Il Calderone di Severus

N.13: Un anno di sorrisi per Severus

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Alaide
view post Posted on 11/12/2013, 10:11 by: Alaide
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Autore/data: Alaide – 22 – 31 ottobre 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One-shot
Rating: per tutti
Genere: Drammatico, Introspettivo
Personaggi: Severus Piton, Personaggio originale
Pairing: Personaggio originale/Severus
Epoca: Post 7° anno
Avvertimenti: AU
Riassunto: Erano trascorse alcune settimane dal giorno in cui Severus era stato scarcerato. Melusine ricordava ancora quel momento, quando lei e Judith l’avevano atteso al di fuori, quando la ragazzina gli era corsa incontro e l’aveva abbracciato. Per chiunque avesse voluto osservarli sarebbero apparsi come un padre ed una figlia finalmente riuniti
Nota: Queste ultime quattro storie sono il seguito di Sinfonie ed inizia a qualche settimana di distanza da dove era finita la parte precedente.
Parole: 1803

Finale in quattro movimenti
1. Incertezze



Un pallido sole illuminava la cittadina quel giorno di fine febbraio, senza riuscire però a riscaldare realmente l’aria gelida. Dai vetri del piccolo soggiorno si poteva vedere un albero dai rami ricoperti di brina, ma nessuno degli occupanti della stanza stava osservando ciò che si trovava all’esterno.
Erano trascorse alcune settimane dal giorno in cui Severus era stato scarcerato. Melusine ricordava ancora quel momento, quando lei e Judith l’avevano atteso al di fuori, quando la ragazzina gli era corsa incontro e l’aveva abbracciato. Per chiunque avesse voluto osservarli sarebbero apparsi come un padre ed una figlia finalmente riuniti, ma per la legge Severus e Judith non avevano alcuna relazione.
La ragazzina viveva ancora all’orfanotrofio, per quanto, dopo la scuola si recasse sovente nella modesta casa a schiera dove risiedeva l’uomo.
Era già stato complesso ottenere le licenze matrimoniali ed un accelerazione in quel senso, in modo da poter avviare le pratiche relative all’adozione.
«Ho parlato con il direttore dell’orfanotrofio.» disse Melusine, osservando Severus, che stava seduto di fronte a lei. «Ha detto che all’inizio d’aprile potremmo inviare la domanda di adozione.»
«Judith non dovrà saperne nulla.» affermò l’uomo, notando che la donna aveva sulle labbra un sorriso incerto, per quanto illuminato dalla solita dolcezza e gentilezza, dall’amore che la donna gli aveva dichiarato e che egli sapeva che non sarebbe mai riuscito a ricambiare.
Da quando si erano sposati, la domenica precedente, poco era cambiato nella loro relazione, se non nel modo in cui egli si rivolgeva alla donna. La vita stessa di Melusine aveva avuto poche variazioni. Trascorreva le sue giornate all’orfanotrofio e la sera tornava a casa, dove andava a dormire in un’altra stanza rispetto alla sua. Nonostante avesse infine accettato di prenderla come moglie, perché esisteva la possibilità di poter chiamare davanti alla legge Judith figlia, perché era quanto di meglio potesse fare per non far soffrire la ragazzina, non poteva evitarsi di pensare di star rovinando la vita di Melusine, che però continuava a sorridergli con affetto, con dolcezza.
Con un sorriso colmo di perdono.
«Se però il giudice dei minori volesse parlare con lei, non potremo tenerglielo ancora nascosto.» mormorò la donna.
Avrebbe voluto poter nutrire delle certezze, in quel momento, ma nulla era certo. Era anzi probabile – o almeno così le aveva detto il direttore dell’orfanotrofio – che la domanda d’adozione venisse rifiutata. Esisteva il problema degli anni che Severus aveva passato in carcere ed era qualcosa di cui erano perfettamente coscienti entrambi. Non sapeva nemmeno se esisteva la possibilità che decidessero di sentire quello che Judith aveva da dire. Avrebbe voluto che tutto fosse più semplice, come era stato semplice trovare un posto in cui vivere. Era stata una fortuna che la vecchia zia Emily avesse deciso, verso fine novembre, di intestarle quella casa, perché lei sarebbe andata a vivere con la sorella, rimasta sola dopo la morte del marito. In fondo, zia Emily era l’unico componente della famiglia che non avesse cessato di punto in bianco di rivolgerle la parola, dopo che tutto era precipitato con suo padre.
