Il Calderone di Severus

N.13: Un anno di sorrisi per Severus

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view post Posted on 8/9/2013, 13:49
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Dalla luna...

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CITAZIONE (Ida59 @ 8/9/2013, 14:20) 
Sì, vero, nel Gioco li hai già inseriti, ma ricorda di metterli anche nella Sfida dove, invece, mi pare che tu ancora non lo abbia fatto.

Fatto! ;)


Prenotazioni per la 35a settimana di Sorrisi per Severus :lovelove:

Domenica 8 settembre: Monica (34)
Lunedì 9 Settembre: Leonora
Martedì 10 settembre: kià


Prenotazioni per la 36a settimana di Sorrisi per Severus :lovelove:

Mercoledì 11: Leonora (36)
Giovedì 12: Ida (36)
Venerdì 13: Ellyson
Sabato 14: ???????????
Domenica 15: ???????????
Lunedì 16: Leonora
Martedì 17: ???????????




Riponete il Dolorimetro e sfoderate un bel sorriso!

 
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kijoka
view post Posted on 8/9/2013, 20:25




Nr.34

Autore/data: Kijoka – 1 settembre 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia:One shot
Rating: per tutti
Genere: introspettivo
Personaggi: Severus Piton, Albus Silente
Pairing: nessuno
Epoca: HP2
Avvertimenti: Missing moment
Riassunto: Riflessioni condivise
Parole/pagine: 1.251/2.
Note: In questa storia ho dato una mia personalissima versione di fatti e/o personaggi che non vuole essere verità assoluta, ma solo un'opinione.




Rivelazioni

Il corridoio era silenzioso.
Solo i suoi passi, sicuri e svelti, producevano un rumore cadenzato, che rimbalzava sulle alte pareti per riempire lo spazio.
Anche dopo tutto il tempo vissuto ad Hogwarts come professore, quel corridoio continuava a percepirlo come fosse infinito.
Forse perché lo aveva percorso spesso con un peso nel cuore, per un motivo o per l'altro.
Si immaginò di guardarsi dall'esterno: nero, alto e magro, con il viso cupo che rispecchiava ben più della sua reale età.
Di nuovo lo stomaco si contorse mentre si avvicinava sempre più alla fine del percorso. Liberò la mente in un attimo e altrettanto velocemente riprese a riflettere febbrilmente.
Che il momento fosse arrivato? Lo riteneva quasi impossibile anche se lui e Silente, negli ultimi anni, ne avevano discusso così spesso.
Camminava veloce.
Sembrava che nella sua testa i secondi venissero scanditi dai suoi stessi passi.
Non c'era tempo.
Come poteva essere successo? Eppure l'aveva sentito, l'aveva visto coi suoi occhi! Anche quell'idiota di Allock si era fatto delle domande...
Doveva comunicarlo immediatamente.
Come aveva potuto parlare Serpentese? Era nella sua natura o ciò che era accaduto anni prima, con il Signore Oscuro, li aveva in qualche strano modo legati, e ciò che sapeva uno ora era ad appannaggio dell'altro?
Ma come poteva Potter, alla sua età e senza alcuna esperienza, padroneggiare un simile potere?
Il ragazzo era in pericolo?
Era importante quel che era successo, troppo importante per sprecare attimi a fare congetture.
L'andatura fiera l'aveva portato velocemente all'ingresso coi Gargoyles.
- Devo parlare con il Preside. E' urgente!
La statua si animò subito, come se non stesse aspettando altro.
Prese un lungo sospiro e salì sulla scala di pietra grigia, che prese a muoversi.
Pochi momenti dopo si trovava nello studio rotondo.
I quadri erano immobili, anche se era perfettamente conscio che non attendevano altro che di ascoltare qualche succulenta novità.
- Severus... cos'altro è successo?
La voce calma proveniva dall'angolo cieco, dove si trovava un piccolo tavolino con i soliti aggeggi ronzanti davanti ad una bacheca piena di piccole ampolle di ogni colore.
- Preside, non mi piace arrivare senza essere atteso, ma era importante...
L'alto mago si voltò piano, carezzandosi la lunga barba bianca:
- Niente di grave, spero...
Gli occhi neri di Severus dardeggiarono di preoccupazione:
- Non so cosa pensare, dovevo informarla, parlarne con Lei.
Silente appoggiò una piccola ampolla trasparente sul tavolino e si diresse verso la sua scrivania.
Per Piton il gesto fu un chiaro invito a parlare. Raggiunse il Preside alla scrivania e, fermandosi ad un metro da essa, si stagliò in tutta la sua altezza mentre raccoglieva le idee per esprimere al meglio ciò che aveva da comunicare:
- Silente, Potter è un Rettilofono. Poco fa ha parlato Serpentese, durante un esercizio al Club dei Duellanti...
Il viso dell'anziano mago si distese in un misurato, quanto enigmatico, sorriso.
A Severus sembrò che la strana espressione sul volto affilato indicasse, in qualche misura, un ponderato tripudio.
Ma fu solo un momento.
Subito dopo la voce profonda e ferma del preside rispose:
- Dunque questa bizzarra idea ha comunque sortito qualche particolare novità...
Intrecciò le mani sulla scrivania e si protese verso Severus, con sguardo indagatore:
- Dunque Severus, com'è andata?
Il mago non era abituato a racconti lunghi e descrittivi, ci impiegò quindi pochi momenti a mettere a corrente Silente dell'episodio appena avvenuto.
Albus continuò a fissarlo, durante tutta l'esposizione, annuendo appena e aggrottando le ciglia di quando in quando.
Alla fine della breve narrazione restò in silenzio per qualche minuto.
Per Piton il tempo fu così lungo che arrivò a pensare che non avrebbe più parlato.
Quando sembrava che il tempo si fosse fermato, una breve frase arrivò a spezzare l'attesa:
- Dunque, ecco qui. E' successo...
Severus ebbe un moto di incredulità e alzò il sopracciglio, in attesa di altre spiegazioni, che però non arrivarono.
Silente restò in silenzio, continuando a fissarlo.
- Preside, che significa? Lei sapeva...
- No, certo che no! Non ero assolutamente al corrente! Eppure... eppure avevo una particolare idea, che evidentemente quest'ultimo fatto imprevisto non fa che rinvigorire.
Piton era quanto mai confuso:
- Ma come può stare a pensare... Solo il Signore Oscuro aveva questa particolarità! Come fa il ragazzo...
Silente lo fissò da sopra gli occhiali a mezzaluna e quasi compitò le frasi seguenti:
- E questo evolversi della situazione ti sembra davvero così sorprendente, Severus? - Si appoggiò allo schienale della poltrona riprendendo l'espressione enigmatica che gli era propria. - Se fossi in te proverei a rifletterci sopra.
Severus era allibito.
Aveva passato anni a pensarci sopra, aveva trascorso serate intere a cercare di capire cosa davvero fosse accaduto quella lontana notte.
I fatti erano chiari, ma solo Silente sembrava riuscire a tirare le esatte conclusioni sulla faccenda. O almeno questo era quello che lasciava credere.
Anche questo episodio non era inaspettato per lui.
Forse, semplicemente non aveva in mano tutte le carte, non era a conoscenza di alcuni particolari che avrebbero potuto portarlo alla verità.
- Potter può essere in pericolo?
Il viso del Preside si distese in un sorriso sereno:
- No. Credo proprio di no. - Abbassò la voce in un sussurro appena udibile. - Ho davvero sentito una nota di preoccupazione nella tua voce, Severus? Mi vuoi dire che ti sei affezionato al ragazzo?
A Piton le viscere si contorsero come se il serpente di poco prima se lo fosse ingoiato.
Aprì appena le labbra, ma non parlò. Restò per pochi secondi immobile, gli scuri occhi lampeggianti fissi in quelli azzurri e divertiti.
Sapeva che Silente amava punzecchiarlo a riguardo e non voleva cadere nel tranello.
Rimase in silenzio con il muscolo della mascella guizzante, fino a che fu l'anziano mago a replicare alla sua stessa asserzione:
- Ottimo lavoro, Severus. Devi ancora riuscire a non far contrarre quel muscolo disobbediente, ma sei stato bravo a trattenere la tua rabbia.
Il sorriso calmo sembrava non aver voglia di lasciare le labbra del Preside:
- In ogni caso credo che al momento non ci sia nulla da temere. E' importante quanto successo, anche se ancora non so se il flusso dei miei pensieri e delle mie intuizioni mi stia portando più vicino o più lontano dalla realtà...
Strano che Silente ammettesse di non essere un passo davanti agli altri, pensò Severus. Eppure il fatto che avesse riconosciuto che neanche lui aveva le idee totalmente chiare era già di per se stesso quasi un miracolo.
Che avesse cominciato ad avere veramente fiducia in lui?
- Ti prego, Severus, segui con profonda attenzione come si evolve questa situazione e tienimi subito al corrente di variazioni o nuovi elementi con sollecitudine...
Ora l'anziano mago aveva un'espressione compunta, quasi preoccupata.
- Sì, certo signore. Come sempre...
Il Preside arrivò di fronte a Severus con pochi passi.
Gli posò la mano sulla spalla, mormorando:
- Lo so, Severus. So sempre che posso contare su di te. - Poi si allontanò appena. - Ci sono poteri che devono essere compresi per essere combattuti. Ora va', devo riflettere e posso farlo se sono completamente solo. Cerca di avere sempre gli occhi ben aperti. Quest'oggi un altro tassello si è aggiunto al mosaico. Riuscirò ad intuirne il disegno, ne sono certo...
Silente si allontanò verso il mobile dove teneva il Pensatoio e Severus scese i gradini per raggiungere l'uscita.
Chiudendosi la porta alle spalle prese a domandarsi quando la partita a scacchi con la vita di Potter e il ritorno del Signore Oscuro sarebbe diventata una vera guerra.

