Il Calderone di Severus

N.13: Un anno di sorrisi per Severus

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Alaide
view post Posted on 20/11/2013, 11:16 by: Alaide
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Autore/data: Alaide – 1 – 7 ottobre 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One-shot
Rating: per tutti
Genere: Drammatico, Introspettivo
Personaggi: Severus Piton, Personaggio originale
Pairing: peut-être Personaggio originale/Severus
Epoca: Post 7° anno
Avvertimenti: AU
Riassunto: Sperava di ricevere una lettera colma del sorriso affettuoso di Judith.
Temeva di ricevere una lettera colma d’odio.
Sperava di ricevere una lettera in cui la bambina lo chiamasse padre, come nell’ultima che gli aveva inviato.
Temeva di ricevere una lettera in cui gli dicesse quanto era stata sciocca nel considerare come padre un uomo che l’aveva abbandonata.
Nota: E’ il seguito di Inquietudine
Parole: 1377

Sinfonie.
22. Sinfonia in si min. op. 2 n°6
Secondo movimento. Luce



26 aprile 2004
Cara Judith,
non so se, dopo aver letto questa mia lettera, potrai ancora perdonarmi, se vorrai ancora chiamarmi padre.
Nella tua lettera dici che il posto in cui mi trovo deve essere un luogo brutto, ma, per diverso tempo, ho creduto fosse il luogo in cui meritavo di stare ed in cui meritavo di ricevere il tuo odio ed il tuo disprezzo.

La bambina alzò per un istante gli occhi dalla lettera, per portarli su Melusine che si trovava, a poca distanza di lei, intenta a medicare il ginocchio sbucciato di un bambino che era caduto, mentre giocava in giardino. Avrebbe voluto che la donna fosse seduta accanto a lei, ma sapeva che non poteva occuparsi esclusivamente di lei e che dopo aver messo un cerotto a Elisabeth sarebbe tornata da lei.
Quando ti è stato detto che ero stato trasferito in un ospedale francese, come ti ho già scritto, ti ho mentito ed è unicamente a causa mai se anche la signorina Fairchild ti ha nascosto la verità.
In quel momento, ho erroneamente creduto di prendere la migliore decisione possibile. Mi sono autodenunciato alla polizia per l’omicidio dei tuoi genitori.

Judith lasciò cadere per terra la lettera, mentre alcune lacrime le colavano lungo le guancie. Melusine si era appena rialzata ed aveva rimandato Elisabeth a giocare con gli altri bambini. Vide la donna andare verso di lei e sedersi al suo fianco, sull’erba. Per diverso tempo non riuscì a dire nulla, né a riprendere in mano il foglio.
«Non è stato lui ad ucciderli.» mormorò, senza guardare Melusine. «Io c’ero e so che non è stato lui. Come ha fatto la polizia a credergli? Non ha senso. E perché non mi hanno chiesto niente? Io avrei detto che non è stato Severus.»
«Credo che abbia raccontato una menzogna perfettamente credibile, Judith, e che abbia detto qualcosa che non ha fatto ritenere opportuno alla polizia parlare con te.» affermò la donna, osservando la ragazzina e le lacrime che le bagnavano le guancie.
«Avrebbero dovuto però…» ribadì la bambina, riprendendo in mano la lettera.
Sono stato interrogato e processato. In questo momento, come avrai già immaginato, ti scrivo dalla mia cella, nel carcere di questa cittadina.
Un tempo ho creduto di aver compiuto la scelta migliore. Quella notte di agosto non ho potuto salvare la vita di tuoi genitori e mi sembrava di averti privato, io stesso, dei tuoi genitori. Volevo il tuo odio, Judith. Volevo che tu mi disprezzassi per quello che avevo fatto e non mi sono reso conto che, dopo diverso tempo, di averti abbandonata quando avevi bisogno di me.
So di non meritare il tuo perdono. Ti ho lasciata sola ed io stesso non riesco a perdonarmi per questo.
Con affetto,
Severus

