Il Calderone di Severus

N.13: Un anno di sorrisi per Severus

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Alaide
view post Posted on 16/10/2013, 10:04 by: Alaide
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Autore/data: Alaide – 17 - 22 agosto 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One-shot
Rating: per tutti
Genere: Drammatico, Introspettivo
Personaggi: Severus Piton, Personaggio originale
Pairing: nessuno
Epoca: Post 7° anno
Avvertimenti: AU
Riassunto: E quando la porta si fu chiusa alle spalle della giovane, quel sorriso parve ancora aleggiare nell’aria e sovrapporsi a quello di Judith, quando l’uomo tornò a posare il disegno della bambina sul tavolo.
Nota: La storia è il continuo di Lontananza.
Parole: 2060

Sinfonie.
17. Sinfonia in mi minore op. 2 n°5
Primo movimento. Sorrisi



Il sole del primo giorno d’estate penetrava nella cella ed un raggio di sole illuminava la foto di Lily ed il disegno di Judith.
Un sorriso riluceva da entrambe le immagini, ma Severus si rendeva conto di quanta diversità vi fosse in quei due sorrisi.
Il sorriso di Lily non era rivolto a lui. Lo sapeva perfettamente. L’aveva saputo anche quando aveva diviso in due la foto, anni prima. Quel sorriso sembrava quasi un monito, l’ombra di ciò che avrebbe potuto essere, se egli non avesse distrutto tutto.
Il sorriso di Judith era unicamente per lui, come lo erano i sorrisi riconoscenti che gli aveva rivolto quando lo andava a trovare in ospedale, come lo erano i sorrisi affettuosi che emergevano dalle sue lettere.
Quel sorriso sembrava pesare come un macigno e sembrava catturarlo, in quel momento, più intensamente di quanto facesse quello di Lily. Nel sorriso della bambina v’era la pace che mai aveva avuto così vicina, nemmeno quando Lily era ancora sua amica.
Aveva gettato al vento quella pace.
La pace che poteva avere accanto ad una figlia.
Ma, allo stesso tempo, nel sorriso di Judith v’era speranza – la speranza che la bambina potesse perdonarlo quando avrebbe conosciuto la realtà – e v’era affetto, l’affetto di una figlia per il proprio padre, un affetto che troppo tardi anch’egli si era accorto di provare.
Il rumore della porta della cella, che veniva aperta con un gran sferragliare di chiavi e catenacci, lo colse di sorpresa. Rapidamente mise nel cassetto la foto di Lily e subito sopra, a coprirla, il disegno di Judith.
Quando alzò lo sguardo incontrò il sorriso gentile della signorina Fairchild.
«Judith mi ha dato il suo racconto perché glielo spedissi. Ho preferito portarglielo di persona.» disse, quando si fu seduta, ponendo un plico di fogli sul tavolo.
Severus riconobbe immediatamente la grafia della bambina sui fogli fotocopiati.
E ricordò quel breve brano che Judith gli aveva spedito per augurargli Buon Natale.
La consapevolezza di aver gettato tutto al vento lo colpì con forza. Aveva avuto una nuova possibilità di vita, quand’era sopravvissuto, e non aveva voluto coglierla, preferendo macerarsi nel rimorso, nella sola contemplazione di se stesso e delle proprie colpe.
La ringrazierò.
Melusine sorrise sollevata, quando lesse la risposta di Severus. Era un sollievo sapere che l’uomo non aveva voluto parlare.
Per quanto sapesse che la sofferenza fisica era diminuita da quando il medico aveva cambiato l’antidolorifico, era felice che Severus non stesse tentando di autopunirsi.
«Judith sta iniziando a farsi domande. Ha notato, qualche tempo fa, che non le do mai le lettere imbustate. Le ho detto che è la prassi dell’orfanotrofio, ma non so fino a quando potrò nasconderle la verità.»
L’uomo sapeva che quel momento sarebbe arrivato ed era consapevole che tutte le sue paure – paura che Judith lo odiasse – e speranze – speranza che Judith lo perdonasse – si sarebbero affollate nella sua mente, facendo ulteriormente a brandelli la sua anima già lacerata dal rimorso e dall’anelito di una pace che egli stesso aveva scacciato.
Quando verrà il momento – e sappiamo entrambi che verrà – mi avvisi.
«Era quanto avevo in mente di fare, signor Piton.» mormorò Melusine. «Sono sicura, d’altronde, che Judith…»
Le parole si interruppero di colpo, quando la porta iniziò ad aprirsi con un cigolio. Con un gesto rapido, l’uomo nascose la storia di Judith con i fogli che usava per scrivere.
«Non è ancora passata l’ora.» biascicò Melusine, osservando Severus preoccupata ed incerta.
Fu solo quando si voltò verso l’uscio, che si accorse che ad entrare non era stata una guardia carceraria. E la sua preoccupazione aumentò.
