Il Calderone di Severus

N.13: Un anno di sorrisi per Severus

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Alaide
view post Posted on 22/7/2013, 13:39 by: Alaide
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Autore/data: Alaide – 10 - 11 maggio 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One-shot
Rating: per tutti
Genere: Drammatico, Introspettivo
Personaggi: Severus Piton, Personaggio originale
Pairing: nessuno
Epoca: Post 7° anno
Avvertimenti: AU
Riassunto: Il volto di Heloïse era rivolto nella sua direzione, teso e disperato.
Impaurito.
Ma v’era sulle sue labbra tremanti qualcosa che assomigliava ad un disperato sorriso fiducioso.
Nota: E’ il seguito di Mattina
Parole: 1159


Klavierstücke
4. Domande


Parigi, 6 marzo 2000


Heloïse si sentiva incredibilmente tesa e preoccupata. Fedele alla sua parola il loro ospite aveva fatto venire un Guaritore, un uomo dalla voce fin troppo pacata, una voce che poteva nascondere un pericolo.
La ragazza avrebbe voluto essere presente durante la visita, ma i due uomini l’avevano mandata nella stessa stanza dove aveva parlato, la sera di due giorni prima, con l’uomo che le aveva accolte in casa, senza che lei ne riuscisse a capire la motivazione, una motivazione che doveva esistere perché nessuno faceva niente senza volere nulla in cambio.
E presto o tardi Monsieur Piton – così l’aveva chiamato il Guaritore parlando di lui – avrebbe preteso il suo prezzo.
«Siediti.»
La voce di Monsieur Piton la fece sobbalzare. Non l’aveva sentito entrare nella stanza e questo la riempì di panico.
Rimase immobile dov’era, in ascolto.
L’uomo si mosse, scostò una sedia, ma Heloïse non fece un passo.
«Siediti.» ribadì Severus, osservando con attenzione i movimenti della ragazza, che pareva disorientata.
Eppure aveva una sedia a pochi passi di distanza, sulla destra, invece, quando decise di muoversi, si spostò nella direzione opposta, verso di lui.
Era dal giorno precedente, da quando la ragazza gli aveva posto una domanda la cui risposta era perfettamente visibile, che nutriva un sospetto e, quando Heloïse urtò contro il tavolo, quei sospetti divennero certezze.
«Fino a quando pensavi di tenerlo nascosto?»
La ragazza si bloccò, come se le sue parole l’avessero immobilizzata, il volto in preda al panico. Gli occhi, per una volta fissi su di lui, erano privi di luce.
«Come, Monsieur?» riuscì a domanda la ragazza, la paura fin troppo evidente nella sua voce.
Una paura che fece affiorare in Severus ricordi tangibili di colpe commesse, colpe orribili che gli fecero montare la bile in gola.
«La tua cecità.» affermò Severus. La ragazza non tentò nemmeno di negare, ma i suoi occhi si riempirono di lacrime disperate. Come il sorriso che le tirò istericamente le labbra. «Credevi veramente che non me ne sarei accorto?»
«Monsieur… la prego, non mi tolga Anne. Non voglio che muoia da sola… la prego. Farò qualsiasi cosa, anche quanto di peggio lei possa immaginare. Qualsiasi cosa.»
Le parole della ragazza fecero montare nuovamente la bile in gola all’uomo. V’era troppa disperazione in lei, una disperazione che avrebbe potuto portarla a compiere una scelta tremendamente sbagliata. Se le avesse chiesto di uccidere qualcuno per rimanere al fianco della sorella, lei l’avrebbe fatto. Se il Signore Oscuro non fosse stato sconfitto, quella ragazza avrebbe potuto commettere lo stesso terribile errore che aveva commesso lui. Non importava che la ragioni fossero diverse, ma Heloïse avrebbe potuto cedere per il bene della sorella. Non importava nemmeno che fosse cieca. Il Signore Oscuro – o anche una qualunque persona mossa dalle peggiori intenzioni – avrebbe trovato il modo di utilizzare la disperazione della ragazza, di farla precipitare nello stesso abisso in cui era precipitato lui, un abisso da cui era impossibile risollevarsi.
E mai come in quel momento, il contrasto tra le due sorelle gli parve enorme.
Anne era una bambina colma di fiducia, al punto da riporla in lui che tante vite aveva spento; al punto da sorridergli, anche quella mattina, riconoscente e fiduciosa. Heloïse viveva nella paura e nella disperazione. Di disperazione erano stati i suoi sorrisi. Dettate dalla paura erano le sue azioni.
