Il Calderone di Severus

N.13: Un anno di sorrisi per Severus

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kijoka
view post Posted on 25/5/2013, 16:26




Nr.19

Autore/data: Kijoka – 16 maggio 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One shot
Rating: per tutti
Genere: introspettivo
Personaggi: Severus Piton
Pairing: nessuno
Epoca: Malandrini
Avvertimenti: Missing moment
Riassunto: Pensieri liberi in un luogo caro.
Parole/pagine: 866/2.




Domani

Chiude il libro con un tonfo. La biblioteca deserta rimbomba per qualche momento.
Appoggia il mento sulle mani e lascia correre la mente.
Domani.
L'esame del G.U.F.O. è domani, ma si sente preparato. Sa di conoscere tutte le risposte. Sa di poter padroneggiare la materia e la sua stessa ansia. Sa di aver trascorso più ore di quante dovesse lì dentro, trovando risposte alle ossessive domande, ma ora è pronto.
Chiude gli occhi.
E' tardi. Forse sarebbe meglio andarsi a coricare: domani deve essere assolutamente concentrato.
Il grande salone è così quieto e silenzioso! E' rilassante stare qui, in mezzo al profumo del legno e immerso nel sapere antico.
I libri, vecchi amici sempre nuovi, cui porre infinite domande, senza mai essere deluso.
Qui, solo qui si sente se stesso.
In pace con il mondo. Rilassato come in una casa amata, persa e ritrovata
In questo posto riesce a ritrovare la calma e a immaginare il futuro.
Sognare. Non sempre e solo a occhi chiusi...
Domani è un giorno importante.
Sorride tra sé.
Le labbra sottili si tendono appena, il viso prende vita, ma solo gli occhi scuri sembrano dar libero sfogo ai pensieri. Luccicano come ossidiana alla luce della candela accesa sul tavolo.
I lineamenti aguzzi si ammorbidiscono per un breve istante.
Domani riuscirà a terminare il compito nel modo giusto e, se questo avverrà, sarà il segno atteso che il momento è arrivato.
E' abbastanza grande per non nascondere più ciò che sente.
Sta diventando bravo ed è sicuro di poter pretendere qualcosa per sé, adesso.
Cercherà di stare lontano dai quattro compari che, trattandolo come un incapace senza alcuna intelligenza, lo rendono nervoso.
Lo irrita profondamente il fatto che debba stare sempre attento a non infastidirli, solo per evitare guai.
Ancora non comprende cosa abbia scatenato quella competizione con loro, non capisce cosa esattamente li provochi tanto nel suo modo di essere.
Incomincia a pensare che sia la sua stessa esistenza ad aizzarli.
Sta conoscendo solo adesso una nuova parte di se stesso, quella che vorrebbe misurarsi con gli altri. Eppure non ha mai dovuto affrontare una simile situazione!
In vita sua non ha mai dovuto competere con nessuno, solo difendersi. Ed è sicuramente questo che sa fare meglio.
Ha già dovuto realizzare che la mente vale poco contro i muscoli, soprattutto a quest'età.
Sa di essere stufo di essere continuamente preso di mira, ma come può davvero fare a toglierseli dai piedi?
Capisce che deve sempre riuscire a stare calmo, controllando la sua volontà di far loro davvero del male in qualche modo...
Le umiliazioni cui l'hanno sottoposto bruciano come sale su una ferita.
Non è solo questo. Sono capaci di renderlo ridicolo. Tutta la scuola ormai si diverte alle sue spalle.
Un sospiro spezza il silenzio.
Lei è l'unica che sembra ancora capirlo, anche se, negli ultimi tempi sembra fare molta fatica a comprendere le sue scelte.
E' sicuro di essere parte della ragione per cui si sta allontanando.
Lo stomaco si stringe. Non ce la fa neanche a pensare di perderla.
C'è una sola scelta: dirglielo.
Gli resterà vicina sapendo?
E' la domanda che più di ogni altra lo tiene sveglio di notte.
Lei non ama le sue domande, lei non ama i suoi amici. Pensa davvero che potrà amare lui?
Un nuovo sospiro, più profondo e prolungato, che scioglie il nodo allo stomaco.
Domani è una giornata importante.
Se tutto andrà bene, se svolgerà il compito senza errori, se riuscirà a sfuggire ai suoi nemici giurati, se arriverà ad portarla lontano dei suoi compagni, allora, e solo allora, sarà sicuro di riuscire a trovare le parole per confessare ciò che ha fatto fatica ad ammettere con se stesso.
Come farà?
Con quali parole, con quale voce, con quale coraggio?
Il coraggio...
Perché sembra abbandonarlo ogni volta che ne ha più bisogno?
E' sicuro di non essere un codardo. La verità è che avrebbe ogni possibilità di nuocere gravemente ai suoi nemici, se solo lo volesse. Spera ogni volta di non superare quel limite, così labile, tra l'umiliazione e la rabbia vera. Non sa cosa questo lo porterebbe a fare!
Ha sempre cercato, nella sua vita, di controllarsi, di non lasciarsi andare alla parte oscura di sé. Non vuole alcun modo assomigliare al padre che ha lasciato a Spinner's End.
Non vuole nemmeno pensare a cosa potrebbe accadere se davvero si lasciasse sopraffare.
Ha sempre temuto quell'eventualità e cerca sempre di lavorare su se stesso perché questa eventualità possa non accadere mai.
D'un tratto una voce lo scuote dai suoi pensieri:
- Piton!
Alza gli occhi dalla candela che stava fissando. Il Professor Vitious lo sta osservando con espressione interrogativa:
- Che ci fai ancora qui? E' mezzanotte passata e, anche se hai il permesso di restare fino a tardi, domani devi affrontare!
Severus annuisce piano e si alza dalla sedia, dirigendosi velocemente verso la porta.
- Buonanotte... - Mormora passando davanti al professore.
Poi si ferma. Si volta a guardare l'ampia stanza colma di libri fino a soffitto.
Nel petto rimbalza la strana sensazione di veder chiudersi un ciclo.
Abbassa gli occhi, scuote la testa e, sorridendo appena tra sé e sé, imbocca il corridoio per tornare al dormitorio.

