Il Calderone di Severus

Talete, Anassimandro, Anassimene, Filosofia Antica - Lezione 1

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view post Posted on 31/12/2012, 23:46

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Talete, Anassimandro, Anassimene




Apoikìa



C’è una terra, navigando verso oriente, adagiata tra mare e cielo. Attorno ad essa, disseminata nell’azzurro Egeo, vi è una miriade di piccole isole. Sparse qua e là, sembrano quasi l’opera di un gigante che si è divertito a lanciare nel mare una manciata di sassi, sparpagliandoli a caso.
Quella terra, un tempo lontano, fu chiamata Ellade.
Ma perché i suoi abitanti decidessero di usare quel nome ci vollero alcuni secoli e molti, molti cambiamenti, avvenuti in modo lento, graduale ed inesorabile.
Il passaggio dall’età del bronzo a quella del ferro, nel XII secolo a.C.
Le migrazioni di alcuni popoli indoeuropei, i Dori, che lentamente si amalgamarono agli abitanti di etnia greca preesistenti nella penisola.
Il declino della scrittura lineare B e l’introduzione dell’alfabeto.
Le crisi dei grandi palazzi e delle monarchie locali, con la conseguente nascita delle pòleis, le città-stato.
Questi cambiamenti vengono convenzionalmente chiamati con “età arcaica”, “età buia” o “medio evo greco”.

Età arcaica.
Età buia.
Medio evo.

A cosa pensate, nel leggere questi termini?
Forse ad un periodo barbaro, rozzo e poco evoluto.

Per l’Ellade tutto questo non vale.
La sapienza greca fu la sola, nel Mediterraneo, che iniziò non in sordina – come normalmente avviene – ma con il suo punto più alto ed irraggiungibile: i poemi di Omero ed Esiodo.

Partiti dal XII secolo, siamo arrivati all’VIII secolo a.C.
È a questo punto che la Grecia diviene Hellas – Ellade – quando la terra da coltivare non bastò più per gli abitanti delle città ed essi furono costretti a guardare altrove, oltre l’azzurro dell’Egeo.

prima_colonizzazione_greca



La popolazione “eccedente” – qualche avventuriero, molti avversari politici ritenuti scomodi, cittadini che non godevano di alcun diritto di voto, mercanti ed agricoltori in difficoltà economiche – venne mandata a fondare nuove città nel Mediterraneo: dall’Asia Minore, alle coste Africane, alle coste del Mar Tirreno.

E fu Apoikìa.

Niente colonie nel senso moderno del termine. Esse presuppongono un qualche legame con la madrepatria.
L’Apoikìa no, non prevedeva nessun legame.
Coloro che se ne andavano a fondare una nuova città erano vincolati da un giuramento sacro: non potevano rimettere piede nella madrepatria per tornarvi ad abitare, avrebbero corso il rischio di essere condannati a morte.
Chi partiva non aveva possibilità di fallimento.
Ma non si pensi che si navigasse alla cieca: le rotte commerciali avevano dato agli Elleni molte conoscenze sulle coste del Mediterraneo.

Apoikìa, dunque.
Significa distacco, allontanamento.
Un taglio netto che recide ogni legame.

Fu in questo clima di Apoikìa che nacque la filosofia greca.
Lontano dalla madrepatria.
E non è un caso.
Nei prossimi post parleremo di clima culturale innovativo, di maggior apertura mentale e dinamismo intellettuale.
Eppure c’è dell’altro.
Perché il pensiero greco imparasse ad aprirsi alla curiosità, alla meraviglia, fu necessario allontanarsi, prendere le distanze.
Un po’ come quando si naviga: solamente lontano dalla riva si può apprezzare la bellezza della costa.

Allontanarsi, dunque, per trovare una propria identità.
Per scoprire di essere individui, con una propria sapienza che non è più quella consegnata dagli dei, ma propria degli uomini.

Tra mare e cielo, nella città di Mileto, sulle coste dell'Asia Minore, il primo a voler essere individuo si chiamò Talete.

(Continua...)




