Il Calderone di Severus

N.13: Un anno di sorrisi per Severus

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Alaide
view post Posted on 15/5/2013, 18:31 by: Alaide
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Autore/data: Alaide – 18-22 marzo 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One-Shot
Rating: per tutti
Genere: Drammatico, Introspettivo
Personaggi: Severus Piton, Personaggio originale
Pairing: nessuno
Epoca: Post 7° anno
Avvertimenti: AU
Riassunto: Il sorriso della signorina Fairchild era il sorriso freddo della morte.
Il sorriso della colpa.
Il sorriso del castigo.
Nota: La storia è il continuo di Una domanda
Parole: 1306

Tetralogia

9. Seconda Giornata. Atto III. Scena II. Negazione


Non voglio più vedere la bambina.
Quelle parole rimbombavano nella mente di Melusine, mentre camminava lungo il breve tratto di strada che divideva l’orfanotrofio dall’ospedale.
Non aveva ancora detto nulla a Judith.
Non aveva osato.
Quel giorno della settimana precedente, quando era tornata nella stanza, tutto le era parso tranquillo. Eppure l’uomo le aveva passato il quaderno con sopra scritte quelle scarne parole.
Sapeva che avrebbe dovuto dirlo a Judith, ma non era riuscita a farlo.
Non aveva avuto cuore di distruggere il precario equilibrio che la bambina pareva aver raggiunto da quando aveva incontrato il signor Piton.
Era una fortuna, quasi, che Judith avesse preso la febbre il giorno precedente, in modo tale da evitarle una spiegazione, di dirle che il signor Piton non la voleva più vedere.
Sentiva le mani iniziare a farsi sudaticce, non appena entrò nell’ospedale.
Era decisamente nervosa. Era già stato difficile convincere l’uomo ad accettare di incontrare la bambina e non credeva possibile che quella volta avrebbe ceduto.
Non riusciva nemmeno a comprende cosa fosse accaduto durante la sua assenza. Judith pareva essere tranquilla, soddisfatta quasi.
Eppure l’uomo aveva scritto quelle parole.
Melusine strinse con forza la borsa con i libri, quasi questo potesse darle sicurezza, poi bussò alla porta della stanza del signor Piton.
Prima di entrare, trasse un lieve sospiro, per tranquillizzarsi, poi varcò la soglia.
L’uomo sedeva come l’aveva visto la prima volta, lo sguardo rivolto alla finestra da cui si vedeva il cielo plumbeo.
«Le ho portato i libri, signor Piton.» disse la giovane abbozzando un sorriso tirato, mentre estraeva i tre volumi dalla borsa e li posava sul tavolo. «L’ultima volta non ho potuto parlarle come avrei potuto, non davanti a Judith. La bambina è malata e non sa nulla delle parole che ha scritto. Non ho avuto il coraggio di comunicargliele.»
Quando aveva visto entrare la signorina Fairchild, Severus si era aspettato che avrebbe fatto riferimento alle parole che aveva scritto.
Parole inderogabili che nessun sorriso poteva mutare, nemmeno quello che la signorina Fairchild gli aveva rivolto tempo prima, quel sorriso in cui aveva visto Lily.
Ma allora non aveva ancora collegato la bambina a quella notte d’estate.
O forse l’aveva sempre saputo, ma non aveva voluto ammetterlo con se stesso.
Forse era per quello che aveva sempre trovato i sorrisi di Judith così inquietanti.
“Eppure dovrà dirglielo” scrisse, porgendo il quaderno alla giovane.
Melusine lesse la frase, una frase che si aspettava e che non spiegava nulla. Ma lei aveva bisogno di una spiegazione.
«Cos’è accaduto, quando io non ero qui? Judith ha forse fatto o detto qualcosa che le ha fatto prendere quella decisione, signor Piton? Qualcosa di cui non si è resa conto perché sembrava tranquillissima quando sono tornata. Sono certa che…»
“Non è stata la bambina.”
Melusine lesse quelle parole, perplessa.
Era certa che l’uomo non avesse fatto nulla di sbagliato.
Judith gli stava sorridendo quando era entrata. E Judith non avrebbe mai sorriso se il signor Piton avesse fatto qualcosa di grave.
E d’altronde lei credeva che l’uomo fosse una brava persona.
«Cosa intende dire?» domandò infine, abbozzando un sorriso nervoso e teso, accorato, un sorriso simile, si accorse Severus, a quello che gli aveva rivolto il giorno in cui l’aveva convinto a vedere Judith.
Era lo stesso sorriso.
Ma egli lo percepiva come una stilettata, come qualcosa di terribile.
Emergevano nella sua mente le immagini di quella notte. Gli pareva di vedere in quel sorriso i volti sofferenti dei genitori di Judith, due innocenti che non avevano fatto nulla di male, se non trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Il sorriso della signorina Fairchild era il sorriso freddo della morte.
