Il Calderone di Severus

N.13: Un anno di sorrisi per Severus

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Ale85LeoSign
view post Posted on 24/7/2013, 13:37




CITAZIONE (Ele Snapey @ 24/7/2013, 14:30) 
Argh, Ale: un Severus materassabile quanto il tuo nessuno riesce a renderlo!! :sbava: Lo so che come commento pecca un po' di profondità, ma dopo aver letto il tuo estratto mi si è appannata la vista! :lol:

"Materassabile" è uno dei massimi complimenti in chiave Elesneipiana che si possano ricevere, quindi thanksss!!! :D :D :D
Non è che ci sia molto da dire proprio perchè come estratto è breve breve, ma per forza di cose li devo centellinare ;-P
 
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view post Posted on 24/7/2013, 15:40
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Autore/data: Alaide – 1- 6 giugno 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One-shot
Rating: per tutti
Genere: Drammatico, Introspettivo
Personaggi: Severus Piton, Personaggio originale
Pairing: nessuno
Epoca: Post 7° anno
Avvertimenti: AU
Riassunto: Eppure, nonostante il lieve senso di nausea che le dava la disillusione, sorrise all’uomo, un sorriso dolce, gentile.
Nota: La storia è il continuo di Un lieve lucore
Parole: 1270

Sinfonie.
5. Sinfonia in do minore op 2, n°2.
Primo movimento. Disillusione



La sagoma del carcere appariva soffocante agli occhi di Melusine, quando vi giunse in un’assolata giornata di giugno. Da quella prima visita in gennaio, era riuscita ad entrare senza troppe difficoltà, ma, in fin dei conti, era la figlia minore del giudice Fairchild, a sua volta figlio del giudice Fairchild e sorella del futuro giudice Fairchild.
Trasse un sospiro prima d’entrare e sottoporsi all’ormai abituale procedura. Lasciò la borsetta ad una guardia carceraria e ne seguì un’altra.
Quella volta il signor Piton era già presente. Le parve che la coltre di solitudine e sofferenza si fosse come inspessita. In quel momento le parvero quanto mai sciocchi i pensieri colmi di speranza che aveva nutrito il mese precedente.
Sperare che le lettere di Judith potessero aiutare l’uomo le appariva in quel momento unicamente un’illusione che non poteva far altro che infrangersi.
Con ogni probabilità non esisteva nessuna speranza ed era quello un pensiero che le strinse dolorosamente il cuore.
Eppure, nonostante il lieve senso di nausea che le dava la disillusione, sorrise all’uomo, un sorriso dolce, gentile.
«Non è necessario che perda il suo tempo.» disse l’uomo, senza darle tempo di aprir bocca, dopo che si fu seduta.
Severus desiderava che la signorina Fairchild se ne andasse, che lo lasciasse nell’oscura solitudine che meritava, in quella solitudine dove sarebbe stato giustamente preda del dolore, delle sue terribili colpe e della punizione che meritava.
Non meritava di certo quel lieve lucore pieno di speranza che era presente nelle lettere di Judith. Era stato uno stolto ad aggrapparvisi quella notte del mese precedente.
Non importava quanta speranza emergesse da quelle lettere, quanti sorrisi affettuosi trapelassero da ogni parola, il suo giusto futuro era fatto di odio, solitudine e dolore.
«Non sto perdendo il mio tempo, signor Piton.» ribatté Melusine, sorridendogli nuovamente, un sorriso dolce e discreto. «Desidero farle visita.»
«Ma forse io non desidero che lei lo faccia.» la sferzò Severus, tenendo a bada il dolore che parlare gli procurava.
Melusine strinse le mani in grembo, mentre quelle parole la colpivano con un’intensità che, per un istante, la spaventò. Trasse un sospiro, calmandosi.
Non riusciva nemmeno a comprendere se quelle parole rappresentavano ciò che l’uomo voleva veramente oppure un modo per condannarsi alla solitudine perpetua, rinunciando ad ogni contatto umano, che non fosse quello delle guardie carcerarie.
Quell’ultima ipotesi le fece provare un’immensa e profonda tristezza, una tristezza simile ad una ferita dolorosa. Quello che temeva, seguendo il suo ragionamento, era che Severus potesse giungere ad allontanare da sé anche Judith, che giungesse a respingere le lettere della bambina ed era qualcosa che non poteva permettere.
«Signor Piton,» iniziò poco dopo, senza riuscire a controllare la tristezza che emergeva dalla sua voce, che emergeva dal suo sorriso tremante. «ho sempre creduto che nessuno meriti di essere privato di qualsiasi contatto umano. E lei meno di tutti. Sta già pagando troppo duramente.»
«Pensavo, signorina Fairchild, che lei fosse dotata di abbastanza intelligenza da capire che la mia pena non è abbastanza dura, se considera ciò che ho fatto.» ribatté l’uomo, osservando con attenzione la giovane ed il suo sorriso triste, una tristezza che ne offuscava il volto.
In quel momento le parve che la signorina Fairchild fosse invecchiata considerevolmente nel tempo in cui l’aveva conosciuta. Aveva distrutto la pace di quella giovane innocente, si disse. Un’altra colpa da assommare al cumulo di colpe che giaceva trionfante sulle macerie della sua vita.
«Le mie parole si basano esattamente su ciò che lei ha fatto, signor Piton, e sapendolo non posso non volere venire a farle visite.» affermò Melusine, con una convinzione di cui forse non si credeva capace, ma il sorriso rimaneva triste ed il volto continuava ad essere offuscato di tristezza.
«Perché vuole continuare ad illudersi in proposito? Posso comprendere le ragioni della bambina, ma lei è un’adulta, signorina Fairchild, e la sua razionalità dovrebbe dirle con forza che io sono un assassino.»
Severus fissò la giovane, con il suo sorrise triste, un sorriso rivolto a qualcuno che non meritava sorrisi, né speranza, né l’affetto di Judith.
Ciò che meritava era il dolore che affliggeva il suo corpo, era la pena che gli avevano comminato i giudici. Meritava l’odio che un giorno Judith avrebbe provato, scoprendo la verità sul suo conto.
Ma non meritava quel sorriso triste, né che quella giovane perdesse il suo tempo venendo in un luogo dove unicamente i colpevoli dovevano stare.
«So che lei era presente quella notte e so cosa ha fatto. Judith non l’amerebbe in questo modo se lei avesse commesso ciò di cui si accusa.» rispose Melusine, continuando a fissare l’uomo negli occhi, occhi in cui avrebbe voluto veder comparire per un istante un barlume di speranza, ma che rimanevano specchio della solitudine e della sofferenza che parevano circondare l’uomo come una muraglia in cui era impossibile fare breccia. «Ed è a causa di ciò che è accaduto che non ritengo di star sprecando tempo venendo a trovarla. Sono ore di riposo che mi spettano di diritto e che voglio spendere in questa stanza.»
Il sorriso della giovane da triste si era fatto più deciso, come la sua voce.
L’uomo si rese conto che la signorina Fairchild era fermamente convinta di quello che diceva e lo sarebbe stata fino a quando su di lei non fossero crollate le rovine dell’illusione che aveva costruito. Eppure v’era qualcosa in quell’insistenza, in quella convinzione, che giunse a sfiorare la corazza della sua solitudine, della sua volontà di ignorare qualsiasi barlume di speranza. E fu forse per quel lieve lucore che voleva soffocare, per poter scontare pienamente la sua pena, che prese una decisione.
E non era la decisione giusta.
«Se ha del tempo da perdere, signorina Fairchild…»
Il volto della giovane si riempì di improvviso sollievo, un sollievo che raggiunse il sorriso e ne illuminò gli occhi. Un sollievo assurdo, si disse l’uomo, come assurdo era l’affetto della bambina. La signorina Fairchild e Judith erano colme di illusione, si illudevano che lui fosse una brava persona, quando egli era soltanto un assassino.
E presto o tardi sarebbe arrivata la disillusione, quando avrebbero compreso quante macchiate di sangue fossero le sue mani.
«Judith ha la varicella e non è ancora riuscita a scriverle.» disse Melusine, senza replicare, se non con un sorriso grato, che però aveva ritrovato parte della tristezza che le riempiva l’anima di fronte alla solitudine a cui voleva costringersi l’uomo. «Ne è terribilmente dispiaciuta, ma vuole scriverle nel migliore dei modi.»
Severus notò il sorriso grato e triste della giovane, un sorriso che non aveva ragione d’essere.
La signorina Fairchild era grata perché non l’aveva costretta a non visitarlo più, triste perché percepiva, forse, l’assenza di speranza.
Una tristezza che non aveva ragione d’essere.
Così come non aveva ragione d’essere il dispiacere di Judith perché non era riuscita a scriverle. I pensieri della bambina avrebbe dovuto essere ben diversi. Avrebbe dovuto pensare a guarire dalla varicella, lamentarsi perché sentiva prurito ovunque, senza nemmeno avere a disposizione una pozione che potesse farle sentire un notevole sollievo, di certo più efficace di qualsiasi medicina Babbana le avessero somministrato.
Invece pensava a lui, al fatto che non riusciva a scrivergli nel migliore dei modi.
Aveva notato in ogni lettera che aveva ricevuto i miglioramenti della bambina e, alle volte, aveva sentito una punta d’orgoglio per quei progressi.
Quasi Judith fosse sua figlia.
Un pensiero orribile.
Tragicamente ironico.
Un pensiero che non avrebbe nemmeno dovuto formulare.
Egli aveva ucciso i genitori della bambina.
Era un carnefice.
Non importava quanto Judith o la signorina Fairchild gli sorridessero.
Quella verità non sarebbe mai cambiata.
E qualsiasi barlume di speranza non era altro che un’illusione.
 