Edited by Ida59 - 19/8/2015, 15:22
 
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view post Posted on 9/9/2013, 10:09
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Autore/data: Alaide 5 – 7 luglio 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One-shot
Rating: per tutti
Genere: Drammatico, Introspettivo
Personaggi: Severus Piton, Personaggio originale
Pairing: nessuno
Epoca: Post 7° anno
Avvertimenti: AU
Riassunto: Sulle labbra di Heloïse apparve un flebile sorriso, colmo di fiducia, una fiducia che sapeva essere ben riposta. Sapeva che a Monsieur Piton poteva dire la verità e sapeva che egli l’avrebbe aiutata, che avrebbe compreso le sue paure, la sua paura più grande.
Nota: E’ il seguito di Fiducia
Parole: 1936

Klavierstücke
11. Verità


Parigi, 7 aprile 2000



«Non è necessario che tu dica tutto adesso, Heloïse.» disse Severus, dopo diverso tempo, quando la ragazza parve essersi calmata, per quanto alcune lacrime continuassero a rigarle le guance.
L’aveva accompagnata sul divano che stava davanti al camino.
«No, voglio dirle tutto, Monsieur.» mormorò la ragazza, stringendogli una mano come se ne andasse della sua vita. «Mi fido di lei e non voglio rinviare, adesso che ho trovato la forza di parlare.»
Sulle labbra di Heloïse apparve un flebile sorriso, colmo di fiducia, una fiducia che sapeva essere ben riposta. Sapeva che a Monsieur Piton poteva dire la verità e sapeva che egli l’avrebbe aiutata, che avrebbe compreso le sue paure, la sua paura più grande.
«Lui… nostro padre…» la ragazza si bloccò di colpo, quasi sentisse una voce levarsi all’improvviso alle sue spalle, una voce che la chiamava. La voce del padre. Del suo vero padre, non dell’uomo che stava al suo fianco, l’uomo che desiderava chiamare padre. Ma suo padre era morto, si ripeté più volte, facendosi più vicina, senza nemmeno rendersene conto, a Monsieur Piton, l’uomo di cui si fidava. Per un breve istante il sorriso colmo di fiducia apparve nuovamente sulle sue labbra, per poi spegnersi, mentre parlava. «Lui ha sempre odiato Anne. In una maniera spaventosa. La morte della mamma l’ha mutato terribilmente. Io avevo sei anni, quando mamma è morta una notte dei primi giorni di dicembre, e non l’ho capito subito, perché, allora, mi fidavo di papà.
«Prima della nascita di Anne, tutto sembrava andare bene, per quanto sapessi che la mamma non stava bene, ma non mi rendevo conto che lei era affetta da una malattia mortale. L’ho compreso una sera, quando avevo compiuto da poco sei anni. Era maggio e ho sentito, per la prima volta, mamma e papà discutere ad alta voce. Sono andata a vedere cosa fosse accaduto. Mamma aveva detto a papà di essere incinta e papà si era arrabbiato, le aveva detto che non voleva che non voleva che la malattia la portasse via prima del tempo. È stato allora che ho compreso che mamma era malata molto più gravemente di quanto mi fossi mai resa conto, di quanto mi avessero mai detto.» Heloïse fece una pausa, cercando di raccogliere le idee. Ma in quel momento voleva unicamente dire tutto il più velocemente possibile, quasi volesse liberarsi da un peso insostenibile. «Papà mi aveva sempre rassicurata circa le condizioni di mamma. Nonostante tutto, eravamo una famiglia felice. Papà giocava con me, quando non era impegnato nel suo lavoro ed è stato lui ad aiutarmi ad orientarmi per casa, ad aiutarmi con la mia cecità, a consolarmi quando ho capito che tutti gli altri vedevano. Però poi tutto s’è rotto.»
Severus osservò attentamente Heloïse. Sul suo volto era ricomparso il sorriso fiducioso, quasi che questo potesse darle il coraggio di andare avanti. Quel sorriso colmo di una fiducia che si promise nuovamente di non tradire mai.
«Papà non voleva che mamma avesse Anne, perché il Guaritore gli aveva detto che mamma sarebbe morta prima del tempo, se avesse portato avanti la gravidanza, ma mamma ha deciso di tenere Anne perché sapeva di essere comunque condannata. È quello che ha detto a papà una sera. Quando Anne è nata, mamma è morta e allora… allora…» la voce della ragazza si spezzò, ogni traccia del sorriso fiducioso svanì dal suo volto. «A quel punto papà ha iniziato a cambiare.
«Io non me ne sono accorta subito. Mi piaceva stare con Anne. Era così piccola. Ma papà non veniva mai. Non la teneva tra le braccia. Era Hirter, il nostro Elfo Domestico, ad accudirla. Io credevo che papà fosse troppo triste per la morte della mamma, che, dopo qualche tempo, sarebbe venuto anche lui a occuparsi di Anne. Invece odiava Anne. Credo che imputasse a lei la morte della mamma. Papà adorava mamma. Avrebbe dato la sua vita per lei. Avrebbe ucciso Anne perché gliel’aveva portata via.»
Heloïse si interruppe di colpo, la voce scossa dai singhiozzi, sulle labbra un sorriso disperato, colmo di spavento.
Quei giorni dovevano erano marchiati a fuoco nella sua mente, si disse Severus.
La fiducia che si spezzava lentamente.
Il dolore per la perdita della madre.
Il mutamento del padre.
Per un istante l’uomo si chiese cosa sarebbe accaduto se al posto dei genitori della bambina ci fossero stati lui e Lily, ma non seppe darsi una risposta.
Non sapeva se avrebbe potuto odiare un suo figlio, come quell’uomo aveva odiato Anne.
Voleva credere che non sarebbe mai giunto a tanto.
«Eppure tua sorella è così fiduciosa.» commentò, quando la ragazza parve calmarsi.
«Ho sempre tentato di evitarle il male che nostro padre avrebbe voluto farle.» mormorò Heloïse, facendosi ancora più vicina all’uomo, nervosa, spaventata. Voleva sentirsi al sicuro, di nuovo al sicuro, come quando era piccola. «Non l’ha mai presa in braccio, nemmeno una volta. Ho sempre detto ad Anne che papà era impegnato, lontano da casa per il suo lavoro e che, quando tornava, aveva sempre molte cose da sbrigare, ma che andava sempre nella sua stanza per darle un bacio, quando lei era già addormentata. Sono arrivata a far comprare a Hirter un regalo per il suo compleanno, fingendo fosse da parte di papà. E quando Hirter è morto, ero io stessa a procurarlo. Sgattaiolavo fuori di casa.