Edited by Ida59 - 19/8/2015, 13:36
 
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view post Posted on 25/5/2013, 17:53

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CITAZIONE (kijoka @ 25/5/2013, 17:26) 
Domani

Quando ho letto la storia per la prima volta mi ci sono trovata perfettamente immedesimata. Non tanto per la riflessione sul compito, quanto per l'attesa del domani che permea tutto il racconto.
Un'attesa traboccante speranza ed amore mai dichiarato, un'attesa colma di sogni e progetti.
Quante volte ci siamo trovati in situazioni del genere?
Io spesso. Più di una volta ho detto "domani gli dirò...", fantasticando su ogni momento, su ogni dettaglio possibile, cercando di dominare l'emozione e provando ad immaginare tutto lo scenario che ci si potrebbe tornare davanti.
Povero, povero Severus. Che di quel domani alla fine si ritroverà solo un'altra umiliazione e sogni infranti e un'amore che non sarà mai detto ad alta voce, ma che sarà sempre e solo portato nel cuore.

Splendido l'intreccio tra i pensieri di Severus e l'atmosfera della biblioteca, assolutamente realistico e poetico.
 
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view post Posted on 25/5/2013, 18:45

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Ricordatevi di inviare le vostre storie a MSS!

 
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Ecco il mio haiku.

Luce

Di luce colmi
sorridono infine
gl’occhi tuoi neri



Edited by Ida59 - 19/8/2015, 13:37
 
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view post Posted on 27/5/2013, 11:42
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Prima che mi dimentico, nella storia precedente, come fattomi notare da Ida, ho cambiato "anni" in "mesi", così non dovrebbero esserci problemi ;)
E mi prenoterei per lunedi 3 giugno, così concludo, finisco, termino, au revoir! :lol:

Autore/data: Severus Ikari/ 17 maggio 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: one-shot
Rating: per tutti
Genere: drammatico, angst, dark, introspettivo
Personaggi: Severus Snape, Personaggio Originale
Pairing: nessuno
Epoca: Post 7° anno
Avvertimenti: AU
Riassunto: Severus Snape non è morto e dovrà di nuovo fare i conti con i suoi errori e i suoi dolori, nascosti dentro di sé tra ombre, luci e un sorriso.
Parole/pagine: 2583/5.

Seconda storia facente parte della "Trilogia del Cimitero", ovviamente seguito de "I morti non sorridono".