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view post Posted on 24/7/2013, 20:27

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CITAZIONE (Alaide @ 24/7/2013, 16:40) 

Sinfonie.
5. Sinfonia in do minore op 2, n°2.
Primo movimento. Disillusione


Eccolo.
Un passo avanti e tre indietro.
Se non fosse Severus, direi che è quasi un balletto, ma un balletto triste, però.

E' passato del tempo, questa volta niente lettere ma solo un dialogo. Un dialogo in cui si cerca di portare un po' di sollievo a chi di sollievo non ne vuole sentire nemmeno parlare.
Non posso che cercare di sorridere amaramente anch'io e di sperare che prima o poi Severus torni ad aggrapparsi a quel barlume di luce. Già il non aver mandato definitivamente via Melusine è qualcosa. Piccolo, ma c'è.
Resisti alla disperazione, Severus, resistile.

Grazie, Leonora. :wub:
 
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view post Posted on 25/7/2013, 17:31
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CITAZIONE (pingui79 @ 23/7/2013, 21:58) 
Martedì è solo soletto, nessuno vuole tenere compagnia a Severus con un bel sorriso? :)




Prenotazioni per la 29a settimana di Sorrisi per Severus:


Giovedì 25: Ida/Leonora (29)
Venerdì 26: kià
Sabato 27: Ida
Domenica 28: Monica (28)
Lunedì 29: Leonora
Martedì 30:


Riponete il Dolorimetro e sfoderate un bel sorriso!

 
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view post Posted on 25/7/2013, 17:39
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CITAZIONE (pingui79 @ 24/7/2013, 21:27) 
CITAZIONE (Alaide @ 24/7/2013, 16:40) 

Sinfonie.
5. Sinfonia in do minore op 2, n°2.
Primo movimento. Disillusione


Eccolo.
Un passo avanti e tre indietro.
Se non fosse Severus, direi che è quasi un balletto, ma un balletto triste, però.

Ci saranno molti momenti così nei futuri capitoli, passi avanti e passi indietro. E si può effettivamente di un ballo triste (e Severus potrà perdonarci... forse la fanwriter sadica un po' meno :P )

CITAZIONE
E' passato del tempo, questa volta niente lettere ma solo un dialogo. Un dialogo in cui si cerca di portare un po' di sollievo a chi di sollievo non ne vuole sentire nemmeno parlare.
Non posso che cercare di sorridere amaramente anch'io e di sperare che prima o poi Severus torni ad aggrapparsi a quel barlume di luce. Già il non aver mandato definitivamente via Melusine è qualcosa. Piccolo, ma c'è.
Resisti alla disperazione, Severus, resistile.

Le lettere torneranno nel prossimo capitolo, in maniera massiccia. Puoi sperare nella resistenza di Severus alla disperazione oppure in un piccolo passo avanti che cancelli uno dei tre indietro. E adesso taccio, altrimenti svelo troppo.

CITAZIONE
Grazie, Leonora.

Grazie a te, Kià!
 
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view post Posted on 25/7/2013, 21:07
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I ♥ Severus


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N. 29

Titolo: Affetto
Autore/data: Ida59 – 21 aprile 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One-shot
Rating: per tutti
Genere: drammatico, introspettivo, romantico
Personaggi: Severus, Personaggio originale, Minerva
Pairing: Severus/ Personaggio originale
Epoca: Post 7° anno
Avvertimenti: AU
Riassunto: Ricordi, pensieri, parole ed abbracci. E sorrisi. Per una nuova vita. È il seguito di “La visita”.
Parole/pagine: 1625/4.



Affetto



Lentamente Severus sciolse Minerva dall’abbraccio e la fissò, il sorriso ancora sulle labbra sottili mentre con pudica delicatezza le asciugava le guance.
Era strano: aveva sempre creduto che si sarebbe vergognato di quel gesto d’affetto, che Minerva stessa non glielo avrebbe mai permesso; invece anche sulle fragili labbra della vecchia maga aleggiava un tremulo sorriso, ancora incerto ma bellissimo. E il mago era immensamente felice di essere infine riuscito a dimostrarle il suo affetto filiale.
Vi era stupore negli occhi verdi, ancora lucidi di lacrime, per quel gesto inatteso, insperato, ma tanto desiderato. In passato c’erano stati dei momenti in cui Minerva avrebbe tanto voluto abbracciarlo: quando lo vedeva sempre solo ed infelice, quando non mangiava abbastanza, quando si allontanava dal castello per rischiare la vita nelle sue pericolose missioni di spia.
Aspettava sempre sveglia il suo ritorno, in quelle lunghe notti colme d’ansia, proprio come le madri apprensive dei suoi alunni che sempre aveva preso in giro; restava nascosta dietro i pesanti tendoni di velluto della sua stanza osservando il punto della Foresta Proibita dove sapeva che lui sarebbe comparso, dove ogni volta pregava che ricomparisse.
Si ricordava di una notte in particolare: Severus si trascinava a fatica, al limitare della foresta e per ben due volte era caduto in ginocchio. Era stremato, probabilmente ferito. Non poteva restare lì a guardare senza fare nulla. Al diavolo se lui avesse capito che ogni volta spiava il suo ritorno col cuore che le tremava: il suo ragazzo aveva bisogno di lei!

Volò fuori dalla stanza, così com’era, in vestaglia, senza neppure pensare di afferrare il mantello, i lunghi capelli sciolti dalla solita stretta crocchia. In un attimo fu dal lui, col cuore in gola e il respiro mozzato per la corsa. Non aveva importanza: intanto non aveva nulla da dire e Severus non avrebbe voluto che dicesse nulla. Doveva solo sorreggerlo e aiutarlo a tornare nel suo sotterraneo. In rispettoso silenzio, evitando perfino di guardarlo negli occhi per non metterlo in imbarazzo.
Severus lo avrebbe apprezzato. Molto. Non voleva la compassione di nessuno,
il suo coraggioso ragazzo.
Non l’avrebbe mai ringraziata, e non avrebbe neppure mai ammesso di aver bisogno di aiuto. Ma
il suo orgoglioso ragazzo ne aveva bisogno eccome! Il suo corpo magro era scosso da lunghi e profondi tremiti, quasi continui: non era difficile capire che era stato sottoposto a una spietata Cruciatus. Non era neppure la prima volta, né sarebbe stata l’ultima, purtroppo. Ma quella volta doveva essere stata tremenda per aver lasciato quegli evidenti postumi. Minerva ringraziò la sua ordinata previdenza: aveva in tasca una boccetta di Pozione Corroborante, quella speciale, che Severus stesso aveva distillato. Le mani del suo ragazzo, però, tremavano troppo e non ce l’avrebbe mai fatta ad aprirla: svitò il tappo e gliela fece stringere tra le dita.
Non indugiò oltre: Severus non le avrebbe mai permesso di aiutarlo a trangugiarla. Il suo compito era finito, per quella notte.
E l’indomani Albus avrebbe avuto a che fare con lei!


