Il Calderone di Severus

N.13: Un anno di sorrisi per Severus

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Alaide
view post Posted on 27/6/2013, 09:32 by: Alaide
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Autore/data: Alaide – 15-17 maggio 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One-shot
Rating: per tutti
Genere: Drammatico, Introspettivo
Personaggi: Severus Piton, Personaggio originale
Pairing: nessuno
Epoca: Post 7° anno
Avvertimenti: AU
Riassunto: La luce flebile giocava con le parole, a volte incerte, che la bambina aveva scritto.
Parole innocenti.
Parole in cui Severus riusciva a vedere il sorriso della bambina.
Nota: Questa serie di storie è il seguito di Tetralogia. Il titolo, Sinfonie, implica che la storia sia costruita da diverse macro-parti, ognuna delle quali è una “sinfonia” divisa in quattro movimenti, quindi in quattro capitoli. Le tonalità delle sinfonie seguono le tonalità delle sinfonie di Tcaikovskij. Ogni sinfonia sarà definita come Sinfonia op. 2 n., dove opus 2 vuole indicare che Sinfonie è il seguito di Tetralogia che sarebbe quindi un ipotetico opus 1.
I racconti conterranno le lettere di Judith che è una bambina di sei anni (compiuti in marzo) ed ha quindi iniziato da poco le elementari. Nelle lettere di Judith sono volutamente presenti degli errori grammaticali e ortografici. Aggiungo, per chiarezza, che Judith ha imparato unicamente a leggere prima di andare a scuola (è stata Melusine a insegnarle, per cercare di aiutarla, quando Judith si rifiutava di parlare). Di qui il fatto che in Tetralogia Judith riesca a leggere le parole che Severus le scrive sul quaderno.
Parole: 774

Sinfonie
1. Sinfonia in sol minore op.2 n.1
Primo movimento. Corrispondenza


18 dicembre 1999
Caro Signor Piton,
le scrivo per augurarle Buon Natale. Spero che in Francia non si sente troppo solo.
Un abbraccio,
Judith.
P.S.: le prometto che mi impegnerò a scuola (c’è una maestra che viene all’orfanotriofo) così scriverò senza erori.

L’uomo teneva in mano la lettera, illuminata dalla lampada che spandeva il suo lucore nella cella posta nell’ala ospedaliera del carcere della cittadina.
La luce flebile giocava con le parole, a volte incerte, che la bambina aveva scritto.
Parole innocenti.
Parole in cui Severus riusciva a vedere il sorriso della bambina.
Quel sorriso colmo d’affetto e riconoscenza che tante volte Judith gli aveva rivolto.
Anche l’ultima volta che l’aveva vista gli aveva sorriso e l’aveva cercato come una figlia cerca un padre.
L’aveva ricoperto di un affetto che egli non meritava, non lui che dei genitori l’aveva privata.
E per quello avrebbe scontato una giusta e lunga pena. I giudici Babbani si erano rivelati migliori del Wizengamot e lo avevano condannato a molti anni di reclusione.
Una condanna di cui Judith ignorava l’esistenza.
La signorina Fairchild era stata fedele alle sue parole ed aveva detto alla bambina che egli si trovava all’estero, lontano.
Una menzogna che avrebbe mantenuto in vita un'illusione.
L'illusione che egli fosse una brava persona.
L'illusione che egli meritasse affetto e riconoscenza.
L'illusione che celava la verità.
L'illusione che nascondeva agli occhi innocenti di Judith il sangue che gli copriva le mani.
Era certo che Judith, un giorno, avrebbe scoperto la verità.
Ed allora egli avrebbe ricevuto l’odio ed il disprezzo che provava per se stesso.
Ma in quel momento, tramite quella lettera, la bambina gli sorrideva.
Quel sorriso che non meritava.
Che non avrebbe mai meritato.
Sapeva che la signorina Fairchild avrebbe fatto in modo che Judith vivesse il più a lungo possibile nell’illusione che egli fosse degno del suo affetto.
Ma un giorno, quando fosse stata grande abbastanza per capire, Judith lo avrebbe odiato e disprezzato.
Ed egli aveva bisogno di quell’odio e di quel disprezzo.
Forse era unicamente per quel motivo che era sopravvissuto al morso di Nagini.
Perché il suo destino fosse odiarsi per quello che aveva commesso, per le sue colpe imperdonabili.
Odiarsi ed essere odiato.
Eppure Judith gli scriveva e gli sorrideva attraverso quelle poche parole.
E c’era affetto in quella lettera, un affetto donato senza pretendere nulla in cambio.
Un affetto che, forse, nessuno, prima di Judith, aveva provato per lui.
Riusciva ad immaginare, in quel momento, la bambina scrivere quelle poche parole, impegnarsi – e promettere di farlo – con un sorriso affettuoso sulle labbra.
Un sorriso che si mescolò, per un attimo, con il peso delle sue colpe.
Per un istante gli sembrò che il sorriso di Judith volesse prendere il sopravvento sul tormento che in cui le sue colpe intrappolavano la sua mente, tormento a cui faceva eco il dolore del suo corpo.
Fu un breve lucore, simile forse a quello della lampadina che pendeva malamente dal soffitto della cella.
Poi le tenebre, da cui era avvolta la sua anima lordata del sangue di troppi innocenti, tornarono a soffocarlo.
Così come più intenso si fece il dolore del suo corpo.


Judith non riusciva a far altro che a sorridere quel trenta dicembre.
Il signor Piton le aveva risposto.
Non era una risposta lunga, ma quel pezzo di carta le infondeva sicurezza e calma.
Anche se era lontano, le sembrava che l’uomo la volesse far sentire al sicuro come la notte in cui i suoi genitori erano stato uccisi.
Lione, 23 dicembre 1999
La Francia è accettabile.

Judith rilesse, con un sorriso sulle labbra, per l’ennesima volta quelle poche parole. Era una lettera breve, ma sapeva che il signor Piton era in Francia perché era malato alla gola e a Lione aggiustavano le corde vocali o, almeno, così aveva capito da Melusine.
Con ogni probabilità stava peggio di quando lei aveva la febbre
E le aveva scritto comunque.
Non le importava che non vi fosse scritto Buon Natale o qualche frase affettuosa.
Per la bambina quella lettera era il più bel regalo che potesse ricevere – anche se con qualche giorno di ritardo -, perché era stato il signor Piton a scrivere quelle parole.
Perché il signor Piton, nonostante si trovasse lontano, aveva trovato il tempo per pensare a lei.
Perché – e di questo Judith era convinta – il signor Piton le avrebbe sempre donato quel senso di sicurezza di cui tanto aveva bisogno.
Prima di addormentarsi, con la lettera ben stretta in mano, sorrise con affetto, sperando che, in qualche modo, quel sorriso arrivasse fino in Francia.
Così il signor Piton avrebbe saputo che gli voleva bene.
E che gliene avrebbe voluto sempre.
 
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