«Per i primi due anni dopo la morte di mamma, papà è stato veramente lontano da casa.» proseguì con voce rotta dalle lacrime. «Era all’esteso per lavoro, per una ricerca. Era un Erbologo e, quando ero piccola, mi aveva insegnato a riconoscere alcune piante magiche con il tatto e l’odorato, ma erano tempi lontani.
«Con noi venne a vivere una vecchia zia di papà, che è morta quattro anni fa a Rouen, dove abitava. Io adoravo Anne. Ero sempre con lei. Mi piaceva sentirla ridere, ascoltarla farfugliare quand’era piccola. Ero felice di avere una sorella e mi mancava papà. Zia mi leggeva delle sue lettere. Ho scoperto solo dopo che quelle lettere non sono mai esistite.
«Ho aspettato il ritorno di papà con ansia e fiducia.» Heloïse deglutì a vuoto, mentre sul suo volto comparve nuovamente quel sorriso spaventato. Voleva dire tutto, si ripeté, perché si fidava di Monsieur Piton, perché era la cosa giusta da fare. «Ma quando è tornato, non era più l’uomo che io stavo aspettando. Forse non lo era nemmeno quando era partito, due mesi dopo la morte di mamma. Voleva fare del male ad Anne. Non subito, non fino a quando la zia viveva ancora con noi. Poi l’ha mandata via. Era un giorno di giugno quando è accaduto ed io avevo compiuto da poco più di un mese nove anni. Zia piangeva quando se n’è andata, ma era vecchia e non poteva fare molto. Nessuno avrebbe mai creduto che papà era così cambiato. Era un Erbologo piuttosto famoso e tutti dicevano che era così gentile con me ed Anne.
«Da allora, ho fatto in modo che papà sfogasse su di me l’odio per Anne. Adoravo mia sorella e non volevo che le facesse del male.» Heloïse deglutì più volte a vuoto. Si era fatta pallida e le sue mani tremavano. «La prima volta è accaduto dopo cena. La zia era partita quel giorno stesso. Hirter aveva messo a letto Anne ed io sono rimasta sola con lui. Non avevo ancora capito e gli ho parlato di mia sorella. Lui ha alzato la voce ed io non capivo, o non volevo capire, così ho insistito.
«E lui ha perso il controllo.
«Ho capito che odiava Anne qualche settimana dopo.
«E non volevo, Monsieur. Così gli ho chiesto di lasciare stare Anne, di fingere che Anne fossi io.»
La voce di Heloïse si spezzò. Severus riusciva ad immaginarla, quando il mondo le era crollato addosso. Aveva atteso il padre a lungo e quando era tornato, l’aveva distrutta.
La ragazza si stava sfregando le braccia, rabbrividendo. I ricordi di quei giorni dovevano essere terribili, peggiori di quelli della sua stessa infanzia. Almeno lui aveva avuto Lily, mentre Heloïse era completamente sola, in compagnia di un vecchio Elfo Domestico e della sorellina che era troppo piccola per capire.
D’altronde lui non si era mai fidato di suo padre, ma Heloïse aveva giocato col suo, l’aveva amato, aveva avuto fiducia in lui.
E quell’uomo aveva infranto quella fiducia, tornando a casa colmo d’odio, un odio che aveva sfogato sulla figlia maggiore, sulla figlia che aveva amato.
«Hai preservato l’infanzia di Anne. Non molti avrebbero agito come te.» disse l’uomo, ponendole lentamente una mano sulla spalla.
«Ho imparato presto a non urlare, così Anne non avrebbe saputo. Non volevo che soffrisse. Era così piccola…» la voce le si spezzò nuovamente. Nascose il capo contro la spalla di Monsieur Piton, mentre piangeva, fin troppo simile alla bambina che all’epoca aveva compiuto una scelta più grande di lei, si disse amaramente Severus. «Poi Anne si è ammalata. Credo che papà ne sia stato felice, sia stato felice che Anne potesse morire.
«Negli ultimi mesi, prima… negli ultimi mesi, papà voleva nuocere ad Anne. Non gli bastava più fare del male a me, al posto di mia sorella. La tenevo lontana da lui. Prima che lui tornasse a casa, portavo mia sorella nella sua stanza, vicino al pianerottolo del secondo piano ed io stavo con lui. Lo provocavo. Anne era già a letto, al sicuro, ed io…» i singhiozzi presero a scuotere il corpo di Heloïse. Nascose nuovamente il capo contro la spalla dell’uomo, cercando di sentirsi al sicuro. Sentì Monsieur Piton abbracciarla, ma non riusciva a calmarsi. Le parole cominciarono ad uscirle nuovamente, colme di spavento, soffocate dalla stoffa dell’abito dell’uomo. «… era terribile. Mio padre era un uomo buono, prima della morte della mamma e, alle volte, lo era ancora. Alle volte, dopo… piangeva e mi chiedeva di perdonarlo, diceva che non l’avrebbe fatto più, ma poi ricominciava sempre. Ed ogni volta era peggio.
E poi, quella notte di fine febbraio, arrivò a casa prima. Io avevo appena messo Anne nella sua stanza. Lui arrivò sul pianerottolo. Voleva entrare nella stanza di mia sorella. Ed io… non volevo, Monsieur. Davvero… Monsieur, non volevo che papà morisse. Volevo solo che si allontanasse, che non si avvicinasse ad Anne. L’ho spinto e…» la voce le si spezzò di nuovo. «Sono un’assassina, Monsieur. Ho spinto mio padre. È caduto dalle scale e è morto. Ma io non volevo… non volevo… e… mi porteranno via Anne, perché una bambina non può stare con la sorella che ha ucciso il padre… ma io non volevo…»
«Nessuno ti porterà via Anne, Heloïse.» le disse l’uomo, stringendola con forza, con affetto paterno. «Nessuno. Te lo prometto.» la ragazza parve calmarsi leggermente. Il corpo non tremava più, ma continuava a piangere. «So che non volevi, Heloïse. E so anche che non sei un’assassina. È stato un incidente.»
Heloïse continuò a piangere a lungo, ma le parole di Monsieur Piton la facevano sentire al sicuro, protetta, la calmavano leggermente e l’aiutavano a portare il peso di quello che era accaduto quella notte di fine febbraio.
Le labbra dell’uomo si tirarono in un sorriso colmo di tristezza per quella ragazza, per quell’innocente che stava cercando conforto nell’affetto di un assassino.
Un sorriso colmo della desolata consapevolezza che Heloïse sarebbe forse giunta volutamente al parricidio, non fosse stato per quell’incidente.
Un sorriso colmo della volontà di preservare Heloïse da scelte da cui non si poteva mai veramente tornare indietro.
Un sorriso colmo della volontà di preservare Heloïse da altre sofferenze.
Un sorriso colmo della promessa di non tradire mai la fiducia di Heloïse.
Un sorriso colmo di affetto paterno.
 
