Il Calderone di Severus

N.13: Un anno di sorrisi per Severus

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ellyson
view post Posted on 2/12/2013, 09:38 by: ellyson
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CITAZIONE (Ida59 @ 1/12/2013, 19:30) 
La numerazione delle storie di Elly, invece, non mi sembra che dia adito a problemi.

Miii come parli apparecchiato Ida! :woot: :woot: :woot:

Seguito di "Vigliacco"

n. 36

Titolo raccolta: Eligis tuum iter (scegli ciò che desideri)
Titolo di questo sorriso: Verità che fanno male come la lama di un pugnale

Autore: Ellyson
Beta: Querthe
Tipologia: one shot
Rating: Per tutti
Genere: Triste, introspettivo, Malinconico,
Personaggi: Hermione Granger, Severus Piton, Minerva McGranitt
Pairing generale della raccolta: Severus / Hermione, accenno a Severus / Lily
poca: post battaglia finale
Avvertimenti: AU
Riassunto:
Nessuno si accorse del mago vestito di nero che usciva furioso dalla sala mentre rinfoderava di nascosto la bacchetta.
Il finto sorriso di cortesia si era trasformato in uno di crudele vendetta.

Parole: 2.255


Verità che fanno male come la lama di un pugnale

Dicembre 1998
Hogwasrt, sotterranei, stanza di Severus Piton
Notte



Severus si ritrovò nel parco giochi che era stato lo sfondo della sua infanzia.
Si guardò attorno, nulla era mutato in quegli anni, eppure c'era qualcosa che stonava.
Gli alberi erano troppo ricchi di foglie, troppo verdi, l'erba era eccessivamente morbida, il sole troppo grande e splendente.
Era come se quel posto fosse finto, come se fosse il dipinto di un quadro invece che un posto reale.
Percorse il breve vialetto di terra battuta che univa la strada al parco giochi e intravide una figura sull'altalena. Sullo stesso seggiolino dove aveva visto Lily la prima volta.
Era una donna, ma non era la sua Lily.
Si avvicinò piano, la donna aveva la testa china, coperta dal cappuccio del mantello blu che indossava, si reggeva alle catene troppo lucide del gioco.
Spezzò un rametto con il piede e la donna sollevò di colpo la testa, ma nonostante tutto il volto restò coperto dal cappuccio.
- Sei tu. - sussurrò la voce femminile, sembrava sollevata.
- Tu sai chi sono? - domandò restando fermo in mezzo a quell'erba troppo verde.
- Tu sei Severus.
- Lily?
La donna chinò il capo, sembrava che la domanda l'avesse ferita in qualche modo.
- Lily non verrà, Severus. - disse lei dondolandosi appena – Non verrà mai. Devi fartene una ragione.
Probabilmente un pugnale infilato dritto nel cuore avrebbe fatto meno male. Strinse i pugni e digrignò i denti.
- Tu menti! - si ritrovò a gridare – Lei verrà! Lei mi amerà! Io lo merito!
La figura si alzò dal seggiolino che, nonostante tutto, non si mosse dalla sua posizione. Era tutto, tutto innaturalmente fermo.
- Sì, tu lo meriti. – confermò – Nessuno più di te merita l'amore. Ma Lily non verrà. Ha scelto, Severus e la sua scelta non sei tu. Non sarai mai tu. /i>
Il mago gemette e cadde in ginocchio. L'erba, che prima sembrava così morbida, si sbriciolò sotto il suo peso come se fosse di polvere, gli alberi morirono sotto i suoi occhi, il sole esplose come un palloncino, lasciandolo al buio in un mondo in rovina.
Quando l'oscurità lo inglobò del tutto sentì quella presenza vicino.
Severus...
Non rispose, rimase in ginocchio su un manto erboso che non esisteva più. Gemendo e piangendo per quello che non avrebbe mai avuto.
Severus...
- Lasciami in pace... - singhiozzò – lasciami stare.
Mi dispiace, Severus.
Il mago sollevò di scatto la testa, aveva il volto rigato dalle lacrime. Quella donna era accanto a lui, avvolta nel suo mantello blu, con il volto celato. Una pallida mano gli stava asciugando le guance.
Asciugava il suo dolore.
Mi dispiace così tanto, Severus. Se solo tu potessi sentire il mio dolore, come io sento il tuo.
- Chi sei?
Non la vedeva, non sapeva chi – cosa – fosse, eppure sentiva il suo sorriso. Un sorriso felice, pieno di sentimento. Un sorriso d’amore.
Per lui. Solamente per lui.
Baciami, Severus.
Quando Severus aprì gli occhi nella sua camera, disteso nel letto dalle coltri scure, si accorse che stava ancora piangendo.

