Il Calderone di Severus


Sei personaggi in cerca d'autore - 6° Turno
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Storia n.3 - Cruciatus5 [41.67%]
Storia n.4 - Hero4 [33.33%]
Storia n.1 - Grifondoro2 [16.67%]
Storia n.2 - Lama di verità1 [8.33%]
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Sei personaggi in cerca d'autore - 6° Turno

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view post Posted on 6/7/2012, 22:22
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I ♥ Severus


Potion Master

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Da un dolce sogno d'amore!

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Ricordatevi che Magie Sinister Storie attende le vostre fic di questo turno (e magari anche quelle arretrate dei turni precedenti).



Edited by Ida59 - 22/6/2015, 23:58
 
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view post Posted on 25/1/2017, 16:48
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Pozionista sofisticato

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- Grifondoro di Ele Snapey





- Stai molto attento, Paciock! Se la pozione non diventerà arancione entro due secondi, trasformerò te e il tuo rospo in enormi scarafaggi puzzolenti della Birmania!
- No, no, no, la prego professor Piton, la prego non lo faccia… pietà…
L’insegnante gli mosse incontro inesorabile, minaccioso, assumendo gradualmente le sembianze smisurate e orripilanti di un gigantesco pipistrello-vampiro dai canini acuminati.
E quando la sua ombra immensa scivolò totalmente su di lui, oscurando anche il più piccolo spiraglio di luce, lo udì pronunciare con voce sepolcrale.
- Signor Paciock, conterò fino a tre, poi…
Neville si svegliò in un bagno di sudore, frugando la penombra con sguardo spaventato, e cuore che batteva impazzito. Dopo qualche secondo si rese conto di essere al sicuro, nel proprio letto; distinse perfino il baule con i calzini e la divisa riversi sul coperchio bombato, dopo che, la sera prima, ve li aveva fatti planare sopra da notevole distanza. Alla sua destra percepì il confortante russare di Ron, e si rilassò definitivamente.
Ecco, gli era capitato di nuovo. Quell’incubo ormai ricorreva spesso, soprattutto quando si trovava in condizioni di stress.
Forse avrebbe dovuto rivolgersi a Madama Chips e farsi dare qualcosa per tranquillizzarsi, anche se era sicuro che gli avrebbe risposto, sbrigativamente, di come “ i bambini non hanno bisogno di prendere porcherie di alcun genere!”
Invece, secondo la sua teoria, non gli avrebbe fatto poi così male, ogni tanto, qualcosa di forte da buttar giù, anzi: l’avrebbe aiutato a crescere un po’ più sicuro e un po’ meno ansioso.
Se solo fosse stato naturalmente predisposto allo studio delle Pozioni; ora non si sarebbe trovato a fissare il baldacchino sopra la propria testa, con il pensiero angosciato rivolto alle lezioni di quel pomeriggio.
Gli accadeva ormai dal primo anno, quasi regolarmente, ad ogni vigilia con il professor Piton: precipitava in uno stato di ansia fin dal giorno precedente, e sogni orribili venivano a tormentarlo la notte stessa.
Fortunatamente, a precedere l’incubo, ci sarebbero state le due ore di Difesa Contro le Arti Oscure tenute dal nuovo insegnante, che sembrava essere molto disponibile e simpatico.
Con quella consolante prospettiva in testa, si rigirò su un fianco e riprese sonno.

