Il Calderone di Severus

N.13: Un anno di sorrisi per Severus

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Ania DarkRed
view post Posted on 22/11/2013, 18:23 by: Ania DarkRed
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Titolo: 9. Mi prendo cura di te
Autore/data: Severus_Ikari / marzo 2013 (rivista in corso di pubblicazione)
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One shot
Rating: Per tutti
Genere: Romantico, Commedia, Introspettivo
Personaggi: Severus Snape, Hermione Granger, Minerva McGonagall
Pairing: Hermione/Severus
Epoca: 7 anni dopo la fine della II Guerra Magica
Avvertimenti: AU
Riassunto: “Sapeva che adesso era il turno di Severus di fare quei passi avanti, Hermione li aveva già fatti e si era ritrovata a doversi scostare da lui che immobile l’aveva lasciata andare."
Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti.
La trama di questa storia è invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
Nota 1: Questa è la nona storia di “Un anno per amare” (ricordo che prima si intitolava “È sufficiente un anno per innamorarsi?”) ed è il seguito di "Il regalo più importante".
Parole/pagine: 3269/5



Un anno per amare

9. Mi prendo cura di te



15 settembre 2005



Quel giovedì, poco dopo l’ora di pranzo, Hermione uscì dall’aula in cui aveva discusso la sua tesi e finalmente poté essere chiamata Medimaga: il cuore sembrava volerle uscire dal petto da quanto batteva forte per la felicità.
Aveva due occhiaie da far paura, ma non le importava, aveva faticato e lottato per tutta la vita per giungere a quel momento e vedere la gioia sul viso delle persone che le volevano bene, ne era la dimostrazione.
Certo, mancava una persona, ma sapeva che lui non sarebbe mai venuto, ormai avevano troncato quasi ogni contatto, tranne alcuni giorni in cui si erano incontrati per pura coincidenza a casa di Harry e non si erano guardati neppure, forse troppo imbarazzati; e poi a lui cosa importava se avesse raggiunto quel traguardo?
Camminò verso i suoi amici, euforica, e li abbracciò uno ad uno, ed era talmente felice che non riuscì a sentire neppure tutto quello che le stavano dicendo; poi, mentre era stretta tra le braccia di Ginny, lo vide in un angolo, in disparte, com’era consuetudine per un uomo come lui, poggiato al muro di un corridoio un po’ buio che la guardava. Sorridente.
Hermione gli andò vicino mentre gli altri si preparavano ad uscire: quel giorno si doveva assolutamente festeggiare, la piccola Weasley era stata piuttosto irremovibile, le aveva detto che una distrazione – e perché no, anche un po’ di eccitazione alcolica – le avrebbe fatto solo che bene.
«Di cosa trattava la tua tesi?» fu la prima cosa che le chiese, senza un saluto, senza alcuna congratulazione, così, da Snape.
«Il comportamento del corpo umano colpito da un morso – apparentemente – letale di un serpente velenoso contenente anche un frammento dell’anima malvagia di un mago oscuro.»
«Quindi sono motivo di studio, adesso.»
«C’è molto da studiare in te.»
«Questo mi fa molto felice, veramente, sono commosso.» Incrociò le braccia al petto e mise addirittura il broncio: terrificante. E adorabile, pensò la giovane strega.