* * * *



Vigilia di Natale, 2003
Hogwarts, primo piano
Festa di Lumacorno
Sera



Come Preside non poteva esimersi da quella festa che aveva sempre trovato ridicola.
Albus, un tempo, aveva la scusa della guerra imminente, quando era stato Preside sotto il breve regno dell'Oscuro Signore aveva proibito a Lumacorno qualsiasi tipo di festeggiamenti, anche con una certa soddisfazione, ora che ci pensava. Ma ora non aveva più scuse.
Si presentava quando i festeggiamenti erano iniziati da un pezzo, così che tutti fossero impegnati in conversazioni frivole e non avrebbero prestato attenzione a lui. Beveva un paio di bicchieri di zabaione, l'unica cosa buona alle feste di Lumacorno, e poi se ne andava.
Facile. Veloce. Indolore.
Come togliersi un cerotto.
Meno facile, veloce ed indolore, sarebbe stato mantenere sul volto il solito sorriso finto di cortesia. Sorriso che molti mal interpretavano, credendo che un mago oscuro e ambiguo come lui potesse trovare la gioia in una ghirlanda verde e in un albero canterino.
Quel finto sorriso a volte pesava quanto la maschera d'argento che gli aveva celato il volto alle riunioni dei Mangiamorte.
Entrò nella sala troppo addobbata, con ghirlande sgargianti, alberi incantati addobbati con fatine e vischio ovunque.
Costrinse a non sostituire il leggero sorriso con una smorfia infastidita e si avviò al tavolo, salutando i pochi che conosceva.
Alcuni studenti del sesto anno servivano gli ospiti, altri avevano avuto “l'onore” di essere invitati. Individuò un paio di Grifondoro, tre Corvonero e quattro Serpeverde. Nessuno Tassorosso, ma non c'era da stupirsi.
Lui non era mai stato un pupillo di Lumacorno, era il miglior pozionista della sua Casa, ma non dimostrava il carattere per emergere dal gruppo, per dimostrare a quel pallone gonfiato di Horace che valeva più di quello che si pensava.
Ovviamente Potter, l’altro Potter, era tra i suoi preferiti. Scarso in pozioni, ma estremamente carismatico.
Lui era Preside ora, mentre quel pallone gonfiato cibo per vermi.
Lui era anche un assassino, mentre James Potter era considerato un eroe, martire in un guerra che, in fin dei conti, non aveva mai veramente combattuto.
Quindi Lumacorno si sarebbe sempre vantato di averlo conosciuto, Potter sarebbe sempre stato uno dei suoi trofei migliori, mentre lui…
Severus prese con fastidio un bicchiere di zabaione e cercò di scacciare i pensieri negativi. Ma da quando l'aveva vista al matrimonio di Potter non c'erano altro che pensieri orribili che si affacciavano nella sua mente. Le mancava. Le mancava terribilmente e sapere che aveva sofferto quanto lui in quegl'anni era una tortura. Aveva sperato che si rifacesse una vita lontana da lui, una vita di luce, amore e calore.