Indice degli argomenti (in fase di definizione):

Apoikìa
Sophìa
Archè
Àpeiron
Pneuma





***

Bibliografia:
L. Braccesi - F. Cordano - M. Lombardo - A. Mele, Manuale di Storia Greca.


Edited by pingui79 - 2/6/2013, 16:33
 
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Sophìa



C’è un tempo ed un luogo per ogni cosa, recita un proverbio d’età millenaria.

Quel tempo fu tra il VII ed il VI secolo a.C., in bilico sulla fune sottile che divide storia e leggenda.

Quel luogo non fu Atene, non Corinto e non Sparta.
Non fu l’Egitto, splendente nella sua cultura secolare all’ombra delle piramidi.
Non fu il Vicino Oriente Antico con i suoi imperi che si specchiavano nelle acque del Tigri e dell’Eufrate.

Accadde nelle Apoikìai dell’Asia Minore e della Magna Grecia.

Non si chiamava nemmeno Filosofia, in principio. Per ottenere questo nome dovette aspettare almeno tre secoli ed un pensatore del calibro di Aristotele che decidesse come chiamare quel nuovo pensiero che aveva dato lustro immortale all’Ellade intera.
All’inizio fu soltanto Sophìa.
Sapienza.

Nelle Apoikìai, reciso il cordone ombelicale con la madrepatria, qualche sophòs – sapiente – decise che era l’ora di tagliare un altro legame: quello con la religione tradizionale e con la poesia epica.
Impresa ardua, ma non impossibile.
Anche alcuni poeti avevano infatti deciso, nello stesso periodo e negli stessi luoghi, di uscire dall’anonimato: erano i lirici, che consegnarono al mondo una poesia frutto di uno stile e di un’esperienza di vita del tutto personale.

L’uomo non si sentì più solamente portavoce del mondo divino. Capì d’essere qualcosa di unico, di essere un individuo che poteva camminare alla ricerca di una verità non più da apprendere perché consegnata direttamente dagli dèi, ma da scoprire con i sensi e l’intelletto.

Via i pilastri antichi, se ne cerchino ora di nuovi!

Chi siamo? Da dove veniamo? Qual è l’origine di tutto?
Religione ed epica avevano fino a quel tempo risposto a queste domande.
La religione con i suoi culti, l’epica con le narrazioni di dèi ed eroi: tutto questo si trovava nei miti, raccontati dai cantori o letti nella loro forma scritta e fatti imparare a memoria ai giovani quale forma di educazione primaria.
Come sono nati gli dèi, come si è formato il mondo e come sono nati gli uomini, perché esistono i mali e cosa ci può essere dopo la morte.
Tutte le risposte, tutte, lì, in quegli scritti ed in quei canti.

Al sophòs questo non bastò più.
Omero ed Esiodo – i pilastri della narrazione epica e mitologica – non erano più sufficienti a placare una nuova sete nata per non spegnersi mai più.

La sete di una sophìa diversa, che aveva radici nell’uomo e nelle sue capacità.

Lontano dalla madrepatria, ma Greco in tutto e per tutto, il sapiente fu forgiato in un clima di vivace apertura culturale ed economica, di intraprendenza personale necessaria per avere quel successo che non si era ottenuto nell’Ellade, di curiosità pura e semplice alimentata dai continui scambi culturali con altre popolazioni vicine.

E allora, perché cercare altrove? Si cechi qualcosa di concreto, di reale, di materiale, qualcosa di cui si possa fare esperienza.
Si cerchi un principio tangibile che governa il mondo e da cui il mondo abbia avuto origine.

Si cerchi, quindi, un’archè.

(Continua...)




***


Bibliografia:
L. Braccesi - F. Cordano - M. Lombardo - A. Mele, Manuale di Storia Greca.
 
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CITAZIONE (pingui79 @ 31/12/2012, 23:46) 

Talete, Anassimandro, Anassimene


Apoikìa


Un inizio veramente affascinante e molto ben scritto. Un aperitivo stuzzicante che fa venire molto appetito...