2. Il sorriso di un agnello



A quell’ora la chiesa era deserta e quasi completamente al buio, se non per alcune candele ormai consumate che facevano una fioca luce verso l’altare spoglio, tranne che per una pala di legno che doveva essere abbastanza antica. Da lì non riusciva a vedere bene cosa vi fosse raffigurato, ma le ombre che intravedeva gli fecero pensare ad una lotta tra un angelo e un demone.
Severus Snape sentiva di averla dentro di sé quella lotta, nonostante gli anni passati e nonostante fosse addirittura creduto morto.
E avrebbe preferito che tutto restasse tale, ma la sua dannata curiosità lo aveva portato verso il cimitero che avrebbe dovuto accogliere il suo corpo freddo sul quale ancora si sentiva l’odore del sangue e dell’aria stantia della Stamberga Strillante, poteva percepirlo anche adesso.
«I fantasmi non puzzano!», di nuovo le sue labbra si stirarono in un sorriso, stavolta più ampio perché nessuno era lì a osservarlo.
Severus Snape non era un fantasma, puzzava di morte, di sangue, gli aromi che tuttora lo nauseavano erano il dolore e la colpa che non si erano ancora dissolti nell’aria, ma erano rimasti con lui come fedeli compagni, e ringraziava che nessuno potesse sentire quegli odori che sarebbero stati soltanto per lui.
L’acuto suono di una campana lo aveva spinto all’interno di quella piccola chiesa accanto al cimitero, celata da alcuni alberi e buia, proprio come sentiva la sua anima: oscura e nascosta da un fitto intrico di rami.
Camminò lentamente lungo la stretta navata centrale, i suoi passi si udivano appena sulla pietra consumata da anni e anni di preghiere e canti.
Man mano che si avvicinava all’altare, una dolce litania si faceva via via più forte, anche se piuttosto tenue rispetto a un normale livello di voce, si voltò per cercare la fonte di quelle parole, ma non vide nessuno.
Non era mai stato dentro una chiesa e pensò che fosse la suggestione a fargli sentire simili voci.
Durante la sua vita aveva letto numerosi libri riguardanti la religione, ma nessuno lo aveva fatto accostare a essa, credeva che fosse una mera consolazione inventata dai Babbani per sopportare meglio la cruda realtà della vita.
E se c’era una cosa che la Storia aveva insegnato, era che Religione e Magia non andavano per niente d’accordo.
Allora perché era entrato lì dentro?
Severus Snape non seppe dare una risposta, voleva soltanto vedere com’era addentrarsi in un posto simile, inginocchiarsi e pregare un’entità invisibile.
Si fermò davanti la pala d’altare a osservare quelle figure che finalmente gli apparivano nitide: un’ombra nera ricopriva una parte del legno, sprigionata dalle ali di un demone, e inghiottiva un agnello che urlava straziato alla madre morta accanto a esso.
Ripensò a quella notte a Godric’s Hollow e si sentì di colpo un agnello straziato che urlava alla morte e un demone nero che si era macchiato le mani del sangue della sua Lily.
Come potevano dire che fosse un eroe?
Sulle sue labbra si dipinse un aspro sorriso che gravava più di un macigno sulle spalle, si piegò per un attimo sentendo le gambe pesare e dovette stringere con forza le dita pallide sul marmo dell’altare per non cadere sul pavimento.
Era quello il peso che ti spingeva a inginocchiarti a terra?
Severus Snape si sarebbe piegato e avrebbe pregato per tutta la vita se solo gli fosse concesso un solo giorno senza quelle lame a tormentargli l’anima.
Sapeva però che questi privilegi erano riservati ai giusti, e lui non lo era.
Era il demone che con la sua ombra inghiottiva ogni cosa e il suo aspro sorriso era l’urlo atroce di un agnello, poteva sentirlo farsi agghiacciante e tagliente nella sua testa.
La luce dell’angelo che combatteva quell’oscurità la notò appena, forse perché aveva sempre pensato che in lui non vi fosse neppure il frammento di un bagliore.
Cercò di mantenere l’equilibrio fissando la raffigurazione sull’altare, ma all’improvviso quella sembrò prendere vita e animarsi davanti ai suoi occhi che guardavano sconcertati la scena che pian piano mutava.
Le ali del demone si mossero, spostando l’aria con il loro battito, poi si disciolsero in una nube cupa, densa, che quasi si poteva toccare, ma le dita di Severus passarono deformandola appena, e in un attimo si condensò intorno alla nera creatura avvolgendola completamente.
Sembrava una lugubre veste, sembrava la sua lugubre veste.
Non riusciva a capire il senso di tutto quello e non riusciva a capire perché semplicemente non se ne andava lontano da lì, ma le gambe non rispondevano, rimasero immobili, così come gli occhi non erano in grado di distogliere lo sguardo.
L’angelo cadde a terra, le ali strappate da una spira verde fuoriuscita dalla bocca del demone, il cui urlo terrificante echeggiò per le spesse pareti della chiesa, guardò il sangue che invece di colare lungo la schiena, risalì sulla pelle fino a raggiungere i capelli dorati della creatura celeste che in un attimo si tinsero di rosso.
Il rosso della sua Lily.
Severus non riusciva a trovare una spiegazione a ciò che stava vedendo, riteneva che fosse tutto frutto della sua immaginazione, un’immaginazione crudele che non faceva altro che mostrargli quel dolore e quella colpa radicati nel profondo della sua anima.
Il piccolo agnello voltò il muso per guardare negli occhi Snape, gli sorrise, un sorriso malvagio che presto si trasformò in una bocca spalancata urlante, un urlo disperato che lo fece rovinare a terra sotto il peso di tutti quegli anni che improvvisamente gli si rovesciarono addosso.
Inginocchiato sul freddo pavimento, non riusciva più a sostenere quella vista, ma l’improvviso trasformarsi di quell’agnello lo spinse a guardare di nuovo: il bianco del suo manto stava mutando, si sciolse e si addensò fino a prendere le sembianze di un bambino, una piccola creatura piangente con gli occhi di un verde così luminoso che gli accecò la vista.
Il verde della sua Lily.
E pianse, pianse tutte le lacrime che aveva in corpo, pianse guardando il suo dolce amore che spariva nell’ombra lasciando solo il piccolo agnello, pianse tutto il dolore che aveva causato con le proprie mani.
Pianse pregando invano che tutto quello finisse.
«Ti prego, basta.» furono le uniche parole che riuscì a pronunciare tra le lacrime, ma la rappresentazione continuava a muoversi e a urlare in maniera orribile.
Eia, mater, fons amóris, me sentíre vim dolóris fac, ut tecum lúgeam.1
Sentì una voce carezzargli il viso, ma non c’era nessuno che avesse potuto pronunciare quelle parole di cui non riusciva a comprendere il significato.
Che cosa voleva dirgli quella voce così effimera?
Lui voleva soltanto che tutto finisse, che quelle creature tornassero al loro posto con le loro sembianze originali, voleva uscire da lì e continuare a sorridere sotto il caldo sole.
C’era un motivo per il quale aveva deciso di tornare, e non era di certo rivivere ogni tormento, non in quel modo, sapeva che quei dolori e quegli errori avrebbero sempre fatto parte di lui accompagnandolo fino alla fine dei suoi giorni, erano le numerose spine conficcate nella carne delle molte rose di sangue che aveva piantato.
L’angelo e il demone si staccarono dalla pala d’altare e volarono verso il volto di Snape, con forza lo spinsero a terra, costringendolo a spalancare le labbra per potervi entrare, e le flebili fiamme delle candele esplosero in fuoco rovente e abbagliante mentre il piccolo agnello gli si conficcò nel cuore, poteva sentirlo penetrare lentamente e dolorosamente come una spada.
L’urlo che proruppe dalla sua gola scosse le pareti di pietra, facendolo tremare mentre le lacrime ancora sgorgavano come un fiume in piena.
