Maledetto periodo intenso in cui non riesco a scrivere du recensioni ma appena passa la follia battesimale cerco di recuperare
Intanto inserisco il sorriso odierno abbiate pazienza e fiducia
Titolo: Un sogno diventato incubo
Autore/data: Severus_Ikari / gennaio 2013 (rivista in corso di pubblicazione)
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One shot
Rating: Per tutti
Genere: Drammatico
Personaggi: Severus Snape, Hermione Granger, Ginny Weasley, Harry Potter e un Personaggio Originale (ma solo una fugace apparizione)
Pairing: Hermione/Severus
Epoca: 7 anni dopo la fine della II Guerra Magica
Avvertimenti: AU
Riassunto: “Quella rosa bianca e nera stava ormai appassendo, i petali si staccavano uno ad uno, lenti scendevano sospinti appena dalla leggera brezza che filtrava nella stanza.”
Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti.
La trama di questa storia è invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
Nota 1: Questa è la terza storia di “Un anno per amare” (ricordo che prima si intitolava “È sufficiente un anno per innamorarsi?”) ed è il seguito di "È così sbagliato amarlo?".
Parole/pagine: 2347/4.3 – Un sogno diventato un incubo
21 marzo 2005
Quella mattina Hermione era di ottimo umore, forse perché era infine arrivata la primavera, o forse – e soprattutto – perché la notte precedente lo aveva sognato, dopo tutti quegli anni passati al suo capezzale, finalmente era comparso nei suoi sogni, così vitale e sereno come non lo aveva mai visto. Neppure quand’era in vita.
Aveva sognato che insieme camminavano fuori Hogwarts ricoperta da un manto candido che rendeva il paesaggio meraviglioso e irreale, passo dopo passo a ridere e a parlare, e il suo sorriso l’aveva cullata in un sonno sereno dal quale non avrebbe più voluto svegliarsi, quelle labbra piegate come non le aveva mai viste quand’era vivo, l’avevano resa serena e colma di gioia.
Sapeva che quel sogno, però, era soltanto lo specchio di quello che in realtà desiderava lei stessa, ma per un giorno voleva lasciarsi trasportare da quell’illusione e abbandonarsi per una volta al buonumore. E niente e nessuno gliel’avrebbe rovinato.
Ultimamente non parlava molto con Ginny, da quella mattina di febbraio tra le due vigeva uno strano silenzio che Hermione non aveva nessuna intenzione di rompere, anche se la piccola Weasley aveva provato più volte a rivolgerle qualche parola, ma lei era ancora arrabbiata per ciò che le aveva detto.
E quel giorno non si sarebbe fatta rovinare quel sogno da quei pensieri.
L’inizio della primavera le dava sempre una certa carica, vedere la natura che pian piano rinasceva con la sua moltitudine di colori, le donava una certa felicità e quiete di cui aveva assoluto bisogno.
Camminava a passo lento con un sorriso sulle labbra e alcuni libri ben stretti tra le mani, su quella corsia che le sembrava stranamente silenziosa, o forse era solo perché era abituata a percorrerla sempre di corsa schivando le persone che come lei la percorrevano, ma quella quiete le sembrava così irreale che un brivido di preoccupazione le salì lungo la schiena.
Non appena svoltò sul corridoio dov’era situata la stanza di Severus, vide una folla inusuale per quel giorno della settimana e per quell’ora: la preoccupazione divenne inquietudine e affrettò il passo verso quella gran quantità di persone.
«Che succede?» I presenti si voltarono verso di lei e su alcuni visi poté notare occhi arrossati e gonfi, e lacrime che ancora scendevano.
Sentì una forte morsa allo stomaco e un’intensa nausea le bloccò il respiro quando il Medimago Augustus Redden, che aveva in cura Snape, si avvicinò con un’espressione rassegnata sul volto, lui che aveva sempre un sorriso sulle labbra, che sapeva sempre rassicurarla, adesso aveva uno sguardo di dolore e sapeva che non c’era nulla che in quel momento avesse potuto fare per rassicurarla.
«Mi dispiace, Hermione» fu l’unica cosa che riuscì a dirle.