Ed Hermione trattenne a stento una risata.
«Smettila di fare sempre il bisbetico, sei un uomo fantastico da cui molti avrebbero da imparare. Io ho imparato molto da te, se non l’avessi fatto, non sarei qui, con una specializzazione di Medimagia tra le mani.»
«Avresti imparato lo stesso, sei sempre stata piuttosto brava.» Hermione si voltò ad osservarlo bene, un’espressione di pura incredulità dipinta sul volto.
«Aspetta… aspetta… non l’avrai mica detta sul serio una frase del genere? Stai bene? Hai la febbre? Hai sbattuto la testa? Un piede? Qualcosa?»
«Ah ah, molto divertente, davvero, potrei morire di attacco di risa seduta stante. Poi magari fai uno studio anche su questo.» Si guardavano e parlavano e, in quell’attimo, era come se non si fossero mai allontanati l’uno dall’altro.
«“L'uomo che non ride mai, muore ucciso da una risata incontrollabile.”» Hermione Granger si ritrovò a ridere, ridere sonoramente e spudoratamente del mago che le era vicino, appoggiato al muro, che la guardava con curiosità e perplessità, ma neppure lui riuscì a trattenere un sorriso che gli piegò entrambi i lati della bocca.
«Merlino, sei divertente, Severus. E se sei divertente, significa che c’è qualcosa che non va. Cosa c’è?»
«Sono sempre stato divertente» rispose quasi piccato. «E comunque non c’è nulla che non vada.»
«Non ci credo moltissimo,» ma non voleva di nuovo cercare di entrare nei suoi pensieri, ormai le era chiaro che lui non avrebbe permesso a nessuno di penetrare quella corazza che neppure sette lunghi anni di coma avevano distrutto. Decise, così, di deviare il tema di conversazione su altro. «Vieni anche tu alla festa?»
«Veramente io non credo sia il caso.»
«Perché no?»
«Perché non…»
«Oh, Severus, che piacere vederti, cercavo giusto te. Per favore, accompagna questa povera vecchia a fare due passi e poi alla Tana, così parliamo un po’.»
«Veramente io…» e di nuovo fu interrotto da Minerva che lo stava già trascinando fuori dal San Mungo senza che lui potesse addirittura fiatare, le sopracciglia alzate più del dovuto, mentre Hermione li guardava allontanarsi con un ampio sorriso sulle labbra.
Quelle labbra…
“E no, mio caro, questa volta non te la svigni, ti costringo a venire alla Tana e parlarle una volta per tutte, dovessi legarti da qualche parte!”.
Le si era stretto il cuore ogni volta che li aveva visti distanti, come se fossero due estranei, eppure i loro sentimenti verso l'altro erano così chiari che non credeva affatto possibile che in quel momento si comportassero in quel modo. Veramente assurdo.
Sapeva che adesso era il turno di Severus di fare quei passi avanti, Hermione li aveva già fatti e si era ritrovata a doversi scostare da lui che immobile l'aveva lasciata andare.
Poi, però, davanti alla tomba di Albus le aveva confessato i suoi sentimenti per la giovane strega, eppure in tutti quei giorni non era riuscito ad andare da lei, a dirle alcunché.
"Inammissibile!".
Sì, era davvero inammissibile, e se lui non avesse fatto qualcosa, ci avrebbe pensato lei a spingerli l'uno addosso all'altro, a questo punto non poteva più aspettare.

