Il Calderone di Severus

N.13: Un anno di sorrisi per Severus

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Ania DarkRed
view post Posted on 29/11/2013, 21:31 by: Ania DarkRed
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Dalle nebbie della Valacchia

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Titolo: 10. Passato e futuro
Autore/data: Severus_Ikari / marzo 2013 (rivista in corso di pubblicazione)
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One shot
Rating: Per tutti
Genere: Drammatico, Commedia, Introspettivo
Personaggi: Severus Snape, Hermione Granger, Harry Potter
Pairing: Hermione/Severus
Epoca: 7 anni dopo la fine della II Guerra Magica
Avvertimenti: AU
Riassunto: “Lì, quella notte, non solo Lily e James avevano smesso di vivere, ma anche lui aveva smesso di respirare, aveva sentito il suo cuore fermarsi, gelarsi improvvisamente e rompersi in una miriade di frammenti che nessuno sarebbe mai stato in grado di ricomporre."
Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti.
La trama di questa storia è invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
Nota 1: Questa è la decima storia di “Un anno per amare” (ricordo che prima si intitolava “È sufficiente un anno per innamorarsi?”) ed è il seguito di "Mi prendo cura di te".
Parole/pagine: 3157/5



Un anno per amare

10 - Passato e futuro



31 ottobre/1 novembre 2005



Pioveva quella sera, una pioggia fitta che aveva reso la terra morbida e fangosa che cedeva sotto i passi dei due uomini che avevano deciso di sfidare quel clima e camminare verso quel ricordo ormai sepolto da tempo che era parte di loro da tanti e lunghi anni.
Il cancello non era stato chiuso al meglio e la pesante catena sbatteva ad intervalli regolari addosso al ferro, spinta dal vento che aveva deciso di sferzare quel solitario angolo di mondo, anche quel cigolio sinistro teneva lontani gran parte degli abitanti del posto, ancora più impauriti per quella particolare notte che portava verso novembre.
Severus Snape stringeva tra le mani qualcosa, ma il buio reso più cupo e spettrale dalle dense nubi, non permetteva di distinguere al meglio ciò che le sue mani celavano, forse, persino a se stesso, così sorpreso di un simile gesto che per lungo tempo non avrebbe di certo accostato al suo essere.
Un gesto semplice, che si fa con affetto e senza pensieri, con il sorriso e le lacrime ad abbracciare il volto, per qualcuno che non c’è più e che ci guarda al di là delle nuvole e veglia su di noi.
Per Severus, però, tutto quello non era così semplice, e lui, di pensieri legati a quel luogo, ne aveva fin troppi, erano come gli anelli di quella catena che lo circondavano e ad ogni passo che compiva verso quella tomba, lo stringevano sempre di più, fino a togliergli qualsiasi respiro.
E sarebbe crollato, crollato a terra tra il fango e avrebbe contribuito con le sue lacrime ad alimentare quella superficie, quel pianto confuso e impossibile da sciogliere, persino sotto lo scroscio incessante dell’acqua.
In quella notte, però, Severus non era da solo, non c’erano soltanto i suoi dolori e le sue colpe a tenergli compagnia, no, c’era quel figlio che non aveva mai avuto, con lui, quel bambino che aveva reso orfano con le sue stesse mani, quel ragazzo che aveva visto crescere e combattere e diventare uomo.
Lily era stata il suo primo amore e per anni era vissuto nella consapevolezza che solo e soltanto lei avrebbe potuto prendere il suo cuore, ma si era accorto che quello non era mai stato il vero amore, era stata la confusione di molteplici sentimenti che non era riuscito mai a comprendere e a spiegare a se stesso.
L’aveva abbracciata, su quel dannato pavimento l’aveva stretta a sé, con forza e con rabbia, e con un dolore che l’avrebbe ghermito per sempre, un grosso e pesante macigno a gravargli sulla schiena piegata in colpe che si erano fatte via via dovere, compiti da portare a termine a costo di quella vita che da quella notte di ventiquattro anni prima non era stata più la stessa.
