Il Calderone di Severus

N.13: Un anno di sorrisi per Severus

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Alaide
view post Posted on 22/5/2013, 10:22 by: Alaide
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Autore/data: Alaide – 24-26 marzo 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One-Shot
Rating: per tutti
Genere: Drammatico, Introspettivo
Personaggi: Severus Piton, Personaggio originale
Pairing: nessuno
Epoca: Post 7° anno
Avvertimenti: AU
Riassunto: La bambina vorrebbe dirgli grazie, ma le parole non vogliono uscire.
Gli sorride appena, ma l’uomo si è voltato.
Nota: La storia è il continuo di Negazione
Parole: 744

Tetralogia

10. Terza Giornata. Prologo. Sicurezza


Un grido rompe il silenzio della notte. La bambina si sveglia di colpo stringendo a sé l’orsacchiotto.
Forse la mamma ha avuto un incubo.
Come quando lei ha sognato un pesce gigante che voleva mangiarla.
Poi un altro grido.
La bambina si alza ed esce dalla cameretta.
Tiene in mano l’orsacchiotto.
Sa che lui non ha paura. Lei invece un po’ sì perché non è normale che mamma e papà abbiano gli incubi.
Quando arriva sulla soglia della stanza rimane immobile.
Ci sono degli sconosciuti.
E mamma e papà stanno gridando.
La bambina vorrebbe chiamare aiuto, ma la voce non le esce. Stringe l’orsacchiotto, mentre qualcuno ride nella stanza.
Un’ombra si avvicina.
Nera.
La bambina piange silenziosamente.
La voce continua a non volerle funzionare.
Si sente sollevare da terra e rapidamente viene messa nell’armadio che sta accanto alla porta e che la mamma ha lasciato aperto a metà.
«Non fare rumore.» un sussurro che la bambina ode a malapena, coperto dalle grida di mamma e papà.
L’ombra si allontana.
E lei rimane sola. Si rannicchia in un angolo dell’armadio e non si muove.
Piange.
E sente le grida della mamma.
Quelle del papà.
Sono grida terribili che le perforano il cuore.
Grida di dolore.
Anche se non ne ha mai sentite prima, le riconosce.
Vorrebbe singhiozzare, gridare, ma non lo fa.
L’uomo le ha detto di non fare rumore. E lei vuole obbedirgli perché l’ha nascosta. E quando l’ha fatto, le ha dato l’impressione che lei fosse al sicuro. Forse l’uomo adesso sconfiggerà chi fa urlare mamma e papà, si dice la bambina, cercando di rincuorarsi.
Le si apre sulle labbra un sorriso disperato.
Le lacrime lo cancellano subito.
Una luce verde pare illuminare per un istante la stanza, poi sente delle voci. Non sono quelle di mamma e papà. Vorrebbe provare a chiamarli, ma l’uomo le ha detto di non far rumore e lei si fida di lui.
Tutto diventa improvvisamente silenzioso.
La bambina riesce a sentire il suo respiro agitato.
Poi sente dei passi lenti. Qualcuno apre l’altra anta dell’armadio. Qualcuno la prende in braccio prima che lei possa uscire e le nasconde il capo contro la spalla.
La bambina sa che è lo stesso uomo di prima.
Sorride appena contro la sua spalla.
E piange.
Stanno scendendo le scale.
E la bambina sorride.
Il sorriso della disperazione perché sa, anche senza chiederlo, che mamma e papà non ci sono più.
Il sorriso della gratitudine perché sa che l’uomo le ha salvato la vita.
E piange lacrime disperate.
L’uomo la posa su una poltrona in salotto. La luna illumina la stanza e la bambina osserva l’uomo. Ne intravede il volto e decide che non lo dimenticherà mai.
«Signore…»
«Qualcuno arriverà presto.» dice rapidamente l’uomo.
«Ma lei rimarrà qui, vero? Con me?» domanda spaventata.
L’uomo scuote unicamente il capo, poi fa qualche passo per la stanza.
La bambina singhiozza.
L’uomo torna e l’avvolge nel plaid che mamma usa quando guarda la televisione.
La bambina vorrebbe dirgli grazie, ma le parole non vogliono uscire.
Gli sorride appena, ma l’uomo si è voltato.
L’uomo è uscito dalla stanza.
Se n’e andato.
Qualcuno arriva poco dopo.
Sono rumorosi. Sembrano poliziotti.
La bambina riesce solo a stringere a sé il plaid che l’uomo le ha avvolto attorno.
La fa sentire al sicuro.
Anche dalle domande che le stanno facendo e alle quali lei non risponde.
Non riesce a parlare.
Stringe con più forza il plaid. Vorrebbe che l’uomo fosse ancora lì. Che ci fosse lui e non quegli uomini. A lui avrebbe potuto parlare, si dice, mentre la portano via.



Judith si svegliò di colpo. Si avvoltolò meglio nelle coperte, il respiro affannato, mentre cercava di riprendere sonno, senza riuscirvi.
Si mise a sedere di scatto, toccando con una mano il plaid sopra le lenzuola. Non importava che fosse ormai vecchio e liso. Glielo aveva dato il signor Piton per farla sentire al sicuro.
Sorrise, come se stesse sorridendo all’uomo.
Con riconoscenza.
Con affetto.
Avrebbe voluto che lui fosse lì.
Era certa che non avrebbe più avuto paura di dormire e di sentire le grida dei genitori.
Tirò il plaid verso di sé e se lo avvolse attorno, come aveva fatto il signor Piton quella notte.
E sorrise di nuovo grata.
Perché il signor Piton l’aveva salvata.
Perché il signor Piton le aveva impedito di vedere i cadaveri dei suoi genitori.
Perché il signor Piton l’aveva avvolta nel plaid quella notte.
E l’aveva fatta sentire al sicuro.
 
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