Dalla paura e dalla mancanza di fiducia.
La sorella maggiore doveva aver subito qualcosa che l’aveva privata della fiducia che risedeva nell’animo della sorella minore. Severus si chiese, per un istante, se Heloïse non avesse preservato Anne da ciò che aveva distrutto lei.
«Ho forse parlato di toglierti la bambina?» le domandò brusco, osservando la ragazza che continuava a stare in piedi, il volto colmo di panico, le labbra tirate in un sorriso disperato. «Ciò che voglio sono risposte. E ti ho già posto una domanda.»
Heloïse rimase a lungo in silenzio, immobile. Si sentiva in preda alla paura più terribile, ma una minima parte di lei voleva credere che quell’uomo volesse veramente soltanto delle risposte, risposte che non era certa di riuscire a dare.
«Alla tua destra. Cinque o sei passi.»
La ragazza rimase per qualche istante ancora immobile, poi si mosse nella direzione indicata da Monsieur Piton e trovò con la mano lo schienale della sedia. Per un istante il suo volto si riempì di sollievo ed il sorriso disperato si distese leggermente.
C’era qualcosa di tranquillizzante in quell’aiuto mormorato e forse quell’uomo era una brava persona come riteneva Anne. Ma non riusciva a fidarsi veramente di lui.
«Io…» iniziò, il volto nuovamente una maschera di tensione e paura, paura che quell’uomo non fosse diverso dagli altri. «… speravo che lei non se ne accorgesse per non perdere Anne.»
«Credo di essere stato chiaro. Non ho mai parlato di toglierti la bambina.» ribatté Severus. C’era qualcosa di strano in quella continua paura. Anche se fossero andate all’Hôtel-Dieu, nessuno avrebbe separato le due sorelle, considerando che la minore era affetta da una malattia mortale. «Perché non sei a Beauxbatons?»
«Io mi sono dip…»
«Non dirmi che sei maggiorenne, perché è chiaro che non è così.»
Heloïse deglutì a vuoto. Avrebbe voluto che Monsieur Piton fosse meno acuto o forse era stata lei a sopravvalutarsi quando aveva lasciato la Normandia.
«Sono una Magonò.» rispose, dicendosi che se avesse risposto alle domande dell’uomo forse non le avrebbe chiesto di fare nient’altro.
Era certa che Monsieur Piton avrebbe fatto un’altra domanda, ma la porta della stanza si aprì e si richiuse.
«Ho finito di visitare la bambina.» annunciò il Guaritore, facendo scorrere lo sguardo dal pozionista alla ragazza. «La malattia è ad uno stadio avanzato. Forse la bambina avrebbe più tempo da vivere se avesse ricevuto cure adeguate. A questo proposito, Mademoiselle, perché sua sorella non ha mai assunto le pozioni adeguate, prima di arrivare a Parigi?»
Severus osservò la reazione della ragazza. Sembrava una preda senza alcuna possibilità di fuggire. Il volto era una maschera di panico. I suoi occhi ciechi parevano colmi di paura, il suo sorriso era terrorizzato.
Il terrore di chi si trova in un luogo sconosciuto in situazione di debolezza.
Il terrore di chi è stato colpito dalla vita e non riesce a credere che la vita non lo colpirà ancora.
Il volto della ragazza era troppo simile a quello di tante innocenti morte dopo indicibili sofferenze a causa sua.
«La prego, Monsieur Piton, risponderò alle sue domande, ma non… la prego.»
Il volto di Heloïse era rivolto nella sua direzione, teso e disperato.
Impaurito.
Ma v’era sulle sue labbra tremanti qualcosa che assomigliava ad un disperato sorriso fiducioso, alla disperata necessità di riuscire a fidarsi ancora di qualcuno.
Forse fu unicamente per quell’impressione che decise.
Forse fu perché al volto di Heloïse si sovrapposero i volti di tante, troppe persone che non era riuscito a salvare.
Non ne comprese il motivo, ma annuì piano, prima di parlare.
«Credo che sia un problema che possiamo risolvere in un altro momento, Damien.»
Heloïse si sentì invadere, per un istante, dal calore della fiducia, quella fiducia negli altri che aveva da tempo perso. L’uomo aveva accettato la sua richiesta e, per il momento, aveva evitato una risposta alla domanda del Guaritore.
Forse avrebbe pagato quella dilazione, ma per un istante voleva provare a fidarsi.
E le sue labbra si stesero in un sorriso riconoscente.
 
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