Il Calderone di Severus

N.13: Un anno di sorrisi per Severus

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Alaide
view post Posted on 19/6/2013, 09:38 by: Alaide
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Autore/data: Alaide – 8-20 aprile 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One-Shot
Rating: per tutti
Genere: Drammatico, Introspettivo
Personaggi: Severus Piton, Personaggio originale
Pairing: nessuno
Epoca: Post 7° anno
Avvertimenti: AU
Riassunto: Ma sapeva che Judith non meritava nuove sofferenze, che la sua anima innocente avrebbe dovuto essere preservata.
E poteva esserlo accanto a quella giovane che gli sorrideva triste con occhi umidi di lacrime non ancora versate.
Nota: Questa è l’ultimo capitolo di Tetralogia, ma non è la fine della storia. Il progetto iniziale prevedeva un altro finale, che però non aveva spazio bastante perché venisse fuori bene. Ci sarà quindi un’altra serie di sorrisi (Sinfonie) che comincerà, all’incirca, dove ho concluso questa prima parte della storia.
La storia è il continuo di Affetto
Parole: 1570

Tetralogia

14. Terza Giornata. Atto III. Una scelta


Melusine si sentiva incredibilmente nervosa, mentre entrava nell’ospedale. Era la prima volta che il signor Piton le chiedeva di recarsi nella sua stanza. Ricordava perfettamente che quattro giorni prima, quando le aveva passato il quaderno con quelle parole era rimasta stupita.
Non riusciva ad immaginare cosa volesse dirle, soprattutto dopo che aveva negato, mentre Judith era sulle sue ginocchia, la sua muta richiesta.
Quando aveva lasciato l’ospedale non aveva nemmeno osato rimproverare la bambina. Non importava che avesse provato un enorme spavento quando aveva notato che Judith non era all’orfanotrofio. Aveva trovato la bambina immersa in una calma che, forse, sarebbe stata distrutta.
Voleva sperare che il signor Piton l’avesse voluta perché, in realtà, aveva cambiato idea.
Era una speranza vana, lo sapeva, ma non poteva fare a meno di nutrirla.
Forse fu per quello che salutò l’uomo con un sorriso gentile.
«Vorrei ringraziarla per aver badato a Judith, quattro giorni fa.» esordì la giovane, continuando a sorridere all’uomo.
Un sorriso gentile, colmo di un calore che si infranse contro la barriera che circondava Severus, contro il gelo delle sue colpe.
L’uomo era più che certo che la signorina Fairchild avrebbe fatto un altro tentativo per convincerlo a cambiare idea.
Ma non importava quanto gli sorridesse o quanto veemente fosse. La sua scelta era irreversibile.
«Forse mi crederà una sciocca, signor Piton, se le dico che nutro la speranza che lei possa aver cambiato idea circa Judith.» Melusine si interruppe un attimo, un sorriso lieve sulle labbra, quel sorriso che ormai Severus si era rassegnato a non vedere mai colmo d’odio. «Eppure quando ho visto la bambina sulle sue ginocchia, quando ho notato che l’aveva avvolta in una coperta, non ho potuto fare a meno di sperare. Judith si è affidata a lei, signor Piton, all’uomo che le ha salvato la vita.»
Il sorriso e le parole della giovane erano colmi di una speranza che Severus sapeva malriposta. La signorina Fairchild era cieca e non riusciva – o non voleva riuscire – a vedere il sangue che gli insozzava le mani e la lordura della sua anima.
Riponeva fiducia e speranza nella persona sbagliata.
In un assassino.
“La mia scelta è irreversibile”.
C’era qualcosa di perentorio in quelle parole, si disse Melusine leggendole, qualcosa che le fece morire il sorriso sulle labbra.
