Il Calderone di Severus

N.13: Un anno di sorrisi per Severus

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ellyson
view post Posted on 16/12/2013, 10:00 by: ellyson
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n. 40

Titolo raccolta: Eligis tuum iter (scegli ciò che desideri)
Titolo di questo sorriso: Peccato che sia un Potter

Autore: Ellyson
Beta: Querthe
Tipologia: one shot
Rating: Per tutti
Genere: Triste, introspettivo, Malinconico
Personaggi: Hermione Granger, Severus Piton
Pairing generale della raccolta: Severus / Hermione, accenno a Severus / Lily
poca: post battaglia finale
Avvertimenti: AU
Riassunto:
Avevano iniziato a frequentarsi. Senza promesse di amore eterno, senza stucchevoli parole dolci, senza pensare al futuro, senza pensare troppo al passato.
Vivendo solo nel presente. Vivendo in ogni bacio, in ogni carezza, in ogni notte di passione.

Parole: 1849

Peccato che sia un Potter

Giugno 1999
Hogwarts, Sala Grande
mattina.



- Hermione Jane, Granger.
Un forte applauso rimbombò nella Sala. Mentre Hermione stringeva la mano della professoressa McGranitt e ritirava il suo diploma di M.A.G.O. un fischio acuto tagliò l'aria. Si voltò sorridente notando tutta la famiglia Wealsey e Harry in piedi ad applaudirla. Perfino Ron le sorrideva.
Arrossì per quella dimostrazione di affetto, mostrò la sua pergamena con orgoglio sorridendo a quella chiassosa famiglia che aveva imparato a considerare come propria, poi si voltò verso il lungo tavolo dei professori e iniziò a stringere le mani di tutti.
Ognuno di loro si complimentò per il suo successo negli studi, tutti le offrirono credenziali per qualsiasi carriera desiderasse intraprendere.
Quando arrivò all'altezza di Severus, che per l'occasione aveva preso posto al centro del tavolo come Preside, restò qualche secondo più del necessario.
Gli strinse la mano e gli sorrise.
Da quando aveva bussato alla sua porta a Gennaio, le cose erano decisamente cambiate. Avevano parlato tutto il pomeriggio e tutta la notte.
Avevano confrontato i rispettivi ricordi e sensazioni.
Alla fine si erano baciati. Nel salotto della sua casa, sul divano color crema.
Dal divano al letto il passo era stato breve e del tutto naturale.
Avevano iniziato a frequentarsi. Senza promesse di amore eterno, senza stucchevoli parole dolci, senza pensare al futuro, senza pensare troppo al passato.
Vivendo solo nel presente. Vivendo in ogni bacio, in ogni carezza, in ogni notte di passione.
Era bello. Un bel sogno.
Ma Hermione sapeva che ogni sogno ha una fine e lo vide quella mattina, mentre gli stringeva la mano. Ormai da donna libera, senza più il vincolo della scuola, con il suo diploma stretto nell'altra mano.
Vide quello sguardo cupo, pensieroso mentre lui ricambiava il saluto e le faceva le congratulazioni. Era freddo, distaccato.
Hermione capì che voleva lasciarla.