La Tana era come la ricordava durante le riunioni dell’Ordine, nulla era cambiato, eppure sapeva che c’era un vuoto che sarebbe stato difficile colmare, si poteva sentire persino poggiando le mani sulle mura, ed era lo stesso vuoto che lui aveva avuto dentro per anni e che sapeva nulla avrebbe cancellato, ma bisognava imparare a conviverci, a farne una parte di sé.
Per un interminabile tempo, il dolore che gli aveva procurato quel vuoto era stato il suo unico compagno di vita, persino in quello stato vegetativo era stato un frammento del suo essere, ma erano bastati i sorrisi di chi gli voleva bene a relegarlo in un luogo nascosto che lo custodisse, era bastato rendersi finalmente conto che c'erano davvero persone che provavano affetto nei suoi confronti, e aveva persino scoperto di ricambiare quei sentimenti.
E poi c'era l'amore, finalmente l'amore, quello vero, quello reale, e non quello confuso con mille altre emozioni.
Aveva parlato a lungo con diverse persone – o meglio, come sempre, lui aveva ascoltato e detto appena poche parole, e per uno come lui era un grande traguardo – e sembrava tutto così irreale che credeva di sognare, e si era sentito come appartenente ad una famiglia, come mai gli era capitato di sentirsi; a volte, però, la sua mente lo portava lontano, nel passato, in quel periodo dove il buio aveva inghiottito ogni cosa di sé e si ritrovò a stringere le dita pallide sull'avambraccio sinistro dove non sapeva se ancora vi fosse impresso quel Marchio immondo che l'aveva reso schiavo per lungo tempo.
Da quando si era svegliato, non aveva avuto il coraggio di guardare quel lembo di pelle che per anni era bruciato in un rilievo di teschio e serpente, forse aveva paura che fosse ancora lì, a ricordargli ciò che era stato e che, probabilmente, ancora era; nonostante i suoi sforzi per essere qualcun altro, per essere migliore, quel Marchio era ancora ben impresso, a memoria e monito che non si può fuggire dal proprio essere.
No, lui non sarebbe più stato il Mangiamorte, l'assassino, il malvagio, e questo, ormai, neppure una macchia sulla pelle avrebbe potuto cambiarlo.
Allora perché aveva così timore a guardare quel tratto di carne?
All'improvviso una musica si era levata alta tutto intorno, distraendo dai suoi pensieri Severus – e mentalmente ringraziò chiunque avesse dato il via a quei suoni, per averlo tolto da quel campo minato che stavano diventando i ricordi del passato – che si allontanò in un luogo in cui sarebbe rimasto in disparte a guardare, sorridendo a ciò che osservava, ma non ancora pronto per vivere a pieno quella vita cui si era aggrappato con ostinazione; gran parte dei presenti iniziò a ballare al ritmo di quella melodia, mentre lui scrutava, scrutava ogni cosa, senza lasciarsi sfuggire nessun dettaglio, senza lasciarsi scappare nessun sorriso e nessun grido di gioia, ma più di tutto i suoi occhi scorrevano su di lei.
Il suo sguardo fisso sulle sue labbra, sul suo, di sorriso, quello che aveva sognato per notti intere, quello che si era posato sulla sua bocca per un istante troppo breve per farlo completamente suo.
Hermione aveva ballato con Ron, con Harry, persino con Neville e con altri uomini che l'avevano fatta volteggiare come lui avrebbe voluto fare, e invece era rimasto lì, in disparte a guardare e a riflettere su ciò che avrebbe voluto fare e che invece non si decideva a fare.
La vide stanca, stravolta, ma ancora sorrideva e non osava negarsi a nessuno, la vide cercarlo tra gli amici, ma lui non c'era.
Sei un amico per lei?
No, lei lo amava, profondamente, amava ogni cosa di lui, le sue ombre come le sue luci, il suo passato e le sue colpe, quei dolori che voleva diventassero i suoi. Lo amava veramente.
E tu?
Uscì dal nascondiglio che si era creato dai pensieri e dagli altri, e andò verso la giovane strega e, senza dire una parola, le afferrò un polso trascinandola con sé.
«Che fai?»
«Mi prendo cura di te» e la portò insieme con lui, in un luogo dove non ci sarebbe stato nessun altro, in un angolo di mondo in cui, almeno per una notte, ci sarebbero stati soltanto loro due e nient’altro avrebbe avuto importanza.