In quel momento la tristezza prese il posto della speranza. Avrebbe voluto scuotere l’uomo da quell’inflessibilità, da quel continuo negare di aver salvato la vita a Judith. Credeva che quell’irreversibilità volesse dire ben altro del significato della parola stessa. Non era solo la scelta ad essere irreversibile, ma tutto quello che l’uomo le aveva detto.
E celato.
Ed era certa che vi fosse molto, troppo, che lei non sapeva.
Eppure se voleva fare un ultimo disperato tentativo sapeva che doveva fare appello a quello che le aveva detto Judith.
«Io non so quasi nulla di lei, signor Piton.» esordì la giovane donna. «Ma da quel che so, sono convinta che lei sia un uomo buono. Nessun criminale avrebbe…»
«Cosa non le è chiaro della parola assassino?» la interruppe sarcastico l’uomo.
«Eppure ha salvato la vita a Judith. Un gesto illogico se fosse l’assassino che dice di essere.» Melusine si interruppe, aspettandosi che l’uomo la interrompesse ancora una volta, ma la stava fissando. «Judith ha totale fiducia in lei. Ed io condivido questa fiducia, ma ancora più importante è che Judith verrebbe distrutta dal suo rifiuto. La prego, signor Piton… Severus, la scongiuro, non allontani la bambina, non lasci che Judith torni ad essere come nei primi tempi all’orfanotrofio. Troppo spaventata per parlare. Priva di speranza, ancora più priva di speranza di allora. Perché quando è arrivata sperava, almeno, di poter vedere nuovamente l’uomo che le aveva salvato la vita e l’aveva fatta sentire al sicuro. Se lei la scaccia, non le rimarrà nulla.»
Ogni parola della giovane era una pugnalata, una stilla di dolore più che meritata.
Il dolore che meritava un assassino.
La signorina Fairchild lo fissava e Severus notò la disperazione del suo sguardo e la disperazione del suo sorriso. Il sorriso disperato di chi sa che la sua lotta è giunta alla conclusione e la sconfitta è vicina.
Un sorriso disperato che non si sarebbe mai coperto d’odio.
Ricordava la preoccupazione della giovane due settimane prima e ricordava l’affetto della bambina. Ma sapeva che non avrebbe potuto cambiare idea, nemmeno se avesse voluto, nemmeno se fosse riuscito a perdonarsi e a non disprezzarsi.
Voltò la pagina del quaderno e lo porse alla signorina Fairchild perché lei potesse leggere quello che aveva scritto prima che arrivasse.
Le mani della donna tremavano, mentre leggeva rapidamente. Tremavano anche quando parlò, giunta all’ultima parola.
«Ed ha detto anche dei due uomini di cui mi ha parlato Judith? Ha detto che ha salvato la vita alla bambina?»
Severus scosse unicamente il capo, ma pareva che la signorina Fairchild si aspettasse quella risposta.
«Ed io cosa posso dire a Judith? Come posso dirle che l’uomo che le ha salvato la vita, verrà condannato come reo confesso di un delitto che non ha commesso?» mormorò la giovane con voce spenta.
Ed un sorriso triste.
«Era l’unica soluzione possibile.» rispose l’uomo, fissando la giovane donna.
Era l’unica possibilità che aveva per scontare la pena di almeno quella colpa. Era il pensiero che l’aveva guidato nella scelta, una scelta presa dopo il primo tentativo della donna. Aveva meticolosamente costruito il movente e le modalità dell’omicidio, senza lasciare nulla al caso, prevedendo ogni domanda che gli avrebbero potuto porre.
Era l’unica possibilità che aveva per proteggere la bambina da se stesso. Era la consapevolezza che lo aveva animato quando aveva messo in pratica la propria scelta, il giorno successivo alla crisi che lo aveva costretto a letto per una settimana. Era la consapevolezza che era accresciuta dopo che la bambina era arrivata nella sua stanza all’improvviso, coperta d’acqua.