Il sorriso della colpa.
Il sorriso del castigo.
«Non si tratta di ciò che ho fatto la settimana scorsa.» disse Severus, accogliendo il dolore come un balsamo. «Ma ben prima.»
Si interruppe. Il dolore si era fatto insopportabile.
Eppure Severus voleva dire la sua colpa, una delle sue innumerevoli colpe.
Voleva vedere il sorriso accorato della giovane trasformarsi in una smorfia d’odio ad ogni parola che avrebbe pronunciato. Ed allora era certo che la donna avrebbe impedito alla bambina di vederlo. Forse l’avrebbe denunciato alla polizia Babbana, facendogli trovare il castigo che meritava.
«Ho già conosciuto la bambina.» riprese scandendo lentamente ogni parola, sforzandosi di continuare a parlare nonostante le scariche di dolore che dalla gola si propagavano in tutto il corpo. «Non l’ho riconosciuta subito. Ma questo non è importante. Ho già conosciuto la bambina. La notte in cui è rimasta orfana.»
«Era forse uno dei poliziotti arrivati sul luogo?» domandò Melusine, anche se si aspettava una parola diversa.
Fosse stato uno delle forze dell’ordine, non avrebbe dovuto scacciare Judith, ma l’altra ipotesi le pareva surreale perché Judith sorrideva all’uomo.
«Sono l’assassino.» disse infine Severus.
Notò il sorriso svanire dalle labbra della giovane, ma non fu rimpiazzato dall’orrore e dall’odio che sapeva di meritare.
L’odio che avrebbe dovuto vedere sul volto della bambina.
L’odio che egli provava per se stesso.
«Eppure Judith le sorrideva, signor Piton. E non potrebbe sorridere all’assassino dei suoi genitori.» mormorò Melusine.
Era certa che qualcosa le stava sfuggendo.
Un particolare importante.
«La bambina travisa la realtà.» disse l’uomo, mentre il dolore avvolgeva tutto il suo corpo, in maniera intollerabile, in maniera giusta e meritata.
Melusine rimase per qualche istante in silenzio, lanciando un’occhiata al quaderno dell’uomo, chiedendosi per quale motivo si stesse costringendo a parlare. Una delle infermiere le aveva detto che ogni parola era una tortura. La giovane riusciva a trovare una sola spiegazione a quel modo di agire.
Ed era un pensiero terribile.
Eppure non poteva essere diversamente.
L’uomo parlava per punirsi.
Era un pensiero terribile, si ripeté, prima di tornare a concentrarsi sulle parole che l’uomo aveva appena pronunciato.
Parole che potevano spiegare il sorriso di Judith.
Il sorriso riconoscente di Judith.
E fu quel particolare a permetterle di comprendere.
Se Judith gli sorrideva con riconoscenza voleva dire una sola cosa.
«Lei ha salvato la vita a Judith, signor Piton.» disse infine, abbozzando un lieve sorriso. «E Judith le sorride per questo. Forse l’ha anche disegnata una volta, ma io non avevo collegato quell’uomo che pareva proteggerla con lei e…»
«Ho ucciso i genitori della bambina, signorina Fairchild. Quello che dovrebbe fare adesso, sarebbe andare a denunciarmi, farmi arrestare. Non dimostrare uno sciocco entusiasmo.»
Severus strinse con una mano il bordo del tavolo, il dolore ormai insopportabile.
Eppure non era pentito d’avere parlato.
Meritava quel dolore. Meritava quella sofferenza.
Non meritava invece il lieve sorriso che ancora aleggiava sul volto della donna.
«Ma non può negare di aver salvato la vita a Judith.» disse la giovane tranquilla, una tranquillità che era ben lungi dal provare interiormente. «Quello che non ha senso è che lei, se fosse il brutale assassino dei genitori di Judith, abbia salvato la vita ad un testimone. L’unica cosa che la bambina ha mai detto alla polizia è che ha sentito le voci degli assassini, ma di lei non ha mai parlato, di lei che le ha salvato la vita.»
«Non importa quello che lei pensa o crede.» disse l’uomo lentamente, ignorando il quaderno che gli stava offrendo la giovane. «O quello che crede la bambina. Nessun innocente deve rimanere nella stessa stanza di un assassino. Men che meno un bambino. Non rivedrò più la bambina.»
«Signor Piton… Severus, la…»
Le parole morirono in gola a Melusine quando incontrò lo sguardo dell’uomo.
E con le parole morì il sorriso che aveva ancora sulle labbra.
Aveva intuito, osservando quegli occhi neri che celavano un mondo fatto, con ogni probabilità, di sofferenza, che nulla gli avrebbe fatto cambiare idea.
Quell’uomo, che Melusine non poteva fare a meno di definire una brava persona, rifiutava ostinatamente una parte della verità.
Non accettava l’idea che Judith potesse essergli riconoscente.
E lei non poteva far altro che accettare la sua sconfitta.
 
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