Il Calderone di Severus

N.13: Un anno di sorrisi per Severus

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Ania DarkRed
view post Posted on 2/11/2013, 15:50 by: Ania DarkRed
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Titolo: 5. Il mondo che va avanti
Autore/data: Severus_Ikari / febbraio 2013 (rivista in corso di pubblicazione)
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One shot
Rating: Per tutti
Genere: Commedia, Introspettivo
Personaggi: Severus Snape, Hermione Granger
Pairing: Hermione/Severus
Epoca: 7 anni dopo la fine della II Guerra Magica
Avvertimenti: AU
Riassunto: “Il mondo era andato avanti tutti quegli anni, lui aveva dormito per sette lunghi anni e tutto intorno, ogni cosa si era mossa incurante del suo sonno, e di certo non avrebbe preteso che fosse altrimenti, non avrebbe potuto pensare che tutto fosse rimasto inalterato."
Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti.
La trama di questa storia è invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
Nota 1: Questa è la quinta storia di “Un anno per amare” (ricordo che prima si intitolava “È sufficiente un anno per innamorarsi?”) ed è il seguito di "Madre e figlio".
Parole/pagine: 2646/5



Un anno per amare

5 - Il mondo che va avanti



28 maggio 2005



Sparito.
Severus Snape era semplicemente sparito.
La sua camera era vuota della sua presenza, mentre tutto il resto era immacolato, i libri che di solito leggeva, riposti sul tavolo con precisione, i piccoli pesi che usava per fare ginnastica da solo – come gli aveva suggerito il Medimago Redden e che trovava parecchio umiliante – giacevano in un angolo.
Se non fosse per quegli oggetti, si poteva tranquillamente affermare che in quella stanza non ci avesse mai messo piede nessuno.
In quel sabato di fine maggio la pioggia cadeva fitta su Londra rendendo quella giornata ancora più cupa e quel vicolo quasi invisibile a chiunque fosse passato nelle sue vicinanze, persino agli occhi esperti dei maghi e delle streghe che ormai conoscevano ogni angolo di Diagon Alley.
Severus se ne stava lì, nascosto agli occhi indiscreti, mentre osservava la piccola libreria dall’altra parte della strada dove alcune persone osservavano quei volumi che tante volte aveva osservato anche lui anni prima, in un tempo così lontano che quasi faceva fatica a ricordare.
Quella ferita che, però, ancora gli faceva male nel petto era come se fosse stata fatta qualche ora prima, e stava sempre lì, a ricordargli il suo passato che non poteva semplicemente essere dimenticato.
Faceva ancora fatica a stare in piedi per più di qualche ora consecutiva e la sua andatura era ancora piuttosto incerta, ma non gli importava, era uno che sapeva sopportare bene il dolore, e voleva soltanto stare nel buio che confondeva la sua figura ad osservare.
Osservava quei libri, quei sorrisi sulle labbra di maghi e streghe, osservava nella speranza di scorgere l’unico sorriso che aveva bisogno di vedere, perché aveva bisogno di capire se quei giorni – e quegli anni – e quella voce fossero stati reali o solamente frutto di quella sua mente che voleva prendersi gioco del mago che aveva dormito per sette lunghi anni.
Aveva bisogno di vedere il sorriso di Hermione, il motivo però non riusciva a visualizzarlo in quella sua strana testa, oppure, semplicemente, aveva bisogno di vedere quella persona che gli era stata vicino per tutti quegli anni nonostante ciò che lui era, nonostante il male che aveva fatto e che avrebbe continuato a fare con la sua sola presenza.
Le aveva davvero detto che lo amava?
Come poteva qualcuno amare un mostro come lui? Come poteva anche solo pensare che tutte quelle parole fossero reali?
Aveva visto sua madre, aveva visto Lily e Dumbledore, poi c’era stata Minerva, orgogliosa e materna Minerva che non era riuscita a dirgli nient’altro che «mi dispiace» e poi era uscita dalla sua stanza in lacrime dopo che aveva provato ad abbracciarlo, a stringerlo a sé, come una madre farebbe con un figlio, e lui si era irrigidito, dannatamente timoroso di qualsiasi contatto umano e fisico, dannatamente incompetente di quei sentimenti e di quelle emozioni.
Ecco cos’era capace di fare uno come lui, era soltanto capace di far piangere le persone, farle soffrire, e nessuno avrebbe mai potuto amare una simile persona.