In quelle stanze c'era un assoluto silenzio e il tempo sembrava essersi fermato persino lì, come se non fosse passata neppure un'ora dall'ultima volta che vi aveva messo piede, invece erano passati sette lunghi anni, anni in cui tutto era andato avanti mentre lui era rimasto immobile su un letto d'ospedale, come il buio e la polvere di quella parte dei Sotterranei di Hogwarts.
Sapeva che in quel luogo nessuno aveva osato toccare qualcosa in tutti quegli anni, in fondo era stato per lungo tempo la dimora del Mangiamorte e dell'assassino e chiunque avrebbe camminato lontano da tutto quel male, convinti che persino l'aria che si respirava lì dentro sarebbe stata malvagia e corrotta; poi era diventata la casa di un quasi morto e per rispetto non avevano sfiorato neanche il pesante portone di legno che separava il suo mondo dall'esterno.
Severus conosceva ogni parte di quelle stanze, ricordava perfettamente ogni cosa e ogni oggetto era allo stesso posto nel quale l'aveva lasciato e questo lo fece sorridere, era curioso che ogni cosa legata a lui non fosse per niente cambiata.
Sei cambiato tu, Severus.
Si voltò verso Hermione e vide alcune lacrime che le scendevano lungo il viso: in un attimo il sorriso svanì e la sua espressione si fece cupa, come non lo era da tempo.
«Sapevo di non doverti portare qui. Che stupido, troppo dolore e troppo buio sono rimasti imprigionati qui dentro.»
«Cosa? Oh, no, hai capito male. Troppa polvere è rimasta imprigionata qui dentro, e si fa fatica persino a respirare.»
Severus la guardò un istante con espressione piuttosto perplessa, inclinando appena il capo, poi, all'improvviso, scoppiò a ridere, una risata che gli era salita dal profondo, e non riuscì a smettere neppure dopo che un'Hermione accigliata iniziò a lanciargli sguardi di fuoco.
«Non c'è da ridere, sai. Potresti pulire e far entrare un po' d'aria pulita, adesso la bacchetta ce l'hai!»
In un attimo il mago rimosse ogni traccia di polvere e l'aria sembrò fresca di primo mattino, poi si fermò ad osservarla, scrutandola a fondo, come se quella fosse l'ultima volta che l'avrebbe vista e il suo sguardo sembrava quello che si rivolge al più bello spettacolo della natura che incanta e fa rimanere senza fiato.
Sotto i suoi occhi neri, Hermione dovette sentirsi proprio in quel modo, perché il suo viso si colorò di rosso per l'imbarazzo e fu costretta ad abbassare lo sguardo verso terra per non rischiare di diventare ancora più rossa e fare la figura della ragazzina sorpresa dalla prima cotta della sua vita.
Severus le prese una mano, un tocco leggero, delicato e con altrettanta delicatezza baciò ogni singolo centimetro di pelle ed Hermione, in quel momento, si sentì andare a fuoco, fin dal profondo, ma non riusciva a sostenere il suo sguardo nero della notte, in quel frangente meno che mai.
Quella bocca che aveva desiderato baciare notte dopo notte in quella stanza d'ospedale, adesso era lì, a carezzarle la carne, un tocco che sentiva nell’intimo, che le saliva da dentro, fino a darle intensi brividi nell'anima.
«Ti sei presa cura di me per sette lunghi anni, lascia che adesso sia io a prendermi cura di te, qui, questa notte» le disse come se in qualche modo avesse intuito i suoi pensieri, senza il bisogno di entrarle nella mente com’era maestro nel fare.
«Quindi è solo pareggiare i conti? Soltanto senso del dovere?»
«No. È volere. Soltanto ciò che voglio.» E le afferrò il mento costringendola a fissare i suoi occhi in quelli del mago, e in quel momento seppe di essersi completamente persa, lo sapevano entrambi di essersi persi l'uno nell'altro, nei loro sguardi e nelle loro anime che si sfioravano e vibravano in armonia come le corde di un violino che avrebbe suonato una musica di vita soltanto per loro, una musica di felicità e di sorrisi.
Senza lasciarle la mano, la condusse al di là di una porta che in tutto quel tempo era rimasta chiusa, sigillata al mondo, celata a chiunque non fosse lui stesso, perché in quel luogo lui poteva essere se stesso, lì, per anni si era nascosto il vero Severus e aveva vissuto, lontano da tutti gli occhi che, forse, non l'avrebbero mai conosciuto e, nella sua mente, nessuno avrebbe dovuto mai conoscerlo, convinto che la sua vita sarebbe dovuta finire quella notte alla Stamberga.
E invece si era aggrappato ad essa per sette lunghi anni e adesso era, finalmente, tornato a vivere, come mai era stato capace di fare, come mai gli era stato permesso di fare.
«Vorrei che ti lasciassi condurre da me. Non ho cattive intenzioni, te lo prometto.»
Hermione lo fissò per un attimo, un velo di confusione ad adombrarle il volto. «D'accordo. Mi devo preoccupare?»
«Oh sì, molto, direi» e le regalò uno splendido sorriso che celava una malizia che la fece avvampare, credeva che da un momento all'altro sarebbe andata a fuoco, e in quell’attimo sarebbe bruciata volentieri, con lui e per lui. «Ma prima...» con una lentezza che chiunque avrebbe definito esasperante, le sfilò la maglietta, pian piano, le lunghe e pallide dita a sfiorarle la pelle, un tocco morbido e freddo, che contrastava con il calore del suo corpo e la fece sussultare dopo che un brivido le ebbe percorso veloce la schiena.
