Il Calderone di Severus

N.13: Un anno di sorrisi per Severus

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Alaide
view post Posted on 30/5/2013, 13:30 by: Alaide
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Autore/data: Alaide – 27-29 marzo 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One-Shot
Rating: per tutti
Genere: Drammatico, Introspettivo
Personaggi: Severus Piton, Personaggio originale
Pairing: nessuno
Epoca: Post 7° anno
Avvertimenti: AU
Riassunto: Nella lucida superficie bianca vedeva il sorriso di Judith.
Il sorrise che non avrebbe dovuto essere per lui.
Nota: La storia è il continuo di Sicurezza
Parole: 723

Tetralogia

11. Terza giornata. Atto I. Scena I. Amarezza



Un commento dell’infermiera, che gli aveva portato la dose giornaliera di antidolorifico, continuava a rimbombare nelle orecchie di Severus.
Era stato un ciarlare a senso unico, come sempre.
Come sempre, non aveva quasi ascoltato la donna, se non quando aveva nominato l’orfanotrofio e l’aumento del numero di bambini tra l’estate del 1997 e la prima metà dell’anno successivo.
E Severus sapeva perfettamente cos’era avvenuto in quel periodo.
Quanti altri tra quei bambini erano sue vittime?
Quanti altri, oltre a Judith, aveva reso orfani?
La bile gli era montata in gola, alle parole dell’infermiera, e con essa il sapore amaro della colpa.
L’antidolorifico stava intonso sul tavolo, accanto ai libri che, quattro giorni prima, gli aveva portato la signorina Fairchild, insieme alle sue assurde parole, al suo lieve sorriso, alle sue suppliche.
Quella donna era miope.
Non riusciva a vedere l’enormità di quello che lui aveva compiuto.
Non riusciva a vedere il sangue che gli copriva le mani.
Si alzò lentamente in piedi, afferrando la boccetta dell’antidolorifico. Sapeva che avrebbe dovuto chiamare l’infermiera, ma, per quello che aveva da fare, non ne aveva bisogno.
Raggiunse la porta del bagno. Si appoggiò per un istante alla parete, prima di aprire l’uscio. Svitò il tappo della boccetta e ne vuotò il contenuto nel lavandino.
Nel liquido che turbinava verso lo scarico, vide il sorriso riconoscente di Judith.
E sentì l’amarezza della colpa montargli in gola.
Si appoggiò per un istante al lavabo.
Nella lucida superficie bianca vedeva il sorriso di Judith.
Il sorriso che non avrebbe dovuto essere per lui.
Per l’assassino.
Tornò lentamente nella stanza.
Si sedette sulla sedia.
Fuori il sole splendeva, forse mai così luminoso da qualche tempo a quella parte.
I raggi illuminavano la stanza, posandosi sul tavolo, sui libri e sulle pareti giallastra, rendendole più squallide.
E nelle screpolature dell’intonaco l’uomo vide il sorriso colmo di sollievo di Judith.
Quel sorriso che avrebbe dovuto essere colmo d’odio.
E che con ogni probabilità lo sarebbe diventato, quando la signorina Fairchild le avrebbe comunicato la sua decisione.
Una decisione irrevocabile.
Riusciva ad immaginare il sorriso della bambina colmarsi dell’odio e del disprezzo che egli meritava.
E che egli provava per se stesso.
Così com’era una giusta punizione il dolore che stava montando dentro il suo corpo.
Un dolore che dovevano aver provato i genitori della bambina.
Gli pareva di udirne le voci, in quel momento, grida che parevano dire la sua colpa imperdonabile.
Gli pareva di udire le risate degli altri due Mangiamorte.
Rammentava vagamente che la bambina gli aveva parlato quella tragica notte, ma ciò che gli balzava alla mente erano unicamente le grida di quei due innocenti.
Quelle grida che per un istante gli parvero risuonare nella stanza, sostituite ben presto da un lieve bussare alla porta.
Severus non si voltò.
Era certo che fosse l’infermiera. Invece fu la voce di Melusine Fairchild a rivolgersi a lui.
«Signor Piton, so che… forse non si aspettava di rivedermi dopo quello che ci siamo detti quattro giorni fa, ma vi ho riflettuto. Ed ho parlato con Judith. Mi ha raccontato quello che è accaduto quella sera.»
L’uomo non si voltò, né fissò la donna, quando la sentì muoversi nella stanza e sedersi.
Forse, finalmente, avrebbe capito che aveva insistito affinché una bambina innocente potesse stare in compagnia di un assassino.
Forse finalmente avrebbe visto l’odio sul volto dolce della giovane.
«Ha quindi compreso che io sono l’assassino.» affermò Severus, assaporando il dolore che divorava il suo corpo e la sua anima.
«Ho capito che lei ha salvato la vita di Judith e che l’ha fatta sentire al sicuro, pur in una situazione del genere.» ribatté la giovane donna.
L’uomo portò lo sguardo sulla signorina Fairchild e notò che gli stava sorridendo.
Non era un sorriso lieve, né un sorriso nervoso, ma il sorriso di chi aveva fiducia nel suo interlocutore.
Un sorriso che non faceva altro che acuire il sapore amaro che aveva in bocca.
Il sapore amaro della colpa.
Un sorriso che la donna – un’adulta, non una bambina che poteva travisare la realtà – non avrebbe mai dovuto rivolgergli.
Non a lui.
Non ad un assassino.
Riusciva ad immaginare fin troppo bene cosa volesse da lui la giovane.
Immaginava cosa vi fosse dietro quel sorriso.
Quale domanda.
Ma egli sapeva che la decisione che aveva preso era irrevocabile e che nulla poteva modificarla.
 
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