Sentì quelle creature entrargli fino in fondo, e poi tutto cessò. La chiesa tornò avvolta dal silenzio e le candele tornarono a illuminarla debolmente.
Severus Snape si alzò da terra rapidamente e uscì correndo per allontanarsi da quella scena pietosa, incurante di quella nenia che ancora risuonava nel buio di quella chiesetta, muovendo appena le flebili fiamme delle candele consunte.
Si ritrovò a respirare nuovamente l’aria fresca che c’era fuori, sebbene il suo respiro fosse ancora spezzato dal dolore e dalle lacrime, ma quella frescura e i raggi del sole riuscirono ad acquietare un po’ il suo animo squassato da una tetra tempesta.
Volse nuovamente i passi verso la sua tomba e si fermò per qualche istante a osservare uno a uno i caratteri che vi erano vergati, come se ognuno gli raccontasse un pezzo della sua storia, come se ognuno fosse una parte della sua anima che si era riunita lì, sul freddo e immobile marmo che avrebbe dovuto accogliere le sue spoglie per sempre.
Sorrise ancora e ancora a quella vista, mentre le lacrime sgorgavano pian piano dai suoi occhi, la sua bocca gli mostrò di nuovo l’ironia di tutta quella situazione: lui che in carne e ossa osservava la sua tomba.
Le immagini che aveva visto muoversi sulla pala d’altare sembravano svanire dalla sua mente, ma sapeva che dal suo cuore non sarebbe mai stato in grado di rimuoverle, e non avrebbe mai voluto, a ricordo di tutto ciò che era stato e di ciò che aveva fatto.
I fiori che Ronald Weasley gli aveva portato giacevano ancora lì, sulla lastra di pietra, a memoria di qualcuno che teneva a lui, ma chi avrebbe potuto tenere a un simile mostro?
«Eia, mater, fons amóris, me sentíre vim dolóris fac, ut tecum lúgeam.», questa volta la voce era nitida, fuoriuscita da delle labbra reali, e ruotando appena il viso, vide un’anziana signora che veniva verso di lui, con passo malfermo avanzava sorretta da un bastone.
Le ricordava Minerva, con tutta la sua fierezza e la sua forza, ma questa donna era minuta, curvata sotto il peso degli anni, dei bianchi capelli raccolti in una crocchia, sporcati da un po’ d’argento le delineavano il volto coperto da rughe che segnavano il tempo passato, e sulle mani aveva vene così sporgenti che avrebbe potuto vedere lo scorrere del sangue.
«Cosa significa?» chiese Snape all’anziana donna. Conosceva il latino, ma il significato di quelle parole riferite a lui, gli era oscuro.
«Permettimi di piangere insieme a te.» gli rispose la donna con tutta la fierezza dei suoi anni, poteva sentire l’odore dei campi che aveva lavorato per tutta l’esistenza, della terra che gli aveva sporcato le mani, il profumo della farina.
Sorrise a quell’anziana signora, un sorriso caldo, sincero, e lei ricambiò con uno dei più bei sorrisi che avesse mai visto, sapeva di vita e di amore, aveva l’aroma della speranza e della gioia.
Gli invase il cuore.
«Nessuno può piangere insieme a me.» un soffio rassegnato di dolore fuoriuscì dalle sue labbra, ma la donna continuava a sorridergli.
«Era un suo amico? Qualcuno a cui voleva bene?» domandò la donna rivolgendo lo sguardo alla tomba.
Snape non capì subito a chi si riferisse, ma poi vide la mano indicare il suo sepolcro e sorrise di nuovo, era buffo, chiunque lo avesse trovato lì con gli occhi lucidi avrebbe pensato che stesse piangendo per l’anima sepolta sotto quel cumulo di terra, e questo lo trovava ironico.
«Era un amico col quale ho condiviso tutta la vita, ma non so se gli volevo bene, anzi, credo che non gliene abbia mai voluto e tuttora lo odio.»
«È strano venire a piangere sulla tomba di qualcuno che si odia.»
«Lo so.» stavolta nessun sorriso accompagnò le sue parole, si odiava, odiava tutto ciò che era stato e tutto ciò che aveva fatto, si odiava perché la sua vita era stata un completo disastro e si odiava perché tutti lo consideravano un eroe che non era.
«Perché ti odi?» quella domanda lo sconcertò. Chi era realmente quella donna?
Snape non rispose, si limitò a fissarla con gli occhi sbarrati per l’incredulità.
«Cuius ánimam geméntem, contristátam et doléntem pertransívit gládius. 2 Sento il tuo animo afflitto e vedo cosa ti tormenta, e questo mi trafigge, proprio qui,» e si portò una mano rugosa sul petto, «una lama nel cuore.» le dita le tremavano mentre parlava.
«Chi è lei, esattamente?» chiese turbato Severus che cominciava a vacillare sotto lo sguardo di quella donna così forte e sofferente al contempo.
«Sono il tuo demone, il tuo angelo e il tuo agnello. Sono quello che nascondi.» Snape continuava a guardarla senza capire, mentre uno stormo di corvi adombrò per qualche istante il sole prima di posarsi ognuno su una tomba diversa come se ciascuno di essi fosse il custode.
«Io non nascondo nulla, in me non c’è niente, soltanto ombra.»
«Dentro di te c’è un demone, ma c’è anche un angelo, solo che in realtà sei quel piccolo agnello che piange addolorato per le numerose perdite e per le colpe che non riesce a buttare fuori neppure con il suo canto straziato.»
«Io non sono un agnello innocente.»
«No, non lo sei, c’è molto in te, ed io riesco a vederlo, chiamala saggezza dell’età, chiamala che in questo stadio della mia esistenza posso scorgere parecchie cose che a molti sfuggirebbero, ma so quello che ho visto, so quali sfumature emana la tua anima.» Severus avrebbe voluto gridarle che nessuno poteva vedere quello che si sprigionava dall’ultimo brandello della sua anima, persa ogni volta che si macchiava di un’atroce colpa, nessuno avrebbe potuto scorgere il sangue di ogni innocente che aveva ucciso, colorargli il cuore.
«Io sono soltanto un demone.»
«Sei anche un angelo che ha pianto e si è redento con sacrificio ed espiazione.»
«Lei si sbaglia.»
«E sei anche un piccolo agnello indifeso e il tuo sorriso ne è la prova. Sai distruggere come un demone, sai essere giusto come un angelo e il tuo sorriso è quello di un piccolo agnello innocente che ancora deve avere qualcosa dalla vita.» poteva ancora vedere dei piccoli pezzi di quell’assurdo e dolente spettacolo cui aveva assistito in quella piccola chiesa. Che cosa, in realtà, aveva significato vedere tutto quello? Cosa avrebbe dovuto mostrargli quella rappresentazione?
Severus Snape aveva moltissime domande, ma ben presto dovette rassegnarsi al fatto di non avere nessuna risposta.
«Lei si sbaglia.» ripeté Snape più per cercare di convincere se stesso che l’anziana donna.
«Sai sorridere, Severus.»
«Come… come fa a conoscere il mio nome?»
«Ti ho già detto chi sono, e per questo conosco il tuo nome.»
«Cosa vuole da me?»
«Sorridi come un piccolo agnello, e prenditi finalmente ciò che la vita ha riservato per il tuo futuro.»
Un piccolo lume adagiato sulla tomba cadde facendo spegnere la tenue fiamma, Severus si abbassò per rimetterlo al suo posto, era caldo e il rosso della cera gli colorò le mani, per un attimo gli parve di nuovo di vedere del sangue scorrere tra le dita.
«Io non sono un…» alzò gli occhi dalla tomba, ma l’anziana signora era scomparsa, non c’era nessuna traccia di lei, delle sue rughe e dei suoi anni. Neppure del suo sorriso.
Quae moerébat et dolébat, et tremébat, cum vidébat nati poena ínclyti. 3
Il flebile alito di quella nenia lo colpì dritto nell’anima con una fresca folata di vento, aveva capito che si trattava di una preghiera, un’invocazione che non c’entrava nulla con lui e si sentiva blasfemo anche solo per esservi stato accostato.
La preghiera per qualcuno che non era, poteva vedere l’ombra del demone che aveva fatto scorrere sangue sulla terra e la luce dell’angelo che aveva sacrificato la sua vita.
Rimase in quel cimitero ancora a lungo, sorridendo amaramente alla sua vita, ai suoi dolori e ai suoi tormenti.
E a quei fiori che ancora erano lì.