«Sapevo che ti avrei trovata qui, Melusine.» esordì il giudice Fairchild, facendo saettare lo sguardo dalla figlia al carcerato. «E questa volta voglio la verità.»
«Papà, cosa…»
«Ho scoperto che lo conoscevi da prima del processo.» la interruppe bruscamente l’uomo. «Andavi già a trovarlo in ospedale. Da quanto tempo lo conoscevi?»
Severus notò che il giudice teneva lo sguardo unicamente sulla figlia. La signorina Fairchild si era fatta terribilmente pallida e le mani, posate sul tavolo, tremavano impercettibilmente.
«Da un mese dopo il suo ricovero. È stato puramente casuale e dopo… sai che vado all’ospedale per dei progetti dell’orfanotrofio. Per questo ho conosciuto il signor Piton.»
«E quale progetto può mai averti coinvolto, Piton?» domandò il giudice, voltandosi verso l’altro uomo. Non credeva ad una sola parola pronunciata dalla figlia, sempre che quella fosse ancora sua figlia.
«L’orfanotrofio in cui lavora sua figlia aveva offerto la possibilità a chi era ricoverato nell’ospedale di accedere alla sua biblioteca.» rispose brevemente Severus, fissando il giudice negli occhi.
«Se anche così fosse, Melusine, non dovresti trovarti qui.» prese a dire il magistrato, tornando a concentrare la propria attenzione sulla figlia. «Immagino che tu ti renda conto quanto il tuo comportamento danneggi la carriera di tua sorella. Quanto tua madre ne soffra.»
«Sto facendo ciò che ritengo giusto fare.» affermò la giovane, con una sicurezza di cui non si riteneva capace.
Aveva pensato che suo padre, considerando il silenzio colmo di biasimo con cui l’aveva accolta nei Natali precedenti, non ritornasse più sull’argomento. E men che meno aveva immaginato che potesse venire in carcere, nella cella di Severus, nel tentativo di convincerla a tornare sulle sue decisioni.
«Quello che è giusto fare.» ripeté con malcelata rabbia il giudice. Severus notò che la signorina Fairchild si era fatta tesa, ma, quando si voltò per un attimo verso di lui, riuscì comunque a sorridergli gentile, com’era solita fare. «Forse non ti rendi veramente conto di quello che stai facendo, di quale criminale tu venga a trovare, così di sovente, al punto che tutti, qui dentro, pensano che tu ne sia la sgualdrina.»
Le parole del padre furono come uno schiaffo per Melusine. Non le parole in sé – aveva sentito le voci che circolavano sul conto, tra alcune guardie carcerarie, voci a cui non aveva mai dato peso, consapevole della loro infondatezza – quanto piuttosto per il tono. Era come se suo padre le stesse dicendo che lui credeva a quelle voci.
«Papà, come…»
«Ho sempre avuto la certezza, giudice Fairchild, che chi svolge il suo mestiere debba essere dotato della più grande imparzialità. Invece, a quanto pare, lei ne è completamente privo.»
Melusine si voltò di scatto verso Severus. Non gli aveva mai sentito pronunciare alcuna parola con quel tono di voce, un tono di voce che la fece rabbrividire e la rese felice che non fosse rivolto a lei, ma al padre.
E, per quanto avesse voluto che l’uomo non sforzasse le corde vocali, si sentì grata per quelle parole che, sperava, avrebbero lasciato cadere quella questione o, forse, fatto terminare quella conversazione, sempre che tale la si potesse definire.
Per diverso tempo, il giudice rimase silenzioso e la giovane sperò che desistesse ed uscisse dalla cella, che non la privasse di quel poco che rimaneva della sua ora di visita.
«Guarda, Melusine.»
Il giudice mise con un gesto secco alcune foto sul tavolo, osservando i fogli che stavano a poca distanza, tutti rigorosamente intonsi. Melusine seguì, con timore, lo sguardo del padre. Aveva notato che la fiaba di Judith era stata coperta dai fogli che Severus usava per scrivere, ma era anche certa che sul primo foglio vi fossero le due frasi che l’uomo aveva vergato durante il loro incontro.
Invece, sulla pila di fogli, troneggiava una pagina intonsa.
Lanciò un’occhiata perplessa a Severus, ma notò che lo sguardo dell’uomo era invece rivolto verso le foto che stavano davanti a lei.
Solo in quel momento notò che suo padre le aveva messo davanti le immagini di un uomo ed una donna, morti, il volto contorto dal dolore, come se fossero stati sottoposti a lunga ed estenuante tortura.
Erano i genitori di Judith. Di questo fu certa subito. E sapeva, dal racconto della bambina, che Judith ne aveva udito le grida. Ma sapeva anche che Severus aveva preso la bambina e l’aveva nascosta nell’armadio e che, dopo, le aveva impedito di vedere i cadaveri dei suoi genitori. Sapeva che l’uomo l’aveva portata al pianterreno e che l’aveva avvolta in un plaid.