****



Il professor Lupin gli aveva fatto cenno di provare. Sì, era proprio a lui che si era rivolto, sorridendo, perchè proseguisse nell’esercizio pratico.
Inizialmente si era schermito, avvampando, certissimo di non essere pronto ad affrontare qualunque cosa fosse uscita da quell’armadio.
Ma l’insegnante lo aveva incoraggiato amabilmente e, perdinci, ce l’aveva fatta, eccome se ce l’aveva fatta!
Neville sorrise, trasognato, mentre percorreva il tratto che separava l’aula di DADA dai Sotterranei: era riuscito a trasformare il proprio Molliccio, anche lui come gli altri, e in quel momento si sentiva terribilmente fiero dell’impresa.
Giunse, quasi inconsciamente, all’imbocco delle scale che correvano giù, verso le viscere del castello.
Fu quando iniziò a scenderle che tornò in sé: l’aula di Pozioni lo stava aspettando in fondo alle segrete, assetata del suo sangue, e dentro avrebbe senz’altro già trovato ad attenderlo anche il suo spietato ministro di culto pozionistico, perché si rese conto di essere in ritardo, dopo che si era attardato a recuperare, nel proprio baule, l’ampollina millimetrata dimenticata.
Trascinandosi penosamente appresso la pesantissima sacca con i libri e le provette, allungò il passo, rischiando di inciampare in uno dei lacci che gli si era arrotolato attorno alla caviglia destra.
Giunse con il fiatone, riuscendo a sgusciare in classe per miracolo, un attimo prima che l’uscio si richiudesse.
I compagni, posizionati ai rispettivi calderoni, si voltarono a guardarlo in silenzio.
Neville fece correre lo sguardo ansioso fino in cima all’aula, e inquadrò la familiare figura, tenebrosa e inquietante, già piazzata accanto alla lavagna.
- Ah… ben arrivato, signor Paciock.
Bastarono quelle poche, semplici paroline pronunciate senza alcuna inflessione, per farlo sentire un topo in trappola.
- Buongiorno… Signore…. Scusi il… ritardo… Signore… - farfugliò con vocina flebile.
Piton scese il gradino della pedana e, esattamente come nell’incubo, avanzò imperturbabile, nel silenzio d’oltretomba.
Neville sentì il volto andare a fuoco: l’unica differenza, rispetto al sogno, era che l’insegnante non stava subendo alcuna trasformazione. Il clima di terrore però era lo stesso, con l’aggravante di come tutto ciò non fosse frutto della fantasia.
Considerò, disperato, che stavolta non gli sarebbe bastato un Riddikulus per salvare la cotenna.
- Sapete perfettamente, tutti, come la puntualità sia una delle regole su cui non transigo… – sentenziò, con calma raggelante, rivolto in generale alla scolaresca, ma dedicando solo a lui la terribile occhiata che avrebbe steso un drago.
– Fila. Al. Tuo. Posto!
Neville obbedì immediatamente: il “non dover ripetere due volte lo stesso concetto”, era un’altra delle regole su cui il Maestro di Pozioni non transigeva. Schizzò alla velocità del suono al proprio banco, vicino a quello di Hermione Granger: un’ottima scelta strategica.
Piton iniziò a spiegare, senza curarsi se Paciock fosse pronto o meno a seguire, proprio nel momento in cui questi sparpagliava sul tavolo il contenuto della sacca, alla ricerca del materiale che gli sarebbe servito.
Neville interruppe l’attività quando avvertì su di sé lo sguardo letale.
- Hai finito di disturbare la lezione, Paciock? – domandò l’insegnante, in un tono soave alquanto preoccupante.
- Sissignore… certo Signore… mi scusi Signore… - balbettò l’altro, senza osare alzare gli occhi dalla roba sparsa sul banco.
- Vorrà dire che ogni minuto che ci farai perdere, si tradurrà in ore di punizione che trascorrerai a pulire, con lo spazzolino da denti, l’intera quantità di barili di lumache e rospi cornuti conservati nel deposito del Sotterraneo!
Partirono sghignazzi, neanche troppo contenuti, da parte di Serpeverde, e Neville ebbe voglia di sprofondare ancora più giù, fino alle fondamenta.
Finalmente l’esercitazione, come gli dèi vollero, prese il via: anche Neville, in ritardo, riuscì in qualche modo a iniziare la preparazione della pozione.
Come di consueto, la tensione gli mandò ben presto in corto circuito i centri nervosi: ogni volta che Piton gli passava accanto, lanciando occhiate criptiche al contenuto del calderone, partivano palpitazioni e sudori freddi.
Tuttavia cercò di concentrarsi sul proprio lavoro di sminuzzamento e rimestamento, già rassegnato al fatto che, prima o poi, avrebbe commesso l’errore fatale che avrebbe mandato in malora l’intero preparato.
Ogni tanto lanciava un’occhiata ansiosa verso l’insegnante, pensando a come avrebbe pagato qualsiasi cosa per avere la sua stessa, straordinaria competenza in Pozioni ed Arti magiche.
Se così fosse stato, non si sarebbe trovato di continuo in situazioni estremamente imbarazzanti, o umilianti!
Il professor Piton lo terrorizzava oltre modo ma, allo stesso tempo, esercitava su di lui un fascino ambiguo e inspiegabile; era sì spaventato, ma anche incantato dalla forza soggiogante che avvertiva provenire dalla sua persona.
Perciò cullava da sempre un piccolo, grande sogno, che non aveva mai avuto il coraggio di confessare nemmeno a se stesso: quello di poter godere della sua ambita fiducia.
Non aveva fatto in tempo a conoscere suo padre: era cresciuto con Nonna che, certo, cercava di spronarlo e non gli aveva mai fatto mancare affetto e attenzioni ma… chissà come sarebbe stato avere accanto una figura maschile, forte e vigorosa, a guidarlo e sostenerlo.
La mente prese il largo su improbabili scenari nei quali il professor Piton lo chiamava a sé accanto alla cattedra, lodandolo pubblicamente di fronte alla classe per aver realizzato un perfetto Distillato di Morte Vivente, senza alcun aiuto; ma, mentre la fantasia lavorava alacremente, le mani si dissociarono dall’attività cerebrale.
Si accorse del denso fumo nero e del sibilo sinistro, solo quando vide la sagoma dell’insegnante, altrettanto nera a minacciosa, che si precipitava verso di lui.
Con un rapido tocco di bacchetta Piton evitò per un soffio l’ennesimo disastro.
- Potrei sapere che cosa stesse passando per quella tua zuccaccia vuota, quando hai aggiunto l’estratto di Dionaea Muscipola prima di lasciar raffreddare il composto? – sibilò, con le pupille che sfavillavano di un bagliore allarmante.
Il ragazzo deglutì, e rimase in silenzio, dondolandosi da un piede all’altro: stavolta lo avrebbe infilato a testa in giù direttamente nel pentolone, ma lui non avrebbe rivelato ciò a cui stava pensando, mai, nemmeno se gli avesse fatta bere l’intera pozione!
Chinò il capo, raccogliendo le proprie cose, mentre Piton si allontanava, disgustato, per continuare a seguire gli altri preparati; Hermione gli rivolse qualche parola di conforto, e Neville le indirizzò un timido sorriso, pensando tristemente a come la realtà fosse mille miglia lontana da quanto a volte gli passava per la “zuccaccia vuota”.
La sua lezione era finita, anche quella volta con la solita T di Troll.