Lì, quella notte, non solo Lily e James avevano smesso di vivere, ma anche lui aveva smesso di respirare, aveva sentito il suo cuore fermarsi, gelarsi improvvisamente e rompersi in una miriade di frammenti che nessuno sarebbe mai stato in grado di ricomporre.
E il suo unico desiderio era che non fosse mai tornato integro, battente con impeto, perché avrebbe meritato solamente che quel cuore ormai perso e distrutto, avesse sanguinato tramonto dopo tramonto e il suo sangue avrebbe dovuto colorare quel cielo finché l’ultima goccia non avesse lasciato il suo corpo.
«Ciao, mamma. Ciao, papà.» Harry aveva posato alcuni fiori sulla tomba dei suoi genitori, incurante di quella pioggia che li avrebbe presto portati via, lontano da quella pietra, perché lui ne avrebbe portati altri, giorno dopo giorno, come ormai era diventato un rito per lui, invece Severus aveva mancato quell’appuntamento per sette lunghi anni.
Snape osservava in silenzio, stava alcuni passi dietro il giovane Potter mentre l’acqua gli scivolava addosso, rendendo i suoi abiti pesanti di pioggia.
«Oggi sono venuto con un amico, con un uomo che in tutti questi anni mi ha fatto un po’ da padre e un po’ da madre» Harry si mise seduto sulla tomba dei suoi genitori, guardando le loro foto sorridenti che sembravano osservarlo a fondo, le toccò entrambe, lentamente, come se avesse potuto sentire il loro calore. «Anche se le vesti da casalinga non gli donano molto» e sorrise, sorrise a Lily, a James e sorrise a Severus che sapeva essere lì, poco distante da lui, ma sempre e comunque una presenza incrollabile. Anche Snape stirò un angolo della bocca, ma iniziava a sentire una forte morsa stringergli lo stomaco.
«Si chiama Severus, ma lo conoscete già, di sicuro meglio di me o di se stesso, e poi da lassù avete di certo visto ogni cosa, tutto quel che è successo, tutto quello che abbiamo passato e soprattutto quanto ha sofferto» un lampo squarciò la notte, mentre Severus continuava a stare immobile e in silenzio ad osservare il ragazzo ormai diventato uomo, e non osava neppure muoversi, iniziava a far fatica persino a respirare. «Sto anche parlando troppo e di sicuro non mi Schianta per rispetto di questo luogo» Harry rise appena, ma sul suo viso poté notare alcune lacrime che avevano iniziato a scendergli dagli occhi e mischiarsi con la pioggia che non aveva alcuna intenzione di smettere di cadere.
Snape fece un passo avanti.
«Io non so se sarà mai possibile una cosa simile, ma mi piacerebbe che tutti e due in qualche modo gli faceste arrivare il vostro perdono, perché ne ha bisogno per assolvere se stesso e per riuscire ad andare avanti senza più ombre intorno a sé.»
Lily era morta, era morta da anni per mano sua, e James era andato con lei, come poteva lui perdonarsi per questo? Come poteva ricevere il loro perdono?
Severus fece un altro passo verso la loro tomba, verso Harry che stava piangendo e stringeva con rabbia le mani su quella pietra che non poteva in alcun modo afferrare, ma che voleva estirpare dalla terra con tutto se stesso, per riavere i suoi genitori, per riavere il loro amore che troppo presto lo aveva abbandonato.
Quella costrizione che gli era nata nello stomaco gli serrò la gola e gli occhi, incapace di guardare ancora, avrebbe voluto correre via da lì, andarsene lontano, in un luogo dove non avrebbe più causato tanta sofferenza, in cui nessuno avrebbe più versato delle lacrime per colpa sua.
Quella notte, in quel luogo, si sentiva un estraneo che osservava un qualcosa che non aveva nessun diritto di osservare, eppure era ancora lì, in quel cimitero e i suoi passi lo avevano portato ormai di fianco ad Harry che per un attimo volse lo sguardo verso quello che era stato per anni il suo insegnante di Pozioni; lo guardò un istante, con un amaro sorriso sulle labbra mentre le lacrime scendevano più copiose che mai, poi posò di nuovo i suoi occhi alle fotografie che la magia non permetteva sbiadissero.