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view post Posted on 10/9/2013, 17:42

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utore/data: pingui79 - agosto 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One-shot
Rating: per tutti
Genere: Introspettivo, Fluff
Personaggi: Severus Piton, Personaggio originale, Smile
Pairing: Severus/personaggio originale
Epoca: Post 7° anno
Avvertimenti: AU
Riassunto: "E allora ridi.
Ridi perché il temporale è davvero passato.
Non quello fuori, ma dentro di te."

Parole: 1791

Anche i cieli che lacrimano nascondono arcobaleni



«Ma perché non si può un unicorno?»
La domanda giunge a bruciapelo insieme ad un assordante tuono che fa tremare cielo e terra, perfetta sintonia che oggi si è mutata in un’alleanza a dir poco insolita e quasi preoccupante.
Questo pomeriggio d’autunno inoltrato la furia del temporale ha deciso di dare spettacolo. Da mezz’ora sta offrendo il meglio del suo repertorio: pioggia, vento e fulmini a volontà.
In lontananza un lampo accecante squarcia l’aria, illuminandola d’un bianco irreale. Pochi attimi, un battito di ciglia, ed il rimbombo accorre veloce, bronzo sonoro e stentoreo che si propaga per ogni dove.
Lei ancora ti fissa intensamente con i suoi occhi grigio scuro, dondolando appena le gambe. Nelle mani ha un libro d’illustrazioni sulle creature magiche, il suo argomento preferito.
Tra il temporale e le sue domande senza sosta non hai idea di quale dei due riesca ad essere più incalzante.
Sono giorni che insiste, a qualsiasi ora ed in qualsiasi momento, con la richiesta di un animale domestico.
E gli unicorni, si sa, non rientrano in questa categoria.
Per tua fortuna.
Alzi teatralmente gli occhi al cielo, iniziando a ripetere parole dette e ridette più volte.
«Sai che vivono solo nelle foreste e che…»
«Ma abbiamo un giardino, e grande!» ti interrompe con veemenza.
La logica dei suoi quattro anni è ferrea.
Vorresti sorridere, ma vieni brutalmente trafitto da un’espressione piccata che gelerebbe chiunque all’istante. Molto meglio rimanere serio a tua volta, fingendo un’esasperazione che solo in parte è reale.
Sospiri.
Il volume illustrato viene riposto con calma sul tavolino a tre gambe, accanto alla poltrona su cui siete entrambi seduti. L’esiguo spazio rotondo è ingombro di una decina di pergamene che attendono d’essere massacrate senza pietà con abbondante inchiostro rosso.
Dovranno pazientare, è solo sabato mattina.
Seduta sulle tue ginocchia, lei aspetta ancora una risposta.
La attiri più vicino in un piccolo gesto consolatorio, mentre con un altro tuono il temporale si avvia verso il termine. La finestra ti mostra in lontananza nubi color cenere che si muovono veloci ed intanto ancora piove, anche se più dolcemente.
Vorresti trovare le parole adatte per toglierle quell’aria imbronciata.
Comodamente acciambellato sul divano di fronte a voi, Smile vi fissa placido e sonnacchioso.
«Lui non ti basta?» domandi con voce di seta, ammiccando al nero felino, che nel frattempo sbadiglia agitando la coda e si stiracchia mostrando gli artigli.
«No.» piagnucola lei. Incrocia le braccia in una buffa imitazione di un adulto stizzito. «Lui è tuo.»
«Come?» le sopracciglia all’unisono scattano all’insù.
«Lui è il tuo gatto.» ripete. «Io voglio… vorrei qualcosa che è solo mio.»
Approvi la correzione che ha fatto da sé con un lieve sorriso.
Non ha tutti i torti, in fondo. Ma se la assecondi finisce che continuerà a domandarti unicorni fino allo sfinimento.
Il temporale là fuori decide di andarsene salutando con un ultimo, potente rimbombo. Giusto sopra le vostre teste. I vetri della finestra per qualche istante rispondono tremando rumorosi.
Smile scatta sull’attenti, terrorizzato, il pelo ritto per la paura improvvisa. Con mossa fulminea ed un miagolio disperato scende dal divano e corre a saltarti in grembo, posizionandosi – o per meglio dire, incastrandosi – giusto tra te e lei, senza curarsi di graffiare per farsi spazio e sentirsi al sicuro.
E l’istinto di protezione si fa vivo ed immediato.
Il tuo abbraccio la stringe delicatamente, mentre ricordi come fosse ieri quando passavi parte delle tue serate a cullarla durante i temporali, sussurrandole parole stillanti serenità e sicurezza. L’altra mano scende in una lenta carezza sulla schiena del tuo – vostro – felino ancora tremante.
«Pa’, io non ho mica paura.» esclama con vocetta convinta, guardandoti in tralice. È ancora offesa.
Oh, ti sta servendo il tuo quotidiano attimo di sarcasmo su piatto d’argento.
«Perché tu sei grande, vero?» le fai il verso, imitandone il tono che usa quando si rifiuta di farsi aiutare in qualsiasi cosa.
«No, perché tu sei qui.» è l’innocente risposta.
La mano trema, il fiato si spezza ed il cuore salta un battito, facendo un triplo tuffo carpiato all’indietro.
Il nodo alla gola arriva veloce più dei fulmini del temporale ormai cessato.
Le sorridi – un sorriso sghembo – ma dentro di te senti l’impulso di alzarti da lì e di rintanarti da qualche parte, nel tuo consueto angolino di dolore.
Cos’è questa, Severus?
Commozione?
Oppure sono ricordi lontani, affiorati all’improvviso dalle acque calme e azzurre dell’oblio, accompagnati da rimorsi solamente in apparenza sopiti?
Braci lasciate a se stesse, inermi se non toccate, quasi insignificanti, ma pronte ad ardere di nuovo se solo alimentate con il minimo soffio di memorie mai veramente sepolte nel passato.
C’è stato un tempo in cui quest’affermazione infantile poteva concorrere per il primo premio di “considerazione più sbagliata dell’intero universo”.
Un tempo in cui la tua presenza era portatrice di dolore e di morte e la paura tua fida alleata, emergeva dagli sguardi terrorizzati di vittime inermi che sei stato costretto a veder morire senza poter fare nulla per loro, tranne guardare e soffrire in silenzio. Solo due limpidi occhi azzurri non hanno avuto timore alcuno e ti hanno regalato, con il loro ultimo battito di ciglia, l’assoluzione di un vecchio padre amato e rispettato.
Un brusco movimento ti riporta alla realtà, insieme ad un miagolio offeso come non mai.
Tua figlia s’è sollevata sulle ginocchia e ti osserva con intensità.
Il povero Smile ne ha fatto le spese, così finisce per spostarsi e si raggomitola alla bell’e meglio sul bracciolo della poltrona, formando un tondo perfetto.
«Pa’… momento triste?» domanda preoccupata.
Chi è il ciarlatano che va in giro raccontando che i bambini non capiscono?
Provi a sorriderle scuotendo la testa, cercando un sorriso vero che metta in fuga l’ondata di emozioni color pece, ma ti esce solamente una smorfia che non convincerebbe nessuno.
A lei non sai mentire.
Ti circonda il collo con le sue piccole braccia, stringendoti con irruenta delicatezza.
«Così ti passa?» mormora accanto al tuo orecchio.
«È già passato.» sussurri.
Ricambi quell’abbraccio stringendola a te. Finché avrai respiro la proteggerai da qualsiasi male, lo prometti a te stesso e al cielo ancora una volta.
Stranamente la prima a staccarsi è lei.
Non smette di scrutarti, come se volesse leggerti dentro. Le mani giocano a premere i numerosi bottoncini della giacca come fossero pulsanti di qualche marchingegno Babbano.
Daresti qualsiasi cosa in questo momento per sapere cosa frulla in quella testolina bionda.
«Ma… se un unicorno non si può… » riprende da dove era stata interrotta, ma che birbante! «Qualcosa di piccolo piccolo, invece?»
Anche la vocina s’è fatta piccola piccola, è la stessa con cui alla sera ti domanda la favola della buonanotte infagottata sotto le coperte e tra le braccia il fido orsacchiotto di peluche. Difficilmente le hai risposto di no.
Oh, santo Merlino… qualcosa di piccolo?
Sulla fronte fa capolino immediato la tua solita ruga, compagna degli attimi di concentrazione. In perfetto ordine alfabetico ripassi velocemente i nomi di tutte le creature magiche, ma arrivi solo alla “m”.
«Una Puffola Pigmea.» esclama così piano che a malapena la senti. Le manine adesso sono tutte un torcersi ed un tormentarsi tra di loro, mentre il mento già trema per un principio di capricci in arrivo.
E allora ridi.
Ridi perché il temporale è davvero passato.
Non quello fuori, ma dentro di te.
Pioggia battente sono state lacrime di dolore e disperazione, nuvole plumbee l’oscurità in cui sei caduto e che ti ha inghiottito senza avere pietà del tuo momento di smarrimento. E fulmini le infinite staffilate inferte da tanti, troppi, per pura cattiveria, vendetta o solamente per incolpevole ignoranza.
Poi è arrivato il vento che ha spazzato la tempesta, fresco, leggiadro ma inesorabile, accompagnato dalle ultime stille dal cielo, limpide e pure, quali le lacrime miracolose d’una fenice purpurea. Inizialmente hai cercato di osteggiarlo, cercando riparo da esso e rintanandoti nel tuo mondo di solitudine. Lui però t’ha stanato ugualmente, abbattendo ogni difesa eretta a baluardo. Ti ha stanato e ti ha avvolto come brezza leggera che dona ristoro, come fresco alito che nel deserto spira quando deve annunciare la notte stellata.
Ridi ed intanto lei ti guarda buffamente torva, temendo che tu stia prendendoti gioco delle sue infantili pretese.
Ridi e basta.
«E se poi Smile si offende?» la rimbecchi, ma intanto hai già un “sì” sulle labbra. Una Puffola Pigmea è una richiesta decisamente più accettabile di un unicorno e di qualsiasi altra creatura.
«Ma no, lui è buono, come te!» e adesso sorride anche lei, rispondendo al tuo sguardo sereno. Ha già capito tutto, troppo furba per poter essere ingannata così semplicemente. Il felino chiamato in causa si limita a agitare le orecchie non appena sente il suo nome, ma rimane dov’è, comodamente accoccolato con quiete serafica.
Ritorni serio nel vano tentativo di riacquistare la paterna autorevolezza che ti spetta.
«Però dovrai occupartene tu, sarà una tua responsabilità…»
Ouch!
Non ti lascia nemmeno finire.
In un baleno scatta in piedi, incurante di essere saltata come una molla sulle tue innocenti ginocchia. Ti stringe il viso tra le mani e tiene gli occhi spalancati per la sorpresa, luminosi di gioia più delle fiamme che danzano nel caminetto acceso.
«Rosa?»
Eh?
Il nesso tra risposta e nuova domanda non ti è subito chiaro.
Poi capisci.
«E rosa sia.» asserisci con un sospiro degno di un condannato alla prigionia perenne.
Tale madre, tale figlia.
Il salto a terra del tuo piccolo terremoto è come quello di un grillo.
«Maaa’! Papà ha detto che mi compra una Puffola!» la corsa in cucina, invece, è degna d’una gazzella. «Rosa!» termina con un urletto di gioia incontenibile, cui risponde una cristallina risata. Si preannuncia un prossimo futuro di vivaci battute di scherno per il tuo cedimento.
Povero te.
Sulla poltrona rimanete solo tu e Smile.
Lui un tantino disorientato da tutto questo trambusto, tu ancora frastornato e non sai più se per la gentile ed inaudita concessione o se per l’idea di un cosino rosa che prossimamente girerà per tutta casa.
In un anelito di solidarietà maschile – no, non è vero, ma fai finta di crederlo – il tuo felino ti fa la gentilezza di tornare a sedersi sulle tue ginocchia ancora un po’ malandate per il maltrattamento inaspettato. Si lecca con noncuranza una zampa, osservandoti serio. Lui non è mai sceso a compromessi, non ne ha mai avuto bisogno, da vero padrone qual è sempre stato.
Fuori dalla finestra, il primo sole di questo sabato mattina ha saputo sconfiggere il temporale incessante.
Anzi, ha addirittura stravinto.
Anche per te è stato così, pensi, mentre una mano scende a carezzare dolcemente la testa di Smile, che sembra gradire estatico.
Dopo la tempesta, la quiete.
Nel tuo caso, oggi come ieri, in dono è arrivato anche l’arcobaleno.
 