****



Odiava la fine del primo quadrimestre: era il momento in cui gli toccava sedersi a tavolino per compilare le schede di valutazione di metà anno, e il dover redigere pareri su studenti che, nella maggior parte dei casi, considerava teste imbottite di segatura, lo annoiava profondamente.
Per fortuna, sussisteva anche il sottile piacere di esprimere giudizi caustici e demolenti verso soggetti particolarmente negati in Pozioni.
Il professor Piton era seduto al lungo tavolo di mogano della Sala Insegnanti deserta: l’unica altra presenza silenziosa, e altrettanto concentrata sul proprio lavoro, era quella della professoressa Sprite.
Afferrò uno dei registri, impilati ordinatamente alla propria destra. Terzo anno Grifondoro.
Socchiuse gli occhi e un impercettibile sorrisetto maligno affiorò sulle labbra: ecco, quello era giusto un caso in cui avrebbe potuto tranquillamente assegnare un solo giudizio positivo su tutta la classe, e cioè alla petulante Hermione Granger (seppur a malincuore).
Per il resto c’era poco da riflettere su che voti dare, in un ambiente dove proliferavano elementi come Potter, Weasley, Finnigan, e Thomas ma, soprattutto, Paciock. Uno S.P.N.i.P, appunto: Soggetto Particolarmente Negato in Pozioni, ma anche in “Come Si Affronta la Vita”.
Il ragazzo era un perdente e la nuova, catastrofica valutazione che si stava apprestando a stilare, non sarebbe stata diversa da quelle che la avevano preceduta.
Fissò pensieroso il nome scritto sul registro: come non sopportava la sua aria da bamboccio terrorizzato! E non solo perché era negato nei confronti di una materia che lui amava e considerava un’eccellenza ma, anche e soprattutto, perché non riusciva a perdonargli l’atteggiamento di supina arrendevolezza di fronte alle difficoltà.
In tre anni non aveva fatto il minimo progresso, nonostante egli avesse cercato di motivarlo con una certa energia (a volte forse un po’ troppa, in effetti).
Paciock aveva sempre rinunciato a reagire, scegliendo di chiudersi in un mondo tutto suo dove non fossero previste regole precise, autodisciplina, fortezza di spirito; e più lo vedeva debole, indifeso e rassegnato, più sentiva crescere dentro la spinta ad infierire su di lui.
A stento, si era spesso trattenuto dalla tentazione di scrollarlo fisicamente: per uno che la vita aveva tentato di piegare milioni di volte, quell’aria sottomessa da perenne sconfitto era intollerabile.
Impugnò la piuma d’oca, nello stesso istante in cui la Sprite si alzava dall’altro capo del tavolo per dirigersi verso l’armadio dei registri. Passandogli accanto, la donna gettò un’occhiata a quello che stava vergando con precisione sulla Pergamena dei Giudizi.
Istintivamente fece scattare il braccio, con quel gesto un po’ infantile di quando, a scuola, non voleva che i compagni copiassero.
- Sii un po’ più indulgente con lui, Severus. – si arrischiò, timidamente, l’insegnante di Erbologia.
Le scoccò un’occhiata che avrebbe surgelato un iceberg: come osava, quel donnino grottesco, impicciarsi delle sue valutazioni scolastiche?
- Neville è uno studente volenteroso… - continuò, più incerta. – E sensibilissimo. Da me ad esempio è il primo della classe, ha amore e cura particolari per erbe, piante e…
- Non mi interessa affatto di quanto sia bravo a crescere vegetali, Pomona. – la interruppe, glaciale.
- Beh… ehm… comprendo benissimo come qualche difficoltà in Pozioni sia…
- Paciock non ha qualche difficoltà in Pozioni, cara collega: Paciock è il fallimento totale di ciò che qui dentro ci si ostina a voler considerare un mago! – replicò, tagliente.
La Sprite arrossì, mortificata, astenendosi dal replicare, poi fece l’atto di avviarsi verso l’armadio; dopo qualche secondo di tentennamento ci ripensò, e tornò alla carica.
- Io credo che quel ragazzo abbia bisogno anche e soprattutto della tua comprensione… - sostenne, temeraria. – Sai benissimo in quale realtà non facile sia cresciuto: per quanto Augusta abbia sempre cercato di fare del suo meglio, a Neville è mancata una figura maschile di riferimento, e questo ha certamente contribuito a indebolirne il carattere.
Piton la fissò imperturbabile, con occhi privi di espressione.
- Anche per me la realtà non è stata facile. - concluse, asciutto e, considerando chiuso l’argomento, si concentrò di nuovo sul proprio lavoro.