Severus Snape sapeva sorridere.
Il suo però non era il sorriso di un agnello.


_________

1. Orsù, Madre, fonte d’amore, dammi la forza nel dolore perché possa piangere con te (Stabat Mater – Stava la Madre).
2. E il suo animo afflitto, inconsolabile e dolente, era trafitto da una spada. (Stabat Mater – Stava la Madre)
3. Era afflitta e addolorata, e tremava al vedere le pene del Figlio sofferente. (Stabat Mater – Stava la Madre)
 
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view post Posted on 27/5/2013, 12:39
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I ♥ Severus


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Prenotazioni per la 20a settimana di Sorrisi per Severus:

Martedì 28: kià

*

Prenotazioni per la 21a settimana di Sorrisi per Severus:

Mercoledì 29: Ida (il 30 non ci sarò) (21)
Giovedì 30: Leonora (21)
Venerdì 31: Kijoka (20)
Sabato 1:
Domenica 2: Ida (Haiku)
Lunedì 3: Anastasia
Martedì 4:

Un sorriso per Severus al giorno toglie il malumore di torno. :D



Edited by Ida59 - 28/5/2013, 13:04
 
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fri rapace 2
view post Posted on 28/5/2013, 10:02




Io avrei un'ideuzza per un sorriso probabilmente 'banale' ma spero non già utilizzato in questa lunghissima discussione. Posso partecipare? però sabato vado al mare (anche se, visto il clima, forse sarebbe più opportuno andare a sciare :-P), magari mi prenoto quando torno, sto via una settimana.
 
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view post Posted on 28/5/2013, 10:14

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Ecchime. :D

Autore/data: pingui79 / aprile-maggio 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: long-fic
Rating: per tutti
Genere: generale, introspettivo
Personaggi: Severus Piton
Pairing: nessuno
Epoca: post 7 anno
Avvertimenti: what if
Riassunto: Tre quadri, tre racconti di un unico momento: quello dell'inizio di un nuovo cammino per Severus Piton
Parole/pagine: 2324/7

Nota: questa storia è il secondo di tre capitoli di una long-fic intitolata "Trittico". Pur essendo una storia unica ogni capitolo può tranquillamente leggersi a parte.
Ho pubblicato il secondo perchè non primo non vi sono sorrisi.

Un altro giro di giostra (*)




Quella fine di giugno Londra si stava crogiolando in un principio d’estate piacevolmente mite e stranamente serena. Qualche spirito particolarmente fantasioso e romantico avrebbe anche potuto azzardarsi a definire “magico” quel clima che si respirava per la capitale inglese, così diverso dal solito, non interrotto dai ben noti scrosci di pioggia accompagnati dal grigiore di un cielo plumbeo e monotono.
I più disincantati, invece, avrebbero alzato a malapena gli occhi dal quotidiano sportivo, commentando a mezza voce che le stagioni non erano più quelle di una volta e si sarebbero immersi nuovamente in articoli che elencavano punteggi e prestazioni calcistiche.
Coloro che conoscevano la verità – e pur essendo in minoranza non erano certamente pochi – non avrebbero invece esitato a dire che anche la natura si stava concedendo il proprio meritato momento di pace dopo una guerra buia e sanguinosa che aveva falciato parecchie, troppe, vite umane.

La sera era giunta, ammantata d’indaco, blu, violetto e tempestata di stelle. Se solo esse fossero state visibili… ma le luci artificiali della città avevano tolto ai Babbani la possibilità di godere pienamente del baluginio di miliardi di astri lontani.
Però essi c’erano, era sufficiente cercare qualche angolo discretamente buio e puntare lo sguardo all’insù per lasciarsi abbracciare dall’infinito.
Fu anche per questo che un uomo fermo ad un incrocio da oramai qualche minuto s’incamminò lentamente verso la strada che tra quelle possibili presentava meno illuminazione. Era rimasto dapprima come in attesa, sotto ad un lampione, forse indeciso sul percorso da intraprendere. Poi, dopo un lungo pensare, aveva attraversato con calma, presenza solitaria in una zona commerciale ormai deserta.
L’uomo non era un impiegato che aveva fatto tardi al lavoro, né un senzatetto, né tantomeno un turista in cerca di angoli di città inesplorati da immortalare per poi portarne a casa almeno il loro ricordo in un riquadrino di carta lucida.
A dire la verità non era nemmeno un semplice passante.
E a dire proprio tutta la verità, nemmeno l’uomo sapeva esattamente cosa egli fosse di preciso.
Sapeva solo di aver lasciato alle spalle – qualche centinaio di metri più lontano – un ospedale magico invisibile ai Babbani, segno di un tempo andato che egli stesso desiderava far rimanere tale, nonostante fosse pienamente consapevole che non lo avrebbe mai cancellato del tutto dalla propria vita e soprattutto dai propri ricordi.
Era un reduce di guerra.
Era un eroe scomodo.
In sé aveva un passato con il quale fare pace – o meglio, stipulare almeno un patto di non belligeranza – ed un futuro da costruire quasi da zero partendo dai cocci sparsi e variegati di un presente ancora incerto.
Camminò sempre dritto, senza esitazioni, senza fermarsi ad occhieggiare quel che le vetrine dei negozi chiusi proponevano con cartellini colorati ed ammiccanti. La mente era tutta impegnata in congetture, progetti e riflessioni. Immaginò tutte le tipologie possibili di finali, passò al setaccio ogni cosa nuova che avrebbe potuto fare ed ogni occupazione vecchia che già lo aveva impegnato. Il rumore cadenzato dei propri passi sul selciato sembrava scandire una meditazione dopo l’altra, un programma dopo l’altro: era un appello tanto multiforme quanto necessario, tramite il nuovo registro che la vita gli aveva donato grazie alle lacrime di una Fenice purpurea.
Cercava un punto di svolta, l’uomo, una risposta ad una lunga sequela di interrogativi. Nonostante l’espressione tranquilla che traspariva dal volto incorniciato da lunghi capelli corvini e dall’andatura elegante, nel suo cuore si celavano confusione ed incertezza. Man mano che procedeva esse diventavano un tutt’uno, mutandosi in un’inquietudine sottile tanto simile a brace nascosta sotto un mucchietto di cenere che non aspetta altro che di essere riportata in superficie per ardere ed alimentare una nuova fiamma.
Fu così che cambiò direzione, in senso letterale.
La strada maestra non aveva nulla da offrirgli, se non una ripetizione di vetrine spente e serrande abbassate. Quel che lo circondava non lo avrebbe aiutato a fare chiarezza dentro di sé, lo sentiva. Alla sua destra invece si apriva una viuzza in cui regnava un’oscurità più diffusa, intervallata solo da qualche sporadico lampione che spandeva tutt’attorno un alone di luce biancastra e quasi malaticcia. Nonostante le apparenze, si lasciò guidare da una sorta di sesto senso e decise che quello sarebbe stato il percorso giusto.
Non aveva grandi pretese, non per quella sera almeno. Non le aveva mai avute, se per pretese s’intendeva il desiderio di essere accettato e rispettato per quel che egli era. Poi però i suoi sogni di ragazzino s’erano inesorabilmente infranti, spezzati in schegge impazzite di incubi. Reali o onirici che fossero, essi erano stati entrambi terrificanti allo stesso modo ed ogni sprazzo di sereno non era stato che un breve attimo di respiro prima di immergersi nuovamente in un mare di ombre chiamate rimorsi.
Chiunque altro sarebbe impazzito, ma non lui, non lui che aveva sempre posseduto un senso del dovere tenace più di duro diamante.
Non chiedeva grandi cose dal futuro, l’uomo in cammino. Già il solo pronunciare quella coniugazione che s’affaccia sul domani gli appariva come gesto incredibile, specie se paragonato ad un’intera vita che di un errore passato aveva fatto il proprio fulcro, la leva in grado non tanto di sollevare il mondo, ma di redimere totalmente un animo. Il suo animo.