* * * *


Giugno 1999
Villaggio di Hogsmeade, casa di Minerva
primo pomeriggio



Severus entrò in casa aspettandosi il chiasso tipico della famiglia Weasley. Ormai vi era abituato, da quando lui ed Hermione avevano iniziato a frequentarsi i Weasley ne erano stati messi al corrente, così come Minerva. Hermione non voleva segreti e lui non si era ribellato, condannando così le sue Domeniche ai pranzi interminabili alla Tana, alle chiacchiere con Arthur sui babbani e alle sue domande sull'utilizzo di un televisore o un citofono. Senza dimenticare i sorrisini maliziosi di Minerva.
Si aspettava una casa piena di teste rosse sorridenti.
Invece era silenziosa e calma.
Sembrava la calma che preannunciava la tempesta.
Hermione sedeva sul divano, sembrava aspettarlo, calma e pacata con le mani in grembo.
Ormai donna, non più solo una studentessa, libera di vivere una vita vera, intensa e ricca d'amore.
Una vita che lui non sapeva offrirle.
Si chiuse la porta alle spalle e lei si voltò.
- Dove sono gli altri? - domandò come se si aspettasse di veder spuntare da una tenda una zazzera rossa.
- Alla Tana. - rispose lei senza muoversi – Ho chiesto loro di aspettarmi lì. Li raggiungerò dopo.
Stava parlando al singolare, ma Seveus fece finta di niente.
- Hermione...
- Mi vuoi lasciare?
La domanda così improvvisa non lo colse alla sorpresa, era una strega brillante, intuitiva ed intelligente.
- Sì. - rispose solamente.
Si aspettava, invece, delle lacrime o un lungo discorso, forse qualche urla.
Invece Hermione fece un mezzo sorriso, come se non si aspettasse altro e si alzò dal divano.
Era sempre in grado di stupirlo.
- Perché? - gli domandò.
- Hai una vita da vivere. Io sono solo un intralcio.
- Vuoi sempre fare il martire. – sussurrò con un sorriso ironico.
- Mi ha contattato Kingsley. - la vide sussultare sorpresa – Mi ha detto che hai rinunciato ad un'opportunità di lavoro che capita a pochi maghi nella vita. L'hai fatto per me?
Hermione sollevò il mento con aria di sfida.
- E se anche fosse?
- Hai rinunciato già a troppo per me, Hermione.
- Questo non puoi saperlo.
- Ma io lo so. Lo so bene a cosa hai rinunciato per me! - si stava infuriando, possibile che non capisse che lo faceva solo per il suo bene? - Sei quasi morta! Hai macchiato la tua anima con la magia oscura! Hai lasciato la tua famiglia! Tutto per causa mia. Ora tu devi vivere. Lo faccio per il tuo bene!
Hermione si passò una mano tra i capelli che, per l'occasione, aveva domato e trasformato in una cascata di morbidi ricci castani.
Era strano, ma li preferiva quando erano indomabili.
- Quindi tu mi stai spezzando il cuore per il mio bene.
- Un giorno capirai. - le disse – Un giorno mi ringrazierai.
La strega si avvicinò. Severus pensò che volesse accarezzarlo, abbracciarlo, baciarlo per fargli cambiare idea. Invece lei gli passò accanto e lo superò.
- Io ti amo Severus. - gli disse – E sono certa che anche tu mi ami, ma non sei pronto a dirmelo o ad accettarlo. Sappi che io ti aspetterò. Nonostante tutto io ti aspetterò.
La sentì uscire dalla porta e smaterializzarsi, lasciandolo solo in quella casa invasa dalla luce del sole.