Si era affezionata a quel ragazzo difficile, all’uomo tormentato dai rimorsi, al mago coraggioso che aveva saputo tener testa anche a Voldemort. No, non sapeva del suo amore per Lily: Albus aveva sempre mantenuto il silenzio promesso. Però l’aveva sempre sospettato, da piccoli indizi, pur senza mai averne la certezza; fino alle parole di Harry, fino a quando avevo visto i suoi strazianti ricordi.
Non ricordava di aver mai pianto in modo così disperato come nel momento in cui aveva capito, fino in fondo, chi fosse realmente Severus Piton. Un tragico eroe coraggioso e solitario cui nell’ultimo anno passato aveva rovesciato addosso tutto il suo addolorato odio, tutto il gelido disprezzo della sua delusione quando si era sentita tradita dal ragazzo cui aveva imparato a volere bene come al figlio che non aveva mai avuto.
Era da quel momento che aveva sentito l’improrogabile bisogno di chiedergli perdono: dopo mille insistenze era riuscita a visitarlo al san Mungo, e vederlo disteso su quel letto a lottare contro una terribile morte era stato straziante. Quando la Guaritrice se n’era andata, era crollata, proprio come una donnetta qualunque: gli aveva accarezzato piano il viso rovente di febbre e tra le lacrime aveva cominciato ad implorare il suo perdono.
Perdono per non aver capito nulla, proprio lei che si vantava di saper comprendere gli altri. L’aveva odiato e disprezzato, povero ragazzo, l’aveva lasciato in balia della crudele sofferenza che provava per aver dovuto uccidere Albus. Sì, perché se entrambi soffrivano per la perdita di Albus, il dolore di Severus era sicuramente molto più forte del suo: mille volte si era chiesta come ci fosse riuscito, quanto tremendo coraggio gli fosse costato pronunciare quelle orribili parole di morte, quali lancinanti lacerazioni avesse dovuto infliggere alla propria anima per obbedire al vecchio amico.
Così aveva pianto, a lungo, disperata, pregando che si salvasse, non solo per potergli chiedere perdono, ma anche per dirgli quanto gli voleva bene.
E adesso che finalmente era lì, davanti al suo caro ragazzo, ora che lui l’aveva perfino abbracciata, non riusciva a dirgli nulla, neppure una parola!
Severus, però, la fissava con intensità, le mani ancora delicatamente posate sulle sue spalle, come a proteggerla: gli occhi neri scintillavano e sulle sue labbra sottili era adagiato un sorriso bellissimo, che l’anziana maga non gli aveva mai visto e che faceva risplendere il pallore del suo volto.
- Le parole non servono, Minerva, - sussurrò piano, profondamente commosso, sorridendole con dolce affetto, - le tue lacrime hanno già parlato per te…
E i tuoi pensieri mi hanno rivelato tutto il resto; ma non c’era bisogno che lei lo sapesse, anche se probabilmente lo avrebbe presto intuito.
- Severus…
Il mago rispose solo con il suo silenzioso sorriso.
- Tu e Albus dovevate dirmi di quel vostro folle accordo! – esclamò all’improvviso Minerva con voce carica di dolore. – Non saresti stato così tremendamente solo nella tua sofferenza!
- Dovevi odiarmi, Minerva, come tutti gli altri. – rispose con voce sommessa, scotendo piano il capo. – Anzi, tu più di chiunque altro.
- Benedetto ragazzo… - disse in un soffio sofferto la maga. – Sapessi in questi tre mesi quante volte ho discusso con Albus... con il suo quadro, - un lungo sospiro la interruppe, - e mi ha detto esattamente le stesse cose… - concluse abbassando lo sguardo e scrollando desolata il capo.
Severus osservò il dolore sul vecchio viso che non voleva rassegnarsi all’ineluttabilità di quanto era accaduto.
- Avrei saputo fingere! – esclamò infine la maga, battagliera, rialzando il mento con aria di sfida.
- Avresti veramente saputo farlo, davanti a tutti? Ai Mangiamorte ed agli amici? – chiese Severus, il sorriso che si faceva triste sul suo volto pallido.
Minerva non rispose.
- L’Occlumanzia di alto livello è una disciplina incredibilmente complessa, difficile da imparare e padroneggiare. – spiegò pacato Severus. – È stato Albus il mio maestro: mi impose un lungo allenamento ogni sera, e poi io mi esercitavo fino a tarda notte, sperando così di tenere lontani gli spettri che popolavano gli incubi del mio passato. – aggiunse sospirando. – È solo grazie alla mia rara capacità nell’Occlumanzia se sono rimasto vivo dopo il ritorno dell’Oscuro Signore. – concluse con orgoglio.
Minerva rimase ancora in silenzio ad osservare quel nuovo Severus che con fierezza si svelava ai suoi occhi stupiti.
- Ma più dell’odio che leggevo nel tuo duro sguardo, Minerva, era il tuo dolore che m’addolorava.
La voce del mago si era fatta roca, ma non era la ferita infertagli da Nagini, l’unica causa.
- Vedevo quel dolore nei tuoi occhi, velato dall’odio. Ma c’era. – aggiunse sospirando, il sorriso ormai svanito dalle labbra sottili. – Il dolore d’una madre che crede d’aver perso il figlio. Lo strazio d’una madre che crede che il figlio abbia ucciso il padre…
A quelle parole, Minerva crollò del tutto: Severus aveva capito ogni suo sentimento ed emozione, da sempre. Lei non aveva capito nulla, mentre lui…
Questa volta seguì l’impulso del cuore e lo abbracciò in un gesto istintivo e imprevisto per il mago che si ritrovò stretto tra le braccia di una Minerva sconosciuta, che tra singulti trattenuti a fatica mormorava:
- Severus, ragazzo mio, caro ragazzo
- Vederti soffrire e non poter fare nulla per lenire il tuo dolore, sapendo che solo io potevo realmente farlo, è stato atroce. – mormorò a fatica il mago, la voce soffocata. – Lasciarti soffrire, mentre spudoratamente mentivo davanti al tuo dolore, facendoti soffrire ancora di più, - il mago s’interruppe per un istante, sciogliendosi dall’abbraccio mentre la pena del ricordo dilagava sul suo volto pallido e tirato, – è stata la cosa più difficile, – un nuovo, lungo sospiro colmo di strazio ad interromperlo, - quasi come sulla torre di Astronomia, quella notte…
La voce di Severus divenne un sussurro sottile, pregno d’angoscia. Non riuscì a terminare la frase.
Minerva lo abbracciò di nuovo, lo strinse forte al suo cuore di madre:
- Povero, caro ragazzo mio, - mormorò a fatica, la voce incrinata di pianto, - quanto coraggio, quanto strazio, quanta disperata solitudine nella tua vita…
Severus si sciolse con dolcezza dallo stringente abbraccio e sorridendo di nuovo indicò Elyn: la Guaritrice era sempre rimasta in silenzio ad osservare quel lungo incontro tra due persone che, timorose di mostrare le proprie emozioni, non avevano mai avuto il coraggio di rivelarsi il reciproco, profondo affetto e solo in quel momento erano riuscite ad abbattere la barriera che li aveva tenuti divisi per tanti anni, lasciando che finalmente i sentimenti dilagassero rompendo l’argine.
- Ora sono felice, Minerva. Immensamente felice. - Sussurrò, un raggiante sorriso ad illuminargli il viso, gli occhi neri che scintillavano d’amore. – Ho Elyn al mio fianco. Ho il suo amore, e il suo perdono.
La Guaritrice sorrise: Severus era davvero guarito.
- E il suo meraviglioso sorriso. – terminò Severus in un ardente sussurro innamorato.