«Le… le dispiace per cosa?»
Ginny le corse incontro, piangente. «È tutta colpa mia» e l’abbracciò stringendola forte, poteva sentire le sue lacrime inumidirle la spalla. «Sono stata io a dirgli che sarebbe stato meglio per tutti se fosse morto. Il suo stato di coma ha bloccato molte vite, soprattutto la tua.»
«Amore mio, non è colpa tua» le disse Harry amorevole carezzandole un braccio, anche nei suoi occhi c’era dolore, come Hermione non ne vedeva da tanto.
«Qualcuno, per favore, può dirmi cosa diavolo sta succedendo?» Hermione aveva ben capito cosa fosse successo, ma aveva bisogno di sentirselo dire chiaramente, forse quello le avrebbe tolto quell’inquietudine che l’opprimeva, sapeva, però, che fosse solo una flebile speranza alla quale aggrapparsi. Strinse le mani sui libri, come a volersi aggrappare a qualcosa, anche se sapeva benissimo che nulla le avrebbe evitato di cadere in un baratro profondo dal quale era difficile uscire.
«Non so come sia potuto succedere» esordì il dottor Redden, «ieri sera quando ho fatto il giro di visite, stava bene, o meglio, come sempre, poi stanotte improvvisamente si è aggravato. E non riesco a capirne il motivo, non c’erano le condizioni per un tale peggioramento.»
Il cuore di Hermione rallentava ad ogni parola pronunciata dal Medimago, si sentiva come se fosse stata gettata in mare con enormi pesi legati agli arti, fu come se le avessero lanciato incantesimi uno dietro l’altro.
Ginny continuava a stringerla e a piangere, ripetendo tra i singhiozzi che le dispiaceva, ma Hermione rimase immobile, con le braccia come paralizzate lungo i fianchi.
«Dovreste prepararvi a dirgli addio.»
Quelle parole congelarono il tempo intorno ad ogni persona ferma nel corridoio, la giovane Granger ebbe la sensazione di sprofondare, poteva vedere il pavimento aprirsi e inghiottirla in un istante. Ed era l’unica cosa che in quel momento desiderava.
Hermione scansò Ginny e corse via, lasciando i libri sul pavimento, non voleva dirgli addio, non era pronta a farlo, non adesso che l’aveva finalmente sognato felice e colmo di vita.
La piccola di casa Weasley fece alcuni passi per andarle dietro, ma Harry la bloccò scuotendo appena la testa, Hermione aveva bisogno di reagire a modo suo e, malgrado Ginny volesse starle vicino in quel momento, dovette dare ragione al marito: doveva rimanere sola e sfogare quel dolore che aveva dentro.
Camminò per ore per le strade di Londra, senza prestare attenzione a quei volti che le passavano vicino, senza interessarsi a niente di tutto quello che la circondava, si sentiva apatica, vuota, improvvisamente spenta, come un grosso lume che illuminava la stanza, che una folata di vento aveva smorzato.
Poi qualcosa attirò la sua attenzione: un lungo vestito bianco con intense sfumature rosse, un bellissimo abito da sposa che, non seppe per quale motivo, la fece piangere.
E di nuovo corse via, senza sapere dove andare, chiedendosi se esistesse un posto in quel mondo dove potesse rifugiarsi da quella sensazione di dolore che la stava attanagliando, se esistesse un luogo che potesse inghiottirla nel buio e farla sprofondare in un oblio dove non c’era nulla, dove non c’erano ricordi, inquietudini, speranze. E amore.
Quella stoffa non avrebbe mai fasciato il suo corpo, non sarebbe mai stata la sposa di nessuno, che guardava il marito in attesa con un sorriso imbarazzato sulle labbra, un sorriso colmo d’amore, e provò ad immaginarsi come sarebbe stato Severus in quel momento, e per un attimo vide quelle labbra muoversi divertite a quel sogno che si era fatto reale anche per lui.
Se lui fosse morto, non sarebbe mai riuscita ad innamorarsi di nuovo, avrebbe convissuto per il resto dei suoi giorni con l’amore per un uomo che non c’era più, con un fantasma che avrebbe abitato il suo cuore notte dopo notte.