****



Stava fissando il Pensatoio da alcuni minuti; immobile, immerso in profonde riflessioni, avvertiva appena, alle proprie spalle, la quieta presenza del ritratto di Albus.
I giorni correvano verso l’epilogo, come in un inesorabile countdown… ma quante cose doveva ancora sistemare, prima che arrivasse la fine!
La preoccupazione ricorrente era, ormai, di non avere più a disposizione tempo sufficiente, e il suo unico assillo di non riuscire a portare a termine per intero il compito affidatogli: per lui, condannato ad un unico destino, non era rilevante il pensiero di ciò a cui stava andando incontro, ma la paura di lasciare qualcosa di incompiuto che si sarebbe rivelato di vitale importanza.
Lo riscossero il suono di passi concitati, accompagnati da un molesto vociare, appena fuori dalla porta dello studio.
Severus tornò a sedersi alla scrivania, appena prima che un paio di colpi urgenti fossero battuti all’uscio.
- Avanti.
Il battente si spalancò e apparve la figura tozza e volgare di Alecto Carrow, seguita dal fratello, intento a strattonare all’interno della stanza un Neville Paciock piuttosto malconcio.
Gli si bloccò il respiro per un istante, mentre osservava il volto tumefatto del ragazzo tenuto saldamente per la collottola da Amycus.
- Che cosa succede? – mormorò, controllato, puntando lo sguardo gelido sulla donna.
- Succede che questo piccolo, impudente sovversivo continua a dare problemi, preside Piton!
- Stavolta si è permesso di mancarle di rispetto in classe…- intervenne Amycus, con un cenno rivolto alla sorella. – Abbiamo già provveduto a dargli una piccola dimostrazione di come non si deve più azzardare... – ringhiò, indicando il taglio sotto l’occhio pesto di Neville.
- Ma forse è un po’ tardo di comprendonio, e ha bisogno di una lezioncina più specifica.
La Carrow si voltò a guardare lo studente, con un ghigno soddisfatto sul muso schiacciato.
– Vedrai, come adesso a te ci penserà il Preside, caro il mio “capetto della cospirazione”! – gongolò,
pregustando la tremenda punizione che si sarebbe abbattuta sulla vittima.
Severus si alzò con calma, senza aprire bocca, muovendo in direzione del terzetto con passo indolente.
Neville, che fino a quel momento aveva tenuto gli occhi bassi, li piantò fieramente in quello sguardo cupo e terribile che mai, prima d’ora, era riuscito a sostenere senza morire di paura.
Le palpitazioni accelerarono, mentre lo guardava avvicinarsi, austero e imponente, proprio come durante le lezioni di Pozioni dei primi anni, ed ebbe la certezza che lo avrebbe fatto a pezzi.
Stavolta però era deciso a vendere cara la pelle: nelle sue vene scorreva sangue Paciock, che diamine, ed era, in primo luogo, un Grifondoro! Era ciò che gli avrebbe dimostrato, a costo di impazzire sotto Cruciatus, come era successo ai suoi genitori.
Piton si fermò, impassibile: Neville era alto ormai quasi quanto lui, e non ebbe bisogno di abbassare troppo lo sguardo per fissarlo negli occhi che lo stavano sfidando; dovette, piuttosto, fare forza su se stesso, per non mostrare aperta approvazione di fronte a tanto ardimento.
Mai e poi mai avrebbe immaginato di provare un impulso del genere, davanti a colui che aveva da sempre considerato un inetto, il peggior studente di Hogwarts.
Ma ora era diverso: al suo cospetto c’era un piccolo, grande campione di coraggio che gli stava fieramente tenendo testa per difendere i propri ideali.
- Lasciatelo a me… - ordinò, freddamente.
Bastò un gesto secco e autoritario per congedare i Carrow; quindi rimasero soli, l’uno di fronte all’altro, avvolti dal silenzio rotto solo dal lieve respiro dei ritratti dei presidi.
All’improvviso, Piton alzò bruscamente il braccio e Paciock, di istinto, si ritrasse. Ma il temuto colpo non arrivò.
L’uomo lambì con la punta delle dita la ferita sullo zigomo, pronunciando qualcosa a fior di labbra: Neville, all’istante, non avvertì più bruciore. Poi, la stessa mano che gli aveva recato sollievo, afferrò delicatamente la sua nuca.
Il ragazzo sentì una stretta solida, ma allo stesso tempo morbida e calda; una sorta di ruvida carezza, decisa e priva di fronzoli, ma forte e protettiva come quella di un padre. Al colmo dell’incredulità, gli sembrò addirittura di veder baluginare negli occhi, solitamente neri e vuoti, qualcosa che avrebbe potuto sembrare un moto d’affetto.
Ma fu questione di un attimo; Piton gli voltò di scatto le spalle, e tornò a sedersi alla scrivania.
- Bene, ricapitolando, sei stato portato qui in qualità di pericoloso sovversivo…
Nella sua voce, calma e profonda, distinse una lieve nota di sarcasmo.
– A partire da ora, dunque, sei condannato a spolverare, catalogare e, qualora ve ne fosse bisogno, riparare, quella intera parete di libri!
Il preside indicò, con gesto elegante e un po’ teatrale, le scaffalature ricolme di volumi che attendevano da decenni di essere risistemate. Neville lo fissò, imbambolato: quindi niente Cruciatus, devastanti punizioni corporali o raffinate torture psicologiche?!
Piton, intanto, stava dedicando di nuovo l’attenzione ai documenti impilati sulla scrivania.
- Mi sembra di aver detto, a partire da ora! - ribadì, scandendo bene le parole, senza alzare gli occhi dalle pergamene.
- Sì, Signore… subito, Signore! - scattò Paciock, non senza prima aver lanciato un’occhiata al ritratto di Silente che ora non sonnecchiava più, ma lo stava osservando divertito.
Fu giusto allora, che iniziò a comprendere molte cose. Indugiò ancora a considerare l’uomo che, assorto nella lettura dei documenti, sembrava quasi essersi dimenticato della sua presenza ed ebbe una gran voglia di avvicinarsi per ringraziarlo, di tutto, e perfino abbracciarlo; ma sapeva che non avrebbe affatto gradito, perciò, con il cuore colmo di riconoscenza, si limitò a sorridere, raggiante, iniziando a tirare giù i libri dagli scaffali. Mai punizione gli era parsa così leggera.
 