Invece era ancora nell'ombra. La stessa ombra in cui era caduta dopo che l'aveva salvato. L'aveva riportato alla vita, gli aveva donato luce, ma il prezzo da pagare, per lei, era stato alto. La luce in cui era rinato lui aveva mandato lei nell'ombra e non poteva sopportarlo.
Andava a quella feste con la speranza di intravederla tra gli ospiti, non voleva parlarle, ma solo assicurarsi che stesse bene.
Ma lei non si presentava mai.
Finì in fretta il primo bicchiere e ne prese un secondo. Voleva andarsene il prima possibile.
Togliersi quella sgradevole sensazione, togliersi quel sorriso finto.
Si voltò verso il buffet, fu raggiunto da due maghi giovani che, dal distintivo che avevano appeso sul bavero della giacca, appartenevano alla Puddlemere United.
- … sì, proprio lei. - disse il primo prendendo qualche tortina.
- Quell'Hermione Granger? - chiese il secondo con gli occhi sgranati.
Severus si irrigidì al suono del suo nome e il sorriso, per quanto finto, fu spazzato via dalla forza che aveva quel nome.
- Sì, siamo usciti un paio di volte a Settembre, me l'ha presentata Ginny durante il raduno delle squadre inglesi prima del Campionato. - continuò il primo noncurante di chi avesse attorno, continuando a scegliere le tartine – E sai cosa? Parla troppo e di cose assolutamente noiose! Come si fa a perdere anni in giro per il mondo alla ricerca di isolate bolle di energia magica quando non importa a nessuno. Non é più emozionante la manovra Porskoff dell'ultima partita?
- Altroché! - risposo l'altro prendendo un calice di vino dal vassoio portato da un ragazzo di Corvonero del quinto anno.
Severus digrignò i denti e, per la prima volta, sentì la mancanza della sua maschera argentata.
- Quella si dev’essere seduta su una Stellafreccia quando era piccola, ti dico. - infierì il primo mago – C' è una sola cura per quelle come lei.
L'altro rise come solo un mago che ha preso troppi bolidi in testa e ha troppi ormoni nel corpo, decisamente sproporzionato rispetto alla nuca, può ridere.
- Sono certo che tu gli hai dato la tua speciale medicina. - gli diede una piccola gomitata – Vero, James?
Severus avrebbe voluto urlare.
- Eccome! – gongolò l’altro voltandosi, il piatto pieno in modo vergognoso – Si sa che quelle sono rigide nella vita, ma sotto le lenzuola cono come Ippogrifi selva…- il piatto cadde a terra mentre il giocatore si portava le mani alla bocca con gli occhi sgranati diventando paonazzo - mmmhh!!!
- James! – urlò l’altro andando in suo aiuto – Cosa ti succede?
- Mmmm! Sca misca linscua!!!
La lingua era immobile, appiccicata contro il palato.
Tutti accorsero verso il mago che gesticolava e biascicava qualcosa di incomprensibile.
Nessuno si accorse del mago vestito di nero che usciva furioso dalla sala mentre rinfoderava di nascosto la bacchetta.
Il finto sorriso di cortesia si era trasformato in uno di crudele vendetta.