Severus avrebbe voluto cancellare con un colpo di bacchetta tutto quel dolore, ma sapeva che non sarebbe mai stato possibile, che non esisteva incantesimo capace di un tale prodigio, e l’unica cosa che in quel momento riuscì a fare, fu stringere le dita alla spalla di Harry, come se con quell’unico gesto avesse potuto dimostrargli il suo affetto, come se con quel tocco volesse donargli comprensione e volesse, in un qualche modo, chiedergli perdono.
Era l’unica cosa che riuscì a fare, lui, così incapace nei sentimenti e nei gesti, che non sapeva come avrebbe dovuto comportarsi.
In quel momento avrebbe voluto che Hermione fosse lì con lui, a suggerirgli come muoversi su quel campo minato di cui non conosceva quasi nulla, e le vennero in mente le sue parole, i suoi occhi e il suo sorriso che in un attimo si trasferì alle sue labbra, e in quell’istante, seppe cosa doveva fare.
Severus Snape afferrò Harry e lo strinse a sé, in un abbraccio che aveva il significato di ogni cosa nascosta e custodita in tutti quegli anni, di tutte quelle parole non dette che erano rimaste incastrate nella parte più profonda della loro anima.
Ed Harry scoppiò a piangere, forte, il suo pianto echeggiava tra le tombe del cimitero, confondendosi per alcuni attimi con i tuoni che squarciavano il silenzio; e pianse, pianse ogni cosa che si teneva dentro da anni, «mi mancano da morire, ma vorrei che lei riuscisse a perdonare se stesso, che ci riuscisse davvero, perché vorrei davvero vederla felice.» E si strinse al suo maestro, a quel padre che c’era sempre stato, e pianse ogni lacrima sul suo petto, e Severus sentì ogni singola goccia penetrargli la carne e arrivare al cuore, quel pezzo di carne che era tornato a battere grazie a tutti loro, grazie al loro affetto sincero e grazie all’amore di Hermione, quei sentimenti che troppo a lungo si era negato e troppo a lungo aveva ritenuto di non meritare. E gemette anche lui, forte, sotto quella pioggia che non fermava la sua corsa verso terra.
Adesso era lì, sulla tomba della donna che aveva a lungo amato, dell’uomo che aveva odiato per un tempo che in quel momento gli parve infinito, ad abbracciare quel ragazzo che aveva ucciso e riportato alla vita, al quale aveva voluto bene come un figlio, nonostante avesse tenuto nascosta per anni la parte migliore di sé, negando persino a se stesso quei sentimenti che aveva dentro.
«Per favore» sussurrò Harry, ma Severus non capiva se stesse parlando con lui o ancora continuava quella sorta di dialogo con i suoi genitori.
Fu un attimo, e la pioggia cessò improvvisamente di scendere su di loro, come se qualcuno avesse fermato di colpo un incantesimo; non c’erano più tuoni ad interrompere il silenzio né lampi a dilaniare il buio della sera, soltanto nuvole che velocemente si allontanavano, come spazzate via da un forte vento che, però, non c’era, e il cielo si fece un manto di seta trapuntato di cristalli che scintillavano alla notte.
Increduli, fissarono i loro sguardi verso la volta buia, verso quelle stelle che li stavano osservando, ed Harry sorrise mentre le ultime lacrime stavano arrestando la corsa sul suo viso.
Sorrise e guardò Severus.
«Il cielo si è rasserenato, all’improvviso, qualcosa vorrà pur dire, no?»
«Sì, il clima è piuttosto variabile ultimamente,» ma per tutta risposta Harry gli diede una spinta e per poco non lo fece cadere nel fango, rischiando di essere lanciato lontano miglia, Severus, però, si limitò a guardarlo piuttosto male e in passato quello sguardo gli avrebbe gelato il sangue.
Adesso era tutto diverso, loro erano diversi, tutto intorno, ogni cosa era cambiata, ed Harry sorrise a Severus Snape, un sorriso colmo d’affetto e di speranza.
«Qualcosa vorrà pur dire» ripeté Severus, un bisbiglio nel silenzio di quella sera e senza aggiungere nient’altro si alzò dalla tomba con Harry e vi posò quello che aveva a lungo stretto tra le mani ed insieme, sotto quel cielo stellato, si allontanarono da lì, con il cuore più sereno di quando erano arrivati e con le anime che sorridevano al loro futuro.
Severus, però, aveva ancora una cosa da fare.