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view post Posted on 11/9/2013, 09:30
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Autore/data: Alaide – 18 - 21 luglio 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One-shot
Rating: per tutti
Genere: Drammatico, Introspettivo
Personaggi: Severus Piton, Personaggio originale
Pairing: nessuno
Epoca: Post 7° anno
Avvertimenti: AU
Riassunto: In quella lettera il sorriso affettuoso di Judith emergeva come mai era emerso prima.
Quelle ultime parole, in cui il sorriso della bambina pareva diventare più intenso, quasi accecante, portavano con loro la luce della speranza e l’oscurità della certezza che quella speranza era vana.
Nota: La storia è il continuo di Confronto
Parole: 1252

Sinfonie.
12. Sinfonia in re maggiore op 2, n°3.
Quarto movimento. Disillusione e speranza


30 luglio 2001
Caro Severus,
adesso che sono in vacanza, sento, alle volte, nostalgia della scuola. Nell’ultimo mese, prima delle vacanze, come ti ho già detto, sono riuscita a parlare veramente con i miei compagni. Non che sia riuscita a dire molto, ma senza i tuoi consigli non ce l’avrei mai fatta.
Riesco a tenere a bada la paura, quando entro in classe.
La maestra pensa che è scomparsa, ma non lo è.
Però riesco a non darlo a vedere, proprio come mi hai detto di fare tu.
Mi piacerebbe poter venire in Francia, ma Melusine mi ha detto che il direttore dell’orfanotrofio non lo permetterà perché sono ancora troppo piccola.
Forse l’anno prossimo, sempre tu non guarisca prima, verrò a trovarti.
Ti voglio bene,
Judith.
Le lettere della bambina si erano fatte più lunghe e scritte meglio di quanto avrebbe fatto qualsiasi altra bambina della sua età.
Severus non riuscì ad evitarsi un moto d’orgoglio, pensando all’impegno di Judith, ai suoi progressi.
Ogni lettera aveva manifestato i suoi progressi, quelli nel campo della scrittura e, soprattutto, quelli che lo colpivano maggiormente.
Le sue labbra si tirarono in un sorriso appena accennato, un sorriso colmo di orgoglio per il continuo migliorare della bambina nel riuscire a tenere a bada la sua paura in classe, fino a far credere alla maestra che tutto si era sistemato.
Quando non era così.
Non sarebbe mai stato così.
Severus era convinto che quella paura non avrebbe mai realmente abbandonato la bambina. Judith aveva imparato a celarla agli altri, ma sarebbe stato impossibile vincerla del tutto.
Era un pensiero orribile, un pensiero che mandò in frantumi il sorriso che gli era comparso sulle labbra.
Solo su di lui ricadeva la responsabilità di quella paura.
Sapeva razionalmente che non avrebbe potuto far altro, quella notte, se non nascondere la bambina.
Ma questo non diminuiva il rimorso che provava, né la certezza di non essere riuscito a salvare i genitori di Judith.
Innocenti di cui lui aveva indegnamente preso il posto.


27 agosto 2001
Signor Piton,
Judith è caduta e si è rotta il braccio destro. Mi ha pregato di scrivere la lettera al suo posto.
Ha chiesto di lei, appena si è accorta di essersi fatta male, dicendo che avrebbe voluta averla qui e, all’ospedale, mi ha detto che stava pensando a lei, per non pensare che stava dando le spalle alla porta.
Vorrei anch’io che lei non fosse nel luogo in cui si trova, ma qui, perché è ciò che è giusto.
Judith è qui accanto, impaziente, perché vuole dettarmi la sua lettera. Ed io non la farò attendere oltre.
Melusine Fairchild.
Caro Severus,
sono stata poco attenta ieri e sono caduta malamente. Mi dispiace di non riuscire a scriverti di persona, ma Melusine ha accettato di scrivere al mio posto.
So che non avrei dovuto correre in quel modo, ma ieri sono venute due persone che cercavano un bambino da adottare. Ed io non volevo che mi vedessero perché non voglio essere adottata. Alla fine hanno deciso di adottare Joseph.
Ma io non potevo saperlo allora.
Così sono scappata in cortile e sono caduta.
Melusine è stata sgridata dal direttore perché non mi è stata abbastanza attenta.
È stata sgridata per colpa mia ed io non volevo. Melusine mi ha appena detto che non devo preoccuparmene, ma non voglio che qualcuno venga sgridato per colpa mia.
Però io non voglio che nessuno mi adotti perché non ho bisogno di una nuova famiglia.
Ho te, Severus, e spero che presto potrò vederti di nuovo.
Ti voglio bene,
Judith.
Severus lesse con attenzione la lettera. Doveva dar merito alla signorina Fairchild di essere stata accettabilmente sottile nella prima parte della lettera, dove dimostrava di continuare a seguire la sua convinzione, quella convinzione che l’aveva portata ad anteporlo al padre.
V’era qualcosa di strano nel non vedere l’abituale grafia di Judith, ma fu un pensiero di breve durata.
Le parole di Judith erano colme di affetto, di un affetto così profondo, che parve scuotere Severus.
In quella lettera il sorriso affettuoso di Judith emergeva come mai era emerso prima.
Quelle ultime parole, in cui il sorriso della bambina pareva diventare più intenso, quasi accecante, portavano con loro la luce della speranza e l’oscurità della certezza che quella speranza era vana.
Eppure l’affetto profondo di Judith gli scaldava il cuore e Severus non poteva far altro che sentire il suo stesso affetto, il desiderio di poter chiamare la bambina, a cui aveva ucciso i genitori, figlia.
Era un desiderio colmo di senso di colpa, colmo di calore.
Era un desiderio dolce come il sapore del perdono e amaro come il sapore della disillusione e della colpa, come la consapevolezza che presto o tardi Judith l’avrebbe odiato.


Lione, 22 settembre 2001
Judith,
la signorina Fairchild ha sicuramente ragione. Non devi preoccuparti, né sentirti responsabile se il direttore dell’orfanotrofio l’ha ripresa. Ti consiglio, però, in un’altra occasione del genere di agire con maggiore sottigliezza.
Parlane con qualcuno prima di prendere qualsiasi decisione avventata.
Immagino che la prossima lettera riporterà nuovamente la tua grafia.
Severus.
«Non sarei dovuta scappare, Melusine. Ha ragione Severus, anche se non sapevo che altro fare. Ero così spaventata.» mormorò Judith, dopo aver letto ad alta voce la lettera dell’uomo.
La giovane non disse nulla per diverso tempo. Notò l’affetto che emergeva da quella lettera, seppur mai esplicitato.
«Adesso lo sai Judith. Puoi venire da me e puoi scrivere una lettera a Severus e chiedergli consiglio.» disse Melusine, un sorriso triste sulle labbra.
Ogni volta che Judith riceveva una lettera dal signor Piton, ogni volta che lei andava a trovarlo in carcere, sentiva tristezza e dolore montare dentro di lei, per quell’uomo che aveva deciso di pagare per una colpa che non aveva commesso.
Ed accanto a quello, la certezza che avrebbe tenuto fede alla sua promessa.


30 settembre 2001
Caro Severus,
mi sarebbe piaciuto averti al mio fianco il primo giorno di scuola, mi sarebbe piaciuto che tu mi avessi potuta accompagnare a scuola. E non solo quel giorno, ma tutti i giorni.
Quest’anno le cose vanno meglio.
Sono riuscita a rimanere tranquilla, anche se il mio banco è il più lontano dalla porta.
C’è un nuovo bambino in classe. È il mio nuovo vicino di banco e mi sembra disorientato. Magari ha dovuto lasciare degli amici nella scuola dov’era prima.
Dopo scuola, ho cominciato ad andare, due volte a settimana, a lezione di viola. Melusine dice che non può più essere lei ad insegnarmi. Il maestro mi piace e mi ha detto che, se continuo ad impegnarmi, potrò fare il conservatorio, quando sarò grande.
Io credo sia un’ottima idea, così potrò diventare una concertista, girare il mondo e venire a trovarti.
Ti voglio bene,
Judith
La lettera era colma del sorriso affettuoso e fiducioso, una fiducia ed un affetto che si sarebbero infranti.
Così come si sarebbe infranto il sorriso di Judith.
Eppure, in quel momento, con in mano quella lettera colma di speranza, Severus non riusciva ad impedirsi di sperare a sua volta.
Sperare che la signorina Fairchild avesse ragione.
Sperare, quindi, che Judith non giungesse mai ad odiarlo.
Sperare in quei sorrisi.
Sperare nel perdono che si celava in essi.
Sapeva che quelle speranze erano mere illusioni, che si sarebbero presto infrante, ma almeno, per quel breve istante, Severus si concesse il lusso di sperare.
 
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view post Posted on 11/9/2013, 10:29
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Anche i cieli che lacrimano nascondono arcobaleni di pingui79


Eccoci lì accoccolati accanto alla poltrona dove Severus e sua figlia discutono. Impossibile non sbirciare con curiosità le espressioni dei due che la penna (o la tastiera, ma è uguale)di Kià dipinge con splendide pennellate.
Il ping pong di sguardi e battute sottolinea quanto quella bambina sia simile al suo papà.
CITAZIONE
«Pa’, io non ho mica paura.» esclama con vocetta convinta, guardandoti in tralice. È ancora offesa.
Oh, ti sta servendo il tuo quotidiano attimo di sarcasmo su piatto d’argento.
«Perché tu sei grande, vero?» le fai il verso, imitandone il tono che usa quando si rifiuta di farsi aiutare in qualsiasi cosa.
«No, perché tu sei qui.» è l’innocente risposta.

E qui si racconta anche quanto affetto sappia suggerire al cuore di Severus una breve frase di cinque parole. E’ tutta lì la sicurezza che sa regalare un padre, perché un padre è sicurezza e protezione e Severus lo è al massimo delle possibilità.
Poi Kìà ci regala uno degli umanissimi e tenerissimi momenti in cui la fragilità dell’uomo-Severus si esprime attraverso poche parole e rari gesti, ma talmente ricchi di significato, che la scena che si svolge davanti a noi ci ritrova con gli occhi lucidi e il groppo in gola. Con pochissimi accenni Kià mi ha portato nella mente, ma soprattutto nel cuore di Severus. La prosa di Kià riesce a evocare senza appesantire e il miracolo della narrazione diventa poesia.
Su tutti indimenticabile presenza, Smile, ispiratore e motore di questa serie di racconti di vita quotidiana, splendido e menefreghista – come tutti i gatti – guarda dall’alto gli umani e si lecca una zampa con piglio serioso.
Splendida Kià e storia splendida!
 