Edited by chiara53 - 22/6/2015, 17:43
 
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Aridaje con gli aperitivi. :lol:
 
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... Si cerchi un principio tangibile che governa il mondo e da cui il mondo abbia avuto origine.
Si cerchi, quindi, un’archè.





Archè



Lo sciabordio delle onde del mare pescoso che bagna Mileto.
Una soffice nuvola bianca nel cielo, che vaga solitaria fino a quando non incontra le altre sorelle, la loro festa si tramuta in miriadi di gocce che cadono sugli uomini e sulla terra. Un nastro d’argento(*) che corre sinuoso e allieta gli steli dei campi e le radici degli olivi secolari. Il secco schiocco della legna che arde, dalle fiamme s’alzano scintille, volute di fumo e vapore.

49365_goccia_d_acqua



Tutto questo è semplicemente acqua.
In questa semplicità sta il suo fattore vincente.

Secondo Talete ogni cosa che è ha origine da essa.

“Infatti deve esserci qualche realtà naturale (o una sola o più di una) dalla quale derivano tutte le altre cose, mentre essa continua ad esistere immutata. Tuttavia, questi filosofi non sono tutti d’accordo circa il numero e la specie di un tale principio. Talete, iniziatore di questo tipo di filosofia, dice che quel principio è l’acqua […] Ora, ciò da cui tutte le cose si generano è, appunto, il principio di tutto. Egli desunse dunque questa convinzione da questo fatto e dal fatto che i semi di tutte le cose hanno una natura umida e l’acqua è il principio della natura delle cose umide". (Aristotele, Metafisica 983 b)

Nulla di più semplice, nulla di più incredibile di questo elemento che di per sé di caratteristica non ne ha alcuna.
Non ha colore e per questo gioca a specchiarsi in quello degli altri, scegliendo talvolta d’essere limpida e trasparente come cristallo.
Non ha forma. Mare, goccia, fiume, anfora… mani chiuse a coppa sotto l’allegro scroscio di una fonte sacra.
Non ha sapore, tranne quello della vita stessa.
Senz’acqua nulla potrebbe sopravvivere.

Fu mito e fu leggenda, Talete. Fu anche storia, ma talmente lontana nel tempo da avere i contorni sbiaditi, come la prima fotografia realizzata. Forse poco precisa, sicuramente migliorabile, ma intanto ebbe il merito di voltare la pagina del progresso.
Talete astronomo, che avrebbe previsto un’eclissi di sole basandosi sul solo calcolo matematico. Talete geometra, che avrebbe misurato l’esatta altezza delle piramidi semplicemente osservando la lunghezza dell’ombra.

Talete il sophòs.

A dire il vero – e qui probabilmente per qualcuno sfaterò un mito – non inventò nulla di così nuovo ed eccezionale.
I Greci cantavano di Urano e Gea, ma tutto il resto del Mediterraneo aveva l’Oceano profondo come padre e progenitore. Nel Vicino Oriente Antico avevano Yam, il mare infinito portatore dei semi della vita. Gli Israeliti, per la seconda volta deportati a Babilonia in meno di duecento anni, proprio in quel tempo srotolavano pergamene accanto all’Eufrate e narravano in esse di un mare brulicante e guizzante di pesci grandi e piccoli, di molluschi e crostacei – creato da un Artefice il cui nome non era pronunciabile – quale primo asilo che ospitò la vita.

Che l’acqua fosse indispensabile all’esistenza, era per tutti un dato di fatto.

Dov’è la novità, allora? Dov’è la tanto decantata nascita del pensiero occidentale, dove, se tutti in quel periodo affermavano le medesime cose di Talete, forse anche con maggiore poesia?

Non cerchiamola nell’acqua.

Cerchiamola nell’archè.

Archè, parola greca nemmeno troppo difficile da pronunciare.
Significa inizio, principio, azione pregevole, antica.

È il punto da cui ha origine una retta destinata ad accompagnare la storia dell’umanità.

