Il Calderone di Severus

N.13: Un anno di sorrisi per Severus

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Alaide
view post Posted on 13/11/2013, 11:34 by: Alaide
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Autore/data: Alaide – 22 - 30 settembre 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One-shot
Rating: per tutti
Genere: Drammatico, Introspettivo
Personaggi: Severus Piton, Personaggio originale
Pairing: peut-être Personaggio originale/Severus
Epoca: Post 7° anno
Avvertimenti: AU
Riassunto: Cercò un sorriso rassicurante sul volto della signorina Fairchild, qualcosa che gli dicesse che non aveva distrutto in maniera così completa e totale la vita della bambina che aveva imparato a considerare come una figlia, della bambina che l’avrebbe forse potuto perdonare per le menzogne che le aveva raccontato.
Invece il sorriso sul volto di Melusine era teso e preoccupato.
Nota: E’ il seguito di Lettere
Parole: 2012

Sinfonie.
21. Sinfonia in si min. op. 2 n°6
Primo movimento. Inquietudine


Severus accartocciò il foglio di carta, facendolo poi cadere sul tavolo.
Era l’ennesima volta che tentava di iniziare la lettera in cui avrebbe detto la verità a Judith. Ogni volta gli sembrava che le parole non fossero le migliori, ogni volta era certo che la lettera risultasse troppo dura per la ragazzina.
Riprese in mano la missiva di Judith, dicendosi che forse lì avrebbe trovato uno spunto per riuscire a scrivere la sua risposta e sapeva perfettamente che non era la prima volta che formulava quel pensiero.
La bambina l’aveva chiamato padre nella sua ultima lettera ed egli stava per ferire sua figlia, perché, anche se Judith lo avesse perdonato, egli sapeva che avrebbe finito con il ferirla, che l’avrebbe fatta soffrire.
L’uomo prese in mano la penna, ma non riuscì a scrivere nemmeno una parola, perché udì lo sferragliare della porta che si apriva.
Non si attendeva una visita da parte della signorina Fairchild, che giungeva con una certa regolarità, né del medico del carcere che l’aveva visitato ieri, dicendosi soddisfatto dell’azione dell’antidolorifico e preoccupato per la debolezza che gli impediva quasi di stare in piedi privo di un ausilio.
Quando portò lo sguardo verso la porta, incontrò il volto pallido della signorina Fairchild. Gli parve che la donna fosse incredibilmente agitata, al punto che non gli sorrise com’era solita fare, né si diresse immediatamente verso la sedia di fronte alla sua.
«È successo qualcosa a Judith?» disse, prima ancora di rendersi conto di aver formulato il pensiero.
«No… o meglio…» la donna scosse appena il capo, contrariata con la sua incapacità di spiegare con calma la situazione. Forse non era stata una grande idea precipitarsi in carcere per parlare con Severus, ma quello che le aveva detto il direttore dell’orfanotrofio l’aveva spaventata. «Non è accaduto nulla di grave, se lo si analizza da un punto di vista esterno, se a parlare adesso fosse qualcuno che non conosce Judith.»
Melusine si interruppe nuovamente. Il suo discorso era tutto tranne che chiaro, si disse, mentre si sedeva ed osservava per un istante l’uomo. Solo allora notò che davanti a Severus stava una lettera di Judith e che il tavolo era puntellato di fogli accartocciati. Forse fu quello a darle la calma per parlare oppure fu il volto dell’uomo, il suo sguardo.
«Oggi il direttore dell’orfanotrofio mi ha chiesto di parlarmi. Ho temuto, per un attimo, che avesse scoperto le lettere che Judith le invia, che volesse dirmi che non era affatto accettabile che una bambina scrivesse ad un carcerato. Sapevo che non avrei potuto dirgli nulla, se non che Judith è sinceramente affezionata a lei, Severus, e sperare che il direttore capisse.» la donna trasse un sospiro. Tutto nel suo modo di star seduta, nel lieve tremore delle mani, faceva comprendere all’uomo quanto la signorina Fairchild fosse agitata e nervosa. Impaurita forse. «Invece voleva parlarmi di qualcos’altro, di qualcosa che egli ha definito come assolutamente positivo. Judith potrebbe essere adottata presto. Una famiglia ha chiesto di poterla adottare, dopo aver incontrato il direttore dell’orfanotrofio.»
«E lei cos’ha detto a quell’uomo?» domandò Severus, la voce mortalmente calma.
Qualcun altro avrebbe chiamato Judith figlia e la bambina avrebbe chiamato uno sconosciuto padre. Non c’era alcuna via d’uscita a quella situazione. Avrebbe voluto evadere dal carcere – in fondo non gli sarebbe stato affatto difficile –, andare a prendere la bambina, portarla via con sé, ma sapeva che era un’idea assurda, perché avrebbe condannato Judith ad una vita da fuggiasca, ad una vita terribile e, quando qualcuno li avrebbe trovati, per lui ci sarebbe stato un nuovo processo, Azkaban con ogni probabilità, considerando che sarebbe stato coinvolto il Ministero della Magia, e per la bambina un nuovo orfanotrofio.