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Oltre a Venerdì 13 mi prendo anche Martedì 17.

Se ho un mese sfigato so perché! :lol:
 
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Ci sono ancora liberi due giorni, sbrigatevi, li vendiamo a poco!

:lol: :lol: :lol:



Prenotazioni per la 36a settimana di Sorrisi per Severus :lovelove:

Mercoledì 11: Leonora (36)
Giovedì 12: Ida (36)
Venerdì 13: Ellyson
Sabato 14: ???????????
Domenica 15: ???????????
Lunedì 16: Leonora
Martedì 17: Ellyson




Riponete il Dolorimetro e sfoderate un bel sorriso!

 
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CITAZIONE (ellyson @ 11/9/2013, 12:28) 
Oltre a Venerdì 13 mi prendo anche Martedì 17.

Se ho un mese sfigato so perché! :lol:

:lol: :lol: :lol:
 
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CITAZIONE (chiara53 @ 11/9/2013, 11:29) 
Anche i cieli che lacrimano nascondono arcobaleni di pingui79


Eccoci lì accoccolati accanto alla poltrona dove Severus e sua figlia discutono. Impossibile non sbirciare con curiosità le espressioni dei due che la penna (o la tastiera, ma è uguale)di Kià dipinge con splendide pennellate.
Il ping pong di sguardi e battute sottolinea quanto quella bambina sia simile al suo papà.
CITAZIONE
«Pa’, io non ho mica paura.» esclama con vocetta convinta, guardandoti in tralice. È ancora offesa.
Oh, ti sta servendo il tuo quotidiano attimo di sarcasmo su piatto d’argento.
«Perché tu sei grande, vero?» le fai il verso, imitandone il tono che usa quando si rifiuta di farsi aiutare in qualsiasi cosa.
«No, perché tu sei qui.» è l’innocente risposta.

E qui si racconta anche quanto affetto sappia suggerire al cuore di Severus una breve frase di cinque parole. E’ tutta lì la sicurezza che sa regalare un padre, perché un padre è sicurezza e protezione e Severus lo è al massimo delle possibilità.
Poi Kìà ci regala uno degli umanissimi e tenerissimi momenti in cui la fragilità dell’uomo-Severus si esprime attraverso poche parole e rari gesti, ma talmente ricchi di significato, che la scena che si svolge davanti a noi ci ritrova con gli occhi lucidi e il groppo in gola. Con pochissimi accenni Kià mi ha portato nella mente, ma soprattutto nel cuore di Severus. La prosa di Kià riesce a evocare senza appesantire e il miracolo della narrazione diventa poesia.
Su tutti indimenticabile presenza, Smile, ispiratore e motore di questa serie di racconti di vita quotidiana, splendido e menefreghista – come tutti i gatti – guarda dall’alto gli umani e si lecca una zampa con piglio serioso.
Splendida Kià e storia splendida!

Uh, esagerata!
Mi sono divertita a scriverla, dovendo arrovellarmi un attimino per inserire la dose di Dolorimentro, che comunque ho lasciato al minimo. Visto il momento e visto il tempo passato, tendo a farlo diventare più un cimelio che un elemento vero e proprio.
Insomma... sono stata un po' smielata, ne avevo voglia.
Grazie per le belle parole.
Smile ci voleva, è il mio anello che tiene salda la catena. :D
 
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N. 36.

Autore/data: Ida59 – 9, 13 e 29 giugno 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One-shot
Rating: Per tutti
Genere: introspettivo, romantico, drammatico
Personaggi: Severus, Personaggio originale
Pairing: Severus/ Personaggio originale
Epoca: Post 7° anno
Avvertimenti: AU
Riassunto: Scoprirsi l’un l’altro, poco per volta, imparare a conoscersi e riconoscersi… È il seguito di “Tra passato e futuro”.
Parole/pagine: 1804 /4




Conoscersi



Tutto era pronto per la partenza: Elyn aveva già sistemato ogni cosa nella valigia con la magia, anche tutti i libri che avevano accompagnato le loro tranquille vacanze, scandite dal sorriso della Guaritrice che ogni giorno si rinnovava regalandogli serenità e amore.
Dal terrazzo a picco sulla spiaggia, Severus osservava l’oceano, per l’ultima volta respirandone il profumo, sorbendo a lunghi sorsi la calma serenità del lento movimento delle onde che luccicavano sotto il sole di fine settembre. Nei riflessi dorati delle acque gli sembrava di cogliere lo scintillio degli occhi nocciola della donna che amava ed il brillio del sorriso che lo aveva riportato alla vita.
In quelle indimenticabili settimane, immerso nel solitario mare di quel luogo protetto dalla magia e lontano da ogni altro, Severus era andato ben oltre il puro sorriso di Elyn che era quasi riuscito a rendergli l’innocenza dell’anima da troppo tempo perduta. L’aveva conosciuta in profondità, nel corpo e nell’anima, nel cuore e nella mente; ne aveva lambito l’essenza tra languidi sussurri e sfiorato l’intimità con il suo sguardo nero.
In quei lunghi giorni in cui sogni e realtà si erano congiunti dando vita a felicità e intensa passione, il mago aveva avuto modo di scoprire chi era la Guaritrice che s’era innamorata di lui solo dopo aver conosciuto l’orrore delle sue colpe e lo strazio dei suoi rimorsi; non solo la donna che con il suo perdono, col sorriso e con l’amore gli aveva restituito la vita e il futuro, ma anche l’intraprendente ricercatrice poco più che trentenne, già affermata e conosciuta, che aveva distillato innovative pozioni per curare morsi di creature magiche fino ad allora considerati mortali, salvando numerose vite. Come la sua, ad esempio, anche se Elyn insisteva a dire che senza l’aiuto del calderone della sua mente (1), nel quale Severus le aveva permesso di affacciarsi, non sarebbe mai riuscita a scoprire l’esatta formulazione per neutralizzare l’impressionante quantità di veleno che il morso di Nagini, squarciandogli il collo, aveva immesso nel suo corpo.
Il mago deglutì muovendo appena il capo, l’estesa cicatrice che ancora increspava la pelle sottile del collo. Elyn era sempre attenta e delicata quando la sfiorava facendo l’amore: sapeva che in alcuni punti la sensibilità era ridotta, ma sapeva anche in quali altri il più lieve sfioramento creava un ritorno mille volte più potente e profondo rispetto ad ogni altra parte del suo corpo. Severus abbozzò un sorriso compiaciuto: la Guaritrice sapeva sfruttare a meraviglia le sue conoscenze!
La maga non solo se la cavava molto bene davanti a un calderone, anche se riteneva d’essergli di molto inferiore – lui, del resto, aveva passato anni interminabili a rimestare in solitudine un paiolo nella fredda oscurità del suo sotterraneo! – ma amava anche studiare ed approfondire le questioni in modo rigoroso, proprio come lui, e, soprattutto, leggere. Aveva stipato di libri anche lo scrigno di cristallo che, sulla scogliera che si affacciava sulla lunga spiaggia, proteggeva il loro amore e passavano ore a leggere sotto la frondosa ombra del terrazzo, l’uno di fianco all’altra, ogni tanto sfiorandosi la mano o scambiandosi languidi sguardi d’amore, accarezzati dalla tiepida brezza profumata dell’oceano.
Altre cose importanti li univano nei gusti e nei pensieri: un tramonto rosseggiante, un cielo nero tempestato di stelle o il tenue perlato dell’alba che si specchiava nel mare accendevano in loro intense emozioni che li accomunavano. Ma Elyn era anche incredibilmente diversa da lui, così solare e piena di voglia di vivere, ottimista ed estroversa, vivace e amabile: quasi l’opposto rispetto all’orso solitario che il mago era sempre stato, in parte per la sua natura, ma in parte anche per ciò che la vita aveva fatto di lui. Severus sospirò. No, per ciò che lui stesso aveva arrecato alla propria vita, con le sue scelte sbagliate ed i suoi errori, e a quella di tanti altri. Il sospiro si fece più profondo e cupo. Sì, anche alla vita di Lily.
Il mago chiuse gli occhi, li serrò stretti reprimendo un tremito: dimenticare era impossibile, né voleva farlo. Ma andare avanti, sì, quello era necessario, essenziale: era stato il perdono di Elyn che glielo aveva permesso, quel perdono donato con amore, col sorriso di chi conosce e comprende la tremenda sofferenza del rimorso.
Severus non sapeva perché, per quale motivo Elyn riusciva ad essere così, ma aveva sperimentato su se stesso la sua grande umanità e capacità di comprendere a fondo le persone; quell’incredibile empatia che riusciva a creare e che le aveva permesso di esercitare con mirabile maestria e sensibilità la Legilimanzia nei suoi confronti, non solo quando giaceva tra la vita e la morte, gli occhi sbarrati nel delirio febbrile mentre il veleno del serpente lo relegava nell’orrenda oscurità del suo passato, ma anche dopo, quando non riusciva ancora a parlare e aveva scoperto di poter conversare con la maga lasciandola accedere ai propri pensieri che lei sapeva interpretare in ogni minima sfumatura, senza mai sbagliare.
Fino a quando di quei pensieri aveva cominciato a vergognarsi perché, invece dell’amore del suo cuore, ancora imbrigliato nei lacci del passato, le avrebbero rivelato l’ardente desiderio del suo corpo impudente.
Certo, in Elyn, come in ogni persona, del resto, non c’erano solo pregi, ma anche difetti.
Severus sorrise di nuovo, silenzioso.
Il problema, se tale poteva dirsi, era che si ritrovava ad amare anche i difetti della sua donna, perfino cose che gli sembrava di non aver mai sopportato prima, ma che ora nella luce del sorriso di Elyn sembravano svanire e confondersi, perdere di definizione e sfuggire alla percezione della sua mente analitica, ammaliata dal sentimento d’amore e sedotta dalla voluttà.
Insomma, amava Elyn per ciò che era. Per i suoi pregi e per i suoi difetti. E lo stesso era per la maga, solo che Severus sapeva bene che, al contrario della Guaritrice, i propri difetti erano ben più numerosi e gravi dei suoi pochi pregi.
Per non parlare delle sue colpe, poi! Eppure, gli sembrava quasi che Elyn lo amasse anche per quelle, che si fosse innamorata di lui forse proprio per quella tremenda scelta sbagliata, e per tutta la sofferenza che gliene era derivata. Che il mago sapeva di avere ampiamente meritato, a dire il vero, quale giusta espiazione dei suoi errori. Per questo, in fondo, l’aveva sempre accettata senza lamentarsi, anzi, quasi cercandola, richiudendosi nella buia e fredda solitudine del suo sotterraneo e cercando di farsi odiare da tutti, perché lui per primo si disprezzava. Rinunciando a vivere, incatenato al passato e ad un amore mai nato. Per punirsi di tutto…
Severus scosse il capo e sospirò, quindi rientrò nella stanza e terminò di indossare il consueto abito che portava a Hogwarts.
Elyn affermava che aveva ormai sofferto abbastanza nel suo lungo percorso di redenzione.
Finì di allacciare l’interminabile fila di piccoli bottoncini neri, quelli che Elyn si deliziava ogni volta a slacciargli con estenuante lentezza e sensuale desiderio.
Elyn non voleva più che soffrisse.
Elyn lo aveva perdonato.
Elyn lo amava.