Archè e la pagina del cammino dell’uomo si volta per cominciare con una nuova scrittura, quella della razionalità che spiega o addirittura critica un mito. L’osservazione diretta diventa qualcosa da cui non si può più prescindere: la pretesa di antichità delle narrazioni mitologiche passa ora in secondo piano, non è più così rilevante.

La svolta non fu nel “cosa”, bensì nel “come”.

“L’acqua è principio di tutte le cose.”

Facile, anzi, cristallino.
L’inizio della filosofia è così singolare che lo si può tranquillamente racchiudere un una goccia.

Una goccia d’acqua che evapora al sole, si fa nube e ridiscende sulla terra, diventa ghiaccio al calar della fredda notte invernale e si scioglie al primo tepore.

Il punto di domanda ancora aleggia nella mente del sophòs.

Il vero scoglio da affrontare non è il mondo e la vita che abita in esso.
Il dilemma è un altro e si chiama “divenire”.

(Continua...)




***

Bibliografia:

Aristotele, Metafisica.
G. Reale - D. Antiseri, Storia della Filosofia, I.
N. Abagnano - G. Fornero, La Filosofia, I.
E. Berti - F. Volpi, Storia della Filosofia, I.
C. Sini, I filosofi e le opere. L'età antica ed il medioevo.
G. Pasqualotto: Storia della Filosofia I, appunti del corso monografico e dispense, Università degli Studi di Padova, A.A. 1999-2000.
E. Berti: Storia della Filosofia II, appunti del corso monografico e dispense, Università degli Studi di Padova, A.A. 2000-2001.

(*) Mario Lodi, Cipì.
 
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Bellissimo, Kià!
Ho studiacchiato i vecchi filosofi solo l'anno scorso mentre Rossana li faceva a scuola e ora sono proprio curiosa di seguire le tue lezioni: non sembrano difficili e le immagini e le belle frasi, semplici ma piene di facino, magari possono aiutarmi a ricordare.

Ok, Talete era "quello" dell'acqua. Era lui che diceva che anche il sasso è alla fine sempre fatto di acqua?

Il filosofo del "divenire" mi sta molto simpatico, complice anche De crescenzo con i suoi bei libri che insegnano filosofia. Ed è grazie a lui, e non ai libri di testo di Rossana, se mi ricordo un po' di cose.


Edited by chiara53 - 22/6/2015, 17:43
 
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CITAZIONE (Ida59 @ 15/2/2013, 17:51) 
Bellissimo, Kià!
Ho studiacchiato i vecchi filosofi solo l'anno scorso mentre Rossana li faceva a scuola e ora sono proprio curiosa di seguire le tue lezioni: non sembrano difficili e le immagini e le belle frasi, semplici ma piene di facino, magari possono aiutarmi a ricordare.

Ok, Talete era "quello" dell'acqua. Era lui che diceva che anche il sasso è alla fine sempre fatto di acqua?

Il filosofo del "divenire" mi sta molto simpatico, complice anche De crescenzo con i suoi bei libri che insegnano filosofia. Ed è grazie a lui, e non ai libri di testo di Rossana, se mi ricordo un po' di cose.

Sì, era "quello" dell'acqua, potevo riassumere il post in queste 5 parole, ma a questo punto valeva andare sulla Wiki. :lol:

Era lui che parlava del sasso in questo modo, riferendosi al magnete: esso si muove perchè ha al proprio interno un'anima (l'acqua in questo caso) che lo predispone al movimento. Non si conoscevano certo ancora i fenomeni del magnetismo.

Il divenire è un gran bel grattacapo per i filosofi antichi: non sanno ancora spiegarsi il passaggio da uno stato all'altro delle cose ed è questa ricerca che fa da molla a gran parte della filosofia antica.

