Il Calderone di Severus

N.13: Un anno di sorrisi per Severus

« Older   Newer »
  Share  
Alaide
view post Posted on 8/5/2013, 16:46 by: Alaide
Avatar

Pozionista

Group:
Severus Fan
Posts:
3,086

Status:


Autore/data: Alaide – 13-16 marzo 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One-Shot
Rating: per tutti
Genere: Drammatico, Introspettivo
Personaggi: Severus Piton, Personaggio originale
Pairing: nessuno
Epoca: Post 7° anno
Avvertimenti: AU
Riassunto: Severus sentì nuovamente la bile montargli in gola, quando la bambina pronunciò quelle parole, quando gli sorrise nuovamente.
Era tutto drammaticamente sbagliato.
Era l’odio ciò che meritava.
Nota: Come accennato anche al raduno, questo capitolo è il capitolo in cui avviene parte dello svelamento della verità riguardante Judith. Non tutto è ancora detto (mancano diversi dettagli, che verranno svelati nei prossimi capitoli).
La storia è il continuo di Lampi
Parole: 1012

Tetralogia

8. Seconda Giornata. Atto III. Scena I. Una domanda



Il sole illuminava la cittadina, rendendo meno austere le mura vittoriane dell’orfanotrofio, ma nulla poteva contro lo squallore dell’ospedale, né delle pareti giallastre delle sue stanze.
Judith sedeva nella camera di Severus, come sempre con un sorriso sulle labbra, un sorriso disteso.
In quel momento erano soli.
Melusine era andata a parlare con il direttore dell’ospedale e lei era rimasta con il signor Piton.
Forse, si disse, era quello il momento adatto per fargli la domanda che tanto le stava a cuore, la domanda che le frullava nella mente dal giorno in cui l’aveva visto.
Non sapeva però come porre quella domanda.
Si limitava a sorridere all’uomo.
O forse cercava di comunicargli con quel sorriso ciò che non era in grado di domandargli.
Era un sorriso riconoscente.
Disarmante, quasi.
Severus lo osservava con un senso di disagio crescente.
Non si trattava unicamente del fatto che sentiva sempre più il peso delle sue colpe, quanto piuttosto che, dal giorno in cui la bambina aveva cercato conforto rifugiandosi sulle sue ginocchia, gli pareva di aver già tenuto Judith contro di lui.
Ed era un pensiero inquietante, poiché gli veniva in mente una sola occasione in cui avrebbe potuto prendere in braccio una bambina.
Sapeva, d’altronde, di non essere mai stato prima di allora in quell’angolo di Inghilterra e, solitamente, i piccoli orfani venivano accolti dall’orfanotrofio della loro zona. E, per quanto ne sapeva, Judith avrebbe potuto rimanere orfana dopo la fine della Guerra Magica.
Eppure quella sensazione rimaneva persistente.
Per tutta la durata di quella settimana, aveva rievocato ogni particolare della Guerra. Esisteva una sola occasione in cui avrebbe potuto incontrare Judith.
Non riusciva, però, a stabilire se la bambina, incontrata due anni prima, con il visetto tondeggiante ed i capelli tagliati a caschetto era la stessa che gli stava davanti con i capelli lunghi ed il volto leggermente affilato.
Nella mente rivedeva ciò che era accaduto quella sera d’estate.
Sapeva che Judith aveva paura dei lampi e sapeva che quella notte la luna illuminava la stanza.
Aveva pensato, in un primo momento, che quel terrore fosse collegato alla morte dei suoi genitori.
Ma forse così non era.
«Melusine ci insegna a cantare.» disse improvvisamente la bambina rompendo il silenzio. «Ed è bello. Quando cantiamo dimentichiamo quello che è successo. Non solo io, ma tutti noi che siamo all’orfanotrofio.
«Dimentichiamo tutti che i nostri genitori sono stati uccisi.»
Le parole della bambina aumentarono il sospetto che da alcuni giorni stava tormentando la mente e l’animo dell’uomo.
In bocca sentiva il sapore amaro della colpa.
V’era qualcosa di strano e terribile in quell’orfanotrofio.