Oltre il senso da dare a quella nuova vita, oltre la meta che prima o poi avrebbe dovuto essere scelta, l’uomo in cammino cercava qualcos’altro: se stesso.
Cercava il proprio volto dietro la maschera.

Storse un po’ il naso nel tornare al presente, nel mettere da parte le proprie riflessioni per osservare attentamente il luogo in cui si trovava.
La luce bianca di alcuni lampioni in ferro battuto era davvero orribile e dava alla zona un aspetto vagamente tetro e poco raccomandabile. Per quegli aggeggi Babbani non c’era alcuna speranza di competere con i caldi riverberi fiammeggianti di torce che, ad ogni anfratto di un antico castello, regalavano giochi di ombre danzanti unici ed inimitabili.

Hogwarts.

Qualcosa lo punse all’altezza del petto.
Chiamarla nostalgia era forse troppo, ma quello era il sentimento che in quel momento si avvicinava maggiormente al vero.
Hogwarts era una delle possibilità del lungo elenco che in quei metri percorsi era stato interrogato più volte da cima a fondo e viceversa.
Rallentò il passo, cercando di ignorare il cuore che aveva preso ad accelerare il proprio battito.
Hogwarts era una possibilità – certo – ma non una qualunque, fu costretto ad ammettere.
Era la più allettante e forse anche la più ovvia, se pensava ad un’anziana strega che per giorni aveva insistito perché vi facesse ritorno.
Ma era anche la possibilità più difficile da scegliere e soprattutto la più dolorosa. Là il passato sarebbe tornato come ondate di marea che non conosce calma. Sarebbe stata una lotta continua per andare nell’unica direzione che si era prefissato: avanti. Sarebbe stata una lotta contro una corrente impetuosa che non avrebbe fatto altro che cercare di trascinarlo a fondo, indietro nel tempo e verso pensieri più amari del fiele.

L’uomo scosse la testa, accorgendosi di essersi fermato in mezzo al marciapiede.
Altro che avanti!

La tentazione c’era, vivida e pulsante più che mai.
Farsi del bene e del male allo stesso tempo, lui solo poteva pensare ad una soluzione del genere.
Chiuse gli occhi e finì per mordersi anche la lingua, le mani gli si strinsero in una morsa così serrata da conficcarsi le unghie nei palmi.
No, non era quello il momento di decidere, non ancora.
Quella era l’unica certezza che gli fosse rimasta.

L’aiuto gli venne alcuni passi più avanti, sotto forma di un rettangolo di calda luce gialla sul selciato, unico punto illuminato lontano dagli aloni biancastri dei lampioni. Una sommessa musica di sottofondo si spandeva nelle immediate vicinanze, interrompendo il silenzio circostante inframmezzato solo da alcuni latrati lontani e da qualche automobile nella strada principale.
La curiosità ebbe facile vittoria quella sera d’estate.
La porta in legno chiaro era chiusa certamente a chiave, ma questo non impediva al fiume di note veloci e ritmate di uscire ugualmente e vagare nell’aria.
Oltre l’ampia vetrata, incorniciata da tendine blu elettrico tempestate di rose rosse, si stendeva una singolare foresta di sedie foderate, rovesciate su piccoli tavoli rotondi coperti da tovaglie dal medesimo motivo floreale. L’uomo trovò tutto un po’ troppo eccentrico, compresa la miriade di quadri dalle varie dimensioni appesi alle pareti color panna.
Ma non fu quello a catturare la sua attenzione.

Una piccola radio sul bancone in legno scuro, un volteggio assieme al nulla lasciato a metà e che sfocia in un momento di giocosa improvvisazione. Una scopa poggiata velocemente ad uno dei tavoli ed in procinto di scivolare a terra, abbandonata di punto in bianco per dare vita ad un giro di valzer veloce da condividere a tutti i costi. Mani rugose intrecciate l’una all’altra, passi danzanti conditi di prudenza ed attenzione reciproca.

L’uomo sulla strada provò un vago senso di colpa, arrivando quasi a vergognarsi come se avesse commesso un furto e fosse stato colto sul fatto. Aveva appena assistito al fugace momento di tranquilla complicità tra due anziani gestori di una sala da tè. Erano sprazzi di felicità che non gli appartenevano e men che meno avrebbero dovuto essere condivisibili con lui, neanche per errore. Fece per allontanarsi, desiderando tornare ad essere inghiottito dall’oscurità che sentiva più affine a quel che egli era.
Ma non ne ebbe il tempo.
Prima che potesse riprendere il cammino venne raggiunto da due vaghi sorrisi incorniciati da qualche ruga e da bianchi capelli, accompagnati da un’alzata di spalle che aveva il sapore di tranquilla condivisione e noncuranza dell’opinione altrui. Solo la donna arrossì un po’, per poi tornare subito a farsi condurre dal suo cavaliere per un nuovo giro di valzer, come se l’interruzione non fosse mai avvenuta.