De Crescenzo non l'ho mai letto. :unsure:

Edited by chiara53 - 22/6/2015, 17:43
 
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view post Posted on 15/2/2013, 23:44

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Interessantissima lezione Kià! :ola:
Mi fa pensare alle primissime creature marine, composte di poche cellule: un divenire lontanissimo nel tempo che ci ha portato qui, a scambiarci messaggi via internet. Eppure, dopo miliardi di anni, gli esseri umani continuano a svilupparsi fino alla nascita in una bolla di acqua tiepida che li protegge e li nutre nel corpo materno.
Ne aveva tenuto conto Talete? :medita:
 
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CITAZIONE (Sewa @ 15/2/2013, 23:44) 
Interessantissima lezione Kià! :ola:
Mi fa pensare alle primissime creature marine, composte di poche cellule: un divenire lontanissimo nel tempo che ci ha portato qui, a scambiarci messaggi via internet. Eppure, dopo miliardi di anni, gli esseri umani continuano a svilupparsi fino alla nascita in una bolla di acqua tiepida che li protegge e li nutre nel corpo materno.
Ne aveva tenuto conto Talete? :medita:

Non credo che avesse tenuto conto di questo genere di divenire, non ne aveva le conoscenze.

Annamaria, mi piace tantissimo questa tua personale storia del divenire, è bellissima! :)
 
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view post Posted on 16/2/2013, 00:28

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Lui forse no, perché erano "cose di donne" ma le levatrici lo sapevano benissimo! :P

E a me piace seguire le tue lezioni! Ho avuto un corso di studi un po' bizzarro, che mi ha tenuto lontana dalla filosofia ed ho avuto il pallino di rifarmi, ma c'era sempre qualcos'altro da fare: fusse la vorta bbona che ci riesco! :rolleyes:
 
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Affascinante Kià, sei riuscita a semplificare concetti filosofici che ho in genere trovato fossero molto complicati da apprendere e metabolizzare. La filosofia mi ha sempre intrigato ma non ho mai avuto tempo di approfondire nulla (e te pareva, nella mia vita l'"avere tempo" è sempre stato un concetto astratto <_< ) Spero di riuscire a seguire costantemente le tue lezioni! :)
 
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view post Posted on 16/2/2013, 16:47

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CITAZIONE (Ele Snapey @ 16/2/2013, 16:31) 
Affascinante Kià, sei riuscita a semplificare concetti filosofici che ho in genere trovato fossero molto complicati da apprendere e metabolizzare. La filosofia mi ha sempre intrigato ma non ho mai avuto tempo di approfondire nulla (e te pareva, nella mia vita l'"avere tempo" è sempre stato un concetto astratto <_< ) Spero di riuscire a seguire costantemente le tue lezioni! :)

Guarda, le mie lezioni sono tutte qui, non scappano come i prof per i corridoi delle facoltà. :)
Per ora i concetti filosofici sono abbastanza semplici, il problema non è tanto renderli tali, quando farli comprendere alla luce delle poche conoscenze che possedevano gli antichi.
Sono comunque contenta che il tutto ti sia piaciuto.
:wub:
 
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view post Posted on 23/4/2013, 14:45

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Àpeiron



Un piccolo seme, solo e sperduto nel palmo della mano callosa di un contadino. Con speranza viene donato alla fertile terra, bagnato con solerzia e quando diventa germoglio l’attesa non è che agli inizi. Gli anni passano, il vecchio contadino se n’è andato dopo aver chiuso gli occhi alla vita ed il piccolo fusto viene attorniato con giubilo da bambini festosi. Sono i nipoti del vecchio. Essi crescono, diventano grandi proprio come la pianta sempre più rigogliosa. Se saranno fortunati sarà lei ad accogliere con la sua ombra la loro futura canizie.

Tutto questo è divenire.

È lo scorrere inesorabile del tempo che muta ogni cosa: persone, animali e piante. È la bella stagione che cede il passo all’autunno tinto d’arancio e marrone.

Come spiegare tutto ciò?
Dove trovare un principio, un qualcosa che stia alla base di tutto, che valga per tutto, compreso il cosmo che circonda l’uomo? Qualcosa che sia addirittura oltre l’uomo?

Mileto non si accontentò di avere tra i suoi cittadini colui che è ritenuto l’iniziatore della filosofia occidentale. Ne volle un altro ed un altro ancora, di filosofi, per completare un trittico unico nel suo genere.