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view post Posted on 25/1/2017, 16:57
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Lama di verità di Ale85LeoSign



Le frasi pronunciate da Severus durante la lezione di Pozioni, sono prese tali e quali dal capitolo 7 di “Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban.”


“La scelta di un giovane dipende dalla sua inclinazione,
ma anche dalla fortuna di incontrare un grande maestro.”

Rita Levi-Montalcini




Neville Paciock sedeva nella Sala Grande, in disparte, dopo che tutti avevano finito di congratularsi con lui, facendogli un sacco di domande e di complimenti.
La tensione di quell’ultimo periodo e il profondo orrore della morte e della guerra avevano inciso sul suo aspetto. Aveva l’aria stanca, il volto segnato dalla battaglia, i vestiti lisi e strappati in alcuni punti, lividi e ferite sparse; ma, nonostante quell’aspetto malconcio e trasandato, le spalle erano dritte, le mani posate con fierezza sull’impugnatura tempestata di rubini della spada di Godric Grifondoro e nei suoi occhi brillava ancora un fiero orgoglio, un trionfo silenzioso che emergeva da un mezzo sorriso tirato, ma sereno.
La sfavillante impugnatura luccicava ancora nella sua mano e sulla lama argentata vi erano ancora i segni residui del sangue del nemico di sempre: riusciva a vederlo come se quel sangue fosse ancora fresco, come se quei rubini vitali stessero ancora alimentando e arricchendo il valore di quella vittoria sofferta.
Aveva sconfitto le sue paure, aveva affrontato i propri nemici e contribuito a spezzare la vita del Serpente, rendendolo finalmente mortale.
Eppure, Neville, guardando in silenzio la propria immagine nel riflesso della lama della spada, capiva che c’era qualcosa in più da comprendere, per cui erano valsi i suoi sacrifici, la sofferenza e quegli anni magici e misteriosi trascorsi ad Hogwarts.
Qualcosa che riemergeva dal suo passato e lo rigettava nell’immagine di un ragazzino pauroso ed insicuro che si trovava dinnanzi a un’oscurità minacciosa, grande, incombente, che non era in grado di affrontare.
Eppure, dopo aver ucciso Nagini, rimirando le gemme scarlatte del suo sangue maledetto impregnare la lama della spada, sentiva che avrebbe potuto fare qualunque cosa per le persone che amava.
Nel riflesso argentato di quella lama non c’era più un ragazzino spaventato, ma l’ombra di un uomo.
Ma com’era stato possibile questo cambiamento?
Come aveva fatto a trovare e stringere nelle mani il proprio, tagliente, coraggio, annientando per sempre quella parte di lui che avrebbe voluto nascondersi dietro allo scudo invalicabile delle proprie paure?
Paura… aveva combattuto contro quel sentimento, persino materializzandolo in un molliccio…
Esattamente com’era uscito da quell’armadio durante la lezione del professor Lupin, dall’oscurità dei pensieri di Neville emerse piano Severus Piton, colui che, un tempo, aveva rappresentato la personificazione delle sue paure.
Quell’uomo… un insegnante che aveva sempre temuto che, però, non aveva mai smesso di pungolarlo, di scuoterlo, impedendogli di cedere alla tensione e di abbassare la guardia.
Strinse maggiormente l’impugnatura della spada, mentre l’ombra di un’idea bizzarra si faceva strada nella sua mente.
Vide la propria perplessità nel riflesso della lama e, senza neanche accorgersene, i suoi pensieri si fusero con quel bagliore e tornarono ad altre due lame di tenebra che lo fissavano duramente e pretendevano cose che Neville stesso non credeva che sarebbe mai stato in grado di poter realizzare.

***



Il profumo della speranza si era mutato nuovamente nel sentore di aver bruciato l’ennesima buona occasione per spronare quel ragazzino imbranato. E il calderone di Neville odorava proprio di bruciato.