Edited by Ida59 - 19/8/2015, 14:26
 
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Titolo: Micizia – Con occhi diversi-prima parte
Autore/data: pingui79 – luglio 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: one-shot
Rating: per tutti
Tipologia: Introspettivo, Fluff, Slice of life
Personaggi: Severus Piton, “nuovo personaggio” (Smile)
Pairing: nessuno
Epoca: post HP7
Avvertimenti: What if
Riassunto: Hai desiderato per tutta la vita essere guardato con occhi diversi, Severus.
Parole/Pagine: 2984/10

***

Con occhi diversi – prima parte



Buio e dolore.
Oscurità e risate.
Notte di luna nuova, notte in cui l’astro notturno assiste alla malvagità umana senza essere visto. Chissà, forse vorrebbe addirittura non vedere, non gli si può dare torto.
Ti manca ogni cosa.
Fiato per respirare, voce per gridare, forze per muoverti.
Puoi solo strisciare.
Sotto la mano sinistra che artiglia la terra, l’erba è umida e fredda.
Il braccio destro è stretto in una morsa letale. Fa male. Fa troppo male da sopportare perfino per te, che da sempre sei stato abituato a resistere fin oltre ogni limite.
E l’Oscuro ride.
Ride di te, della tua debolezza, del tuo strazio.
Ride del tuo essere così chinato, quasi prostrato, suddito a tutti gli effetti che non ha dignità propria, che non possiede più nemmeno se stesso.
Ride e ti fissa con quegli orridi occhi dai bagliori rossastri su un volto serpentino ancora più orrido. In te vede solo una misera pedina e nulla più, un trastullo da gettare via senza rimpianti quando non ci sarà più bisogno, un numero tra i suoi seguaci da considerare sempre e solo inferiori.
Ombre oscure ed immobili stanno all’intorno ma nessuna di esse fiata, il cerchio dei Mangiamorte è al completo e tu per questa notte sei lo spettacolo principale.
Non può essere vero tutto questo, lo senti con ogni fibra del tuo essere. Questa realtà te la sei lasciata alle spalle da un pezzo, Voldemort – oh, sì, vedi che riesci anche a pensare al suo nome senza chiamarlo “Oscuro Signore”? – è morto e sepolto, sconfitto per sempre.
L’amore lo ha vinto, anche il tuo.
Non è vero tutto questo, non è vero, non può essere vero.
Svegliati, Severus, svegliati dannazione!
Il braccio destro continua a dolere e lacrime di frustrazione scendono incontrollate dagli occhi, mischiandosi alla rugiada del terreno.
Se tutto questo non è vero, perché allora fa così tanto male?
Quanto manca per il biglietto di sola andata per la pazzia?
La risata dell’Oscuro Signore si alza di tono, diventando ancora più stridula ed insopportabile.
Con un ultimo barlume di lucidità ti aggrappi ad una speranza sempre più flebile, la mano sinistra affonda nella terra, le unghie scavano alla ricerca di un fondo da cui risalire.
Con un sussulto di forza che non sai da dove provenga, non ti rimane altro che aprire gli occhi di scatto e scalciare con foga il terreno sotto di te.


La sensazione di vuoto ha il potere straordinario di svegliarti del tutto.
In un instante realizzi dove ti trovi.
E comprendi perché i comodini si chiamano proprio così: perché sono comodissimi come appiglio improvvisato. Specie quando si è così tanto in bilico sulla sponda del letto che è impossibile non cadere giù.
Tonfo evitato per un pelo.
Gran bel risveglio, Severus, non c’è che dire.
Un ricciolo di polvere si mostra placido sul pavimento nello spazio tra il piccolo mobile ed il giaciglio.
Sbatti le palpebre, aggrottando la fronte come per studiarlo meglio.
E quello da dove salta fuori?
Ma soprattutto, perché diamine te ne stai ancora così?
Alzati da questa posizione assurda in cui ti sei ritrovato, su!
Ahi!
Il perché è presto detto, così come il gemito incontrollato che ti sfugge tra i denti.
Non puoi fare leva sul braccio destro, non riesci nemmeno a muoverlo, è il sinistro che deve fare tutto ed usare il comodino come punto d’appoggio.
Com’era quel proverbio Babbano?
Chi ben comincia, eh?
Riacquisti una posizione seduta che arrivi almeno alla decenza solo dopo parecchi sforzi e con più di qualche sbuffo di sottile impazienza mista ad indignazione. L’arto informicolato intanto poco alla volta riprende la sensibilità perduta e lo fa con una sgradevole sensazione di mille aghi conficcati al suo interno e che si spostano continuamente senza darti pace, come minuscoli insetti.
Massaggiare dalla spalla in giù, aprire e chiudere la mano più volte per tornare a far circolare il sangue, sono gesti che compi ancora ed ancora.
La vista è un po’ annebbiata per le lacrime piante durante il sonno.
Ti tocchi il viso e non ti stupisci di trovarne le guance bagnate.
Con un sospiro amaro cancelli ogni traccia di quel pianto che ti fa solo rabbia e stringere i denti.
La stanza è ben illuminata – troppo – e fuori il sole è già sorto da un pezzo. Le otto del mattino devono già essere abbondantemente passate.
Non è da te svegliarti a quest’ora. Tu sei amico dell’alba, che sia inverno, estate o qualsiasi altra stagione o giorno della settimana. Hai sempre amato i raggi del primo sole, tenui e quasi timidi, ma così caparbi nel cacciare le tenebre. Ti hanno sempre dato la speranza che la più forte oscurità fosse vincibile anche grazie solo ad un piccolo spicchio di luce impalpabile, che non sarebbe comunque mai stata per te, ma almeno per le persone che negli anni avevi giurato di proteggere.
Un ultimo movimento del braccio finalmente tornato se stesso.
Lui è a posto, ora tocca a te.
No, decisamente non ti piace dormire fino a tardi, ti dà la sensazione di esserti perso qualcosa di importante.
Così come non è da te avere ancora incubi. Quanto tempo è passato dall’ultimo? Giorni… no, settimane, sicuramente più di un mese.
A suo modo anche questa è una vittoria.
Non puoi cancellare il passato con un semplice colpo di spugna, ti devi accontentare di subirlo a piccole dosi.
Indubbiamente è pur sempre meglio di prima.
Però quell’incubo era così vivido, reale e doloroso che nella mano sinistra ti sembra ancora di sentire la consistenza dell’erba.
Inorridisci al solo ricordo.
Ed in bocca il sapore salato delle lacrime che non sei riuscito a nascondere ha un retrogusto amaro, amarissimo, perché no, nel sogno tu quel passato non lo volevi più rivivere.
Così come non lo vuoi adesso.
La pietra tombale del “mai più” è ancora lontana dall’essere posta, l’inconscio trova sempre modi incredibili per aggirare anche la volontà più ferrea.
Anche se questa volta non devi incolpare lui, ma le incredibili associazioni che può fare il cervello umano perfino in stato di sonno.
E, guarda guarda, puoi incolpare anche qualcun altro…
Oh sì, puoi, ora che hai ripreso finalmente il totale controllo di te: respiro normale, battiti del cuore più calmi ed in arrivo una solenne arrabbiatura degna dei tempi che furono.
Lo dimostri con un sopracciglio alzato – anzi no, due – perché è per colpa sua se sei ancora confinato nella parte più estrema del letto, in bilico meglio di un equilibrista.
E che Merlino ti assista se questa volta non ti scappa un rimprovero da manuale.
Smile dorme beatamente al centro del tuo letto.
Completamente disteso, in barba alla proverbiale dote dei gatti di raggomitolarsi fino all’inverosimile.
Al centro.
Disteso.
E di traverso.
Ed il suo stupido padrone nel sonno si è spostato fino al limitare dello spazio ed oltre.
La decisione di non farlo più entrare nella tua stanza è presa in un baleno. La punta di afflizione che senti nascere nel petto la cataloghi velocemente come smanceria inutile a cui ti rifiuti di sottostare, la imbavagli senza pietà e la spedisci lontano senza troppe cerimonie.
Ci sono limiti da non oltrepassare.
Per giunta non l’hai nemmeno sentito salire sul letto… dove sono finiti i tuoi riflessi da ex-spia che dormiva con un occhio solo, perennemente vigile in qualsiasi momento? Ah già, i traditori si sono concentrati per farti spostare senza svegliarti e per farti venire gli incubi.
Altro che spia arrugginita, ti sei proprio mummificato ben bene.
E per giunta ti stai mettendo a parlare a te stesso come un perfetto idiota.
Perfetto.
Chiudi per qualche attimo gli occhi, ti imponi di riordinare le idee e torni ad arrabbiarti con il tuo inquilino.
Certo che…
Inclini la testa, come per studiarlo meglio.
I gatti dormono proprio in posizioni assurde.
Pancia all’aria e zampe posteriori ben stese. Quelle davanti, poi, non sono da meno. Coda dritta e leggermente arricciata sulla punta, simile ad un morbido punto di domanda.
La posizione della resa, pensi subito. La posizione della fiducia, di chi sa che non gli accadrà nulla di male e che si espone così, senza indugio.
Sa che con te può fidarsi.
Sa che di te può fidarsi.
La voglia di fargli una carezza adesso c’è, è una vocina che sussurra impertinente… ammettilo.
Nemmeno per sogno, rispondi in modo rude a te e a lei. Non ora che sei completamente di malumore, colpito e affondato nella tua autorità di padrone di casa.
Ti alzi di scatto e spalanchi la finestra per arieggiare la stanza. Poco t’importa dell’aria fresca che costringe il tuo felino a raggomitolarsi in tutta fretta.
Ti ci vuole infine ogni briciola di autocontrollo che possiedi per non uscire a grandi passi sbattendo la porta.
Quando poco dopo ritorni – hai dimenticato il foulard sullo schienale della poltrona, colpa sua anche questa – tutti i tuoi propositi di rivendicare i tuoi diritti da umano si squagliano come un misero cubetto di ghiaccio in pieno deserto. Sul letto è comparso uno strano bozzolo verde ricamato a motivi geometrici stilizzati. Spalancare gli occhi per l’incredulità, chinarti, osservare tra le pieghe della tua coperta un musetto nero ed un paio di occhi gialli che ti fissano tranquilli è la cosa più naturale del mondo.
«Sono ancora solennemente arrabbiato con te.» borbotti guardandolo bieco, ma il tono di voce che ti esce è più dolce di come vorresti.
Così intabarrato – ma come diamine ha fatto? – Smile scuote energicamente il capo e tira fuori del tutto il muso da quel riparo improvvisato.
Sembra un vermicolo con la nera testolina di un gatto.
Che Hagrid non lo veda mai, per carità.
Non batte ciglio.
Riesce ad alzarsi e mettersi seduto, come ancora non lo sai, e si allunga verso di te fino a quasi sfiorarti il naso con le vibrisse.
È il suo modo di scusarsi, lo conosci.
Ti osserva ricambiato e non miagola nulla.
Attende.
Attende la tua mano che scende lenta a posarsi su di lui e che sorprende anche te.
Solamente te.
Lui no, socchiude gli occhi ed inizia a fare le fusa.
L’arrabbiatura va a farsi benedire con tanto di saluti ed arrivederci alla prossima occasione.
Merlino, Severus, come ti sei ridotto…