Il bussare alla porta si stava facendo via via più forte e di questo passo l’avrebbe di certo buttata giù e, effettivamente, la sua intenzione era stata proprio quella di aprirla con un incantesimo senza prendersi troppo il disturbo di stare lì minuti dopo minuti a rovinarsi le mani.
«Per Merlino, ti sei per caso reso conto che sono le quattro del mattino?»
«Lo so, ma se ti avessi trovata prima, non ti sarei piombato in casa in questo modo e a quest’ora.»
«Ero per locali con le mie amiche, dici sempre che devo distrarmi di più. Qual è il problema?»
«Ho bisogno del tuo aiuto per una cosa.»
«E non potevi aspettare che mi svegliassi, tipo alle cinque del pomeriggio?»
Severus le alzò un sopracciglio, perplesso per l’improbabile orario che voleva usare come sveglia e le categorizzò un «no» che non lasciava molto spazio alle obiezioni.
«Va bene, entra, spero che non sia niente di complicato perché non ho la forza neppure di tenere gli occhi aperti, quindi vediamo di s…» ma Severus non la lasciò proseguire oltre perché, all’improvviso, la strinse a sé e la baciò, un bacio profondo che voleva mostrarle tutto il bisogno che aveva di lei.
In quella notte e in quel momento aveva davvero bisogno di sentire il calore del suo corpo stretto su di sé, il respiro di Hermione confondersi con il suo, unirsi e sciogliersi in un’anima che era diventata una sola e una soltanto. Aveva la necessità di sentire quel cuore battere per lui e su di lui, come se non avesse aspettato altro per tutta la vita, come se era nato esattamente per quello.
E la strinse, la strinse ancora più forte togliendole quasi il fiato, quel soffio di vita che le avrebbe dato lui stesso ogni volta che le sarebbe mancato.
«Severus, cosa c’è?»
«Da quando mi sono svegliato, c’è una cosa che non sono riuscito ancora a fare. Ho parlato con Minerva, con Harry, in qualche modo che non mi è ben chiaro, ho forse ricevuto anche il perdono di Lily, ma non sono ancora riuscito a guardare quel lembo di pelle.» Senza che aggiungesse altro, Hermione aveva già capito di cosa stesse parlando: quel Marchio che gli aveva bruciato la carne e l’anima per anni, impresso più nel suo cuore che semplicemente sulla pelle, quel simbolo di ciò che era stato e di tutto il male che aveva fatto nella sua vita.
Non poteva di certo biasimarlo per non essere riuscito a guardarlo, ma non poteva credere che in tutti quei mesi si era imposto persino di non osservare una parte di sé, una parte dalla quale era così difficile distogliere lo sguardo.
Hermione non disse niente, puntò il suo sguardo agli occhi di Severus e gli sorrise, un semplice gesto sulle labbra che nascondeva tutto l’amore del mondo, quell’amore che in quel momento si poteva respirare a pieni polmoni.
Gli afferrò la mano sinistra con le sue, le dita strette sulla carne del mago che lentamente scivolarono sulla stoffa che gli copriva la pelle, quel manto nero come la notte che separava il passato dal futuro.
«Una volta eri questo, Severus» e slacciò il primo bottone, «ma non sei mai stato realmente ciò che questo Marchio voleva che fossi» e sbottonò il secondo e poi il terzo, con lentezza li aprì tutti, senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi che scintillavano di una strana luce. «Non riesci a guardarti l’avambraccio perché hai paura, paura che tutta l’oscurità che avevi dentro possa tornare ad inghiottirti» slacciò anche ogni singolo bottone dell’altra manica, ma questa volta con velocità perché quella parte del corpo, al momento, non richiedeva la sua completa attenzione.
