Il Calderone di Severus

N.13: Un anno di sorrisi per Severus

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Alaide
view post Posted on 5/6/2013, 09:07 by: Alaide
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Autore/data: Alaide – 30 marzo – 2 aprile 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One-Shot
Rating: per tutti
Genere: Drammatico, Introspettivo
Personaggi: Severus Piton, Personaggio originale
Pairing: nessuno
Epoca: Post 7° anno
Avvertimenti: AU
Riassunto: La voce della donna si era fatta accorata, così come accorato si era fatto il suo sorriso.
Era un sorriso che aveva un che di disperato, si accorse Severus.
Un sorriso che lo colpì come una frustata al pari delle parole della donna.
Nota: La storia è il continuo di Amarezza
Parole: 1154

Tetralogia

12. Terza giornata. Atto I. Scena II. Dolore


Melusine stava ancora sorridendo all’uomo. Era da quando il giorno precedente Judith aveva trovato il coraggio di dirle cosa fosse accaduto quella tragica notte di agosto, che la giovane aveva deciso di tornare a parlare con il signor Piton, nel tentativo di convincerlo a cambiare d’avviso, ma le parole che l’uomo aveva pronunciato non le davano molta speranza.
Le pareva che il signor Piton volesse ad ogni costo negare il fatto che aveva salvato la vita a Judith e quello che disse poco dopo le fece male al cuore.
«Non riuscite né lei, né la bambina a vedere la verità. Io sono un assassino.»
«E quale assassino avvolgerebbe un plaid intorno ad una bambina?» domandò Melusine, fissando l’uomo negli occhi, sorridendogli leggermente, con gentilezza. «Non so cosa sia accaduto quella notte, solo quello che mi ha raccontato Judith. E dal suo racconto so con certezza che lei ha salvato la vita della bambina. Perché insiste a negarlo?»
Severus non disse, né fece niente per diverso tempo. Nel sorriso gentile della signorina Fairchild poteva vedere quei sentimenti che vi aveva letto quando gli aveva chiesto, tempo prima, di accettare di vedere la bambina.
Il sorriso che evocava i sentimenti materni che la giovane provava per Judith. Ed egli era certo che ciò di cui avesse bisogno la bambina fosse l’affetto ed il sorriso della signorina Fairchild, non di certo la compagnia dell’assassino dei suoi genitori.
Perché era quello che era.
L’uomo che non era riuscito a salvare quei due innocenti.
L’uomo che aveva lasciato che venissero torturati.
L’uomo che li aveva uccisi.
«È lei, signorina Fairchild, a negare la verità. Io sono l’assassino dei genitori della bambina.» disse infine, articolando ogni parola a fatica, provando una fitta di dolore ad ogni sillaba pronunciata.
«Forse entrambi neghiamo parte della verità, signor Piton.» disse Melusine, giocando nervosamente con le frange del foulard, un sorriso altrettanto nervoso sulle labbra «Eppure io so che Judith ha bisogno di lei. Chiede di lei ogni giorno. Mi ha supplicata di portarla qui in anticipo ed io le ho detto che non potevamo perché l’ospedale ha regole ben precise.»
«Dovrebbe invece dirle la verità.» sillabò Severus.
Le parole furono seguite da un violento attacco di tosse.
Melusine si alzò di scatto in piedi ed allungò una mano per premere il pulsante per chiamare l’infermiera, ma l’uomo le afferrò il polso.
La giovane lo fissò negli indecifrabili occhi neri e sentì montare in lei la più estrema tristezza.
Quell’uomo si stava punendo nel peggiore dei modi, martoriando il proprio corpo, impedendo il minimo gesto di gentilezza. Qualsiasi colpa avesse commesso in passato, fosse questa anche l’aver effettivamente ucciso i genitori di Judith, la stava espiando, l’aveva già espiata, con ogni probabilità, si disse Melusine.
«Signor Piton, credo che Judith veda in lei l’unica persona che possa darle sicurezza.»
L’uomo le lasciò andare il polso.
E Melusine, per quanto avesse voluto chiamare qualcuno che potesse lenire le sofferenze dell’uomo, abbassò il braccio, con un sorriso triste.