Il terrore si era impadronito di lui dall’inizio della lezione, prendendo il sopravvento su tutto il resto.
Severus sapeva che, in sua presenza, in presenza di ciò che gli faceva più paura al mondo, l’eclissi di razionalità di Neville comportava l'esposizione indifesa a emozioni profonde, a paure che provenivano da un passato che si proiettava nel suo presente, stritolandolo come un serpente: emergevano prepotenti e Paciock non riusciva a combatterle. Sembrava non provarci nemmeno.
Severus fissava il giovane Grifondoro e comprendeva ancora una volta di star gettando il suo tempo in quello stesso calderone fumante dove ribolliva ciò che sarebbe dovuta essere una pozione Restringente verde acido, e che, invece, si presentava ai suoi occhi nelle inverosimili sembianze di un liquame color arancio.
Aveva spiegato con cura, elencato la procedura di preparazione minuziosamente, ma con Paciock era sempre così: riusciva comunque a sbagliare, a mettere penosamente in ridicolo se stesso e lo stesso insegnante che cercava in tutti modi di inculcargli qualche nozione.
Commetteva sempre gli stessi errori. Si distraeva, non credeva in se stesso, si faceva prendere dalle emozioni; ne era totalmente preda invece di esserne predatore, di averne il controllo e, di conseguenza, di avere la padronanza di quelle piccole mani tremanti e di quell’espressione perennemente impaurita ed incerta.
E quando la Granger aveva accennato a volerlo aiutare, Severus, in un primo momento, si era sentito afferrare dalla mano gelida di un antico rimorso.
Nessuno aveva mai prestato aiuto a “Mocciosus”: si era sempre arrangiato da solo, senza dipendere da alcuno.
A quel pensiero, senza che nessuno potesse scorgerlo mentre avanzava tra i banchi carichi di ingredienti, la mano pallida del professore si era chiusa a pugno, come se il suo stesso cuore avesse dovuto fare altrettanto, per ingabbiare i propri sentimenti, quei ricordi tormentosi…
Lily…
L’unica persona che aveva cercato di aiutarlo.
Quando Potter e i suoi compagni di malefatte lo avevano messo alle strette, disarmandolo della propria bacchetta e del proprio orgoglio, l’amica di un tempo, e il sogno di una vita, si era ritrovata ferita e respinta… portando a conseguenze inevitabili.
Lily aveva poi decretato la fine della loro amicizia, anche se quell’insulto che le aveva gridato era solo stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
Con la Granger, in quel presente, Severus si era controllato alla perfezione, imponendole con fermezza di non aiutare Paciock. Erano ragazzini, ne era consapevole, la loro visione del mondo e della vita stessa era limitata e nella loro semplicità che male poteva mai esserci a prestare aiuto ad un ragazzino in difficoltà?
Ma non c’era tempo per la pietà in quegli anni oscuri. Come potevano non capirlo? Come poteva lo stesso Paciock, convivendo con lo spettro dell’orribile fine che avevano fatto i suoi genitori, non alzare lo sguardo, indurire il proprio cuore ed imparare a combattere per se stesso e per ciò che amava?
E proprio su questo punto aveva pensato di insistere.
“Paciock,” gli aveva detto laconico, gli occhi scintillanti che ancora una volta pretendevano tanto da quel ragazzino impaurito “alla fine della lezione daremo un po' della pozione al tuo rospo e staremo a vedere che cosa succede. Forse così imparerai a fare le cose per bene».
Era facile leggere tra le righe di quel piccolo imbranato e il mago non aveva avuto alcuna difficoltà a comprendere quanto fosse affezionato a quell’ anfibio rugoso e viscido, probabilmente ciò che per lui rappresentava la sua unica, vera amicizia.