Avrebbe voluto dirsi che era meglio così, che Judith meritava un uomo ed una donna innocenti, come egli non era mai stato. Ma non vi riuscì.
Sapeva che la bambina avrebbe sofferto. Gli aveva detto tante di quelle volte nelle sue lettere che non nutriva alcun desiderio di essere adottata, perché aveva lui, perché aveva l’affetto di un uomo che l’aveva lasciata sola.
Cercò un sorriso rassicurante sul volto della signorina Fairchild, qualcosa che gli dicesse che non aveva distrutto in maniera così completa e totale la vita della bambina che aveva imparato a considerare come una figlia, della bambina che l’avrebbe forse potuto perdonare per le menzogne che le aveva raccontato.
Invece il sorriso di Melusine era teso e preoccupato.
«Gli ho chiesto di dare la priorità ad altri bambini, ma mi ha risposto che quella famiglia aveva chiesto espressamente di Judith, dopo aver letto i fascicoli relativi ai bambini che il giudice dei minori aveva detto che potevano adottare, in base all’età. L’ho supplicato di esagerare la difficoltà che adottare una bambina come Judith potrebbe comportare, fino a quando gli ho detto che Judith ha già i suoi affetti, ha degli amici a scuola, ha persone che si prendono cura di lei e che andare in un’altra città, con degli sconosciuti non le avrebbe fatto alcun bene.
«Il direttore ha pensato che mi stessi riferendo a me stessa.» disse Melusine, dopo una breve pausa, durante la quale il sorriso si era fatto se possibile più teso e preoccupato. «Gliel’ho lasciato credere. Mi ha detto che forse esisteva una soluzione affinché potessi adottare io Judith, che avrebbe cercato di prendere tempo con la famiglia, che avrebbe potuto indirizzarla verso un altro bambino, arrivato da poco.»
A Severus sembrò che la giovane si facesse se possibile ancora più tesa ed inquieta. Sicuramente teso ed inquieto era il suo sorriso.
In quel momento la sua mente era a tal punto fissa sul fatto che Judith potesse diventare la figlia di qualcun altro, sul fatto che ancora una volta avrebbe sofferto a causa sua, che non riuscì a formulare alcuna ipotesi circa quanto il direttore dell’orfanotrofio potesse aver detto alla signorina Fairchild.
«Ha detto che potrei adottare Judith. In questo modo potrebbe dire alla famiglia che c’è già un altro candidato – o qualcosa del genere – per la bambina e che egli l’ha ritenuto più idoneo. L’adozione che ha imposto è che l’adozione avvenga veramente e che gli dimostri che mi sposerò entro la fine dell’anno. Ho riflettuto a lungo.» proseguì spedita, forse per non dare tempo all’uomo di intervenire, forse per pronunciare velocemente le parole a cui aveva pensato, mentre camminava dall’orfanotrofio al carcere. «Non esiste che una soluzione possibile. Judith ha bisogno di te, Severus, più di quanto abbia bisogno di me. Se si arrivasse ad una revisione del processo – e sono certa che Judith la vorrà quando saprà la verità –, saresti sicuramente scarcerato. Ed allora, potremmo adottare Judith.»
«E lei, signorina Fairchild, rovinerebbe la sua vita.» affermò l’uomo, scrutando attentamente il volto della donna, il suo sorriso incerto, ma meno teso ed inquieto rispetto a pochi istanti prima. «Non l’ha detto apertamente, ma è chiaro nei suoi sottintesi. Ha già perso la sua famiglia, non sacrifichi anche la sua vita. Cerchi una brava persona da sposare. Forse esiste anche un uomo che sta unicamente attendendo il momento giusto per dichiararsi. Lo sposi e adottate Judith. Poi, se la bambina mi vorrà ancora nella sua vita, sarò presente come meglio potrò.»
Melusine cercò con lo sguardo i fogli che Severus usava per scrivere, ma erano di fronte all’uomo, irraggiungibili per lei, perché potesse porgergli, perché potesse evitare di parlare.
«Nessuno potrà mai essere accettato da Judith come padre, se non te, Severus.» ribatté, un sorriso dolce sulle labbra, un sorriso totalmente diverso da quello teso ed inquieto con cui era entrata nella cella. «Non esiste altra soluzione, nessun’altra soluzione legale. Non so se con la magia…»