*

Odi andare a Diagon Alley.
Con tutto te stesso.
Ma il tuo lavoro da pozionista ogni tanto richiede questo doveroso sacrificio, l’idea di perderti poi per delle ore tra distillati e vapori dei più svariati colori val bene la pena.
Odi camminare tra la gente e sentire ogni sguardo sondarti l’anima al tuo passaggio, come se il tuo privato non fosse già stato reso abbastanza pubblico grazie alla lingua lunga di Potter e ai fiumi d’inchiostro sprecato sulla Gazzetta del Profeta.
Odi le occhiate incredule e le bocche spalancate dei bambini, le cui mamme non hanno nemmeno la buona creanza di insegnare loro che non si indicano le persone e che non si parla di esse a voce alta.
Il tuo mantello svolazzante, fido alleato per incutere rispetto, serve a ben poco.
C’è stato un tempo lontano – un’altra vita – in cui hai desiderato con tutto il tuo essere possedere l’incedere elegante che hai ora per attirare sguardi ammirati e colmi di deferenza. Lo hai desiderato così tanto che hai accettato di cadere nel fango fino a rimanerci invischiato, tossico mortale che ha avvelenato la tua vita ed ucciso quella delle persone che amavi.
Ora di questi sguardi non sai più che fartene.
Non li vuoi.
Non li meriti.
Non hai ancora fatto abbastanza progressi da pensare addirittura di meritare più della vita che possiedi adesso – ed è già tanto – figurarsi l’ammirazione che vedi scintillare negli occhi dei piccoli. Non hai alcun diritto di riceverla.
Gli eroi sono ben altri.
Ti è sufficiente vivere ed andare avanti, vivere e respirare la serenità che ti attende una volta varcata la soglia di casa.
Avresti mai creduto che un giorno avresti pensato con sincerità ad una frase del genere?
No, in tutte le lingue del mondo.
Merlino solo sa quante notti insonni hai fantasticato nella tua fiducia di bimbo ancora intatta, coltivando una speranza che ora è realtà.
Però intanto desideri vivere senza essere sempre osservato con occhi lucidi di commozione o brillanti di maliziosa curiosità.
Hai solamente voglia di essere guardato per quello che sei veramente e nient’altro.
Ma sai che è impossibile.
La maschera che ti nasconde a tutti a volte la indossi anche davanti a te stesso.

*

Qualcosa non va.
Lo comprendi subito, appena entri.
È un sesto senso che raramente ha fallito in passato.
Anzi, mai.
La porta si chiude con uno scatto secco dietro di te, la chiudi a chiave con un veloce incantesimo non verbale.
La stranezza è lì, davanti a te, vicina.
In agguato.
Sorridi.
Anche se non dovresti, vero?
Osi pure darle le spalle per toglierti con tutta tranquillità il mantello. Lo riponi sull’appendiabiti, la mano destra corre alla tasca esterna a prendere la scatolina di ingredienti debitamente rimpicciolita per essere meno ingombrante.
Quando ti volti hai tra le mani un involto di considerevoli dimensioni tornato al suo aspetto normale, ma intanto con la coda dell’occhio non hai smesso di tenere la situazione sotto controllo.
È ancora lì.
Si decide o no?
Non è la prima volta che capita, non sarà di certo l’ultima.
Fai finta di nulla, ma intanto il sorriso non se ne vuole andare. Della scatola poggiata sulla tavola ora t’importa poco, non la apri nemmeno come il tuo solito, proprio tu, perennemente impaziente di osservare con maggior cura gli ingredienti che porti a casa, peggio di un bambino che non vede l’ora di scartare il suo pacco di caramelle preferite.
Con lentezza studiata torni ad assumere la tua espressione truce dei tempi migliori.
Non è lui lo specialista della finzione.
Ti volti, adagio e maestoso.
A braccia conserte ti appoggi allo stipite della cucina, occhieggiando arcignamente un punto imprecisato in basso, poco lontano dai tuoi piedi.
L’essere considerevolmente più alto gioca tutto a tuo favore.
Due occhietti gialli ti fissano curiosi da sotto in su, forse chiedendosi come hai fatto ad accorgerti di loro. Erano così ben nascosti sotto il tappeto del corridoio!
L’agguato non serve più, inutile starsene ancora lì, vero?
Smile smette di stare acquattato. Si siede composto continuando a guardarti con la testa un po’ inclinata, ma sotto quel tappeto a mo’ di cappuccio sembra ancora più piccolo e indifeso.
E buffo, di’ la verità.

Dai, umano… sorridimi un po’. Facciamo la pace?

Il miagolio è basso e lamentoso.
Di quelli che usa quando vuole farsi perdonare qualcosa.
Ed effettivamente da questa mattina ne ha di cose da farsi perdonare.
Il letto occupato, la caduta mancata per un soffio, la ciotola del latte rovesciata nel bel mezzo della cucina e… cosa ancora? Ah sì, come dimenticarlo? Il gufo del Ministro rincorso per mezzo salotto, con gran spargimento di piume e… beh, ci siamo capiti.
Per non parlare del baccano infernale che ne è venuto fuori.
Hai dovuto rispondere a Kingsley dall’ufficio postale di Diagon Alley, assicurandogli che gli avresti rispedito il pennuto solo dopo esserti accertato delle sue condizioni più che ottime.
Però gli hai taciuto che è stato il tuo gatto.
Ovvio, per il quieto vivere non è sempre necessario raccontare tutto.
Avresti ancora parecchi motivi per essere arrabbiato con questo batuffolo di pelo… ma a che scopo, poi?
Non servirebbe a nulla.
Lui tornerà a fare quel che gli pare e tu finirai per diventare ancora una volta più morbido di un budino.
È una legge non scritta che ti è stata imposta non appena hai accettato la sua presenza in questa casa.
Le braccia incrociate sono ancora al loro posto.
Le labbra no, non riescono più a rimanere serrate in un cipiglio di rimprovero sotto quello sguardo supplichevole che persevera.
Smile esce dal suo nascondiglio e ti zampetta vicino, miagolando altre scuse.
Di sicuro non conduci una vita monotona, da quando è arrivato qui, questo è poco ma sicuro.
Ti struscia la testa sui pantaloni, fa il girotondo attorno alle gambe attorcigliandovi la coda. Non smette di guardare in su, verso di te.
Non puoi più rimanere arrabbiato con lui, ora comprendi.
E d’improvviso vorresti piangere di sollievo.

