso: Neera fu vinta dalle maldicenze e dall’invidia di altre donne.
Erano donne perbene, ma donne chiuse in casa, lontane dall’allegria dei simposi, dalla vita pubblica e impossibilitate a mettere le mani sul loro patrimonio: donne greche di buona famiglia e morigerate, ma non felici, donne che covavano nel cuore invidia e malevolenza per quelle che non si erano piegate a quel tipo di vita da recluse anche a prezzo di non essere “donne onorate”. Ciò era spesso avvenuto, per necessità, perché la loro bellezza lo permetteva, oppure anche la loro furbizia e intelligenza le aveva condotte dal più infimo stato, in alto nella considerazione sociale.
Conosciamo la storia di Neera nei particolari perché Demostene o un suo allievo ( più probabilmente), pronunciò un’orazione famosa“ Contro Neera” per indebita appropriazione di cittadinanza.
Anche se è difficile stabilire l’anno esatto sappiamo che il processo a Neera fu celebrato tra il 343 e il 340 a.C. : Neera, un’ex “etèra - prostituta”, era accusata di aver violato la legge che vietava il matrimonio con gli stranieri. E Neera, che ateniese non era, aveva vissuto come moglie di un ateniese di nome Stefano.
Ma come vedremo aveva fatto anche di peggio…
L’accusatore era un certo Teomnesto, ma dopo di lui, durante il processo, parlò a lungo Apollodoro, suo suocero, che raccontò la vita di Neera in un contesto di amori baldorie, percosse, scandali e tradimenti che avevano movimentato la vita ateniese per molti anni, appellandola a volte con il suo nome, ma più spesso con l’espressione dispregiativa :
questa qui (gr.
hauteì)
La lunga e avventurosa storia di Neera comincia - per quanto ci è dato sapere - come prostituta agli ordini di una mezzana, tale Nicareta, a cui era stata venduta da bambina .
La mezzana esercitava il mestiere a Corinto, città famosa in tutta la Grecia per la prostituzione. Per lungo tempo Corinto ebbe fama di città in cui era possibile condurre agevolmente una vita lussuosa e depravata, al punto che, anche dopo essere stata distrutta dai Romani e dopo la cessazione della prostituzione sacra, continuò ancora a incarnare il simbolo della corruzione.
Ed a Corinto Neera rimase, sempre al servizio di Nicareta sino al momento in cui due giovani, Timanoride e Lucrate, la ricomprarono per la somma enorme di 3000 dracme, il che fa pensare che la bellezza di questa ragazzina (poco più che tredicenne) doveva essere davvero eccezionale.
Scopo dell’acquisto era godere in esclusiva delle grazie di Neera: cosa che evidentemente i due fecero con molta soddisfazione.
Ma, quando decisero di sposarsi, fu necessario affrancarsi da una situazione troppo impegnativa.
Le proposero allora di regalarle 1000 dracme; Neera, però, doveva restituire loro le altre 2000, pagate in precedenza, dopodiché, essendosi ricomprata la libertà, doveva abbandonare per sempre Corinto.
Ma 2000 dracme erano tante anche per una come Neera. Tuttavia, lei non si perse d’animo e propose al ricco Frinone di accollarsi la restituzione della somma, in compenso Neera sarebbe andata a vivere con lui. Concluso l’affare, Neera si trasferì ad Atene a casa di Frinone.
La convivenza, però, fu tutt’altro che felice. Frinone era prepotente e disattento, Neera avida di vita e divertimenti. Così, quando durante i banchetti Frinone si ubriacava, Neera pare ne approfittasse per spassarsela con altri uomini più giovani e belli.
Vero o no Neera non sopportava Frinone e un bel giorno fece i bagagli portando
casualmente con sé parecchi beni preziosi dell’uomo e partì per Megara. Dove non restò a lungo perché incontrò Stefano: l’uomo della sua vita.
suonatrice di lira nell'atto di spogliarsi in un simposio
Stefano la portò con sé ad Atene, lei con i tre figli che Neera aveva avuto nel frattempo, nati da chissà chi: Prosseno, Aristone e la piccola Fanò.
Stefano li registrò come suoi, nati da un legittimo matrimonio precedente. Questo era ovviamente contro la legge Ateniese perché alla maggiore età i figli riconosciuti da Stefano sarebbero diventati cittadini (per la legge potevano essere cittadini Ateniesi solo i figli nati da due cittadini Ateniesi regolarmente sposati).
Al momento, comunque, nessuno se ne accorse e Stefano e Neera iniziarono una convivenza para – matrimoniale, rispettata da alcuni e malvista da altri.
Ma le comari di un paesino
non brillano certo in iniziativa
le contromisure fino a quel punto
si limitavano all'invettiva.
Stefano non aveva grandi risorse e Neera gli aveva consegnato tutto quello che aveva sottratto a Frinone.