Sentiva salire le sue mani, salire verso le spalle, e non fece nulla per impedire quel tocco delicato che la stava penetrando a fondo, era come se le stesse afferrando l'anima stessa.
«Che fai, prima mi dici di non avere cattive intenzioni e poi che mi devo preoccupare?» Ma ad Hermione non importava di nulla e non avrebbe avuto nemmeno la forza di preoccuparsi, in quel frangente si stava solo smarrendo e aveva bisogno di qualsiasi cosa per non farlo troppo velocemente, perché quello che il mago le stava regalando in quel momento, avrebbe voluto non finisse mai.
Desiderava con tutta se stessa che quell'attimo si potesse conservare in eterno, le sue dita sulla pelle, quel gelo che la stava incendiando da dentro che crebbe, crebbe fino a quando la maglietta non separava più la sua carne dal tocco del mago.
E aumentò ancora, quando avvertì l'indice di Severus percorrerle con accuratezza ogni lembo del suo corpo, dal collo verso l'incavo dei seni, e poi a scendere, calmo, fino alla chiusura dei pantaloni, e poi verso il suo viso per poi tornare a slacciare la cintura, e di nuovo verso le spalle, le braccia, e ancora andare giù e lentamente aprire quel bottone che avrebbe voluto strappare.
«Hai deciso di farmi perdere la testa?»
«Ci sto riuscendo?» Le sussurrò sulle labbra, poteva sentire il suo caldo respiro infiammarle la bocca e sorrise Hermione, e gemette sulle sue, di labbra, quando percepì la stoffa dei pantaloni scivolarle lungo le gambe, accompagnata dalle dita di Severus che non avevano alcuna intenzione di staccarsi dalla sua pelle.
«Sì. Direi di sì.»
«Bene» le sorrise sulle labbra, sul collo, e le sorrise dietro le orecchie procurandole dei fremiti che le percorsero tutto il corpo. «Ho solo deciso di prendermi cura di te, Hermione. Se tu me lo permetterai, vorrei prendermi cura di te questa sera, farti rilassare e farti dormire, perché ne hai un estremo bisogno»
«Ah sì? E da cosa lo deduci?»
«Delle tue adorabili occhiaie. Ti hanno mai detto che sembri un panda?»
«No» rispose quasi irritata, ma le labbra tradivano il suo falso risentimento. «E comunque i panda non indossano l'intimo.»
«Veramente i panda non portano nulla» specificò Severus mentre entrambi gli angoli della bocca si piegavano verso l'alto, così come in alto andarono entrambe le sopracciglia.
In quel momento era come se non fosse mai esistito nient'altro, come se quella fosse la loro semplice e splendida quotidianità, soltanto quella, anno dopo anno, senza ombre, senza dolori e senza colpe da dover espiare.
Severus si rese conto di non aver mai provato nulla di simile in tutta la sua vita, mai emozione più grande, mai gioia più profonda, e vedere quel sorriso su quelle labbra era la prova che finalmente poteva vivere, vivere a pieno come mai aveva fatto.
E il suo futuro, in quel momento, aveva gli occhi di Hermione Granger, la petulante So Tutto che lo irritava ogni qual volta alzava la mano, della ragazzina che aveva paura di ogni suo sguardo, della donna che aveva combattuto e aveva sofferto. Quegli occhi che gli stavano gridando di amarli, che gli stavano urlando di amarlo, incondizionatamente, afferrando le molte ombre e le molteplici luci di quel mago che dopo anni e anni di torpore, aveva deciso di essere felice e di meritare quella dannata felicità scansata per troppo tempo.
E si rese finalmente conto che un futuro l’aveva davvero e lo guardò attraverso il viso di Hermione, attraverso il suo corpo e il suo cuore che volle sentire battere sulle dita, un battito dietro l’altro fino a raggiungere il suo, in quella strada di anima e carne che sembrava unirli sempre di più.
La strinse a sé, al suo petto, alla sua, di anima, e le sorrise, un sorriso d’amore e di vita, e la strinse ancora di più mentre silenzioso Appellava il suo mantello per chiuderli entrambi al mondo, per quegli istanti, per quella notte.
Protetti da un abbraccio di stoffa che li avrebbe avvolti nella calda carezza dell’oscurità e di quella notte che brillava negli occhi del mago, rilucendo nelle iridi di Hermione: un unico fuoco che li avrebbe scaldati entrambi. Per sempre, perché in quel momento Severus comprese che quello sarebbe stato il suo “sempre” e avrebbe fatto di tutto per esso.
«Lascia che io mi prenda cura di te, questa notte» le ripeté mentre la prese tra le braccia e, senza sciogliere quell’abbraccio, la condusse sul suo letto, uniti a vegliare i sogni l’uno dell’altro, a cullare quel sonno che avrebbe illuminato e accolto le loro anime.
Perché in quel momento non avevano bisogno di nient’altro, soltanto di stare legati e di sentire ognuno il proprio cuore battere per l’altro. E Severus voleva solamente cullare il corpo di Hermione, carezzarlo e guidare il suo essere in quella tranquillità e in quel riposo di cui aveva bisogno.
«Prenditi cura di me per sempre, Severus» ed insieme scivolarono in un sonno finalmente sereno, perché i loro desideri e sogni erano lì, su quel letto, accolti e protetti dal lungo mantello di Severus.
 
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