I suoi occhi non vedono il bambino che aveva tanta fame di affetto.
Non vedono il ragazzo deriso da tutti e deluso da una vita ingiusta.
Non vedono nemmeno l’uomo che ha ucciso e che si è straziato di lacrime mai mostrate al mondo, la perfetta pedina da far scendere in campo, per il male od il bene che fosse.

Vedono solo l’umano, quello che tra un rimprovero borbottato e l’altro si china a fargli una carezza sulla testa, che alla sera si siede sul divano e si lascia cullare dal suono delle fusa, da un buon libro e dal caminetto acceso, ogni tanto anche da un buon calice di vino elfico. Vedono l’umano che nel sonno si sposta per fargli spazio sul letto, anche se poi rischia di cadere giù.
Vedono il suo umano.

Lui è l’unico che ti guarda come vorresti, anche quando miagola con insistenza e ti fa certe furbe espressioni da gatto disperato degne di un vero attore consumato.

Sorridi, e niente più braccia incrociate.
Sorridi e t’inchini.
Sospiri.
Quasi t’inginocchi.
Ma questa volta, ora, la tua dignità è più in piedi che mai.

Tra i tetti delle case, dall’altra parte della strada, il sole s’avvia verso il tramonto.
Raggi pallidi, dai riverberi freddi come l’inverno che è quasi alle porte, entrano dalla finestra della cucina, illuminano il tavolo e l’asola di corda con cui è chiusa una scatola completamente ignorata a favore di un gatto.

Hai desiderato per tutta la vita di essere guardato con occhi diversi, Severus.

Smile s’alza sulle zampe e s’appoggia alle tue ginocchia, come per osservarti più da vicino.
Le unghie graffiano un po’ per aggrapparsi meglio, ma non le senti nemmeno.

Gli unici che hanno saputo accontentarti sono due simpatici occhi gialli felini.

Edited by pingui79 - 26/7/2013, 18:35
 
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CITAZIONE (Ida59 @ 25/7/2013, 22:07) 

Affetto


Finalmente tutte le parole - o quasi - vengono dette.
Finalmente il peso sul cuore è tolto, finalmente l'uno è libero di abbracciare l'altra senza più timori, senza più dolore come maschera a nascondere le vere intenzioni.
Il dialogo tra Minerva e Severus è intenso e commovente, la rievocazione del passato è da groppo alla gola, il sorriso finale è il giusto sospiro di sollievo. :wub:
Sono molto felice per il tuo Severus, cara Ida. :)
 
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Per chi ancora non lo ha fatto: inviate le vostre storie a MSS se sono complete!



Edited by Ida59 - 19/8/2015, 14:26
 
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Incanto

Verghi parole
di mistero ricolme;
nuovo incanto
nasce sicuro nel tuo
dolce sorriso d’amor



Edited by Ida59 - 19/8/2015, 14:27
 
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CITAZIONE (Ida59 @ 27/7/2013, 15:20) 

Incanto

Verghi parole
di mistero ricolme;
nuovo incanto
nasce sicuro nel tuo
dolce sorriso d’amor


Incantevole questo incanto! Lo so, è un farfugliante gioco di parole ma è così suggestivo e misterioso quel sorriso. :lovelove:

Con occhi diversi - prima parte di Kià

Smile è eccezionale, almento quanto te che riesci a farmi ridere e commuovere in contemporanea.
Severus mi ha spaventato all'inizio, dolore, disperazione e io che continuavo a ripetermi: non è possibile, ma che cavolo sta scrivendo Kià?
Insomma sono stata un po' in pena, poi, quando la verità si scopre ho riso di gusto, anche perchè il tuo stile è diventato sarcastico- ironico con una punta di sano umorismo, quasi come quello di Severus.
Ti stai Severizzando???
Bella la storia e tenera: c'è qualcosa di struggente in tutto il racconto, che è leggero, ma anche ricco di memorie e introspezione espresse con una vena di amarezza che lascia il lettore commosso e stupito.
La lingua italiana non ha segreti per te! Sapessi quanto ti invidio.
Bravissima.

Edited by Ida59 - 19/8/2015, 14:27
 
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Solo oggi sono riuacita a leggere, con un pochino di calma, i vostri bellissimi commenti; lieta che abbiate particolarmente gradito l'accoppiata con Minerva: doveva essere una sola storia, ma i due personaggi hanno preteso molto più spazio e ho dovuto per forza accontentarli...

Prometto di rispondere a tutti quanti, ma mi ci vorrà del tempo e non so se riuscirò a farlo quando sarò al mare, perchè credo che dormirò moltissimissimo per recuperare tutta l'attuale stanchezza.
Ma lo farò, statene certe. Intanto, vi ringrazio.


Edited by Ida59 - 19/8/2015, 14:28
 
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view post Posted on 27/7/2013, 17:31

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CITAZIONE (chiara53 @ 27/7/2013, 16:17) 
Con occhi diversi - prima parte di Kià

Smile è eccezionale, almento quanto te che riesci a farmi ridere e commuovere in contemporanea.
Severus mi ha spaventato all'inizio, dolore, disperazione e io che continuavo a ripetermi: non è possibile, ma che cavolo sta scrivendo Kià?
Insomma sono stata un po' in pena, poi, quando la verità si scopre ho riso di gusto, anche perchè il tuo stile è diventato sarcastico- ironico con una punta di sano umorismo, quasi come quello di Severus.
Ti stai Severizzando???
Bella la storia e tenera: c'è qualcosa di struggente in tutto il racconto, che è leggero, ma anche ricco di memorie e introspezione espresse con una vena di amarezza che lascia il lettore commosso e stupito.
La lingua italiana non ha segreti per te! Sapessi quanto ti invidio.
Bravissima.

Ma grazie!
No, non mi sto Severizzando, è la storia che lo richiede: qui il dolorimetro deve bilanciarsi bene con la nuova vita serena e non riesco a non essere sarcastica con il mio Severus. :lol:

Smile piace anche a me (peccato che esista solo nella mia fantasia, sigh!), perchè riesce sempre a tirare fuori il meglio dal nostro Potion Master, a modo suo ovviamente, altrimenti dove sarebbe il divertimento? :D

Grazie tante tante (sappi che però la lingua italiana non concorda con quanto detto -_- ). :wub:
 
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kijoka
view post Posted on 28/7/2013, 20:32




Nr. 28

Autore/data: Kijoka – 22 luglio 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One shot
Rating: per tutti
Genere: introspettivo
Personaggi: Severus Piton
Pairing: nessuno
Epoca: Post Malandrini
Avvertimenti: Missing moment
Riassunto: L'inizio di una nuova vita?
Parole/pagine: 978/2.