Nella sua casetta, che costituiva tutto il suo modesto patrimonio, la voce principale del bilancio familiare era rappresentata dagli introiti derivanti dal mestiere di Neera, dato che l’attività di Stefano non costituiva una fonte di reddito costante e sicura.
Quanto a Neera, essendo ormai una donna rispettabile, con tanto di marito, fece lievitare le tariffe delle sue prestazioni. Inoltre, con la collaborazione di Stefano, escogitò un abile sistema per estorcere ulteriore denaro ai malcapitati clienti. Neera adescava uomini stranieri, ricchi, ma alquanto sprovveduti; dopo di che faceva la sua comparsa Stefano nelle vesti del marito offeso, imprigionava in casa l’adultero, colto sul fatto, e pretendeva da lui un grosso risarcimento per comporre pacificamente la controversia. Il denaro racimolato sfumava, però, piuttosto velocemente.
Il tempo passò e venne il momento di maritare la figlia di Neera. La scelta del marito cadde su un certo Frastore del demo di Egilia, un gran lavoratore che con impegno e parsimonia aveva raggranellato un considerevole patrimonio. Fanò gli venne presentata come figlia di Stefano e cittadina di pieno diritto, essendo nata da un precedente matrimonio dell’uomo con una cittadina ateniese. Purtroppo la loro non fu per nulla un’unione felice e ben riuscita, per via dell’incompatibilità dei caratteri: Frastore non tollerava i capricci e gli sperperi della giovane consorte, abituata al regime di vita della casa di Neera, ed il suo comportamento un po’ troppo esuberante ed equivoco.
Quando poi realizzò di essere stato raggirato e che Fanò era figlia di una cortigiana straniera, senza alcun indugio la cacciò di casa sebbene in evidente stato interessante, e per giunta senza restituirle la dote, come disponeva le legge in caso di divorzio.
Stefano gli fece causa, ma Frastore a sua volta lo accusò per la truffa del matrimonio; a quel punto, per sfuggire a ulteriori complicazioni, Stefano desistette da ogni altra rivendicazione.
Poco tempo dopo, però, Frastore cadde malato ed era ormai in punto di morte. Egli era completamente solo, perché non aveva figli e i rapporti con gli altri parenti erano pessimi.
Neera colse al volo l’occasione e si presentò a casa sua insieme alla figlia per prendersi cura di lui. Le due donne riuscirono a tal punto a circuirlo con le loro premure che l’uomo si convinse a riconoscere come suo il figlio messo al mondo da Fanò, non tanto perché mosso da compassione, ma per ripicca nei confronti dei suoi avidi parenti. Frastore presentò il bimbo alla sua fratria che, però, si rifiutò di registrarlo.
Resosi conto che insistere oltre avrebbe potuto procurargli delle grane con la giustizia, ed essendosi nel frattempo ristabilito, Frastore rinunciò e non si curò oltre delle sorti del bimbo.
Fanò con il suo bambino si stabilì, dunque, nella casa di Stefano e trovò un modo per fornire anch’essa un contributo al reddito familiare, mettendo a frutto la propria bellezza e impudenza.
La situazione della ragazza restava tuttavia precaria e così Neera e Stefano tentarono di sistemarla definitivamente, puntando questa volta davvero troppo in alto.
L’uomo prescelto fu Teogene del demo di Cotocide, povero ma nobile e designato per ricoprire la carica di Arconte Re.
Teogene non era un uomo di per sé dotato di grande esperienza, e quindi era facilmente manipolabile. Stefano lo assistette durante la
dokimasìa, cioè l’esame dei requisiti richiesti per stabilire l’idoneità alle cariche pubbliche o a esercitare altri uffici e diritti e, grazie anche a qualche generosa sovvenzione, riuscì a farsi accordare da Teogene la carica di
paredro (coadiutore dell’arconte)e a dargli in sposa Fanò, spacciandola per figlia sua. così che la figlia di Neera fu chiamata a ricoprire la carica più alta e onorevole che fosse riservata ad una donna ateniese, quella di
Basilissa: vale a dire moglie dell’Arconte Re di Atene.
Ad essa - unico caso fra tutte le magistrature ateniesi - era riservata una parte nell'adempimento delle funzioni attribuite al marito. Si richiedeva per questo che essa fosse una cittadina, sposata regolarmente e in prime nozze (vergine) con l'Arconte, e arrivò dove nessun altro fra tanti ateniesi può giungere all’infuori della moglie del Re
Il secondo giorno delle Antesterie, feste dionisiache della primavera, Fanò ricevette in presenza dell’araldo sacro il giuramento, sul canestro contenente gli oggetti sacro delle quattordici sacerdotesse di Dioniso, le
gheraràs, scelte tra le madri di famiglia di comprovata morigeratezza, incaricate di assisterla nello svolgimento delle sue funzioni. Poi con solenne corteo andò incontro alla processione che conduceva il dio proveniente dal mare, trasportato su un carro a forma di nave e, una volta all’interno del Tempio si unì in mistiche nozze con Dioniso compiendo i riti tradizionali verso gli dei.