Judith alzò lo sguardo e lo portò su Melusine. Non notò lo sguardo preoccupato della donna, la mente rivolta alle parole che Severus le aveva scritto. Non riusciva ancora a comprendere come la polizia potesse avergli creduto. Le risultava difficile capire, allo stesso tempo, come l’uomo potesse pensare di farsi arrestare perché non era riuscito a salvare la vita a mamma e papà. Doveva essere pericoloso già trovarsi in casa sua in quel momento. Forse aveva corso dei rischi per salvare lei. C’erano quei due uomini che stavano facendo del male ai suoi genitori. Avrebbero potuto vedere che c’era anche Severus e che l’aveva nascosta nell’armadio. Certo, sarebbe stato bello se l’uomo fosse riuscito a salvare anche mamma e papà, ma Judith aveva sempre saputo che doveva essere già stato difficile salvare lei.
Ma Severus alla polizia aveva detto di aver ucciso mamma e papà e la polizia gli aveva creduto.
«Non ha detto di avermi salvata, vero?» domandò alla donna.
Melusine scosse unicamente il capo, un sorriso triste sulle labbra. Non riusciva ad immaginare cosa potesse passare per la mente della ragazzina in quel momento. Forse stava tentando di accettare la verità, forse stava cercando di comprendere per quale motivo Severus si fosse accusato di un crimine che non aveva commesso.
«Però non mi ha lasciata sola. Questo non è vero. Avrebbe potuto non scrivermi, avrebbe potuto non darmi consigli. Invece mi vuole bene.» Judith si interruppe un attimo. Rilesse rapidamente le ultime frasi della lettera. Avrebbe voluto poter dire a Severus che non era affatto vero quello che credeva, ma l’uomo non era lì con lei. Eppure non era nemmeno troppo lontano da lei. «Voglio andare a trovarlo. Possiamo andarci subito, Melusine?»
«Sì, anche se non sono sicura che tu possa entrare in carcere. So che potrai rimanerne delusa.»
Judith annuì solamente. Era certa che, se avesse fatto comprendere alle guardie quanto bene volesse a Severus, l’avrebbero fatta entrare. Avrebbe detto loro che era sua figlia e allora le avrebbero fatte passare, si disse, mentre immaginava il momento in cui sarebbe entrata nella cella. Avrebbe sorriso a Severus e gli avrebbe detto che non avrebbe mai potuto odiare l’uomo che le aveva salvato la vita e che non l’aveva mai lasciata veramente sola.
Ed un sorriso colmo d’affetto per l’uomo le comparve sulle labbra.


La luce del sole penetrava lieve nella cella, illuminando malamente il tavolo. L’uomo osservò, per un istante, il raggio di luce che si posava sulla superficie malandata, sulla quale aveva posato il disegno che Judith gli aveva inviato diverso tempo prima.
Era da quando aveva spedito la lettera alla ragazzina che si ritrovava, a più riprese, ad osservare quel disegno. Vedeva il sorriso della bambina emergere da quelle figure disegnate con tanta cura. Un sorriso che forse avrebbe perso.
Sapeva che la signorina Fairchild era certa che Judith l’avrebbe perdonato.
Era consapevole della scelta che aveva fatto per evitare che la ragazzina venisse adottata, nel caso in cui l’avesse perdonato ed avesse accettato l’idea di una revisione del processo.
Sperava di ricevere una lettera colma del sorriso affettuoso di Judith.
Temeva di ricevere una lettera colma d’odio.
Sperava di ricevere una lettera in cui la bambina lo chiamasse padre, come nell’ultima che gli aveva inviato.
Temeva di ricevere una lettera in cui gli dicesse quanto era stata sciocca nel considerare come padre un uomo che l’aveva abbandonata.
Sperava di ricevere una lettera colma del sorriso di perdono della bambina.
Temeva di ricevere una lettera in cui vi fosse scritto non potrò mai perdonarti. Nessuno potrà mai farlo.
Sapeva che quell’incertezza era la giusta punizione per quello che aveva fatto, per la scelta che aveva compiuto, per il modo con cui aveva gettato al vento quella pace che aveva tanto a lungo desiderato.
Sobbalzò quasi quando udì lo sferragliare della porta. Poteva essere la risposta di Judith, si disse, ignorando il fatto che era decisamente troppo presto perché la bambina potesse avergli già risposto. Si alzò lentamente in piedi, senza quasi rendersene conto.
Non portò immediatamente gli occhi sulla porta, tenendoli ancora sul disegno. Quello era forse l’unico modo in cui avrebbe potuto vedere Judith.
Fu unicamente quando udì il suo nome che si voltò.
Forse stava delirando, forse era impazzito, si disse, quando incontrò il volto della ragazzina, quando ne vide il sorriso, un sorriso incerto, ma comunque sia colmo d’affetto.
«Severus.»
Quella era la voce di Judith.
Quello era il sorriso di Judith.
Fu soltanto quando la ragazzina gli corse incontro, percorrendo il breve spazio che li divideva, quando lo abbracciò che Severus si rese conto che quello non era un delirio, né un sogno.
Judith l’aveva perdonato.
Judith lo stava abbracciando come una figlia abbraccia un padre.
La bambina l’aveva già abbracciato nell’ospedale, ma, allora, non era riuscito a ricambiare l’abbraccio, non si era nemmeno reso conto di ricambiarne l’affetto.
Non aveva voluto vedere l’intensità del sorriso di Judith.
Aveva tentato di allontanarla da sé, autodenunciandosi.
Aveva desiderato il suo odio.
Judith lo stava abbracciando come una figlia abbraccia un padre.
Ed egli strinse a sé la bambina.
Sua figlia.
Per un breve istante le labbra di Severus si stirarono in un sorriso colmo dell’affetto che provava per Judith, per quella bambina che lo aveva perdonato, nonostante l’avesse lasciata sola.
Melusine notò il sorriso, appena accennato dell’uomo, e sperò che, fra non molto tempo, quando il processo sarebbe stato revisionato, quando Severus fosse stato scarcerato, quando sarebbero stati una famiglia, l’uomo e la bambina potessero essere per sempre padre e figlia.
 
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