Forse, così, al pensiero di dover affidare la vita di ciò che ti è più caro nelle mani di chi reputi essere il tuo peggior nemico, capirai la necessità di infrangere le barriere dei tuoi sentimenti per imparare finalmente a non lasciare che essi guidino le tue azioni fino a sopraffare la tua mente.
Non aprire gli occhi quando è troppo tardi.
Non aspettare che i tuoi affetti periscano per causa tua.
Non comprare il tuo coraggio e la tua consapevolezza con il loro sangue.
Non commettere i miei stessi errori.


La pozione Restringente di uno dei calderoni stava riuscendo, e, passandovi accanto, per un attimo Severus intravide un bagliore verde, quel maledetto colore che, ogni tanto, come un fulmine a ciel sereno, gli riportava in mente quello sguardo amato, quella lama sottile che andava a trafiggerlo costantemente… come se non fosse già abbastanza doloroso dover incrociare gli occhi di suo figlio!

Ecco la ricompensa per tutti gli inganni, le menzogne, per la mia brama di conoscenza.
Ma sopporterò fino alla fine la responsabilità per il male che ti è stato fatto, Lily.
Tutte le notti della mia vita, fino alla fine dei miei giorni.
Sempre.


Attese pazientemente che tutti gli studenti finissero di preparare la pozione Restringente… e che Paciock tentasse di rimediare a quel guaio.
Poi, al momento di provare proprio la sua pozione sul Famiglio, Severus, mentre rimestava nel calderone di Paciock, aveva già percepito l’odore della menzogna e del proprio fallimento, prima ancora di sperimentarne qualche goccia sul piccolo rospo.
«Cinque punti in meno per i Grifondoro» disse con fermezza, una volta accertato che quel sentore di verità corrispondeva proprio all’amara realtà dei fatti, sentendo ancora nel proprio tono le conseguenze del disprezzo verso quel giovane riflesso di se stesso, verso il destino, verso i propri sbagli, perché ciò che era accaduto a Lily era stato solo per causa sua e del suo essere così cieco. E, anche in quel presente, Neville, nascondendosi dietro all’aiuto di un’amica, era cieco dinnanzi ai propri limiti.
A quelle parole, in un attimo, la gioia degli altri studenti nel vedere la pozione di Neville funzionare si sgretolò e tutti smisero di sorridere. Nessuno di loro comprendeva il perché di quella sconfitta, probabilmente non la riconoscevano neanche come tale. Non comprendevano il fatto che l’aiuto che la Granger a aveva dato al loro compagno non era affatto un gesto benevolo nei suoi confronti, non l’aveva realmente aiutato.

Viviamo in un mondo in cui il magico, ma anche la malvagità e il dolore sono reali… e mortali.
Non lasciate che i bagliori sfavillanti di questo mondo magico vi facciano dimenticare che la realtà, con tutti i suoi emissari di morte e sofferenze, non ha mai cessato di esistere. E’ sempre pronta ad infrangere i vostri sogni. A trafiggervi il cuore. E nessuna magia potrà porre rimedio, poi… nessuna…


