Il Calderone di Severus

N.13: Un anno di sorrisi per Severus

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chiara53
view post Posted on 9/2/2013, 15:32 by: chiara53
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Il mio piccolo sorriso per Severus, per lui e solo per lui.

Autore/data: Chiara53 – 03 febbraio 2013
Beta-reader: Pingui79
Tipologia: one-shot
Rating: per tutti
Genere: introspettivo
Personaggi: Severus Piton.
Pairing: sorpresa
Epoca: Post settimo anno.
Avvertimenti: AU
Riassunto: La ronda notturna del professor Piton.
Parole/pagine: 699/2


Note:Questa storia è stata scritta per il Gioco Creativo n.13 “Un anno di sorrisi per Severus”

EXPECTO PATRONUM





Il rumore dei passi mi segue.
Sono i miei, lunghe falcate ritmiche e cadenzate.
Il corridoio oscuro prima di svoltare a sinistra inquadra un’armatura.
Sono di ronda, ma lo so che questa è una scusa per me stesso: tanto non potrei dormire in ogni caso.
Le pareti antiche del castello trasudano storie delle quali anch’io faccio parte.
Quante notti ho attraversato questi lunghi corridoi, illuminati o meno, li conosco e loro mi riconoscono.
Non abbiamo paura l’uno dell’altro.
Non pronuncio alcun Lumos: la bacchetta non mi serve.
Non c’è nessuno da cercare, nessuno da proteggere, non c’è più nessuno.
Ci sono solo io che ascolto i miei pensieri.
Io, che sono sempre stato senza casa, senza amore e senza speranza.
Ho guardato la vita scorrermi intorno senza scorrere dentro di lei.
Vorrei aver avuto una famiglia, ma non ho potuto, non ho voluto. Ho guardato i figli altrui con distacco, talora con disgusto, mai con odio.
Non si può odiare ciò che si invidia.
Arrivo all’ultima svolta, ora mancano solo le scale che salgono a chiocciola verso la torre più alta.
Il mio cammino mi porta qui ogni notte, ogni singola notte di quiete.
Silenzio e pace: esteriori presenze che non ospito dentro di me.
Apro una porta conosciuta e salgo gli ultimi gradini.
La torre più alta mi attende a braccia aperte e mi stringe in un terribile amplesso.
Perché il mio rimorso mi spinge ancora ad arrivare fino a questa piattaforma?
Ormai ne conosco le pietre, le crepe, le merlature.
Avvicino l’occhio al telescopio per pura abitudine.
Ripasso le costellazioni e i nomi di stelle per semplice e inutile diversivo alla mia presenza in questo luogo.
Appoggio le spalle al muro della torre millenaria che mi ha visto bambino, poi adolescente, infine assassino.
Riconosco le pietre che tocco e volgo lo sguardo al muto muro di fronte: eri appoggiato a quella spalletta, Albus.
Il tuo fantasma è sempre lì, presente al mio appello notturno.
E ti rivedo fragile e vecchio.
Voglio aiutarti, ma la mia mano non ne è capace attraverso il tempo e lo spazio, un morto non può confortarmi, non può assolvermi, può solo chiedere compassione e misericordia.
Se fossi arrivato prima, se non avessi salvato me stesso se…
Nella vita non c’è posto per i se e nella mia non c’è posto nemmeno per il rimpianto, ma solo per il rimorso.
Sono di nuovo il professor Piton.
Non mi hanno condannato come merito, come sento di meritare ancora e allora torno qui per sentire la tua presenza, sperando nell’impossibile.
Appoggio le mani alla balaustra che brucia di gelo in questa notte stellata.
Alzare la testa è un moto automatico ormai, è come rompere il silenzio: un’azione indegna di me.
Cerco l’immenso spazio che mi circonda e lo trovo.
Lo scruto con occhi distratti: il vuoto mi concede sempre un breve fremito ed un senso di leggerezza come quello di un uccello in volo.
Ma i miei piedi sono ancorati al suolo di questo terrazzo e le mani si appoggiano ora alla merlatura che lo perimetra e lo difende.
Non posso volare: ho perduto le mie ali, le ho avute un tempo, ma me le hanno spezzate.
Nessuno tranne te lo sapeva.
Tu solo.
Ogni notte, ogni singola notte sono qui, e guardo il cielo. Stasera è luminoso e stellato.
Bello da far piangere.
Riconosco ogni stella, da quando non sono morto per colpa di Fanny ho dato loro un altro nome.
Scintillano ed hanno colori diversi.
Non me ne ero accorto prima, forse ero troppo occupato a guardare nel fango, il mio.
Mi hai fatto un dono, Albus.
Mi hai insegnato a guardare il cielo e a scoprire che la magia dell’amore può nascere anche per me.
Ho deciso finalmente di accettarla e tu lo sai.
Nessun altro lo sa.
Tu solo.
Alzo la bacchetta e pronuncio l’incantesimo, mentre la stella a cui ho dato il tuo nome scintilla di più.
Expecto patronum!
La lontra squisitamente elegante si volta verso di me e vola alta nel cielo.
Io la guardo finché non scompare.
Ha gli occhi marroni e screziati d’oro, come Hermione.
Chiudo le palpebre sull’ultima scia di luce argentea e finalmente sorrido.
 
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