La vecchia zia aveva anche assistito al suo matrimonio, una cerimonia intima, con presenti unicamente i testimoni e Judith. Non erano state le nozze che aveva sognato un tempo, ma lei era stata felice, felice per lo meno di dare una possibilità a Judith e Severus di essere una famiglia, felice di sposare l’uomo che amava, anche senza essere corrisposta.
«Non lo farà. Leggeranno la domanda d’adozione e la respingeranno. E ne conosci perfettamente il motivo.» ribatté dopo diverso tempo l’uomo.
Non avrebbe nemmeno voluto pronunciare quelle parole, ma era quanto sarebbe realisticamente accaduto. Sapeva che Melusine, che gli stava ancora sorridendo, con lo stesso sorriso che gli aveva rivolto il giorno delle nozze, avrebbe fatto in modo di far trascorrere a Judith più tempo possibile insieme a lui - era uno dei motivi per il loro matrimonio, in fin dei conti -, ma era cosciente che non sarebbe mai equivalso al poter chiamare Judith figlia, davanti alla legge.
E sapeva anche che quella situazione esisteva unicamente a causa sua, alle sue scelte sciagurate, per le quali, nonostante il sorriso colmo di perdono della ragazzina e di Melusine, non riusciva a perdonarsi. Aveva compiuto l’ennesima scelta sbagliata e ne stava pagando le conseguenze. Ma con la sua cecità stava facendo pagare quelle conseguenze anche a Judith e alla donna che gli sedeva di fronte.
Melusine non avrebbe mai dovuto unirsi a lui, ad un uomo che non sarebbe mai riuscito ad amarla, ad un uomo che non meritava nemmeno di essere amato così intensamente e di un amore tale che non richiedeva nulla in cambio.
Judith non avrebbe mai visto la cella di un carcere, non avrebbe mai rivissuto quella terribile notte in cui era rimasta orfana, non avrebbe mai partecipato ad un processo, se egli non avesse compiuto quella scelta, l’ennesima scelta sbagliata.
Non v’era altra soluzione, per almeno preservare Judith da ulteriore dolore, che unirsi a Melusine, con il solo risultato che avrebbe finito con il ferire quella donna buona, che gli stava sorridendo innamorata anche in quel momento.
«So che esiste questa possibilità, Severus, ma non possiamo essere certi che le cose vadano nel peggiore dei modi. Fino a quando la domanda non verrà respinta, voglio sperare che chi si occuperà di Judith si dotato di buon senso e capisca quale sia la soluzione migliore per il minore. È quello che dovrebbero avere a cuore.» affermò Melusine, cercando di metter a tacere le proprie incertezze.
Avrebbe voluto poter dire di più, avrebbe voluto poter offrire delle reali certezze e non un’effimera speranza, ma non possedeva alcuna certezza, se non che desiderava la felicità di Judith e Severus e che quello le sarebbe bastato per poter vivere felice a sua volta.
Si alzò lentamente in piedi, lanciando un’occhiata oltre la finestra, verso il ramo spoglio di un vecchio noce su cui luccicava la brina. Era giunto il tempo per lei di tornare all’orfanotrofio, per quanto avrebbe preferito rimanere dove si trovava.
«Forse oggi pomeriggio potresti andare a prendere Judith al conservatorio. Mi ha detto stamattina che vuole farti sentire il nuovo brano che ha imparato.» disse, mentre recuperava il cappotto.
Severus si voltò verso la donna e notò che gli stava ancora sorridendo, quel sorriso dolce, colmo di amore, che gli rivolgeva sempre, che gli aveva rivolto da tempo, ma in cui non era stato in grado, fino a che le donna non glielo aveva detto, di riconoscere l’amore.
«Sei certa che sia una buona idea?» disse, mentre si alzava lentamente in piedi, appoggiandosi al bastone che si era procurato appena uscito dal carcere. «Sembrerebbe quasi che l’adozione sia già andata a buon fine, mentre non sappiamo nemmeno se prenderanno in considerazione la domanda.»
Avrebbe potuto illudere Judith se, come in effetti desiderava, avesse accettato di andare fino al conservatorio, che si trovava a poche fermate d’autobus dalla casa. Temeva, anche se non ne aveva fatto parola con Melusine, che il giudice dei minori potesse interdirgli di vedere Judith, quando si avesse letto che era stato in carcere per complicità nell’omicidio dei suoi genitori. Ed allora il sacrificio compiuto dalla donna sarebbe stato completamente inutile e la sua incapacità di amarla l’avrebbe ferita.