Severus non riuscì a trattenere un sorriso, gli occhi neri che scintillavano nel riflesso dello specchio. Mangiamorte assassino, spaventapasseri spelacchiato od oscuro pipistrello che fosse l’immagine che vedeva davanti a sé, per la sua Elyn rappresentava solo il suo dolce ed appassionato cavaliere nero e null’altro contava al mondo, meno che mai i dolorosi ricordi del suo tenebroso passato.
Scrollò con decisione la testa quindi si drappeggiò con eleganza il mantello sulle spalle con un gesto sicuro, mille volte ripetuto, che assumeva ora anche il fascino nobiliare che Elyn gli aveva giocosamente attribuito; continuò ad osservare nello specchio l’uomo che, dopo tanti anni, adesso amava, finalmente riamato, la felicità impressa a fondo sul suo viso.
Nessuno lo avrebbe riconosciuto al primo colpo se non avesse indossato ancora il suo lugubre e severo abito nero.
In effetti, era lui stesso, per primo, a non riconoscersi.
Perfino l’esegue pallore del suo viso, che lo aveva sempre contraddistinto fin da ragazzino, era svanito dopo i due mesi di luce, aria e sole sfolgorante in cui Elyn lo aveva immerso grazie al suo smagliante sorriso, accampando subdole scuse mediche circa il recupero totale della forma fisica dopo la lunga degenza al San Mungo.
Il suo volto, però, era cambiato ancor più in profondità. Le sue labbra avevano perso la solita piega amara, stretta nel disgustato disprezzo di sé; l’apprezzamento di Elyn, e il suo perdono, erano finalmente riusciti, prima, a scalfire la sua corazza, e poi anche a fargli cambiare idea e ad accettare se stesso per quello che era: un uomo che aveva ancora diritto ad essere felice ed amare, nonostante tutti i suoi errori e le colpe commesse. E i rimorsi.
Le sue labbra, così, adesso erano morbidamente dischiuse nel limpido riflesso dello specchio, atteggiate nel dolce sorriso appassionato che Elyn tanto amava e desiderava sempre vedergli sul viso.
Con un sospiro di timore il mago si chiese cose ne sarebbe di tutto quel suo incredibile cambiamento, una volta tornato a Hogwarts.
Dietro a Severus, sulla superficie dello specchio magicamente apparve Elyn, quasi evocata dai suoi pensieri; si volse ad incontrarne lo sguardo sereno, cercando conforto ed incoraggiamento in lei:
- Tornare a Hogwarts… sarà…
V’era turbamento nella voce del mago, che abbassò il capo, i lunghi capelli neri a coprirgli in parte il volto e un sospiro esitante a impedire la conclusione della frase con l’esternazione delle sue preoccupazioni.
- Sarà bellissimo! – esclamò Elyn con un luminoso sorriso sulle labbra, terminando la frase con voluta irruenza al posto del mago, la gioiosa esclamazione quasi a voler spazzare via ogni incertezza.
Severus alzò lentamente lo sguardo: v’era desiderio e timore di rivedere Hogwarts nelle fiamme nere che ardevano nei suoi occhi, ma c’era anche l’ombra cupa dei ricordi del passato, sempre incombente e ricolma di dolorosi rimorsi.
Elyn allungò la mano a sfiorargli piano il viso scostando indietro i lunghi capelli corvini:
- Quando eri bambino, Hogwarts rappresentava la speranza di un mondo fatto su misura per i tuoi sogni di grandioso futuro. - disse dolcemente, la mano sempre tra i capelli del mago a carezzarli piano. – Hai trovato invece solo delusione, dolore e disperazione. – aggiunse sospirando, la mano che scendeva a stringergli la spalla, attenta a non sfiorare la lunga cicatrice. – Ma ora sarà diverso! Ora ci sono io. Non sarai più solo, Severus, e l’amore che per tanti anni hai dovuto tenere nascosto nel profondo del tuo cuore e la cui mancanza ti ha fatto tanto soffrire, ora quell’amore…
- Quell’amore vive nel tuo sorriso, Elyn! – sussurrò il mago stringendola a sé e sfiorandole le labbra in un dolce bacio, mentre ogni timore si stemperava nel sorriso della sua donna.
Sì, questa volta tutto sarebbe stato diverso, perché tutto era cambiato.
Lui stesso, per primo, era un uomo diverso.
Innamorato.
Ricambiato.
Felice!

E di nuovo capace di sorridere…


(1) Vedi la storia n. 9 della raccolta: Il calderone della mente.

Edited by Ida59 - 19/8/2015, 15:22
 
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Ale85LeoSign
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Prenotazioni per la 36a settimana di Sorrisi per Severus :lovelove:

Mercoledì 11: Leonora (36)
Giovedì 12: Ida (36)
Venerdì 13: Ellyson
Sabato 14: Ale
Domenica 15: ???????????
Lunedì 16: Leonora
Martedì 17: Ellyson


Riponete il Dolorimetro e sfoderate un bel sorriso!

 
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Da un dolce sogno d'amore!

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Domenica posso fare tranquillamente io: dovrei avere ancora qualche Tanka di riserva.

Edited by Ida59 - 19/8/2015, 15:23
 
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view post Posted on 13/9/2013, 08:29
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Pozionista sofisticato

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Dalla luna...

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Ecco qui il link al sorriso di oggi.


Rialzarsi


Edited by Ida59 - 28/10/2017, 17:49
 
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Ale85LeoSign
view post Posted on 14/9/2013, 11:26




Ecco un altro estratto di A.L. con uno dei nuovi personaggi che ho introdotto.