«Non devi aver paura, Severus, perché quel Marchio non ti è mai appartenuto e tu non sei mai appartenuto ad esso, e anche se fosse lì, ancora ben impresso sulla tua pelle, non devi aver timore, perché tu sei stato più forte, lo hai battuto e non ti avrà di nuovo come mai ti ha avuto nel passato» Hermione gli sfilò la casacca nera, adagio, come lui aveva fatto con lei poco tempo fa, perché in quel momento sarebbe stata lei a doversi prendere cura di lui. «Le persone ti vogliono bene per quello che sei, non per quel Marchio, io ti amo perché sei Severus e non m’importa se su quel braccio porterai per sempre il segno di una parte del tuo passato» e la camicia candida del mago era finita tra le sue dita, stretta tra le sue mani ad assaporarne ogni aroma, quel profumo che sapeva di Severus e di nient’altro perché l’uomo che le era davanti soltanto quello sarebbe stato ai suoi occhi, e nessuna macchia sulla pelle avrebbe distorto la sua vista.
Gli sorrise Hermione mentre il suo tocco gli scaldava la pelle, quelle carezze che, con lentezza disarmante, lo stavano portando alla pazzia e non si mosse quando sentì le sue dita scivolargli sul petto, verso quel cuore che aveva ripreso a battere con forza grazie al suo sguardo e al suo sorriso, verso il suo, di viso, su quegli occhi che aveva chiuso e che non riusciva ad aprire per guardarla, per guardare quel pezzo di carne non più nascosto.
Le labbra di Hermione si posero sulle sue, delicate, un bacio caldo che gli scaldò l’anima e la sua bocca scese, pian piano, verso quella paura che voleva dissipare con il suo tocco.
«Hermione…»
«Non aver paura» lei aveva visto, sapeva con esattezza cosa c’era sul suo avambraccio, ma voleva che guardasse lui stesso, che qualunque cosa vi avesse trovato, non avrebbe cambiato nulla, soprattutto in lui, in quello che era stato e in quello che era diventato.
«Apri gli occhi, Severus» e il mago li aprì non appena sentì la bocca di Hermione scivolare su quel punto che per anni aveva accolto il Marchio, li aprì quando sentì la lingua scorrergli umida sulla pelle, e allora vide, vide quello che in quei mesi si era rifiutato di guardare.
Del Marchio Nero non c’era rimasta che una traccia sbiadita, soltanto i colori di un quadro lasciato alle intemperie per secoli che si potevano scorgere soltanto se osservati da vicino e anche in quel caso sarebbero apparsi come delle tinte sfumate ognuna verso un grigio tenue, come quel fumo che si percepisce, ma si fa fatica a vedere.
Erano rimasti soltanto i contorni di quel teschio e serpente che si erano mossi per anni su di sé, che gli avevano bruciato l’anima e distrutto il cuore; il Marchio era svanito, portato via dal suo vero padrone che, nonostante tutto, non era mai riuscito a dominarlo.
E il cuore di Severus parve più leggero e quell’ultimo peso che gli era rimasto sull’anima, si sciolse come i cristalli di neve sotto il sole cocente di mezzogiorno e sorrise Severus, sorrise a se stesso finalmente libero, sorrise a Hermione che lo aveva aiutato a liberarsi da quelle catene che lo avevano tenuto fino ad allora ancorato ad un passato dove la sua vita era stata nient’altro che colpe e dolori, rimorsi e doveri da portare a termine fino alla fine.
Abbracciò Hermione, la strinse con forza e la sua pelle nuda anelava un contatto con il corpo della strega, voleva finalmente che fosse sua, completamente, desiderava appartenergli, ed era un desiderio che gridavano anche il suo cuore e la sua mente.
«Hermione... non hai la minima idea di quanto io ti desideri» le sussurrò all’orecchio, sorridendole, baciandola e carezzandola come se non aspettasse altro da tutta la vita, come se dai battiti della donna dipendessero i suoi, e la strinse e le tolse ogni brandello di stoffa che lo separava dal suo corpo.
Voleva che fosse sua, voleva essere suo.
Quella notte, per la prima volta, fecero l’amore, lasciandosi il passato alle spalle e abbracciando quel futuro che li attendeva.
Fecero l’amore una volta, due, fino a che un nuovo tramonto colorò il cielo sopra di loro.

Edited by Severus Ikari - 9/2/2014, 22:04
 
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