Si sarebbe trovata nelle sue stesse condizioni e questo la fece ridere, forte, come se non avesse pensieri, rideva e piangeva tra la folla di Londra che la guardava come se fosse pazza, e forse lo era davvero.
Procedette per ore prima di iniziare a sentirsi le gambe stanche, avanzava come spinta da una forza invisibile che non era la sua, avanzava per sentire quel dolore squassarle il corpo, un dolore fisico necessario per dimenticarsi di ciò che si agitava in lei, ma sapeva che neppure ripetute maledizioni sarebbero servite a qualcosa.
Si fermò su una panchina all’ombra di un albero, la natura tutt’intorno a lei iniziava a risvegliarsi, a rinascere forte e rigogliosa come lei non sarebbe mai stata, ne sentiva i mille profumi, li respirava a pieni polmoni per riempirsene, per riempire il suo spirito dove la vita ormai era morta.
Passarono altre ore in quel parco esploso in una miriade di colori e passarono diversi minuti prima che Hermione si accorse di non essere più sola su quella panchina, e non aveva ancora smesso né di piangere né di ridere.
«Va tutto bene, signorina?» le chiese l’anziano signore che le si era seduto vicino.
Avrebbe voluto urlargli che no, non andava tutto bene, che era innamorata di un uomo che sarebbe morto e anche se fosse sopravvissuto, non l’avrebbe degnata di uno sguardo, ma biascicò un timido «va tutto bene, grazie» prima di tornare ad osservare il parco dove si era rifugiata per cercare di nascondere quel dolore, anche se sapeva benissimo che non ci sarebbe stato luogo che lo avrebbe cancellato.
«Mm, non ne sono molto convinto, signorina.»
«È così evidente?»
«Beh, piangeva e rideva piuttosto forte, quindi non credo che vada tutto bene, le persone di solito non stanno da sole su una panchina a piangere e a ridere.»
«Già, ha ragione, non è normale, ma io non sono normale, altrimenti non mi sarei innamorata di un uomo che non può essere amato e sta per morire» non sapeva perché stesse dicendo quelle cose all’anziano signore, sapeva solo che ne aveva bisogno.
«E allora cosa fa ancora qui? Vada da lui, gli dica quello che prova, magari scoprirà che non aspetta altro che essere amato» guardò per un istante l’uomo e quel viso le ricordò terribilmente quello di Dumbledore, al pensiero le si strinse il cuore ancora di più.
«Magari fosse così semplice.»
«E se in realtà fosse proprio così semplice?»
Hermione riuscì a trattenersi dal ridere di nuovo, “semplice” era una parola che stonava parecchio accostata a Severus Snape, quell’uomo era l’antitesi della semplicità, bastava guardare i suoi occhi per capire quanto niente fosse semplice in lui, ma ormai erano chiusi da anni e nessuno poteva comprenderlo. Si sarebbero chiusi per sempre, e nessuno avrebbe mai potuto comprenderlo.
Erano sette anni che non vedeva i suoi occhi e il pensiero che non li avrebbe mai più rivisti, la fece piangere, di nuovo, e più forte di prima.
L’anziano le strinse appena una mano con la sua, poteva sentire le rughe che raccontavano di tutta la sua vita, quella vita che continuava a scorrere potente in quelle vene che riusciva a vedere e toccare.
«Vada da lui» le disse e fu con un sorriso che lo salutò, allontanandosi per dare l’ultimo addio al mago che giaceva su un letto immacolato da sette anni, all’uomo che amava.
Quando tornò in quel corridoio, la notte era scesa da ore e Ginny era ancora lì, piangente ai piedi del muro ad attendere il ritorno dell’amica.
«Mi dispiace, Hermione.»
«Non è colpa tua, Ginny, smettila di ripeterlo» e senza aggiungere altro, entrò in quella stanza troppo silenziosa e troppo buia, sapeva che l’amica sarebbe rimasta lì ad attenderla fin quando non fosse uscita, lo sapeva e la ringraziava per quello.