Sapeva che era una possibilità estrema, forse impossibile, considerando che negli atti del processo e nelle motivazioni della sentenza, che gli era stata commutata dopo la revisione, risultava il fatto che egli aveva salvato la vita della bambina. Eppure non poteva impedirsi di prendere in considerazione anche quella terribile possibilità, di credere che avrebbe finito con il distruggere il sorriso che aleggiava anche in quel momento sulle labbra di Melusine.
«A Judith farà piacere.» rispose la donna, sfiorandogli lievemente la mano che teneva sul bastone.
L’uomo osservò per qualche istante Melusine, prima di annuire lentamente. Sapeva che forse avrebbe dovuto rifiutare, che avrebbe dovuto tener conto della peggiore delle ipotesi, del fatto che un giudice dei minori avrebbe potuto impedirgli non di vedere Judith – ed era perfettamente cosciente che se le cosse fossero andate in quel modo la responsabilità ricadeva unicamente sulle sue spalle –, ma in quel momento voleva sperare che così non fosse, che, per lo meno, avrebbe potuto trascorrere del tempo con la ragazzina, vederla crescere, per quanto non avrebbe mai potuto chiamarla figlia davanti alla legge.
Su quel punto si faceva poche illusioni.
Nessuno avrebbe potuto permettergli di adottare Judith. Nessuno avrebbe avuto nulla da ridire sul rendere Melusine la madre della bambina, ma le obiezioni nei suoi confronti avrebbero impedito che l’adozione venisse veramente giudicata possibile.
La donna gli sorrise ancora una volta, prima di uscire dalla casa. Il suo sorriso aleggiò per un istante nel soggiorno e parve seguirlo mentre si recava nella stanza che, dopo esser riuscito a contattare un venditore di ingredienti di dubbia provenienza, aveva adibito a laboratorio. Era certo che il suo fornitore non avrebbe fatto trapelare la notizia di dove si trovasse, considerando che possedeva più di un’informazione che avrebbe potuto metterlo nei guai con la giustizia magica. Non desiderava che il Mondo Magico britannico lo rintracciasse, non voleva che il nome di Judith venisse stampato a caratteri cubitali sulla Gazzetta del Profeta, né che qualche giornalista da strapazzo facesse illazioni su Melusine.
Sapeva che forse, la maggior parte dei Maghi e delle Streghe inglesi, avevano voluto dimenticare il fatto che egli fosse sopravvissuto alla guerra. Sapeva anche che invece dovevano ricordarsi bene quello che aveva compiuto, l’assassinio di Silente, il suo terribile anno come Preside di Hogwarts. E credeva di immaginare cosa potesse accadere se avessero scoperto dove si trovava, che si era sposato, che intendeva adottare una ragazzina. I nomi di Judith e Melusine sarebbero stati esposti al pubblico ludibrio. Ed era qualcosa che non doveva accadere, perché considerava Judith al pari di una figlia e rispettava la donna che aveva sposato.
Aveva preso contatto con alcuni pozionisti sul continente per poter portare avanti alcune ricerche e guadagnarsi così da vivere. Sapeva che esisteva la possibilità che trapelasse dove si trovava, ma era stato cauto nel scegliere chi contattare.
Da quando aveva ritrovato la libertà, era riuscito a modificare un antidolorifico, in modo tale da poter parlare con minor dolore. Era una ricerca che aveva compiuto unicamente per Judith, perché preferiva parlarle piuttosto che scriverle, quando la vedeva.
Il tempo passò rapido, mentre lavorava nel suo laboratorio e venne il momento in cui uscì per andare a prendere Judith. Quando la ragazzina gli corse incontro, con la custodia della viola sulle spalle e un sorriso affettuoso e felice ad illuminarle in volto, si disse che aveva preso la decisione giusta nel seguire il consiglio di Melusine.
Judith era felice in quel momento e, mentre si recavano alla fermata dell’autobus, gli stava parlando di quello che aveva fatto quel giorno al conservatorio, proprio come una figlia avrebbe fatto con il padre.
 
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