Un luogo che accoglieva soltanto bambini i cui genitori erano stati uccisi.
Ed improvvisamente si chiese se tra di loro vi fosse qualcuno a cui avesse assassinato il padre e la madre. Qualcuno oltre a Judith, sempre che i suoi sospetti fossero veri.
Ed egli voleva averne la certezza.
“Da che parte dell’Inghilterra vieni?” scrisse rapidamente, porgendo il quaderno alla bambina.
Il sorriso di Judith si allargò.
Era la prima volta che l’uomo si rivolgeva a lei e la bambina fremeva di curiosità e speranza.
Forse non avrebbe dovuto porre quella domanda che premeva sulle sue labbra per uscire.
«Il Norfolk. Abitavamo nella campagna vicino a Fakenham.»
Severus deglutì. L’amaro della colpa parve spandersi per tutto il corpo, insieme al dolore.
Nelle settimane successive all’uccisione di Silente, quando la sua anima era macchiata anche del sangue di quanto di più simile ad un padre avesse mai avuto, il Norfolk era stato preso di mira dall’Oscuro Signore.
Ed egli era stato spesso presente, impossibilitato a salvare le vite di quegli innocenti, impossibilitato, il più volte, a donare una morte veloce a quegli innocenti.
«Quando sei arrivata qui?» chiese l’uomo, benedicendo il dolore che gli attraversò il corpo ad ogni sillaba.
«Nell’agosto del 1997.» rispose prontamente Judith.
Severus sentì montare la bile in bocca.
Od era forse unicamente il sapore della colpa che stava centuplicandosi al punto che ne sentiva il peso, un peso che si trasformava nel dolore fisico che gli attraversava il corpo.
Era l’ultima conferma.
Tutto ciò che gli serviva per collegare Judith a quella notte, per confermare un sospetto che, probabilmente, la sua anima aveva sempre nutrito inconsciamente.
La bambina lo stava osservando, in attesa.
Forse, quando avrebbe capito che aveva davanti a sé l’assassino dei suoi genitori – colui che non era riuscito a salvargli – il sorriso che aveva sul volto si sarebbe spento.
E si sarebbe trasformato, com’era logico, in un sorriso colmo d’odio.
«Si ricorda di me?» domandò Judith, senza più riuscire a trattenere la domanda.
Severus annuì, attendendo, quasi con sollievo, il sopraggiungere dell’odio.
Invece il sorriso della bambina si fece più netto, colmo di riconoscenza e sollievo, quasi avesse avuto paura che lui negasse.
«Ne sono felice.» mormorò la bambina. «Ho sempre sperato di poterla incontrare di nuovo.»
Judith non aggiunse altro. Era certa che l’uomo avrebbe capito, che avrebbe compreso che voleva ringraziarlo perché le aveva salvato la vita.
Ed era per quello che gli sorrideva riconoscente.
Sarebbe stato bello se anche i suoi genitori si fossero salvati, ma credeva che quell’uomo fosse stato veramente un eroe, perché l’aveva salvata nonostante vi fossero gli uomini cattivi nella stanza di mamma e papà.
Severus sentì nuovamente la bile montargli in gola, quando la bambina pronunciò quelle parole, quando gli sorrise nuovamente.
Era tutto drammaticamente sbagliato.
Era l’odio ciò che meritava.
Non la riconoscenza.
Non un sorriso.
Avrebbe voluto gridare alla bambina di andarsene e lasciarlo solo, ma sapeva di non esserne in grado.
Avrebbe voluto gridare alla bambina di fuggire da lui che aveva ucciso i suoi genitori.
Da lui che non era riuscito a salvarli.
Da lui che aveva assistito impotente alla loro sofferenza e alla loro morte.
Li aveva uccisi.
E poco importava che non l’avesse fatto materialmente.
Ed il sorriso della bambina gli pareva ancora più terribile.
La bambina forse non l’aveva collegato agli assassini dei suoi genitori.
Doveva essere così.
Per quello gli stava sorridendo.
Ma quel sorriso avrebbe dovuto essere d’odio.
Perché era l’unico sentimento che meritava.
Che avrebbe sempre meritato.
 
Top
1897 replies since 9/1/2013, 00:04   27942 views
  Share