* * * *



Dicembre 1998
Villaggio di Hogsmeade, Stambera Strillante
pomeriggio inoltrato


Il mago deglutì, non riuscì ad evitarlo quando vide la macchia di sangue secco sporcare le assi del pavimento scricchiolante della Stamberga. Sapeva che il morso di Nagini era stato profondo, letale se non fosse stata per Fanny.
Ma era proprio stata Fanny?
Perché la fenice avrebbe dovuto salvarlo?
Per la sua lealtà a Silente e ad Hogwarts?
Severus non lo credeva. Non credeva neppure che fosse stato salvato da Fanny.
Poteva curarlo dal veleno che non faceva cicatrizzare le ferite, ma il sangue secco su quel pavimento era tanto, troppo per permettere ad un uomo di sopravvivere.
Si sforzò di non guardare la grande macchia, di non immaginare il suo corpo riverso sul pavimento con gli occhi vitrei spalancati sulle ragnatele; si concentrò sulle tracce che vedeva nella polvere. Nonostante fossero passati mesi si intravedevano ancora.
Riconobbe le impronte dell'Oscuro e le spire di Nagini. Vide le sue, a distanza regolare fino ad un certo punto. Per poi diventare confuse ed indistinte fino a quando Nagini non lo aveva azzannato. Vide tre serie di impronte lasciate dal passaggio segreto alla grande pozza rossa mattone. E poi altre tre serie che tornavano indietro.
Fin lì non c'era nulla di strano.
Ma c'erano una serie di orme che stonavano.
Erano piccole, confuse, si sovrapponevano alle altre, era come se qualcuno avesse corso. La persona che le aveva lasciate era entrata nella pozza del suo sangue, si era inginocchiata.
Severus strinse i pugni.
Era tornata indietro per lui. Perché? Perché Hermione Granger era tornata per un morto?
Si avvicinò ad una finestra, con un colpo di bacchetta fece cadere due assi che coprivano una delle finestre. Caddero sul pavimento con un tonfo sordo, sollevando una nuvola di polvere umida. Un pallido raggio di sole invernale superò lo sporco sul vetro e illuminò la stanza con una fredda luce.
Il mago fece qualche passo verso la macchia sul pavimento, sentendo su di sé gli invisibili occhi di un serpente assetato del suo sangue.
Si inginocchiò davanti al sangue e lo sfiorò con due dita analizzandolo con la stessa cura con cui avrebbe analizzato l'ingrediente per una pozione.
Sentiva l'aria attorno a quel punto crepitare di magia. Magia potente, proibita, sconosciuta, pericolosamente oscura.
Osservò i contorni della macchia ricostruendo la posizione del suo corpo. Ne percorse il contorno con due dita, ricordandosi il dolore, la paura e la pace quando aveva visto quello sguardo verde che negli ultimi anni aveva odiato e amato contemporaneamente.
Memorizzò le venature del legno messe in evidenza dal sangue, quasi poteva ancora sentirne l'odore metallico.
Non poteva esser sopravvissuto a quell'attacco.
Senza pensarci troppo di sdraiò sul pavimento, cercando di far coincidere il proprio corpo con la chiazza scura. Si ritrovò a pancia in su fissando le stesse ragnatele che l'avevano visto morire.
Voltò la testa a destra e sinistra osservando le impronte nella polvere e il sangue. Si alzò di scatto a sedere e allungò la mano verso due gocce di sangue più scure, perfettamente tonde, come se fossero cadute dall'alto.
- Questo non é mio. - sussurrò passando il polpastrello sul primo bottone rosso rubino.
Con la coda dell'occhio intravide un luccichio sotto la fodera logora che copriva un vecchio mobile. Si avvicinò piano, carponi sul pavimento sporco, sentì delle schegge entrargli nel palmo ma non vi badò. Sollevò il tessuto rivelando un pugnale dalla lama argentata. Un pugnale così simile a quello dei Mangiamorte da farlo rabbrividire.
Delicatamente afferrò l'impugnatura e lo sollevò lasciando poi cadere la fodera che ondeggiò malinconica per qualche secondo, come il lenzuolo fatiscente di un fantasma.
Si alzò appoggiando la mano sul pavimento sporco, fece una smorfia quando avverti un forte bruciore. Si sollevò del tutto e girò la mano, una scheggia era penetrata in profondità e il sudiciume di quella vecchia baracca gli stava infiammando la pelle ferita.
Si pietrificò quando notò sul palmo una cicatrice che non ricordava. Il suo corpo spigoloso era una mappa di dolore, non ricordava la provenienza di ogni segno che aveva sul corpo. Era stato cruciato dall'Oscuro così tante volte che i segni si confondevano, mentre il lavoro di pozionista l'aveva visto con molti tagli sulle mani – soprattutto quand'era ancora inesperto – e bruciature sulle braccia per via dei fuochi sotto il calderone, aveva i polpastrelli ruvidi, segnati dalle bruciature del calderone bollente. Era abile, era il migliore, ma non era immune alle scottature. E poi ogni cicatrice era una testimonianza della sua inadeguatezza giovanile e un monito per non fare i medesimi errori di gioventù.
Il suo corpo era il degno contenitore della sua anima strappata e rattoppata più volte. Ma quella cicatrice non la conosceva.
Era quasi invisibile, pallida sulla sua pelle pallida, perfettamente cicatrizzata, non la sentiva neppure se chiudeva la mano a pugno. Era solo un segno sulla pelle.
Un segno che lui non conosceva.
Severus osservò il palmo.
Severus osservò il pugnale.
Poi sgranò gli occhi.
 
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