Il Calderone di Severus

N.13: Un anno di sorrisi per Severus

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Alaide
view post Posted on 26/8/2013, 09:32 by: Alaide
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Autore/data: Alaide 21 - 25 giugno 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One-shot
Rating: per tutti
Genere: Drammatico, Introspettivo
Personaggi: Severus Piton, Personaggio originale
Pairing: nessuno
Epoca: Post 7° anno
Avvertimenti: AU
Riassunto: C’era un’infinita sofferenza nel sorriso di Heloïse, si rese conto l’uomo, una sofferenza che forse non sarebbe mai stato in grado di mitigare ed allora, la fiducia che emergeva a fatica da quella sofferenza, avrebbe potuto essere distrutta nuovamente. Per sempre, forse.
Ed era qualcosa che Severus non voleva permettere che accadesse.
Nota: E’ il seguito di Voci
Parole: 1528

Klavierstücke
9. Sofferenza


Parigi, 7 aprile 2000


Anne si svegliò di soprassalto.
Non era stata la tosse a destarla o la difficoltà a respirare, che le aveva impedito tante volte di dormire, quanto piuttosto delle grida.
Per un attimo pensò di averle immaginate, poi qualcuno gridò ancora.
La bambina si voltò verso la sorella, illuminata dalla luce di una candela che rimaneva accesa tutta notte. Heloïse si stava agitando nel sonno.
E stava urlando.
La bambina si sentì invadere dalla paura.
Heloïse era sempre stata il suo punto di riferimento, la più forte tra loro due.
Anne le si avvicinò e la chiamò, ma la sorella non si svegliò.
Ma doveva farlo perché la bambina non voleva vedere Heloïse soffrire così tanto.
«Ti prego, svegliati.» mormorò scuotendo appena la sorella.
«Non servirà.»
Anne sobbalzò leggermente, poi si voltò verso Monsieur Piton che era entrato nella stanza senza che lei se ne accorgesse.
«Ma sta così male.» disse in un bisbiglio.
«Dovresti scrollarla e chiamarla con più forza, ma svegliarla da un incubo del genere potrebbe essere dannoso. Forse non ti riconoscerebbe nemmeno.»
Per un istante alla bambina parve che l’uomo stesse parlando di qualcosa che aveva sperimentato di persona.
Yseult le aveva detto quello che sapeva di Monsieur ed Anne si disse che anche lei avrebbe avuto degli incubi se avesse partecipato ad una guerra.
«Non è la prima volta che succede.» decise di dire. Forse Monsieur Piton avrebbe potuto aiutare Heloïse, quando si fosse svegliata. «Da quando siamo andate via di casa, dopo la morte di nostro padre, Heloïse ha avuto altri incubi, ma mai come questo.»
La sorella urlò ancora e, per quanto fosse un urlo più flebile, Anne rabbrividì impaurita.
Non voleva che Heloïse soffrisse a quel modo. Non voleva.
«Tua sorella mi ha detto che siete normanne.» disse l’uomo, con l’intento di spostare l’attenzione della bambina dalla sofferenza della sorella maggiore.
Era certo d’altronde che quell’incubo fosse strettamente legato con ciò che aveva privato Heloïse della fiducia negli altri. Ed era convinto che questo qualcosa fosse accaduto nella casa in Normandia. Tutto, in quello che la ragazza gli aveva detto quando Anne aveva avuto quella terribile crisi, quando Heloïse lo aveva abbracciato come una figlia abbraccia il proprio padre, lo lasciava presupporre.
«Viviamo vicino a Saint-Valery-en-Caux, sulla falesia. Non avevo mai viaggiato prima di venire a Parigi.» la bambina parlava tranquilla, con quella fiducia assoluta che non faceva altro che far sorgere domande nella mente dell’uomo. V’era un contrasto inquietante tra la ragazza dilaniata dall’incubo e quella bambina così fiduciosa. «Non mi è piaciuto molto viaggiare, ma Heloïse mi ha detto che a Parigi avremmo trovato delle medicine. Ed è stato vero.» disse con un sorriso riconoscente. «Anche se prima di incontrarla non abbiamo avuto fortuna.»
La bambina era dotata di una fiducia disarmante, quella fiducia che mancava totalmente alla sorella maggiore, una fiducia che emergeva dal sorriso e dallo sguardo limpido, finalmente privo della velatura della febbre. Forse, si disse l’uomo, l’ultima modifica che aveva fatto alla pozione stava avendo gli effetti sperati.
«Perché Heloïse soffre tanto, Monsieur?» domandò poco dopo, osservando la sorella che sembrava non trovare pace nel sonno.
«Non lo so.» non poté far altro che rispondere l’uomo, mentre osservava ancora una volta il contrasto tra le due sorelle.
In qualche modo Heloïse doveva aver impedito che Anne fosse colpita duramente dalla vita, com’era invece accaduto a lei, l’aveva preservata, ma per farlo doveva aver pagato un prezzo terribile, un prezzo che aveva rotto qualsiasi possibilità di fidarsi degli altri.
Ricordava ancora la loro ultima conversazione, dopo la crisi di Anne, quando aveva iniziato a parlare, quando aveva iniziato a fidarsi di lui. Quelle parole spezzate, quel terrore, il modo con cui l’aveva abbracciato in cerca di un affetto paterno che forse non aveva mai sperimentato.
«Heloïse è così buona, Monsieur.» mormorò Anne, interrompendo il corso dei suoi pensieri. «Quando è morto il nostro vecchio Elfo Domestico è sempre stata lei a occuparsi di tutto e a prendersi cura di me perché papà non aveva tempo. Mi ha anche insegnato a leggere, guidandomi come poteva. Non voglio che soffra così tanto, Monsieur.» disse la bambina tutto d’un fiato, mentre i primi raggi dell’alba filtravano dalle tende.