Eppure ancora stava lì, immobile, sostenuto dal freddo muro fradicio d’acqua, ad osservare qualcosa che non comprendeva, ad osservare quel sorriso che gli aveva rivolto in quei giorni, quel sorriso che era l’unica cosa che ricordava di lei quando entrava in quella stanza, troppo stanco e ancora debole anche solo per tenere gli occhi aperti e guardare non solo quelle labbra.
Sapeva che in quei sette anni aveva donato spesso un sorriso al suo corpo inerme.
Ogni volta che lo faceva, sentiva uno strano calore pervadergli il corpo, e poteva giurare con certezza di averlo percepito molte volte nel suo lungo periodo di coma, sapeva che era quello a provocarglielo, perché era una sensazione diversa da tutte le altre che aveva provato dal giorno in cui aveva di nuovo aperto gli occhi.
Nel periodo in cui era dormiente, il suo corpo aveva percepito molte e molteplici sensazioni, e da quando si era svegliato, aveva imparato ad incasellare ognuna di esse, ad associarle ad ogni persona che continuava ad andare in quella stanza. Erano come gli ingredienti di diverse pozioni, avrebbe soltanto dovuto riconoscerli e accostarli man mano ai diversi infusi.
In fondo era il migliore in quello.
A quel pensiero non poté far altro che sorridere, un sorriso sincero, sereno, e avrebbe anche riso, se non avesse avuto l’intenzione di passare inosservato, quando gli venne in mente che in tutto quel tempo le cose fossero sicuramente cambiate, e forse adesso il miglior pozionista del Mondo Magico poteva benissimo essere Harry Potter, o addirittura Neville Longbottom.
Al pensiero gli si gelò il sangue, altro che ridere.
Sette anni. Era davvero passato così tanto tempo?
All’improvviso dalla piccola libreria uscì qualcuno che salutava il vecchio proprietario del negozio ridendo, quel viso rugoso che ancora ricordava perfettamente: era bello che alcune cose fossero rimaste invariate nonostante tutti quegli anni, era una sorta di quiete nel mare che lo stava agitando ormai da giorni.
Sorrideva l’anziano mago, sorrideva a una donna che lo guardava allegra, poi lo vide, vide quel sorriso, quelle labbra che erano l’unica cosa che aveva visto di lei.
No, non può essere la stessa ragazzina petulante che non faceva altro che alzare la mano durante le tue lezioni.
“Eppure quel sorriso…”
«Ci vediamo lunedì, Hermione, divertiti questo weekend!» le disse l’anziano mago.
«Anche lei passi un buon weekend, signor Tollen, a lunedì!» gli rispose con sguardo felice e sereno, uno sguardo raggiante in un viso di donna.
È una donna.
Il mondo era andato avanti tutti quegli anni, lui aveva dormito per sette lunghi anni e tutto intorno, ogni cosa si era mossa incurante del suo sonno, e di certo non avrebbe preteso che fosse altrimenti, non avrebbe potuto pensare che tutto fosse rimasto inalterato.
Erano lunghi sette anni, e mentre lui dormiva, le persone erano morte, bambini erano nati, ragazzi erano cresciuti, e guardando quel piccolo angolo di mondo si accorse di quanto fosse fuori posto, di quanto lui ormai non c’entrava più niente con le vite di nessuno di loro.
Guardava Hermione, la donna che era diventata, combattiva, forte, ma con ancora quel velo d’insicurezza che si portava dietro fin da quando era piccola, poteva vederlo in quel sorriso che nascondeva la bambina impacciata e saccente che a undici anni aveva messo piede ad Hogwarts sorprendendo persino se stessa.
La guardava e non poteva non pensare a cosa l’avesse spinta a innamorarsi di uno come lui, sempre se fosse amore quello che provava nei suoi confronti, non avrebbe potuto dirlo con certezza, e di certo non aveva alcuna intenzione di indagare, ormai aveva preso la sua decisione.
Era giovane, aveva tutta una vita davanti e avrebbe dovuto viverla nel pieno delle sue potenzialità, senza dover pensare ad un vecchio come lui che non aveva fatto altro che del male a chiunque volesse bene ed era rimasto immobile su un letto per anni, fermando la vita di chiunque avesse varcato la porta di quella stanza.
E non poteva far altro che sparire, lasciare che il suo ricordo si dissolvesse.
Se questa era la tua intenzione perché non hai mollato tutto sette anni fa? Adesso il tuo ricordo sarebbe già sbiadito e nessuno avrebbe perso tempo a venire in una stupida stanza d’ospedale a trovare uno stupido mago che non aveva ancora deciso cosa fare della propria vita.