“Chi è questa persona?” chiese in tono educato l’assistente di Severus Piton, Meredith Porter, posando sul tavolo il plico di fogli che avrebbe dovuto riordinare ed elencare per il mago.
“La figlia di Walter Cobalto. Alexandra.” Le rispose la strega prima di andarsene.
Meredith rimase perplessa e preoccupata da quella notizia.
Attese il mago fuori dal suo studio, sperando che arrivasse prima della sua ex allieva e quando vide la maniglia della porta abbassarsi e il mantello scuro comparire si sentì un poco sollevata.
Il mago, come sempre di poche parole, sfiorò con le dita sottili il plico di fogli, dandoci una rapida scorsa, poi le fece il solito cenno di assenso, senza dire nulla.
Quando il mago sollevò lo sguardo qualcosa, oltre Meredith, sembrò catturare la sua attenzione e Meredith si voltò per capire di che cosa si trattasse.
Alexandra si avvicinò, apparentemente sicura con quello sguardo serio, forse ostile, rivolto al mondo intero che la circondava, ma in quel momento velato da un’indecisione facilmente leggibile.
Quando fu di fronte a loro, i suoi occhi verdi si strinsero e in essi Meredith credette di percepire del rancore, una forza selvaggia che la spingeva ad arretrare. Fu un attimo, poi una folata di vento smosse il mantello del mago attirando l’attenzione della giovane Grifondoro, che lo guardò, come se quel movimento le avesse fatto riprendere il controllo.
Anche Meredith guardò nella sua stessa direzione e sollevando un po’ la testa ritrovò la durezza inflessibile di uno sguardo oscuro, molto più cupo e temibile di quanto non volesse apparire quello della Grifondoro.
Le era stato detto dallo stesso Piton che Alexandra era capace di tutto, da un’espansiva cordialità alla collera più furiosa.
Gli occhi neri del mago si posarono immediatamente sulla giovane donna che si era voltata verso di lui con espressione attenta e un mezzo sorriso, una piccola crepa nella maschera di gelido rancore con cui si era inizialmente presentata ad entrambi.
I due si osservarono in silenzio per diversi istanti e Meredith assistette affascinata al gioco di emozioni che si intrecciò in quello scambio silenzioso di sguardi, ricordi passati e momenti condivisi.
“Ciao, Severus.” Al suono di quella voce la postura del mago si fece stranamente più rigida ma i suoi occhi sembrarono velarsi di un’ombra di tristezza, dal rimpianto di qualcosa di prezioso che ormai sembrava irrecuperabile.
Rispose a quel saluto limitandosi a un cenno del capo, solenne e quasi indifferente.
“Meredith Porter, Alexandra Cobalto.” le presentò “Meredith collabora con me per conto del Ministero della Magia”.
Per un attimo non accadde nulla, poi il concetto sembrò arrivare a segno nella mente di Alexandra e i suoi lineamenti subirono una trasformazione incredibile, tanto che Meredith avvertì un principio di preoccupazione.
Durò solo lo spazio di un respiro poi Alex tese la mano con cortese indifferenza.
“Una donna?” si lasciò sfuggire osservandola con una curiosità fin troppo attenta.
“Che osservazione acuta.”, commentò Severus con una sfumatura sarcastica nella voce profonda.
La stretta fu breve e fin troppo decisa.
“E come ti sei trovata col nostro ex pozionista?” chiese Alexandra sorridendo in modo divertito, come se avesse appena sentito una barzelletta.
Meredith non sembrò cogliere l’ironia e fece per rispondere: “Il mio…”
“Oh!” la interruppe subito con una teatrale alzata di sopracciglia “Rivendichiamo già un diritto di proprietà?” esclamò con ironia mordace, continuando a sorridere.
Severus cominciò a sentire un certo prurito alle dita, il principio di un’irritazione che non provava da tempo e che non avrebbe voluto incontrare nuovamente.
“Il mio collega,” riprese Meredith ripetendo quelle stesse parole che avevano provocato quella reazione in Alex “Mi ha accennato brevemente a lei.”
“Immagino.” Osservò lanciando uno sguardo obliquo al mago che ricambiò con un’espressione che cominciava a rannuvolarsi.
Alex non colse, o forse non volle cogliere quell’avvertimento, e tornò a puntare la sua preda.
“E quali prodezze ti ha raccontato di me? Quando mi ha fatto inseguire da un bolide stregato? Quando mi ha fatto risvegliare nel mezzo del lago ghiacciato? Oppure una delle innumerevoli volte che mi ha affibbiato qualche umiliante punizione?”
La conversazione stava diventando imbarazzante e Meredith non sapeva bene chi guardare dei due.
Fu il mago a trarla in salvo, ribattendo con voce sardonica: “Esperienze che non sembra che ti siano servite a molto, Cobalto.”
“Giusto a farti saltare i nervi.” In quel momento sorrise in un modo diverso “E a volte un paio di bottoni…”
Soltanto lui e Alex potevano comprendere il riferimento non troppo velato, mentre l’assistente di Severus continuava a tenere gli occhi bassi, imbarazzata e confusa dalla tensione che la Cobalto era riuscita a creare in così pochi istanti.
A quel punto il mago decise di infrangere quel giochetto assurdo di “gatto e topo” che aveva orchestrato la sua ex allieva.
“Cobalto!”
Alex smise immediatamente di sorridere e lo fissò.
“Due parole.”

***



“Che cosa farà?” sbottò la ragazza non appena furono dietro l’angolo, abbastanza lontani affinché l’assistente non sentisse.
“Mi azzannerà a una caviglia finché tu non tirerai il guinzaglio?” sorrise di sottecchi sistemandosi i capelli “Ma più probabilmente mi farà una nota sul registro.”
“Alex…” quella sola parola fu sufficiente.
Improvvisamente smise di ridere e lo guardò con un principio di rabbia: “Si può sapere cosa vuoi da me, Severus? Che saluti con garbo tutte le persone di cui ti sei circondato mentre io ero…” si fermò forzatamente, dominandosi.
Severus arcuò un sopracciglio, mantenendo quell’espressione impassibile, in attesa che Alex arrivasse a un punto. Solo un punto, neanche un ragionamento compiuto.
Gli sorrise. Fu un’espressione falsa, gettatagli addosso come avrebbe potuto lanciare il più avventato degli incantesimi “Sai che cosa? Hai ragione. Cosa mi devi tu e che cosa ti devo io? Hai il diritto di circondarti delle... persone che preferisci, ci mancherebbe.”
Seguì un silenzio teso nel quale la compostezza solenne dell’alta figura del mago cozzava irrimediabilmente con i continui, piccoli movimenti nervosi della giovane donna.
Ma anche se il corpo era fermo e statuario, la mente del mago non aveva interrotto il flusso di pensieri e ragionamenti che dopo qualche istante lo condussero ad un’ipotesi certa, com’era certo di saper leggere tra le righe di quel libro aperto che gli stava davanti e che ora lo stava guardando, in attesa di una reazione.
Poi si accorse che Alex lo stava guardando attentamente, con un’espressione nuova e diversa, con un misto di malinconia e incredulità negli occhi.
Sapeva di non essere cambiato esteriormente. Il volto dai lineamenti pallidi, gli occhi scuri dai vibranti riflessi di un diamante nero, e la posa elegante e solenne lo facevano apparire come una figura misteriosa, severa e tristemente solitaria.
A quel punto Alex gli si avvicinò e mentre lui rimaneva immobile, seguendo i suoi movimenti unicamente con lo sguardo, la giovane Grifondoro sollevò una mano sfiorandogli il mantello.
“E’ passato tanto tempo.” Osservò quasi con malinconia “Ma non sei cambiato.”
In quel momento Alex aveva abbandonato ostilità e arroganza, e appariva come una ragazza molto giovane con gli occhi bassi e le pelle delle guance e del collo velate da un’evidente traccia di timidezza.
No, non poteva. Anche se in quel momento qualcosa dentro di lui avrebbe voluto prendere quella mano tra le sue, un dolore molto più profondo e il freddo involucro di cui aveva rivestito il suo cuore lo fecero restare immobile e indifferente a quel primo contatto.
Poi le labbra sottili si mossero e parlò. Lentamente, scandendo bene ogni sillaba, odiandosi nel farlo ma sapendo esattamente quali parole avrebbero smorzato la forza di quel gesto gentile e fatto calare la solida cortina di gelo che doveva restare tra loro.
“Meredith ha fatto uno splendido lavoro oggi.”
Sul volto della giovane si dipinse un’espressione perplessa, e come aveva previsto il mago, ritrasse la mano.
All’improvviso sembrò mancarle letteralmente il fiato; si scaldò subito a quella frase, anche se cercò di dominarsi e di apparire tranquilla, tentativo che era smorzato dall’evidente rossore in volto e dalla luce selvaggia che le brillava negi occhi:
“Bene. Buon per lei.”
E poi il mago scoccò il colpo definitivo.
“Sei gelosa?” le domandò stirando le labbra sensuali in un sorrisetto obliquo, continuando a studiare le sue reazioni.
Alex lo fissò con la stessa espressione che avrebbe potuto avere un ladro colto sul fatto.
“Di chi? Di quella?” chiese reprimendo il moto di stupore con un sorriso così largo da sembrare un ringhio “Vuoi che scoppi a ridere così mi sentiranno per tutto il castello morti e vivi contemporaneamente?”
Severus le lanciò un’occhiata eloquente: “Se lo dici tu.”
Seguì un gelido minuto di silenzio, in cui nessuno dei due parlò
Alex fissava un punto imprecisato del corridoio, muovendo nervosamente le dita, mentre Severus la osservava, immobile e tranquillo.
“Qualcosa non va?” le domandò d’un tratto.
“Sono arrabbiata, sì, mi pare evidente.” Mormorò, senza guardarlo “Sono ‘piena di rabbia assassina’ come dice il mio nuovo mentore, come lo chiami tu. E allora?” sollevò improvvisamente lo sguardo, manifestando ancora di più quella rabbia “Ho mai ucciso nessuno solo perché ero arrabbiata? Mi sembra di controllarmi più del dovuto, cacchio!”
“Cobalto.” Mormorò suadente “Sì, sei estremamente gelosa.”
“Non dire assurdità.” Lo oltrepassò a testa alta, dirigendosi verso l’angolo, per svoltarlo “Ti saluto, Severus!”
“In quella direzione le correrai incontro.” e mentre diceva questo, con un tono calmo e studiato, ma abbastanza alto perché lei lo sentisse, Alex inchiodò di colpo, rendendosi conto dell’errore che non voleva ammettere.
“Alla peggio la travolgerò,” proseguì imperterrita “così avrà una scusa per prendersi un po’ di ferie!”
 
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