«Anne…» la voce di Heloïse colse entrambi di sorpresa.
La ragazza si era messa a sedere sul letto e respirava con ansia a malapena repressa.
«Heloïse, mi sono tanto spaventata. Hai avuto un incubo terribile. Urlavi.» mormorò rapidamente la bambina, correndo a sedersi sul letto della sorella.
«Mi dispiace d’averti svegliata» disse Heloïse, con una calma che stupì Severus che si era fermato sulla soglia, mentre stava uscendo, per lasciare sole le due sorella. E quella calma fittizia, che contrastava con quanto doveva aver vissuto quella notte, era un’ulteriore prova che la ragazza voleva preservare la sorella dalla sofferenza. «Non ricordo nemmeno cosa ho sognato.»
L’uomo comprese che non era affatto così. Heloïse, per quanto cercasse di mostrarsi tranquilla, aveva sul volto un’espressione allarmata di cui Anne parve non rendersi conto, forse perché non stava osservando la sorella con attenzione.
«Anche Monsieur Piton si è preoccupato.» disse la bambina, sorridendo appena, per quanto sapesse che la sorella non poteva vederla, ma il sorriso era più per l’uomo che si stava prendendo cura di loro che non per Heloïse. «È venuto nella stanza.»
Heloïse sentì la porta chiudersi e comprese che l’uomo doveva essere uscito in quel momento, probabilmente per lasciarla sola con la sorella o, almeno, era quanto voleva credere.
Voleva credere anche alla parole di Anne.
Voleva credere che l’uomo si fosse preoccupato veramente per lei. era un pensiero che le dava calore, che le faceva desiderare di potergli dire tutto, dell’incubo, di quello che era successo in Normandia, perché era certa – voleva essere certa – che Monsieur Piton avrebbe compreso, che l’avrebbe abbracciata, come il suo vero padre non aveva più fatto dopo la nascita di Anne.
«Torna a dormire, Anne. Io andrò a bere un bicchiere d’acqua, poi tornerò a letto.»
La bambina tornò obbediente verso il suo letto e si coricò.
La ragazza attese qualche attimo, poi si alzò e raggiunse la porta. Quando fu nel corridoio, sentì distintamente dei rumori nel soggiorno. L’uomo doveva essere in quella stanza, si disse, camminando velocemente, quasi temesse che la risoluzione l’abbandonasse. Voleva dirgli tutto e voleva farlo veramente, non come l’altra volta, voleva farlo anche a costo di rendersi conto di aver sbagliato a fidarsi.
Ma lei voleva fidarsi dell’uomo.
Era certa di potersi fidare di lui perché non le aveva mai mentito nel mese in cui era stata nella sua casa.
Chiuse alle sue spalle la porta del soggiorno e si rivolse all’uomo che aveva appena posato un libro sul tavolo.
«Anne mi ha detto che è venuto in camera.» si interruppe nervosa, poi sorrise appena, un sorriso che mostrava la volontà di fidarsi. «Ho mentito a mia sorella. Ricordo il mio incubo, lo ricordo ogni sera. Vorrei dimenticare, ma non posso… non so se… è possibile dimenticare?»
C’era un’infinita sofferenza nel sorriso di Heloïse, si rese conto l’uomo, una sofferenza che forse non sarebbe mai stato in grado di mitigare ed allora, la fiducia che emergeva a fatica da quella sofferenza, avrebbe potuto essere distrutta nuovamente. Per sempre, forse.
Ed era qualcosa che Severus non voleva permettere che accadesse.
«Dimenticare è impossibile, Heloïse, se quello che vuoi dimenticare genera incubi che tornano ogni sera uguali a se stessi.» disse l’uomo, senza tentare nemmeno di rendere meno dura la verità. Credeva che la ragazza non avesse bisogno di menzogne. Forse ne aveva già sentite troppe nel corso della sua breve vita.
«Anne non ne sa nulla. ho sempre fatto in modo che non sapesse nulla di quello che succedeva, di quello che è successo. Ed io… perché…» la voce le si spezzò per un istante, mentre cercava di trattenere le lacrime. Voleva dire tutto all’uomo, voleva poterlo chiamare padre, perché si fidava di lui, perché non le aveva mentito, nemmeno quella volta, per quanto difficile fosse la verità. «Perché non è lei mio padre, Monsieur?» domandò impulsivamente. «So che lei non avrebbe mai sottratto ad Anne la possibilità di curarsi. So che lei è un uomo buono, Monsieur Piton. Mi ha detto che voleva risposte e non mi ha mai chiesto altro, non mi ha nemmeno obbligato a risponderle, quando non sono riuscita a farlo, quando non ho voluto farlo. Ed io… voglio dirle tutto. Ogni cosa. E vorrei poterla chiamare padre, anche se so che non è il mio vero padre.»
Severus rimase immobile ad osservare la ragazza, ad ascoltare le sue parole.
Avrebbe voluto dirle che non sarebbe mai stato un buon padre, ma, di fronte al sorriso sofferente di Heloïse, tacque.
Avrebbe voluto dirle che non era affatto un uomo buon, che qualunque cosa avesse fatto suo padre, egli aveva fatto di peggio, ma, di fronte al sorriso fiducioso di Heloïse, tacque.
Avrebbe voluto dirle che non sapeva affatto come si sarebbe comportato al posto di suo padre, ma, di fronte al sorriso affettuoso, di quell’affetto che una figlia riserva al padre, di Heloïse, tacque.
Tacque perché sapeva che anch’egli, al pari della ragazza che avrebbe voluto chiamarlo padre, voleva chiamarla figlia.
 
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