«L’unica soluzione per cosa, signor Piton?» domandò Melusine. «Non è punizione sufficiente il martirio a cui sottopone se stesso? Non è…» la voce le si spezzò leggermente. Deglutì a vuoto per tenere a bada le lacrime che le pungevano gli occhi. Un sorriso colmo di tristezza e disperazione le si disegnò sulle labbra. «Cosa dirò a Judith? La supplico, Severus, dica per lo meno alla polizia che ha salvato la vita alla bambina. La pena, che so che lei non merita, sarà più lieve. Cosa ne sarà di Judith quando la polizia vorrà interrogarla di nuovo, quando scoprirà la verità?»
«Non sarà necessario.» rispose l’uomo, il dolore meno intenso del solito, da quando lo costringevano ad assumere l’antidolorifico. «L’ispettore ha avuto risposta ad ogni sua domanda. alle voci che Judith dice di aver sentito. Alla sopravvivenza della bambina.»
Non aggiunse altro. Non disse quali parole avesse usato per convincerli. Non ce n’era bisogno. Alla signorina Fairchild doveva bastare che a Judith sarebbe stato risparmiato almeno quello.
Aveva dovuto subite, a causa sua, la perdita dei genitori. Era orfana perché lui non era riuscito a salvarli.
Né ad evitare che sentisse le loro grida.
Era una ben che minima consolazione sapere che la bambina non avrebbe dovuto subire nuove domande quando, con ogni probabilità, già riviveva quella terribile notte ogni istante della sua giovane vita.
«Eppure qualcosa dovrò dirle, signor Piton.» mormorò la giovane, il volto triste, come il suo sorriso.
«Le dica che sono stato trasferito in un altro ospedale.» rispose Severus, dopo diverso tempo.
Il giorno in cui aveva visto la bambina nella sua stanza, il momento in cui gli era tornata sulle ginocchia, era riuscito a comprendere le ragioni di Judith, per quanto non potesse condividerle, né accettarle.
Egli era un assassino.
L’assassino dei suoi genitori e nulla cambiava quella realtà.
Ma sapeva che Judith non meritava nuove sofferenze, che la sua anima innocente avrebbe dovuto essere preservata.
E poteva esserlo accanto a quella giovane che gli sorrideva triste con occhi umidi di lacrime non ancora versate.
Sorriso e lacrime che non meritava.
«Permetta almeno che Judith le scriva. Le dirò che l’hanno mandata da qualche parte sul continente, lontano, troppo lontano perché possa vederla, ma non l’abbandoni del tutto, Severus, la prego.»
Le parole della signorina Fairchild erano colme di disperazione e dell’affetto che nutriva per la bambina.
Severus rimase a lungo in silenzio.
Sapeva che doveva dare una risposta a quella richiesta e sapeva quale sarebbe stata.
V’era una sola possibilità, così come l’unica soluzione possibile era pagare di fronte alla legge, per quanto fosse quella Babbana, per una delle sue molteplici colpe.
Egli meritava il carcere, così come non meritava il sorriso della giovane, né le lacrime che stava versando.
Così come non meritava il sorriso di Judith.
Ma ancor di più si rendeva conto che non poteva distruggere l’illusione che Judith si era creata, l’illusione che egli fosse una brava persona.
Un giorno Judith avrebbe compreso ed allora egli avrebbe ricevuto l’odio che voleva e meritava.
Ma in quel momento, Judith si aggrappava a lui, all’assassino dei suoi genitori.
Aveva sfidato la pioggia per lui.
Ed egli non poteva distruggerne l’innocenza.
«Potrà scrivermi.» disse soltanto.
Il sorriso di Melusine si fece colmo di gratitudine, tra le lacrime.
Un sorrise simile a quello di Judith.
Un sorriso che non meritava, si disse Severus.
Il carcere era il luogo che meritava.
E forse in quel luogo, mentre pagava per le sue colpe imperdonabili, sarebbe riuscito ad accettare che quella notte d’estate aveva salvato la vita ad una bambina.
E che Judith gli aveva sorriso riconoscente.
 
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