«La bambina mi ha raccontato tutto, quando la direttrice dell’orfanotrofio le ha proposto di sostituire il plaid che tiene sul letto, il plaid senza il quale non riesce a dormire. Judith si è agitata ed ha afferrato quella vecchia coperta quasi ne andasse della sua stessa vita.
«Quando sono rimasta sola con lei, la bambina mi ha spiegato perché vuole quel plaid sempre con sé.» Melusine si interruppe, cercando lo sguardo dell’uomo, quello sguardo che le pareva celare una solitudine ed un tormento incommensurabili. «Avevo sempre pensato che fosse qualcosa che le ricordava i suoi genitori. Invece le ricorda lei. Tiene così tanto a quel plaid perché lei, signor Piton, glielo ha avvolto intorno alle spalle quella notte, perché le ha salvato la vita e l’ha fatta sentire al sicuro. Come posso dire a Judith che lei non vuole più vederla? Come posso?»
La voce della donna si era fatta accorata, così come accorato si era fatto il suo sorriso.
Era un sorriso che aveva un che di disperato, si accorse Severus.
Un sorriso che lo colpì come una frustata al pari delle parole della donna.
Ricordava di aver avvolto una coperta intorno alla bambina, mentre aveva sentito montare in lui inesorabile la colpa, che gli aveva fatto ronzare il sangue nelle orecchie. L’ennesima orribile colpa. Era stata l’unica cosa che aveva potuto fare di fronte alla domanda della bambina. Poi l’aveva abbandonata a se stessa, dopo aver ucciso i suoi genitori.
Era un mostro.
Un mostro a cui quella donna non avrebbe dovuto sorridere in quel modo accorato, disperato quasi, ma sempre gentile.
Un mostro il cui corpo avrebbe dovuto essere dilaniato e poi bruciato perché non ne restasse traccia.
Un mostro che sarebbe stato logico odiare.
«Signorina Fairchild…»
«La prego, signor Piton, usi il quaderno.» lo interruppe con un mormorio Melusine.
Severus osservò per un istante la donna e notò che appariva preoccupata, ma egli non meritava quella preoccupazione, né il sorriso accorato della donna.
Fece per continuare a parlare, pronto ad assorbire nuovo meritato dolore, ma si interruppe. Sentiva la gola bruciargli, come se qualcuno vi avesse colato dentro della lava incandescente. Prese in mano il quaderno perché sapeva che non avrebbe potuto sopportare ulteriormente il dolore alle corde vocali.
“Tenga la bambina lontana da me.”
Melusine gli restituì il quaderno con mani tremanti. Non era quella la risposta che avrebbe voluto leggere. C’era qualcosa di terribilmente tragico in quell’uomo che rifiutava di vedere il bene che poteva fare a Judith, il bene che già le aveva fatto.
«Signor Piton… Severus, per l’ultima volta, la scongiuro, la supplico di pensare a ciò che il suo rifiuto può causare nell’animo di Judith.» mormorò Melusine, le mani giunte in una muta preghiera. Senza rendersene conto, si lasciò scivolare in ginocchio, come una supplice. Sulle labbra un sorriso nervoso e triste, nervoso per l’incertezza del futuro della bambina, triste per la vita a cui si costringeva l’uomo. «Non pretendo che lei veda Judith ogni giorno. Possiamo concordare la distanza di tempo che vuole. Una volta al mese… una volta ogni due mesi… qualsiasi cosa, ma non scacci Judith, non mi costringa a comunicarle questa decisione che la distruggerebbe.»
L’uomo avrebbe voluto urlare alla donna di rialzarsi, avrebbe voluto dirle di andarsene, ma il dolore era troppo intenso, così intenso che per un istante fu visibile sul suo volto.
E la sua mente era piena del ricordo di quando era caduto in ginocchio di fronte a Silente, di quando l’uomo l’aveva osservato con giusto disprezzo.
Il disprezzo che la donna avrebbe dovuto provare per lui.
Non quella preoccupazione che aveva mostrato poco prima.
Men che meno quel sorriso triste.
Prese in mano il quaderno, ma gli cadde a terra.
Il dolore gli attraversava il corpo come mille frustate, impossibile da sopportare. Vide la donna alzarsi in piedi sollecita, la sentì mormorare parole preoccupate.
Poi la vide premere il pulsante per chiamare l’infermiera.
E non ebbe la forza di fermarla.
 
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