Cosa avevano visto in lui, perfetto sconosciuto, per sorridergli in quel modo?
Con quella domanda nella mente – ma soprattutto nel cuore – l’uomo si rimise a vagare senza una meta.
Un lieve cigolio si sovrappose ben presto alle note che, passo dopo passo, diventavano sempre più flebili. Era la brezza estiva, che giocava a far dondolare l’insegna dalla fumante teiera blu e portava lontano quella musica ritmata e leggiadra.

Due sorrisi. Due.
Non erano i sorrisi di circostanza di quel burocrati del Ministero che talvolta erano venuti a trovarlo in ospedale per mettere a rapporto la sua posizione. Non erano i sorrisi tirati di un Kingsley Primo Ministro quasi imbarazzato e desideroso di chiedergli scusa. E non assomigliavano nemmeno a quelli teneramente commossi di Minerva o della signora Weasley.

Erano stati solamente due sorrisi gratuiti e donati senza conoscere il destinatario, senza chiedere nulla in cambio.
Erano stati un regalo.
A lui, uomo in nero in cammino.

Vagò ancora ed ancora, girovagando per altre vie secondarie, in cerca di un deserto esteriore che facesse chiarezza, che dipanasse il lungo gomitolo di sensazioni e progetti che si portava dentro.
Aveva sete di capire, anelava ad una risposta come un naufrago in mare aperto desidera con tutto se stesso una goccia d’acqua dolce sulle labbra screpolate e riarse.

Era notte ormai fonda, quando sbocciò il primo germoglio della comprensione. Timido, palpitante, piccolo e quasi insignificante. Ma portatore di una promessa futura. Si affacciò lento sotto la luce delle stelle, dopo che l’uomo si era specchiato quasi per caso nei vetri scuri di un’elegante automobile parcheggiata sul ciglio della strada.
Così ovvio da non credere.
Così semplice da dover sbattere le palpebre più e più volte per rendersi conto della verità più disarmante che vi fosse.

Cos’aveva visto quella coppia per sorridergli in quel modo?
Semplice: un uomo.
Punto.
Senza un nome, senza un passato per cui rabbrividire o un presente per cui incuriosirsi con leggerezza o morbosità giornalistica.

Il suo se stesso riflesso – e pensare che erano passate solo poche ore da quando lo aveva intravisto l’ultima volta attraverso una vetrina – non recava nulla che potesse far capire ad altri chi egli fosse. Non aveva cucita addosso la parola “ex-Mangiamorte”, nemmeno sull’avambraccio a dire il vero, perché quell’orrido marchio era diventato sempre più sbiadito dal giorno della morte dell’Oscuro. E nemmeno portava sulla fronte la scritta “assassino di Albus Silente”. La ferita, ancora dolorante, era tutta nascosta nel cuore e là sarebbe per sempre rimasta fino al suo ultimo respiro.
E no, incredibile a dirsi, non c’era nulla che potesse far capire ad occhi esteriori quanto il suo carattere fosse difficile, scontroso, schivo, amante della solitudine e dello studio. Praticamente impossibile da sopportare a volte anche per se stesso.

Davanti al suo riflesso l’uomo sorrise, sentendo il proprio animo diventare una valle quieta in cui per la prima volta s’affacciava il sereno.

La maschera si era definitivamente infranta, dissolta con due sorrisi donati tra spensierati giri di valzer.
Il volto da cercare era stato sempre lì, visibile a tutti; il vero se stesso non aveva dovuto raggiungerlo andando troppo lontano.
Erano stati gli occhi degli altri ad aprire i suoi, a rivelargli che egli poteva essere semplicemente un uomo qualunque, senza altre aggiunte, senza altri pesi inutili.

Era tutto così semplice, l’uomo fu quasi stizzito per non esserci arrivato prima da solo.
Quasi.
Non aveva camminato inutilmente, questo lo sapeva benissimo. Ogni passo nel mondo di fuori era stato un passo in quel che egli si portava dentro. Il vero viaggio non lo aveva fatto attraversando alcune strade deserte di Londra, poiché non v’era nulla nel mondo esterno che già non fosse dentro di lui.
Non c’era nulla da cercare, non più. Tutto quel che gli sarebbe servito per il proprio futuro lo aveva sempre portato con sé.

Fu un nuovo inizio, quello sì, a tutti gli effetti.
Fu il primo vero passo di una pacata accettazione, lo sciogliere di un fiocco che racchiude nel suo velluto un pacco regalo che finalmente si desidera aprire per scoprirne il prezioso contenuto.

Fu la fine di un viaggio e l’inizio di un altro.

Fu la comprensione, mai così vivida e piacevole, che la vita gli aveva veramente concesso un altro giro di giostra.



(*) Il titolo è tratto dal meraviglioso libro di un altrettanto meraviglioso scrittore: Tiziano Terzani.

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CITAZIONE (fri rapace 2 @ 28/5/2013, 11:02) 
Io avrei un'ideuzza per un sorriso probabilmente 'banale' ma spero non già utilizzato in questa lunghissima discussione. Posso partecipare? però sabato vado al mare (anche se, visto il clima, forse sarebbe più opportuno andare a sciare :-P), magari mi prenoto quando torno, sto via una settimana.

Prenotati tranquillamente per quando torni, nessun problema.
E ovvio che puoi partecipare, ci mancherebbe! :)
 
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view post Posted on 28/5/2013, 12:08
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CITAZIONE (fri rapace 2 @ 28/5/2013, 11:02) 
Io avrei un'ideuzza per un sorriso probabilmente 'banale' ma spero non già utilizzato in questa lunghissima discussione. Posso partecipare? però sabato vado al mare (anche se, visto il clima, forse sarebbe più opportuno andare a sciare :-P), magari mi prenoto quando torno, sto via una settimana.

Certo che puoi prenotarti, molto volentieri!

Leonora, prendo io il 29 perchè il 30 sono a Catania dall'alba alla notte.