Questo per le malelingue fu davvero troppo!
Così una vecchia mai stata moglie
senza mai figli, senza più voglie,
si prese la briga e di certo il gusto
di dare a tutte il consiglio giusto.
Ben presto, però, alcune voci maligne sul conto della moglie dell’Arconte Re giunsero alle orecchie dei nove Arconti che componevano il consiglio dell’Areopago, i quali indagarono e scoprirono l’identità della Basilissa.
Teogene fu subito chiamato a rispondere della sua unione alquanto inappropriata, per non dire sacrilega, con una donna di tal fatta. Questi protestò la propria innocenza e sostenne di essere stato abilmente raggirato dal suo paredro Stefano; e, a riprova di ciò, cacciò immediatamente di casa la moglie indegna ed il consiglio sospese ogni provvedimento a suo carico, mostrando pietà nei confronti della sua ingenuità.
Diciamolo chiaramente Teogene era un vero tonto e fece pena persino ai giudici dell’Aeropago!
Nulla è dato sapere cosa ne fu, dopo il processo, di Fanò e Neera della quale tutta Atene conobbe i segreti.
Se Neera fu condannata le sarebbe taccato tornare schiava, chiudendo il cerchio della sua vita. Un destino beffardo per una donna nata schiava e la cui vita era stata una progressiva e inarrestabile ascesa nella scala sociale, fino al raggiungimento del gradino più alto, rappresentato dal matrimonio con un cittadino ateniese.
Giunta ormai alle soglie della vecchiaia (supponendo,infatti, la nascita di Neera agli inizi del IV sec a.C., si deve concludere che all’epoca del processo fosse sulla sessantina), a causa delle intemperanze politiche dell’uomo a cui si era legata, era sul punto di scivolare proprio su quest’ultimo gradino e di precipitare rovinosamente al punto di partenza.
Questo, come ho già detto è il risultato della paradossale situazione in cui versava il mondo femminile nella società greca e in particolare in quella Ateniese, dell’invidia che le donne Ateniesi di buona famiglia, impossibilitate ad accedere a qualsiasi patrimonio, provavano verso le ex schiave, etere arricchite o commercianti straniere, che, viceversa, giungevano a superare in ricchezza le cittadine morigerate e di buona famiglia, conducendo un alto tenore di vita.
Diciamo che Neera aveva ecceduto un po’ troppo e aveva fatto anche troppo rumore, forse la sua furbizia le avrebbe dovuto consigliare diversamente.
Dopo aver molto letto e in base alle mie personali convinzioni sento di dover esprimere un parere.
Neera è non solo giustificabile, ma comprendo e giustifico il suo comportamento in relazione alla vita che aveva sopportato e ai sacrifici patiti.
Al di là di qualsiasi commento o giudizio chiedo ai miei lettori di considerare che Neera fu una bambina venduta ad una mezzana, usata da costei e, per sua fortuna, bellissima.
Trovo che la furbizia e l’intelligenza l’abbiano aiutata, perché Neera al di là di tutto era e rimane una donna scaltra e intelligente che riesce con grande fatica ad uscire dal fango in cui la società l’aveva confinata.
Era spregiudicata? Chiedo a voi che mi leggete: ma non ne aveva tutte le ragioni?
Per tornare al discorso dell’avidità delle etère, un commediografo di nome Anfide procede oltre il cliché delle prostitute ingorde e insaziabili, coglie la reale ragione economica e sociale, che determinava questa loro inestinguibile sete di denaro.
Non è forse vero che un’etera è più gentile
di una donna sposata? Molto, certo, e a ragione.
L’una, protetta dalla legge, resta in casa a fare l’arrogante,
l’altra, invece, sa che l’uomo va comprato
con le buone maniere, o altrimenti deve andare da un altro.Ancora una volta chiedo aiuto a Fabrizio De Andrè
E alla stazione successiva
molta più gente di quando partiva
chi mandò un bacio, chi gettò un fiore
chi si prenota per due ore.
(Continua)
Bibliografia e link:
Eva Cantarella, L’amore è un dio. Il sesso e la Polis. Ed Feltrinelli
www.ledonline.it/rivistadirittoroma...nocavallini.pdf
http://tesi.cab.unipd.it/41151/1/tesi_magi...a_2011-2012.pdf
E. Cantarella, L’ambiguo malanno: condizione e immagine della
donna nell’antichità greca e romana, Roma, Editori Riuniti, 1981
www.treccani.itEdited by chiara53 - 24/1/2023, 18:32