* * * *


Aprile 2005
Londra, Ospedale San Mungo
reparto maternità



Alla fine Potter si era riprodotto.
Il mago sperò vivamente che si fermasse a uno. Non sapeva quanti Potter poteva sopportare il mondo e il suo spirito.
Un Potter in più sulla terra era già di troppo per lui.
Già malediva il giorno in cui quel moccioso avrebbe attraversato il portone della scuola.
Guardava i neonati attraverso il vetro della nursery. Si era recato al San Mungo con la banale scusa di accompagnare Minerva.
Nessuno gli aveva creduto.
Era lì per Hermione, perché voleva vederla.
E tutti lo sapevano.
Fortunatamente aveva ancora un briciolo di dignità e nessuno aveva avuto il coraggio di farglielo notare.
Non era entrato nella camera della neomamma, si era limitato ad osservare con un sopracciglio pericolosamente inclinato Minerva che si soffiava il naso dentro un fazzoletto di tessuto scozzese mentre entrava nella piccola stanza d’ospedale.
Aveva aspettato un po’ sulle scomode poltrone in corridoio, dopo pochi minuti, che a lui parvero vite intere, decise che se doveva attendere in quel corridoio con i muri dipinti con tenui colori pastello, donne col pancione e neopadri in lacrime aveva bisogno di un caffè talmente forte da poter scrostare i calderoni.
Nonostante la sua vita trascorsa nei tortuosi sotterranei di un maniero secolare e un senso dell’orientamento invidiabile, il reparto di maternità del San Mungo lo disorientava. Svoltando per la terza volta ad un angolo che era uguale agli altri angoli color pastello si era definitivamente perso.
Si era ritrovato, suo malgrado, davanti al vetro della nursery che divideva i neonati dai germi degli adulti. Si ritrovò a fissarli senza neppure rendersene conto, era probabile che avrebbe rivisto la maggior parte di loro tra undici anni, infreddoliti e spaventati mentre attendevano lo smistamento.
La vita era andata avanti. Il mondo era guarito dalle vecchie cicatrici.
Eppure lui era ancora fermo nello stesso punto. Nello stesso luogo a fare le stesse cose. E le sue cicatrici, seppur guarite, a volte facevano ancora male.
Fece una piccola smorfia quando riconobbe il piccolo Potter. L’unico neonato ad avere un ciuccio quasi più grosso della faccia, si agitava con gli occhietti ancora ciechi spalancati quando i suoi vicini di culla dormivano beatamente senza fare rumore.
Senza contare il nome che quel suo padre degenere gli aveva appioppato.
E lui che pensava che il suo nome fosse brutto.
- So già che mi darai parecchio filo da torcere. - sussurrò fissando il piccolo che agitava i pugnetti chiusi al cielo.
Sentì qualcuno affiancarlo per fissare i neonati.
Non si voltò, non ne aveva veramente bisogno, sapeva chi era.
La stava aspettando.
- Ho sempre immaginato un bambino con i tuoi occhi. - disse la strega accanto a lui dopo qualche minuto di silenzio – Un piccolo mago che cammina per casa con un mantello nero per assomigliare al papà.
Severus si voltò a fissarla. Hermione osservava i bambini con gli occhi lucidi, accarezzava il vetro con due dita e sorrideva dolcemente.
- Può sembrarti un pensiero stupido, infantile e tipicamente femminile. – continuò senza guardarlo - Ma ho sempre immaginato quel bambino. Probabilmente tu non ti sarai mai soffermato su queste cose. Le consideri sdolcinate.
Hermione continuava a fissare i neonati con un groppo in gola. Come ogni donna innamorata aveva immaginato un futuro con lui, aveva immaginato una famiglia. Una vita diversa, serena e felice.
Ci aveva sperato, davvero, e ci sperava ancora.
Nonostante tutto.
Ma era certa che Severus non avesse mai perso tempo con quelle fantasie puerili e romantiche.
- … le tue fossette…- sussurrò Severus.
La strega sgranò gli occhi e si voltò verso di lui.
- Cosa?
Il mago alzò una mano e le accarezzò una guancia.
- Ho sempre immaginato una bambina con le tue fossette. Si formano agli angoli delle tue labbra quando sorridi. Quando è un sorriso felice. – con il pollice accarezzò il punto in cui si formavano - C’erano sempre quando quel sorriso era rivolto a me.
- Severus…
Il suo sguardo era intenso e profondo, come se stesse guardando in un futuro a lui precluso.
- Mi è sempre piaciuto il nome Hope per una bambina con le tue fossette.
Il pollice si spostò sulle sue labbra accarezzandole delicatamente.
La sentì tremare sotto il suo delicato tocco.
Hermione trattenne il respiro e chiuse gli occhi.
- … Severus…
- Al diavolo… - sibilò il mago afferrandola in vita e annullando la distanza che separava le loro labbra.
Hermione gli allacciò le braccia in vita, come se fosse naturale, come se si fossero baciati fino ad un istante prima.
Non lo fermò, non chiese spiegazioni, si lasciò andare e lo baciò con tutta la passione che aveva in corpo.
Quando il bacio divenne più profondo Severus la sentì gemere nella sua bocca e nulla gli sembrò più perfetto di quel momento.
Mentre si perdeva nel suo sapore e nel suo profumo si rese conto che per quanti forzi avesse fatto non sarebbe mai stato in grado di lasciarla andare del tutto.
Era sua.
Nonostante tutto.

- Hem hem.
Si staccarono si scatto. Hermione avvampò e tornò a guardare i neonati. Severus, anche lui con le guance leggermente più rosate del solito, si voltò a fulminare chiunque li avesse interrotti in quel modo.
Minerva sorrideva sorniona mentre li fissava.
- Sono felice di vedere che avete superato i vostri problemi. Ma vi consiglierei un luogo più… appartato per riappacificare il vostro rapporto.
Il mago sollevò gli occhi al cielo mentre l’amica tornava indietro probabilmente a spettegolare con Molly Wealsey.
Sentì la debole risata di Hermione e tornò ad osservarla.
Lei gli lanciò un’occhiata divertita, poi tornò a guardare James. Il piccolo si era finalmente addormentato senza lasciare il suo ciuccio.
Un po’ come il nonno e il suo adorato boccino d’oro.
Hermione gli sfiorò una mano.
- E’ un bellissimo bambino, Severus. – gli disse intrecciando le loro dita.
Il mago fissò il bambino e fece una leggera smorfia.
- Peccato che sia un Potter.
 
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