La tradizione vuole che Anassimandro fosse discepolo di Talete e che come lui fosse astronomo, geografo e cartografo: a lui addirittura si farebbe risalire una delle prime carte geografiche del mondo greco. Anche qui non ci è dato sapere con certezza quanto ciò sia vero, ma del reale mestiere di Anassimandro la filosofia può tranquillamente soprassedere.

Quel che importa è che per Anassimandro il problema dell’origine di ogni cosa e del divenire era un problema basilare necessario da risolvere. E trovò la propria risposta, prendendo al tempo stesso le distanze da colui che era il suo maestro.
Chissà come ebbe l’idea.
Forse nelle chiare notti stellate, quando l’occhio umano non sa tenere il conto degli astri nel cielo e sulle labbra spunta una parola quanto mai audace.
O forse nelle giornate serene, quelle in cui il turchese del cielo è così limpido e terso che lo sguardo vi si immerge, ancora ed ancora. E sulle labbra di nuovo quella incredibile parola che all’improvviso sembra la soluzione di tutto.

Àpeiron.

Infinito.

Per Anassimandro non poteva essere solo l’acqua l’archè che dà origine ad ogni cosa. Troppo semplice, troppo… finita, limitata. Che sia in terra o in cielo essa ha comunque un proprio spazio, è delimitata da confini.

L’àpeiron no, per definizione, in quanto esso significa proprio “non-finito”.

Esso è un infinito che non è materia e per questo motivo può dare origine a tutto ciò che è diverso da esso.
È un infinito che sta in ogni elemento, anche in senso cronologico: dall’infinito si parte e all’infinito si ritorna – eterno cerchio che dentro di sé tutto racchiude – la vita del cosmo è solamente uno stadio intermedio.
È un infinto che è al tempo stesso indefinito, non osservabile, né misurabile.

“Da dove gli esseri hanno origine, lì hanno anche la loro distruzione, secondo necessità: poichè essi pagano l'uno all'altro la pena e l'espiazione dell'ingiustizia secondo l'ordine del tempo.”
Simplicio (Phys. 24,13; A 9)



Suona strana, questa frase, soprattutto se letta in lingua originale. Questa di Simplicio è solo una testimonianza dello scritto di Anassimandro intitolato “Sulla natura”. Del celebre filosofo non abbiamo altro se non frammenti sparsi, microscopiche tessere di un mosaico enorme una cui buona parte è andata perduta. Dobbiamo fidarci di coloro che citano questi passi andati perduti, viva la memoria degli antichi.
Dicevo, suona strana, questa frase.
Più che filosofia essa è prosa frutto di una conoscenza che alla maggioranza delle persone è preclusa, poiché solo ai filosofi, solo a coloro che si meravigliano costantemente del mondo, è concesso anche avere le chiavi per poterlo leggere. Da qui le frasi volutamente oscure per essere incomprensibili ai più.
Eh sì, la filosofia dei primi passi era elitaria, molto distante – a mio avviso – dalla sua reale missione che è quella di donare la meraviglia del mondo e delle cose ad ogni essere senziente.

Sembra che quella di Anassimandro fosse ancora un misto tra sapienza e culto misterico, nei quali Necessità e Tempo sono alla stregua di elementi divini turbati dalla separazione degli elementi, ovvero dalla nascita stessa.
Poiché il divino di sottofondo è infinito ed indefinito, la scissione in elementi finiti e definiti è una violazione dell’ordine, che va punita con la loro distruzione e riaggregazione nel divino, fino alla nuova ciclicità che fa ricominciare tutto.

Ma cos’è di preciso, quindi, questo àpeiron?
Di fatto nessuno lo sa con estrema precisione. Si ritiene che Anassimandro pensasse alla formazione del cosmo tramite una certa separazione di elementi che in un primo tempo erano riuniti tutti assieme, una versione filosofica del Chaos, guarda caso. Prima di tutti si separarono caldo e freddo, poi via via tutti gli altri, per formare il nostro mondo ed infiniti altri mondi tramite combinazioni che sono altrettanto infinite. Quel che è certo è che egli ritenesse basilare un principio invisibile per porlo alla base di tutto ciò che è visibile e materiale: la cosiddetta “realtà soprasensibile”, ovvero “al di là dei sensi”.

