Il Calderone di Severus

N.13: Un anno di sorrisi per Severus

« Older   Newer »
  Share  
Alaide
view post Posted on 10/7/2013, 11:40 by: Alaide
Avatar

Pozionista

Group:
Severus Fan
Posts:
3,086

Status:


Autore/data: Alaide – 21-24 maggio 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One-shot
Rating: per tutti
Genere: Drammatico, Introspettivo
Personaggi: Severus Piton, Personaggio originale
Pairing: nessuno
Epoca: Post 7° anno
Avvertimenti: AU
Riassunto: Quello che non aveva senso era il sorriso sulle labbra della giovane.
Quel sorriso triste.
Nota: La storia è il continuo di Solitudini
Parole: 921

Sinfonie.
3. Sinfonia in sol minore op.2 n.1
Terzo movimento. Una visita



Melusine Fairchild era decisamente nervosa, mentre il tempo scorreva lentamente. Troppo lentamente.
Il tavolo pareva oltremodo largo, quasi che la parte opposta, dove stava una sedia vuota, fosse lontana, quasi in un’altra stanza.
Forse era solo il nervosismo a farle avere impressioni non coerenti con la realtà. Quando le guardie carcerarie entrarono il respiro le si mozzò in gola.
Le parve che le condizioni fisiche del signor Piton fossero peggiorate e l’impressione aumentò quando lo vide sedersi a fatica di fronte a lei.
«Cosa ci fa qui?» domandò bruscamente l’uomo, assaporando il dolore che, nonostante l’antidolorifico, gli attraversava il corpo.
Forse in carcere avevano un prodotto di qualità inferiore a quello dell’ospedale. Forse il suo corpo stava diventando assuefatto all’antidolorifico.
Comunque fosse, stava subendo la giusta punizione per quello che aveva fatto.
Non importava quanto le lettere di Judith fossero piene di affetto. Né quanto gentile fosse il sorriso della signorina Fairchild.
Nulla cambiava il fatto che meritasse quel dolore ed il carcere.
«Sono venuta a farle visita.» Melusine tacque che per farlo aveva dovuto usare il nome di suo padre, una cosa che detestava fare in condizioni normali. «Judith è stata entusiasta della lettera che ha ricevuto da lei, signor Piton, ed io voglio ringraziarla per averle risposto.»
Severus non disse nulla.
Non si era aspettato la visita della giovane. Aveva creduto che, una volta ottenuto che Judith potesse scrivergli, se ne andasse per la sua strada com’era giusto che fosse.
Invece la signorina Fairchild era lì e gli sorrideva gentile. Ed i suoi occhi mostravano preoccupazione.
Non avrebbe dovuto trovarsi in quel luogo riservato ai colpevoli.
Non avrebbe dovuto sorridergli.
Non avrebbe dovuto essere preoccupata per lui.
Per l’assassino.
Nella solitudine della cella, in compagnia di se stesso, poteva sentire le tenebre della colpa circondarlo, stritolarlo, sommergerlo con tutto il loro peso asfissiante.
Era quello che meritava.
Non meritava le lettere di Judith così colme d’affetto.
Non meritava che quella giovane dall’animo innocente lo avesse voluto incontrare in prigione.
«Judith tiene la sua lettera sempre con sé.» aggiunse Melusine, sentendosi a disagio di fronte a quel silenzio ed a quella solitudine. «E dovrebbe vedere come si impegna nella scrittura. Ogni giorno si esercita da sola perché è certa che le farà piacere.»
Il sorriso sulle labbra della giovane si era fatto più dolce e riconoscente. La dolcezza di una madre che parla dei progressi della figlia, la riconoscenza rivolta a chi quella bambina rendeva più calma.
Più felice, forse.
«Dovrebbe convincere la bambina a non tenere così in conto le mie lettere.» disse Severus, parlando lentamente, a fatica.
Aveva già risposto all’ultima lettera di Judith e quel giorno aveva consegnato la risposta perché venisse inviata.
Sapeva che ignorare le lettere della bambina equivaleva a farla soffrire ulteriormente.
Ed egli voleva risparmiarle almeno quello, ma, allo stesso tempo, credeva che alla bambina servisse ben altro che riporre troppo affetto in colui che aveva ucciso i suoi genitori.
L’innocenza di Judith andava preservata.
La sua purezza andava preservata.
Ed egli era caduto troppo nelle tenebre della colpa perché fosse la persona giusta per farlo.
Forse doveva augurarsi che Judith scoprisse il prima possibile la verità ed allora quell’affetto malriposto sarebbe stato distrutto.
«Come posso, signor Piton, dirle di non volerle bene, di non provare affetto per chi ha fatto così tanto per lei?» domandò Melusine, fissando l’uomo.
«Sa perfettamente anche lei, signorina Fairchild, che un giorno Judith comprenderà la verità. Crede veramente che sia una buona idea permetterle di tenere così in conto quelle lettere?» mormorò l’uomo, le ultime parole simili a dei rantoli spezzati.
Il dolore stava diventando insopportabile.
L’antidolorifico stava diventando poco efficace, ma l’uomo non aveva alcuna intenzione di rivelarlo a nessuno. Meritava quel dolore.
In fin dei conti, il carcere era una punizione non bastante per le colpe che aveva commesso.
«Dov’è il quaderno, signor Piton?» domandò preoccupata Melusine, lanciando un’occhiata alla guardia carceraria che stava in piedi impassibile accanto alla porta che conduceva alle celle. «I medici dell’ospedale devono aver detto dei suoi problemi, anche se questo non le ha impedito di parlare al processo.»
«Era forse presente, signorina Fairchild? Per vedere finalmente punito l’assassino?»
«Lei non è un assassino.» mormorò rapidamente la giovane. Desiderava quasi che la guardia carceraria sentisse quello che stava dicendo, ma sapeva di aver parlato a voce bassa e, forse, il secondino non stava nemmeno ascoltando le sue parole. «Non sono venuta. E mi è dispiaciuto sapere che è stato mio padre a giudicarla.»
Sulle labbra della donna comparve un sorriso quasi di scusa, quasi fosse una sua responsabilità la presenza del padre.
Severus non ne era stato stupito.
La signorina Fairchild si era premurata di dirgli, il giorno in cui le aveva rivelato che si era autodenunciato, che suo padre era uno dei giudici del tribunale della cittadina.
Ed in fondo non era importante.
Al contrario, il giudice Fairchild era stato giusto, forse anche clemente nel leggere la sentenza.
Quello che non aveva senso era il sorriso sulle labbra della giovane.
Quel sorriso triste.
Il sorriso di chi vorrebbe vedere il suo interlocutore in una situazione diversa, ma non v’era alcuna altra possibilità che gli permettesse di pagare, almeno in parte, per le sue colpe.
Quel sorriso rassegnato.
Il sorriso di chi non può far altro che vedere la propria lotta persa, com’era naturale che fosse quando la giovane si illudeva che egli non fosse un assassino.
Un’illusione illogica in u’adulta adulta qual era la signorina Fairchild.
Forse più comprensibile in una bambina qual era Judith.
Ma pur sempre un’illusione.
 
Top
1897 replies since 9/1/2013, 00:04   27942 views
  Share