Il professore di Pozioni

Il freddo dell'ambiente non lo respinse.
Per contro inaspettatamente lo accolse in un abbraccio quasi fraterno.
Differente eppure sempre uguale.
Quante volte era entrato là dentro... e da quanto tempo non lo faceva più!
Tutto sembrava identico, come nei ricordi, così nella realtà, eppure profondamente diverso.
Tavoli possenti e mensole disordinate, appena illuminati da fioche torce.
Una patina di polvere rendeva opachi, e quasi finti, i barattoli appoggiati alla rinfusa sugli scaffali.
Era riuscito a scendere nei sotterranei solo a notte fonda.
Voleva essere solo e lasciarsi andare ai ricordi senza testimoni più o meno ingombranti.
Il silenzio era quasi irreale.
Gli sembrò che anche solo il suo respiro potesse generare un eco senza fine.
Le labbra si stirarono appena, in un lievissimo e quasi impercettibile sorriso.
Pace.
Niente urli, nessun fruscio sospetto, nessun sussurro cospiratore.
Forse qui i muri potevano non avere orecchie...
Il pensiero gli provocò una tensione profonda e la bacchetta volò quasi da sola tra le sue dita, mentre le parole gli eruppero dalla gola senza controllo.
In pochi momenti la stanza fu davvero sicura.
Sospirò appena, senza capire davvero quale sentimento avesse preso il sopravvento tra tutti quelli che gli si agitavano nel cuore quella notte.
Ora quella sarebbe diventata la sua casa.
Il pensiero nato improvvisamente gli procurò una pungente tristezza.
Un tradimento gli aveva aperto le porte per l'assoluzione.
Scosse piano la testa mentre aiutò l'anima a tornare di pietra.
Non c'era tempo per i sentimentalismi.
Aveva sbagliato e doveva rimediare, al più presto, con ogni mezzo, velocemente e con tempestività.
Lasciarsi andare non avrebbe aiutato nessuno e avrebbe potuto aumentare il pericolo.
Era arrivato fino a questo punto e d'ora in poi sarebbe stato sempre più difficile seguire la strada che si era lui stesso assegnata.
Spiare Hogwarts per restare ad Hogwarts, riferire al Signore Oscuro ciò che Silente desiderava sapesse.
In tutto questo trovare il modo di salvare la persona che era tutto il suo mondo, senza morire nel tentativo.
O almeno non prima di esserci riuscito.
Un calpestio nel corridoio.
I lunghi capelli scuri fendettero l'aria mentre si girava di scatto verso la porta, impugnando con forza la bacchetta.
Un rumore improvviso riusciva sempre a tendere i suoi nervi allo stremo e le reazioni erano guidate solo dall'istinto.
Silenzio.
Nessuno.
Forse solo un inserviente a pattugliare i corridoi a quell'ora di notte...
Si rilassò quel tanto che permetteva ai suoi muscoli di smettere di dolere.
Senza perdere di vista la porta fece due passi più in là, poggiando la mano sulla superficie scabra del freddo muro di pietra.
La stoffa liscia della giacca gli carezzò la fronte, mentre piegava il viso posandolo sul braccio.
Trattenne il fiato e cercò di calmarsi.
Lì era al sicuro.
Il vecchio mago lo aveva infine preso sotto la sua ala protettrice.
Silente era forte e il Signore Oscuro lo temeva, lo sapeva per certo.
Cercò di immaginare il suo prossimo futuro, affondando gli occhi nell'incavo del braccio fino a che il dolore non lo fermò.
Doppio gioco.
Questo era il termine esatto per ciò che si apprestava a fare.
Il suo Padrone di poco tempo prima l'aveva premiato esonerandolo dalla pura manovalanza e l'aveva promosso a spia presso il suo peggior nemico.
Un regalo cercato, ma ora profondamente disprezzato per come l'aveva avuto!
Tornò in posizione eretta con una smorfia di disgusto dipinta sul volto affilato.
Il suo nuovo padrone invece aveva in fondo deciso per lui e gli aveva assegnato questo nuovo compito.
Il sorriso ironico che gli spuntò sul viso la diceva lunga su quanto si prendeva sul serio.
Professore di pozioni.
Lui, proprio lui che aveva sempre pensato che non sarebbe mai più tornato ad Hogwarts!
Proprio lui che a scuola tutti prendevano in giro e cui non attribuivano nemmeno un grammo di affidabilità!
Ironia della sorte: forse proprio qui avrebbe potuto dimostrare il suo vero valore.
Che fosse davvero questa, originariamente, la sua strada?
Silente lo aveva informato che avrebbe potuto essere una magnifica copertura: la sua innata abilità avrebbe potuto aiutarlo.
La realtà era che sarebbe diventato uno dei più giovani professori che la scuola di Magia avesse mai avuto!
Ma a che prezzo?
Gli occhi scuri lampeggiarono tutto attorno.
C'era così tanto lavoro da fare, ma non ne aveva il tempo.
C'erano piani da studiare, difese da predisporre, cospirazioni da anticipare.
Osservò lentamente la solitaria scrivania e il massiccio tavolo da lavoro, colmo di ogni tipo e forma di recipienti.
Più lontano il vecchio armadio semi aperto, che mostrava scaffali straripanti dei più vari ingredienti.
Il magro dito chiaro sfiorò il piccolo contenitore di vetro trasparente.
Un gesto semplice che, con un brivido, fece volare i pensieri.
Tensione, ansia, profonde aspettative e speranza.
Quanto assomigliava la sua vita a quella fragile provetta?
Pronta a essere colmata di significato, fosse esso una pozione per la caduta dei capelli, un intruglio per una pozione d'amore o una mortale soluzione ai problemi altrui...
Eppure così fragile da essere spezzata con solo un piccolo movimento inconsulto.
Aveva perso il suo contenuto, la sua anima, vendendo chi amava al suo padrone...
Il contenitore sarebbe rimasto per sempre vuoto, fragile e preda del nero destino che lo attendeva.
Deglutì con amara consapevolezza le lacrime che gli pungevano le palpebre.
La stanza confinava coi suoi nuovi alloggi.
Pericoloso lasciare che l'ingresso fosse visibile.
Con veloci falcate raggiunse l'altra stanza. Sigillò l'ingresso con tutti gli incantesimi che conosceva.
Dimenticare le speranze e pianificare tattiche.
Niente altro avrebbe dovuto essere ora al centro dei suoi pensieri.
Doveva essere pronto.
Il ricatto non era ancora stato progettato e lui sapeva che quel momento sarebbe arrivato.
Si guardò intorno e spense il fuoco, che crepitava allegro nel camino.
Il freddo avrebbe di nuovo smorzato i sentimenti e gli avrebbe permesso di temprare la mente fino a renderla affilata come un pugnale.
Un nuovo Severus era appena nato.

Edited by Ida59 - 19/8/2015, 14:28
 
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view post Posted on 29/7/2013, 08:02
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Autore/data: Alaide – 12 - 14 maggio 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One-shot
Rating: per tutti
Genere: Drammatico, Introspettivo
Personaggi: Severus Piton, Personaggio originale
Pairing: nessuno
Epoca: Post 7° anno
Avvertimenti: AU
Riassunto: E la bambina, ancora una volta, gli sorrideva, di quel sorriso dolce e riconoscente che sapeva di non meritare.
Un sorriso così diverso rispetto a quello della sorella maggiore, quel sorriso teso e preoccupato che le offuscava il volto impaurito.
Nota: E’ il seguito di Domande
Parole: 1432