Prenotazioni per la 21a settimana di Sorrisi per Severus:

Mercoledì 29: Ida (il 30 non ci sarò) (21)
Giovedì 30: Leonora (21)
Venerdì 31: Kijoka (20)
Sabato 1:
Domenica 2: Ida (Haiku)
Lunedì 3: Anastasia
Martedì 4:

Un sorriso per Severus al giorno toglie il malumore di torno. :D



Edited by Ida59 - 19/8/2015, 13:37
 
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CITAZIONE (Ida59 @ 28/5/2013, 13:08) 
Leonora, prendo io il 29 perchè il 30 sono a Catania dall'alba alla notte.

Perfetto!

Ho partorito un altro Tanka (ovviamente in francese... ho provato anche questo a tradurlo in italiano, ma la metrica andava a farsi friggere... non riesco proprio a scrivere poesie in italiano).
Mi prenoterei, se non fosse un problema, quindi per sabato.

Edited by Ida59 - 19/8/2015, 13:37
 
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view post Posted on 28/5/2013, 14:47

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Rimane martedì 4, tutto solo soletto perchè non se l'è filato nessuno. :unsure:
Che dite, qualcuno si fa avanti? ;)


Prenotazioni per la 21a settimana di Sorrisi per Severus:

Mercoledì 29: Ida (21)
Giovedì 30: Leonora (21)
Venerdì 31: Kijoka (20)
Sabato 1: Leonora (Tanka)
Domenica 2: Ida (Haiku)
Lunedì 3: Anastasia
Martedì 4:

Un sorriso per Severus al giorno toglie il malumore di torno.

 
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Un altro giro di giostra

Ed ecco un altro gioiellino da aggiungere alla tua nutrita e preziosa collezione di straordinarie one shot, Kià. ;) :P Un gioiello di eccezionale introspezione, condito dalla tua consueta capacità descrittiva che conquista e avvince, perchè ormai è assodato di come tu sappia dipingere con cura estrema e abilità luoghi e contesti in cui si muovono i tuoi personaggi, delineati a loro volta sempre con eccellente padronanza di termini. Anche in questo caso il breve percorso a piedi di Severus e delle sue riflessioni, tra le strade silenziose di una Londra che sa d'estate, prendono vita e diventano nostri, entrano delicatamente e allo stesso tempo prepotentemente nel cuore e ci rimangono, così come ogni particolare narrativo, splendidamente rifinito: il rettangolo di luce che esce dalla porta socchiusa del locale e si staglia sull'asfalto scuro, i sorrisi dei due anziani proprietari allacciati in un valzer, che sanno di umanità buona e di amore, il riflesso nel finestrino dell'auto in cui si specchia Severus, ritrovando forza e motivazioni per ricominciare.
Sono solo alcuni esempi, ma potrei andare avanti all'infinito, perchè ogni singola parte di questo breve racconto ne è deliziosamente costellato. Bellissima: come al solito non perdi un colpo, Kià! ;)
 
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view post Posted on 28/5/2013, 15:36

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CITAZIONE (Ele Snapey @ 28/5/2013, 16:24) 
Un altro giro di giostra

Ed ecco un altro gioiellino da aggiungere alla tua nutrita e preziosa collezione di straordinarie one shot, Kià. ;) :P Un gioiello di eccezionale introspezione, condito dalla tua consueta capacità descrittiva che conquista e avvince, perchè ormai è assodato di come tu sappia dipingere con cura estrema e abilità luoghi e contesti in cui si muovono i tuoi personaggi, delineati a loro volta sempre con eccellente padronanza di termini. Anche in questo caso il breve percorso a piedi di Severus e delle sue riflessioni, tra le strade silenziose di una Londra che sa d'estate, prendono vita e diventano nostri, entrano delicatamente e allo stesso tempo prepotentemente nel cuore e ci rimangono, così come ogni particolare narrativo, splendidamente rifinito: il rettangolo di luce che esce dalla porta socchiusa del locale e si staglia sull'asfalto scuro, i sorrisi dei due anziani proprietari allacciati in un valzer, che sanno di umanità buona e di amore, il riflesso nel finestrino dell'auto in cui si specchia Severus, ritrovando forza e motivazioni per ricominciare.
Sono solo alcuni esempi, ma potrei andare avanti all'infinito, perchè ogni singola parte di questo breve racconto ne è deliziosamente costellato. Bellissima: come al solito non perdi un colpo, Kià! ;)

Uh, esagerata! :D
Non è vero che so descrivere bene i contesti, qui ho dovuto faticare non poco per non fargli fare solo introspezione senza metterlo in uno spazio preciso.
Comunque sono contenta che ti sia piaciuta, davvero. :)

E se penso che a Londra non ci sono mai stata... :unsure:
 
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view post Posted on 28/5/2013, 15:39
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CITAZIONE (pingui79 @ 28/5/2013, 16:36) 
E se penso che a Londra non ci sono mai stata... :unsure:

E pensa se invece ci fossi stata! :lol: A questo punto è dunque arrivata l'ora di colmare la lacuna: a Londra ci devi andare! ;)
 
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view post Posted on 28/5/2013, 17:07
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Un altro giro di giostra

Non una parola da cambiare, non una virgola da spostare, perfetta, emozionante come può esserlo il viaggio di un'anima. L'anima di Severus.
E' splendida, introspettiva e realistica da far quasi paura.
Kià, sei diventata una scrittrice, vera, di quelle che ti fanno tremare il cuore e riflettere ad ogni frase. Perchè quel percorso, quel bivio, non è solo di Severus, ma può essere quello di ciascuno di noi. Perchè quello specchiarsi nelle vetrine per guardarsi dentro è un vissuto comune. I sorrisi degli anziani che ballano quasi di nascosto sono i più belli che tu abbia mai descritto.
CITAZIONE
Era un reduce di guerra.
Era un eroe scomodo.

Una battuta che ho spesso pensato ed usato. Quanto è vero e doloroso, quanto è vero e doloroso il tuo Severus.
Ma torniamo a te.
Questa tua storia del cuore e dell'anima di Severus è unica e irripetibile, non puoi permetterti di buttarla via nel breve volgere di poco o niente. Quando pubblicherai la trilogia completa non sarò sola a dirtelo!
Credimi è forse la più bella tra le cose bellissime che hai scritto.
Un bacio grande e complimenti vivissimi: il tuo futuro è scrivere!
 
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1896 replies since 9/1/2013, 00:04   27901 views
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