Si avvicinò al letto e nonostante fosse buio, riuscì a scorgere il petto del mago che si muoveva veloce, poteva sentire il suono di quel respiro agitato e avrebbe giurato che quella piccola ruga disegnava anche in quel momento la radice del naso, avrebbe voluto toccarla, imprimerla sulle dita, ma non si mosse.
Rimase immobile ad osservare un’ombra più scura della notte.
«Non è vero che ha bloccato la mia vita, lei l’ha resa più bella, col suo solo stare lì ha reso la mia vita speciale. Ha unito tutti intorno a questo letto, ha creato una famiglia felice e pensa cosa potrebbe fare se si svegliasse» in piedi vicino a Severus cercò la sua mano e sorrise. E la strinse.
«Invece adesso ha deciso di andarsene, spezzando tutto quello che è riuscito a creare, spezzando quei legami che si sono costruiti. Mandando in frantumi me.»
Hermione avvicinò la mano di Snape al suo cuore, quel ticchettio che le era stato amico in quegli anni continuava, ma lei parve non sentirlo, tutto era silenzio intorno a lei, tutto era buio che si faceva sempre più cupo e profondo, e avrebbe voluto farsi ingoiare in quell’istante insieme con lui.
Quella rosa bianca e nera stava ormai appassendo, i petali si staccavano uno ad uno, lenti scendevano sospinti appena dalla leggera brezza che filtrava nella stanza.
«E non sarebbe neanche meglio se morisse, se questo era il suo desiderio, avrebbe dovuto pensarci prima, non dopo sette anni di questa dannata situazione. Per quale motivo ha lottato per tutta la vita? Per questo? Per vedersi svanire in un letto d’ospedale? Perché non si è arreso sette anni fa su quel pavimento? Dannato egoista che non è altro! Stupido, stupido, egoista!»
Perché non se ne andava da lì lasciandolo morire? Sapeva benissimo che nessuna delle sue parole sarebbero servite a nulla, non erano valsi a niente sette anni di sussurri e dialoghi immaginari che ognuno di loro aveva fatto col suo corpo immobile. Chi era lei per riuscire a far riemergere quell’anima ormai precipitata?
«Ed io più stupida ad essermi innamorata di te, dannato egoista!» e iniziò di nuovo a piangere, le lacrime le scendevano lente lungo il viso come quei petali che uno ad uno cadevano sul piccolo comodino che ogni anno aveva accolto la sua rosa.
«Lei è stato l’uomo più coraggioso di questo mondo, ha sacrificato la sua vita e la sua esistenza per tutti noi, sua madre sarebbe fiera di lei, e anche Lily e Dumbledore, fieri dell’uomo che è diventato, ma i loro sacrifici sarebbero del tutto inutili se non riuscissero mai a vederla felice. Non pensa che stiano soffrendo nel vederla così? Siamo tutti fieri di lei e vorremmo tutti vederla finalmente felice. E vivo»
Parlava con tono basso, quasi grave, parlava lentamente, lasciando per brevi attimi che il silenzio le inghiottisse la voce, come se sperava che Ginny o qualcun altro entrasse in quella stanza per lenirle quel dolore, ma era consapevole che nessuno sarebbe entrato, sapeva che quella battaglia che aveva iniziato, doveva terminarla lei stessa.
E nel profondo del cuore qualcosa le diceva che sarebbe stato meglio rimanere da sola a percorrere quella strada.
«Io ti amo, Severus e non m’importa se non ricambierai mai questi sentimenti, se mi odierai o ignorerai del tutto, purché ti alzi da questo maledetto letto e inizi a vivere la tua vita. A viverla veramente.»
La rosa aveva ormai soltanto un petalo nella stanza buia, dove il silenzio era rotto solamente dai singhiozzi della strega che si era gettata sul corpo inerme di Snape, in quell’ultimo e unico abbraccio che la vita le avrebbe concesso, quella vita ingiusta che le aveva fatto amare un uomo che non sarebbe stato possibile amare nella vita, in quella morte che sarebbe giunta inesorabile.
Quell’ultimo petalo cadde a terra e quel ticchettio divenne un sibilo infinito.