La sua dannata coscienza aveva ragione, e lo sapeva, era inutile mentire a se stesso, avrebbe dovuto mollare tempo fa e invece adesso si ritrovava semplicemente a scappare da quella vita e da quei sentimenti che si erano aggrappati con forza a lui, quei sentimenti che continuavano a camminare per la loro strada e spesso si voltavano verso di lui, aspettando il momento in cui avrebbe affrettato il passo per raggiungerli.
Per raggiungere quella vita che gli era rimasta attaccata addosso per sette lunghi anni, quella vita che neppure un serpente era riuscito a strappargli di dosso.
Avrebbe finalmente avuto il coraggio di compiere quei passi?
“Non c’è spazio per me nelle loro vite e di sicuro vivranno meglio senza il Mangiamorte che ha assassinato i loro affetti più cari.”
Allora perché stai seguendo Hermione Granger?
Severus Snape senza che realmente avesse voluto, si era ritrovato a camminare sotto la pioggia, metro dopo metro, per seguire i passi della giovane donna che era uscita dalla libreria ormai da tempo e probabilmente se ne stava andando finalmente a casa, magari da qualcuno che la stava aspettando.
È innamorata di te, ricordi?
A quel pensiero borbottò qualcosa piuttosto sonoramente, tanto che Hermione si voltò di scatto com’era abitudine fare quando si sentiva un rumore, ma dietro di lei non c’era nient’altro che gli ultimi avventori dei negozi di Diagon Alley che rientravano a casa per la cena.
Severus in un attimo era sparito dietro un cumulo alto e nero che non sapeva per niente cosa fosse, ma l’odore che emanava non era di certo dei migliori.
«Maledetta Grifondoro e maledetto il tuo sorriso che mi ha portato in mezzo ai rifiuti! E maledetto questo idiota che si è fatto trascinare da questo qualcosa che non so nemmeno cos’è!»
Sette anni d’immobilità su di un letto avevano minato il suo ferreo autocontrollo e la sua pazienza era ai minimi storici, ma di certo nessuno avrebbe potuto fargliene una colpa dopo tutto quello che aveva passato, oltretutto il suo fisico era ancora piuttosto debole e faceva fatica a controllarlo pienamente.
Aveva deciso di andarsene da quell’ospedale, ne aveva avuto abbastanza di stare su quel dannato letto, fissato da chiunque passava di lì, toccato da mani di persone che nemmeno conosceva per aiutarlo a riattivare ogni singolo muscolo. Ne aveva abbastanza di tutte quelle parole, di quegli stupidi esercizi e di tutte le persone che avevano continuato a fargli visita.
Soprattutto ne aveva abbastanza di vedere quel sorriso senza riuscire a scorgere nient’altro.
Hermione era sparita, guardò in ogni direzione ma di lei non c’era alcuna traccia, così riprese a camminare a fatica senza sapere dove andare, in realtà non aveva la benché minima idea di dove abitasse la giovane donna, e soprattutto, perché voleva andare a casa sua?
Era una gran bella domanda di cui, ovviamente, ignorava ogni possibile risposta.
Si ritrovò nuovamente a brontolare imprecando contro qualcosa di visibilmente poco appetibile che gli si era attaccata alla scarpa e cercava di scalciare con forza, e inutilmente. Qualsiasi cosa fosse non aveva alcuna intenzione di abbandonare la suola dei suoi stivali.
“Maledizione!”
Devo ricordarti che sei un mago e possiedi una bacchetta?
“Maledizione, la mia bacchetta!”
Sette anni di coma gli avevano fatto dimenticare persino quali fossero le cose primarie della sua vita, e avere la propria bacchetta sempre a portata di mano era una di quelle, come aveva fatto, però, ad essere tanto ottuso da essersene completamente dimenticato?
Dov’è che vorresti andare senza quel piccolo, essenziale pezzo di legno?
Severus affrettò il passo, anche se iniziava a sentirsi veramente esausto, ci sarebbe voluto ancora molto tempo prima che il suo corpo tornasse in piena forma – se mai ci sarebbe tornato: sette anni d’immobilità erano difficili per chiunque –, ma diede fondo ad ogni goccia di energia che aveva in corpo, doveva assolutamente ritrovare quell’ammasso di capelli ribelli, era l’unica che poteva sapere dove si trovava la sua bacchetta e soprattutto – cosa assai più importante – era l’unica che si trovasse nelle vicinanze.
Cercò di scacciare ancora quel residuo di spazzatura attaccato alla sua scarpa, ma il movimento gli procurò una fitta di dolore lungo tutta la coscia e fu costretto a fermarsi di nuovo, cercando un appoggio in alcune scale dismesse.