E da dove arriva l’ingiustizia?
Come già detto, dalla separazione stessa degli elementi primari, che per Anassimandro è quasi la rottura di un’armonia universale. L’unico modo per ristabilire l’ordine è la distruzione degli elementi ed il ritorno nuovamente ad un unicum indefinito.
Ovvero tornare al punto di partenza.
E la fine altri non è che un nuovo inizio.

Questo è àpeiron, un infinito dalle infinite possibilità.

Quanto assurde sembrano queste idee, se messe a confronto con le nostre conoscenze?
Quanto assurda l’ipotesi di una infinita combinazione di mondi, di un principio cosmico non misurabile col metro delle conoscenze comuni, della separazione e aggregazione di elementi perché l’esistenza abbia origine, svolgimento e termine? Quanto assurda l’idea di un tempo in cui tutto era aggregato e da cui tutto ha avuto inizio?
Quanto?

A voi la risposta.


Continua...




***

Bibliografia:
G. Reale - D. Antiseri, Storia della Filosofia, I.
N. Abagnano - G. Fornero, La Filosofia, I.
E. Berti - F. Volpi, Storia della Filosofia, I.
C. Sini, I filosofi e le opere. L'età antica ed il medioevo.
G. Pasqualotto: Storia della Filosofia I, appunti del corso monografico e dispense, Università degli Studi di Padova, A.A. 1999-2000.
E. Berti: Storia della Filosofia II, appunti del corso monografico e dispense, Università degli Studi di Padova, A.A. 2000-2001.
 
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Apeiron = infinito
CITAZIONE
Si ritiene che Anassimandro pensasse alla formazione del cosmo tramite una certa separazione di elementi che in un primo tempo erano riuniti tutti assieme, una versione filosofica del Chaos, guarda caso. Prima di tutti si separarono caldo e freddo, poi via via tutti gli altri, per formare il nostro mondo ed infiniti altri mondi tramite combinazioni che sono altrettanto infinite. Quel che è certo è che egli ritenesse basilare un principio invisibile per porlo alla base di tutto ciò che è visibile e materiale: la cosiddetta “realtà soprasensibile”, ovvero “al di là dei sensi”.

Ho spesso pensato che la teoria del Big Bang provenga direttamente dal pensiero di Anassimandro.Lla materia che si contrae ed esplode per poi ricominciare il ciclo.
Il concetto di ingiustizia mi piacerebbe che lo chiarissi meglio.
CITAZIONE
la distruzione degli elementi ed il ritorno nuovamente ad un unicum indefinito.

è questo che si intende con ingiustizia, oppure tornare al punto di partenza?
Nella fine è il mio inizio?
Bella lezione su cui riflettere e tanto. ;)
 
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CITAZIONE (chiara53 @ 23/4/2013, 18:19) 
Il concetto di ingiustizia mi piacerebbe che lo chiarissi meglio.

Veramente è tutto qui: :unsure:
CITAZIONE
E da dove arriva l’ingiustizia?
Come già detto, dalla separazione stessa degli elementi primari, che per Anassimandro è quasi la rottura di un’armonia universale.

Di fatto non ci è concesso di sapere molto altro, in quanto sono davvero pochi i frammenti a nostra disposizione.

L'ingiustizia si paga tornando all'origine tramite la distruzione degli elementi. Se per formare il mondo caldo e freddo si separano, dando poi inizio a secco/umido, acqua/fuoco, terra/aria e quindi disgregano l'armonia iniziale, per tornare a quest'ultima il mondo a noi noto deve distruggersi tramite la riaggregazione degli elementi. E' come un ciclo infinito.

Spero di essermi spiegata un po' meglio, perché davvero il concetto è più semplice da comprendere che da mettere in parole. ;)
 
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