Klavierstücke
5. Sollievo


Parigi, 10-11 marzo 2000


«Ho provato a cercare notizie su due ragazze sole, di cui una cieca, ma non ho saputo nulla. nessun articolo su Le Monde de la Magie, né su un giornale magico locale.» disse Damien de la Roche. «Probabilmente sono veramente sole al mondo e nessuno ha potuto denunciarne la scomparsa. Yseult ha cercato anche nei giornali Babbani, ma nulla.»
«Avrebbe potuto tacere con sua figlia.» affermò Severus infastidito.
«Non avrei mai potuto nasconderle qualcosa. D’altronde Yseult potrebbe occuparsi di Anne ed Heloïse, quando sono sole. Sta studiando per insegnare nella neonata École Primaire Magique e sono certo che le farà piacere avere a che fare con una bambina.» affermò il Guaritore, prima di riprendere in mano gli appunti riguardanti Anne. «Alla bambina rimangono due mesi di vita. Lo temevo già dopo la mia prima visita. Ora ne sono certo.»
Severus annuì soltanto, ma sapeva che quelle parole implicavano che Anne sarebbe morta, che non sarebbe riuscito a salvarla, che sarebbe divenuta un’altra vittima innocente, un’altra persona morta a causa sua.
«Sono però ottimista circa il risultato della nostra ricerca. Le modifiche fatte alla pozione tradizionale hanno già dato i loro risultati.» aggiunse l’uomo con un sorriso fiducioso.
Era stato uno di coloro che aveva proposto il nome di Severus Piton al Centre de Recherche, poco dopo che era stato pubblicato un trafiletto su Le Monde de la Magie che annunciava che l’uomo era stato dimesso dal San Mungo.
Era stato sorpreso, però, che Piton avesse accettato, lasciando il paese per cui aveva tanto lottato, ma forse là non v’era più nulla per lui o la prospettiva di lavorare nel miglior centro di ricerca del Mondo Magico l’aveva convinto.
A Damien poco importava.
Si fidava del pozionista e delle sue capacità ed era certo che quella bambina avesse una reale possibilità di guarigione.
«Aumentando il dosaggio e cambiando l’ordine degli ingredienti abbiamo solo ottenuto di prolungare l’effetto della pozione originaria.» ribatté cupamente Severus.
«Con minor sofferenza per i pazienti.» affermò il Guaritore. «Se fossimo dei ricercatori Babbani non avrei altrettanta fiducia nella possibilità di trovare una cura in così poco tempo, ma due mesi potrebbero essere sufficienti. Ed io voglio crederlo.»
Severus non disse nulla. Sapeva, dalle voci che aveva carpito alla Cité de la Magie, che l’adorata moglie del Guaritore era morta di quel male e soltanto la buona sorte aveva impedito che la figlia lo ereditasse. La determinazione di de la Roche nasceva forse dal senso di colpa per non essere riuscito a concludere la ricerca allora.
Ma il suo ottimismo, in quel momento, era malriposto.
Quella fiducia in lui e quel sorriso fiducioso erano malriposti, perché Severus era convinto che ancora una volta non sarebbe riuscito a salvare un’innocente.


Anne sedeva con la schiena appoggiata ai cuscini, nel letto di quella che era diventata la sua nuova stanza, ed osservava preoccupata la sorella maggiore. Heloïse sembrava non voler fidarsi di Monsieur Piton, quando lei provava la massima fiducia in lui.
Le aveva dato quella pozione che la faceva sentire meglio e le permetteva di riposare.
Aveva accolto lei e sua sorella sotto il suo tetto senza porre loro troppe domande.
Aveva scoperto la cecità di Heloïse e non aveva nemmeno pensato per un istante a separarle.
E lei gliene era grata. Un pensiero che fece sorgere un sorriso colmo di sollievo sul suo volto.
Ma Heloïse era guardinga e pareva non volersi fidare né di Monsieur Piton, né di Monsieur de la Roche.
«Heloïse, quanto credi che ci farà restare?» domandò infine.
«Non lo so, Anne.» rispose solamente la sorella maggiore.
Non sapeva cosa desiderare realmente. V’erano stati momenti, in quei giorni, in cui avrebbe voluto fidarsi di Monsieur Piton, in cui avrebbe voluto dirgli tutto. Ma, per la maggior parte del tempo, si era detta che non doveva fidarsi di lui, che non poteva fidarsi di nessuno.
Quando la porta si aprì, la ragazza si alzò in piedi e si portò accanto al letto della sorella. Aveva ormai memorizzato la disposizione della stanza e riusciva a muoversi bene.
«La tua pozione.»
Severus fu accolto dal sorriso fiducioso di Anne che prese in mano la pozione e la bevve rapidamente, rendendogli l’ampolla vuota.
«Grazie, Monsieur.» disse la bambina sorridendogli sempre. «Stanotte non mi sono mai svegliata. Lo chieda anche ad Heloïse.»
La ragazza si affretto ad annuire rapidamente, ma era tesa e preoccupata. L’uomo voleva unicamente delle risposte, come aveva detto? Oppure avrebbe richiesto il prezzo, un prezzo terribile, che avrebbe pagato se questo equivaleva al benessere di Anne?
A quanto pareva, si disse Severus, l’ulteriore lieve modifica apportata alla pozione aveva portato i frutti sperati.
Minor dolore, per quanto la malattia fosse ben lungi dall’essere debellata. E Severus era certo che quell’ingrediente non potesse essere sfruttato maggiormente. Dopo analisi di mesi, iniziate al suo arrivo a Parigi, nel febbraio dell’anno precedente, era giunto alla conclusione che il segreto di una cura, sempre che esistesse, risiedeva negli ingredienti dell’unica pozione che quietava, per brevi periodi, i sintomi di quel male.
«Monsieur de la Roche ti attende in soggiorno.» disse l’uomo.
E la bambina, ancora una volta, mentre usciva dalla stanza, gli sorrise, di quel sorriso dolce e riconoscente che sapeva di non meritare.
Un sorriso così diverso rispetto a quello della sorella maggiore, quel sorriso teso e preoccupato che le offuscava il volto impaurito.
«Ci sono domande a cui mi devi la risposta.»
Heloïse si torse leggermente le mani. Sapeva che la delazione ottenuta alcuni giorni prima stava giungendo al termine. Ma lei non voleva rispondere.
Non poteva.
«Da quanto tempo è malata tua sorella?»
Severus osservò la ragazza. Il sorriso disperato, gli occhi umidi di lacrime, il terrore. Tutto era presente sul volto pallido di Heloïse. Erano sentimenti che aveva visto troppe volte, mentre indossava la maschera di Mangiamorte.
Sentimenti che avevano preceduto sofferenza e morte.
«Da un anno, credo.» mormorò piano la ragazza.
Quella era una domanda facile, per quanto dolorosa. Ricordava il giorno in cui si era accorta che Anne stava male come lo era stata la mamma.
«Perché non è stata curata come avrebbe dovuto?» la incalzò Severus.
Era certo che Anne non sarebbe tornata nella stanza. Monsieur de la Roche aveva portato con sé la figlia perché la bambina si abituasse alla sua presenza. A malincuore aveva accettato la proposta del Guaritore, unicamente perché non si fidava a lasciare le due sorella sole.
«Monsieur io…» Heloïse deglutì a vuoto. Non poteva rispondere a quella domanda. Se avesse risposto, ne sarebbero arrivate altre e lei non voleva che queste arrivassero. «… non posso… la prego. Chieda qualcos’altro in cambio. Potrei…» la ragazza tremò, mentre lacrime copiose le rigavano il volto e le labbra tremavano in un sorriso colmo di terrore. «… qualsiasi cosa, ma non… Anne, l’importante è che Anne stia meglio e quella pozione la fa stare meglio… e so che questo ha un prezzo, lo so. Farò qualsiasi cosa lei voglia.»
«Ti ho già detto cosa voglio.» disse l’uomo, osservando la ragazza che sembrava un animale ferito e braccato, una creatura sofferente, d’una sofferenza che si era augurato di non vedere più dopo la fine della Guerra Magica. «Risposte. E tu me ne hai appena data una.»
Il volto di Heloïse si riempì di stupore. Forse Monsieur Piton era veramente una brava persona, forse poteva fidarsi di lui, forse avrebbe potuto, un giorno, rispondere alle sue domande.
Sulle sue labbra comparve un sorriso sollevato e tremante, il sorriso di chi pensa che sia accaduto qualcosa di inaspettato.
Un sorriso che disse a Severus della disperazione della ragazza e della sua sete di pace.
Un sorriso che gli fece comprendere la sofferenza di Heloïse ed il suo bisogno di essere rassicurata, per quanto quella rassicurazione venisse da lui che aveva le mani lorde di sangue.
Un sorriso che gli fece capire quanto la ragazza volesse aver la forza di fidarsi ancora.
«Ma non ho veramente risposto.» obiettò Heloïse con voce strozzata, cercando di comprendere il comportamento dell’uomo, tentando di convincersi che forse lì non c’erano pericoli.
«Lo hai fatto.» affermò unicamente Severus, notando che il sorriso della ragazza esprimeva sollievo.
Un sollievo accompagnato da lacrime che parevano non avere disperazione e terrore in loro.
Ad Heloïse parve, per un istante, di riuscire a sentire un sentimento simile alla sicurezza, una sicurezza che non provava da tempo.
E per un attimo si disse che l’uomo meritava la sua fiducia, perché era riuscito a scacciare la paura, perché non le aveva mentito.
Sapeva che la paura sarebbe tornata, ma, in quel momento, voleva assaporare quel momento di quiete, in cui si sentiva protetta.
 
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