Ed era consapevole che v’erano altri due uomini, oltre a Severus, in quella stanza. Sapeva altresì che erano stati loro a compiere quello scempio. Ed aveva la consapevolezza che Severus aveva l’animo colmo di rimorso, che si stava punendo, che stava soffrendo orribilmente per un crimine che non aveva commesso.
Alzò il capo.
Severus la stava osservando.
L’uomo aveva sentito montare la bile in gola, non appena aveva visto il giudice posare quelle foto sul tavolo, dove, poco prima, era stato il disegno di Judith. Quella notte d’agosto, non aveva osservato i volti dell’uomo e della donna. Aveva potuto unicamente fare in modo che la bambina non ne vedesse i corpi.
Non era riuscito a salvare le loro vite ed una bambina, un’innocente, era rimasta orfana quella notte.
Judith aveva udito le loro grida. Quello non era riuscito ad evitarglielo.
Per un istante sperò che, ovunque fossero, quell’uomo e quella donna riuscissero a perdonarlo.
Perché non era riuscito a salvarli.
Perché non poteva impedirsi di considerare Judith alla stregua di una figlia.
Perché aveva tentato di allontanare da sé la bambina, quando questa aveva bisogno di lui.
La signorina Fairchild aveva osservato a lungo le foto, così come il giudice aveva tenuto gli occhi puntati sulla figlia, con la certezza di vederla allontanarsi in preda al disgusto e all’odio.
Invece, in quel momento, la giovane lo stava osservando e gli stava sorridendo, un sorriso in cui riecheggiava la promessa che Melusine gli aveva fatto due anni prima, quando gli aveva detto che non gli avrebbe mai voltato le spalle.
Un sorriso che gli offriva perdono, come la giovane glielo aveva già offerto la prima volta in cui era andata a trovarlo nella sua cella.
Un sorriso che, per un istante, gli parve simile a quello di Judith, un sorriso che, come quello della bambina, gli offriva pace e speranza.
«Non dici nulla, Melusine? Immagino tu ora ti renda conto di ciò che stai facendo della tua vita.»
«Ho già preso una decisione e non c’è nulla che può convincermi del contrario. Sono qui perché così ritengo giusto.» affermò Melusine, voltandosi verso il padre.
Sapeva che, pronunciando quelle parole, avrebbe allontanato da sé definitivamente il genitore, tutta la sua famiglia, probabilmente. Ma il suo legame con i genitori e la sorella aveva già iniziato a scricchiolare quando lei aveva scelto di rimanere a lavorare all’orfanotrofio. Si era incrinato terribilmente nel 2001, quando aveva incontrato per la prima volta il padre in carcere. In quel momento si sarebbe spezzato definitivamente.
Era un pensiero che la fece rabbrividire. Avrebbe voluto che non accadesse nulla del genere, si disse, mentre seguiva con lo sguardo i gesti del padre. Lo vide riprendere le foto, voltarsi ed uscire dalla cella. E seppe che quella sarebbe stata l’ultima volta in cui l’avrebbe visto. Immaginava che sua madre non le avrebbe telefonato per chiederle di passare il Natale con loro.
Sentì una profonda tristezza farsi strada verso di lei.
Aveva perso la sua famiglia.
Ma sapeva che non avrebbe potuto agire diversamente, non avrebbe potuto voltare le spalle a Severus. Sarebbe stata la scelta più facile, forse, ma incredibilmente sbagliata. Avrebbe infranto la promessa che gli aveva fatto. E non sarebbe mai riuscita a perdonarsi per quello.
«Ha perso la sua famiglia, signorina Fairchild.» commentò Severus, osservando la giovane, che stava ancora fissando la porta chiusa alle spalle del padre. «Non ne vale la pena.»
«Era la sola scelta che potessi fare, Severus.» mormorò Melusine, portando lo sguardo sull’uomo. «Forse l’avrei persa comunque con il tempo. Non hanno mai condiviso la mia scelta di lavorare in un orfanotrofio. Ci stavamo già allontanando. Ma anche se non fosse stato così, non avrei potuto compiere una scelta diversa, perché sarebbe stato sbagliato.»
V’era rimpianto nello sguardo della signorina Fairchild, ma, soprattutto, v’era la certezza di aver compiuto la scelta giusta, per quanto dolorosa fosse.
E gli sorrise nuovamente, quando la porta della cella si aprì, alla fine dell’ora che avevano a disposizione.
Un sorriso colmo della certezza di aver compiuto la scelta giusta.
Un sorriso colmo di perdono.
Un sorriso simile a quello di Judith.
E quando la porta si fu chiusa alle spalle della giovane, quel sorriso parve ancora aleggiare nell’aria e sovrapporsi a quello di Judith, quando l’uomo tornò a posare il disegno della bambina sul tavolo.
 
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