Il Calderone di Severus

N.13: Un anno di sorrisi per Severus

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Alaide
view post Posted on 2/5/2013, 09:39 by: Alaide
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Autore/data: Alaide – 10-12 marzo 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One-Shot
Rating: per tutti
Genere: Drammatico, Introspettivo
Personaggi: Severus Piton, Personaggio originale
Pairing: nessuno
Epoca: Post 7° anno
Avvertimenti: AU
Riassunto: Ogni volta sorrideva all’uomo, timidamente, con riconoscenza, con sollievo.
Gli sorrideva sempre.
Nota: La storia è il continuo di Solitudine
Parole: 982

Tetralogia
7. Seconda Giornata. Atto II. Lampi


I giorni si trascinavano lenti, alternando giorni illuminati da un timido sole e giorni in cui la pioggia scendeva violenta.
Per uno strano scherzo del destino pioveva sempre quando Judith si recava all’ospedale.
Ogni volta sorrideva all’uomo, timidamente, con riconoscenza, con sollievo.
Gli sorrideva sempre.
E Melusine si chiedeva cosa vedesse Judith in quell’uomo e nella sua solitudine.
Uno spirito affine, forse.
Una figura paterna.
Oppure v’era dell’altro che lei non riusciva ad afferrare?
Anche in quel momento, mentre sedeva nella stanza dell’ospedale, Judith sorrideva all’uomo ed il suo corpo appariva rilassato, quasi si sentisse al sicuro, protetta, forse.
«Che libri vuole che le porti la prossima settimana, signor Piton?» domandò Melusine.
Era diventata una domanda quasi rituale.
Ogni volta gli portava tre libri ed ogni volta gli chiedeva quali titoli, tra quelli presenti nell’inventario della biblioteca dell’orfanotrofio, volesse leggere.
Era l’unica conversazione che aveva con lui.
V’erano giorni in cui era tentata di fargli altre domande o di commentare uno dei titoli che anche lei aveva letto, ma non voleva invadere la riservatezza dell’uomo.
V’erano momenti in cui cercava di comprendere l’enigma celato dietro quegli occhi neri e quel volto pallido.
Aveva unicamente compreso che era un uomo colto.
Uno studioso, forse. Anche se non riusciva ad intuire di cosa si occupasse.
Di certo era interessato a romanzi che parlavano di colpa e rimorso.
Un lampo illuminò il cielo plumbeo, quando l’uomo le allungò il foglio con i titoli dei libri.
Judith si irrigidì leggermente, mentre osservava un nuovo lampo che pareva troppo simile alla luce della luna crescente che illuminava la stanza di mamma e papà la notte in cui erano stati uccisi.
Il sorriso le morì sulle labbra, ma non si mosse. Fissò gli occhi sull’uomo, quasi si aspettasse che lui dicesse o facesse qualcosa.
Un nuovo lampo rischiarò quel cupo pomeriggio, mentre la pioggia cadeva copiosa.
«Cantiamo in coro, all’orfanotrofio.» disse improvvisamente Judith, dicendosi che lì era al sicuro, che quella luce biancastra che illuminava di tanto in tanto la stanza non era la luce della luna, che nessuno sarebbe entrato. «E delle volte…»
La voce le morì in gola, quando la luce venne a mancare.
La stanza era quasi totalmente immersa nell’oscurità, rischiarata di tanto in tanto dai lampi.
Severus, sebbene la scorgesse appena, riusciva a percepire la paura della bambina. Ne intravedeva il corpo teso sulla sedia. E riusciva ad immaginare fin troppo bene che non era una semplice paura infantile.
Non v’era nulla di veramente infantile nel comportamento di quell’orfana.
Ogni volta che la vedeva, lo comprendeva pienamente.
Ogni volta che la vedeva, le sue mani gli parevano ancora più lorde di sangue.
Ogni volta che la vedeva, si chiedeva per quale motivo gli sorridesse sempre, un motivo che, lo sapeva, sfuggiva anche alla signorina Fairchild, che accompagnava sempre la bambina e rimaneva con loro silenziosa e discreta.
Ogni volta i sorrisi della bambina sembravano aumentare la distanza che c’era tra la sua anima annerita dal delitto e l’animo puro di Judith.
Erano sorrisi lievi che, ogni volta, si trasformavano in una pugnalata al cuore, in un aumento esponenziale del peso della sue colpe.
Quello che aveva compiuto, i delitti che aveva commesso, diventavano più netti, più evidenti ai suoi occhi.
Era come se i sorrisi della bambina gli gridassero le sue colpe.
I lampi continuavano a rischiarare la stanza, facendo rabbrividire Judith.
Sapeva che lì c’erano Melusine ed il signor Piton e che non poteva accaderle nulla.
Ma era comunque spaventata.
Melusine si alzò lentamente in piedi.
Sapeva che Judith era terrorizzata. Nei primi giorni del suo arrivo all’orfanotrofio, quando ancora non riusciva a parlare, era spaventata dal buio, dai lampi e dalla luce pallida della luna.
In quel momento avrebbe voluto dire qualcosa, ma le parole che aveva sulle labbra le sembravano inutili e sciocche.
Fece per avvicinarsi a Judith, ma si bloccò di colpo.
La bambina si alzò in piedi di scatto e, senza dire una parola, si avvicinò all’uomo.
Un lampo illuminò la stanza, quando Judith, come avrebbe fatto una figlia con il proprio padre, si sedette sulle ginocchia di Severus, abbracciandolo in cerca di conforto.
La bambina colse l’uomo di sorpresa, facendogli percepire in maniera terribile quanto le sue colpe avrebbe dovuto rendere impossibile un gesto del genere.
Era un assassino e nessun bambino avrebbe dovuto cercare conforto da lui.
Non da lui che aveva le mani sporche del sangue di troppi innocenti.
Non da lui che non avrebbe mai trovato il perdono.
Un altro lampo illuminò la stanza.
Severus cercò lo sguardo della signorina Fairchild e notò, nel lucore rapido, che stava sorridendo.
Un sorriso dolce e gentile, che parve aumentare di intensità quando notò che la stava osservando.
Quella giovane non avrebbe dovuto sorridergli in quel modo e la bambina non avrebbe dovuto cercare conforto in lui.
Quel sorriso e quell’abbraccio gli fecero sentire tutto il peso delle sue colpe.
Avrebbe dovuto scacciare la bambina, allontanare da lui la donna, ma non lo fece.
Forse fu perché nessuno aveva mai cercato realmente conforto in lui. Nessuno gli aveva mai sorriso in quel modo.
Forse in quella bambina esisteva una speranza di perdono.
O semplicemente v’era la consapevolezza che né la bambina, né la signorina Fairchild gli chiedevano nulla in cambio.
Eppure non poté far altro che sentire amarezza, l’amarezza insita nella solitudine di una bambina che cercava conforto da lui.
Dall’assassino.
Eppure, per un attimo, gli parve che ci fosse qualcosa di stranamente confortante nella presenza di quella bambina. V’era la sensazione di quello che avrebbe potuto essere se egli non avesse compiuto quella scelta tremenda.
Tutto avrebbe potuto essere diverso.
E quel pensiero non fece che rendere le sue colpe un fardello immenso che gravava sulle sue spalle pronto a sommergerlo.
La luce ritornò all’improvviso, rischiarando freddamente la stanza.
Melusine Fairchild gli stava ancora sorridendo gentile.
Un sorriso che aumentò il peso che soffocava la sua anima.
 
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