«Sarebbe impensabile.» la interruppe bruscamente l’uomo, osservando la giovane con attenzione. V’era qualcosa di strano nel suo sorriso, qualcosa che non riusciva a cogliere. In quel momento gli pareva un sorriso più simile a quello che gli aveva rivolto quando aveva scoperto di quali orrori era stato capace nella sua vita, un sorriso colmo della promessa del perdono, un sorriso simile a quello di Judith. «Potrei evadere facilmente da questa cella, potrei anche andare all’orfanotrofio e portare con me la bambina, ma non la condannerei mai ad una continua fuga. Il Ministero della Magia è in contatto con il suo Primo Ministro, signorina Fairchild.»
«Allora non esiste nessun’altra soluzione possibile, Severus.» mormorò Melusine. Aveva riflettuto prima di andare in carcere, mentre vi si recava e non aveva visto nessun’altra strada per la felicità di Judith, per la pace dell’uomo, anche se questo significava sposare qualcuno che non avrebbe mai ricambiato il suo sentimento. «Judith non accetterà mai un altro uomo come padre.»
V’era determinazione nello sguardo della donna e nel suo sorriso.
Ma in quel sorriso v’era anche qualcos’altro. La promessa di un futuro finalmente pacificato, una promessa simile a quella contenuta nel sorriso di Judith, quel sorriso che aveva voluto ignorare, quando aveva scelto il carcere. Severus osservò a lungo la signorina Fairchild, quel sorriso carico di perdono, quel sorriso simile, ma in qualche modo diverso, dal sorriso di Judith.
Se avesse accettato la sua proposta, la donna avrebbe legato la sua vita alla sua, per il benessere e la felicità della bambina.
Se avesse accettato, ci sarebbe stata la revisione del processo e questo avrebbe significato far soffrire Judith, ma, forse, sarebbe stata una sofferenza inferiore a quella che avrebbe provato nel momento in cui sarebbe stata allontanata dai suoi affetti.
Dal suo migliore amico, dalla signorina Fairchild.
Da lui.
Ed era certo che la nuova famiglia di Judith non le avrebbe mai permesso di mandare lettere ad un carcerato.
Melusine continuava a sorridergli, si accorse, ed il sorriso era sempre colmo di determinazione e della promessa di pace e perdono.
Sapeva che quella situazione era nata unicamente perché lui era stato stolidamente cieco di fronte al sorriso di Judith, anni prima. Aveva gettato al vento un futuro pacificato ed, ora, se voleva riuscire a tenere la bambina accanto a sé, a non perdere per sempre una qualsiasi speranza di futuro, doveva scegliere di sacrificare il futuro di quella donna dall’animo gentile.
Eppure, la signorina Fairchild aveva ragione.
Non esisteva nessun’altra soluzione possibile.
«Ci sarà la revisione del processo, unicamente se Judith vorrà.» affermò infine.
Sapeva che se la bambina non avesse voluto, a quel punto sarebbe stata adottata da quella famiglia. D’altronde se Judith avesse rifiutato, avrebbe significato che non l’aveva perdonato, che ne aveva perso l’affetto ed il sorriso. Ed allora, la soluzione escogitata dalla signorina Fairchild sarebbe stata completamente inutile.
La donna gli sorrise nuovamente, nell’udire quelle parole. Era un sorriso dolce, quasi sollevato e colmo di riconoscenza.
Non rimaneva molto, dell’ora di visita della signorina Fairchild. Presero rapidamente accordi circa quello che lei avrebbe dovuto dire al direttore dell’orfanotrofio, circa il modo in cui procedere, nel caso in cui Judith avesse voluto la revisione del processo.
Durante quel tempo, Severus non soffermò mai il pensiero su ciò che avrebbe comportato il loro accordo. Non aveva mai pensato di sposarsi, non dopo aver perso l’amicizia di Lily. Con ogni probabilità non sarebbe mai accaduto, se non fosse stato per Judith. Nella sua ultima lettera la bambina lo chiamava padre, nella sua ultima lettera gli offriva affetto e perdono.
Judith meritava di essere felice.
Judith l’aveva chiamato padre, si ripeté Severus, mentre definiva gli ultimi particolari con la signorina Fairchild.
E per quanto assurdo potesse essere, la bambina aveva sempre voluto lui, l’uomo che non era riuscito a salvare i suoi genitori, l’uomo che l’aveva lasciata sola.
Judith aveva sempre detto che non voleva essere adottata e l’unico modo per evitarlo, sempre che i giudici lo giudicassero realmente innocente, era adottarla a sua volta, darle una famiglia, accettare che la signorina Fairchild sacrificasse il proprio futuro perché egli aveva commesso l’ennesimo errore imperdonabile.
Quando la guardia carceraria arrivò ad annunciare la fine dell’ora di visita, la donna gli sorrise.
Un sorriso colmo della promessa di un futuro pacificato.
Un sorriso colmo di perdono.
Un sorriso simile a quello di Judith.
Un sorriso colmo di un affetto, che Severus non seppe leggere, come non seppe leggere l’amore nello sguardo di Melusine.
 
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