Era stanco, molto stanco e voleva soltanto la sua dannata bacchetta per potersene andare lontano da lì, in un luogo dove finalmente si sarebbe riposato, lontano da quelle persone che avrebbero dovuto dimenticarlo e basta.
Si accasciò sulla pietra incurante dell’acqua che scendeva su di essa, aveva chiesto troppo quella sera al suo corpo e adesso si ritrovava in quel posto, senza riuscire nemmeno a muoversi.
«Allora avevo visto bene, era lei che mi stava seguendo» quella voce lo fece sussultare, quella voce che tante volte aveva udito adesso era davanti a lui, insieme a quel sorriso.
Severus si limitò a piegare le labbra in una smorfia che sottolineava tutto il suo disappunto.
«Non è stato molto difficile individuarla viste le sue condizioni» e continuava a sorridergli, ancora e ancora, «ma non si preoccupi, presto tornerà quello che era un tempo.»
Voleva davvero ritornare ad essere quello che era stato prima di quel morso che gli era quasi costato la vita? No, certo che no. Avrebbe preferito essere uno storpio a vita, tornare in quel limbo che lo aveva abbracciato per sette anni, piuttosto che tornare di nuovo a far scorrere del sangue sulle sue mani.
La guerra è finita da un bel pezzo, Severus, se te ne fossi dimenticato.
Forse quello stato d’infermità era la giusta punizione per tutto ciò che aveva fatto, ma esisteva davvero una pena adeguata al male che aveva contribuito a seminare? In cuor suo sapeva di meritare qualcosa di molto peggiore, ormai non aveva le forze per opporsi a nulla.
«Non farmi tornare in quell’ospedale. Ti prego» furono le uniche cose che riuscì a dirle, perché non sapeva cos’altro fare, anche se avrebbe voluto correre lontano da lì, lontano da lei, da tutti, rifugiarsi in un mondo solitario dove avrebbe scontato le sue colpe, ma non riusciva a ragionare lucidamente, tantomeno a muoversi.
«D’accordo, ma ad un paio di condizioni» Severus la guardò inclinando appena la testa nell’attesa che continuasse a parlare. «La prima è che seguirà tutte le mie indicazioni e farà esattamente ciò che le dirò di fare. Più sarà collaborativo e prima riusciremo a sistemarle il corpo. La seconda è che non sono ammesse altre fughe come queste, altrimenti sarà mia premura mandarla a fare volontariato tra i bambini vestito da clown. La terza è che non avrà la bacchetta finché non si sarà rimesso completamente, tantomeno la chiederà. La quarta è che parlerà con Harry come mai avete fatto nella vostra vita, sinceri come mai lo siete stati. La quinta è che parlerà anche con la professoressa McGonagall.»
Severus Snape aveva alzato così tanto le sopracciglia che gli facevano persino male, ed era una cosa mai accaduta prima d’allora.
«Finito?»
«Finito.»
«Queste non sono un paio e non sono nemmeno condizioni, mi sembra più un qualcosa riconducibile a dei ricatti.»
«Sono le mie condizioni. Prendere o lasciare. Ci metto un secondo a chiamare gli infermieri del San Mungo così che possano riportarla – e rinchiuderla – nella sua stanza. Se accetta, vivrà la convalescenza nella sua casa, in assoluta libertà.»
È saggio passare i prossimi mesi da solo nella tua casa con una giovane donna che dice di amarti?
“È una donna, non è mica un mostro assatanato di sangue!”
Fai come ti pare, io ti ho avvisato.
«Allora? Non ho tutta la notte e se non se ne è reso conto, diluvia e se mi prendo un raffreddore o, peggio, la febbre, la Schianto in una sala da tè con tutte le sue fan.»
«Non si prospetta molta libertà, ma è decisamente un’opzione migliore di un eventuale ritorno al San Mungo. D’accordo, accetto le tue condizioni
«Perfetto, se vuole seguirmi, sarà il caso di andare ad asciugarsi e lei ha bisogno di mangiare e di riposo. Non voglio perdere il mio primo paziente ancora prima di specializzarmi.»
«Prima? Vuoi dire che ancora…? Perfetto, direi che posso anche andare ad ordinare la bara.»
«Mi mancava il suo sarcasmo, professor Snape.»
«Mi mancava lei», ma queste parole Hermione le pronunciò dentro di sé, in quel luogo dove custodiva ogni cosa preziosa, ogni emozione importante, ogni sentimento che doveva tener nascosto, li celava lì, nell’attesa di quel giorno in cui avrebbe mostrato ogni cosa.
Camminava sentendo la presenza di Severus vicino a lei, e in quel frangente sapeva che la sua vita poteva finalmente andare avanti.
 
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