Sbagliando a preparare quella pozione e vedendo il piccolo rospo contorcersi dal dolore nella mano del professore, forse Neville Paciock si sarebbe reso conto che ciò che stava accadendo dipendeva interamente da lui. Dalla sua incapacità di controllarsi e di difendere ciò che amava.
Il suo errore avrebbe preteso un fio e chi amava ne avrebbe fatto le spese per causa sua. E, di conseguenza, avrebbe sofferto e imparato anche lui.
Severus, naturalmente, prevedendo il potenziale avvelenamento dell’animale, aveva tenuto in tasca un’altra fialetta con un antidoto. Ma a quanto pare era servita soltanto quella con la pozione inversa a quella restringente, per far tornare il Familio di Paciock nelle dimensioni adulte.
Ancora una volta, Neville si era nascosto dietro ai suoi limiti, dietro alla “malvagità” del professore di Pozioni e alla “bontà” della sua amichetta; ma così facendo aveva perso l’occasione di scorgere il coraggio e la determinazione che avrebbero potuto salvare, prima ancora del suo rospo, lui stesso.
Un giorno sarebbe stato da solo dinnanzi alle proprie paure e quel giorno non ci sarebbe stata nessuno ad aiutarlo. Se non quelle qualità che si ostinava a tener ben nascoste.
Un giorno un reale nemico in carne ed ossa avrebbe messo in pericolo i suoi affetti più cari e Neville Paciock avrebbe dovuto guardare dentro se stesso ed armarsi proprio di quelle qualità per combatterlo.
«Ti avevo detto di non aiutarlo, signorina Granger... » mormorò, smascherando l’evidenza «La lezione è finita».
Sì, la lezione era veramente finita e nessuno, purtroppo, aveva tratto il reale insegnamento insito in essa.
Vivere o morire.
Combattere o essere sconfitti da se stessi.
Aveva fallito, come insegnante.
Aveva fallito come amico.
Non restava che l’uomo con le sue maschere, inseguito dai suoi peccati.

Se i miei insegnamenti non sapranno permeare le tue barriere, mi auguro che qualcun altro… un’insegnante migliore di me, ma più clemente della vita stessa, sappia insegnarti a difendere ciò che ami, prima che perisca proprio per causa tua.

Pensò mentre lasciava l’aula, il mantello nero fluttuante sulle spalle, gli occhi infinitamente scuri, profondi e tristi: brillavano come un mare a mezzanotte increspato dai raggi lunari… quella luce mortale che gli ricordava sempre perché non si era arreso al proprio destino.

***



Neville scosse il capo, riemergendo da quei pensieri, da quella lezione di Pozioni ormai lontana nel tempo.
Ricordava perfettamente la palpabile paura di sbagliare, l’umiliazione, quell’essersi affidato ad Hermione, a quel suo essere studiosa, migliore di lui e preparata ad affrontare anche la tenebra di quello sguardo impietoso che gli si era abbattuta sempre addosso in tutti quegli anni.
Poi era successo.
Nel momento di combattere per ciò che amava, nel momento di compiere quel passo importante, aveva messo da parte ogni timore, compiendo un gesto fluido del braccio, armato del proprio coraggio, e la lama d’argento aveva tagliato la testa di Nagini, spezzando l’ultima barriera che divideva Harry dalla vittoria contro l’Oscuro.
Fissò la spada di Grifondoro affascinato ed emozionato, mentre una lenta percezione di una realtà nuova, di quel cambiamento graduale e allo stesso tempo repentino, si faceva strada dentro di lui.
Il ragazzo… l’uomo che stava diventato per davvero guardava indietro, ripercorreva quella lezione umiliante e non riusciva più a sentire il peso di quello sguardo, la durezza di quel tono, l’asprezza del rimprovero; nel riflesso vittorioso di quella spada, Neville vedeva finalmente la natura dell’insegnante, la volontà di fargli imparare una lezione che, in quel momento, stringendo tra le mani l’emblema di quella vittoria, poteva finalmente dire di aver appreso.
Severus Piton era andato al di là della propria sconfitta e aveva deciso di rimettersi in piedi e ricominciare a lottare. La sua freddezza, l’essere così ostile agli altri, non gli aveva dato la libertà dalla solitudine, dal dolore, dalle proprie colpe e tantomeno dal suo dovere.
Dovere che aveva compiuto, fino in fondo, anche verso persone che gli erano estranee, come lo era stato lo stesso Neville.
Tutto questo prima del morso del serpente.
Il ragazzo si alzò con un sospiro, stringendo ancora la spada nella mano destra in una maniera quasi reverenziale, come se lo stesso Severus Piton l’avesse stretta con lui nel momento decisivo di rivelare se stesso e la propria verità.
Se Neville avesse potuto, avrebbe condiviso volentieri quella vittoria col professore… sempre che gliel’avesse permesso…
Aver ucciso il Serpente con quell’argentea lama di verità non riportava indietro una delle persone che gli aveva fatto da maestro, no…
Ma vendicava la sua memoria.
E, in quel tacito modo solenne di reggerla in mano, lo ringraziava.
 
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view post Posted on 25/1/2017, 17:05
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- Cruciatus di halfbloodprincess78



Neville era sdraiato sul pavimento; il suo corpo vibrava ancora di spasmi che lo percorrevano dagli arti inferiori fino alla testa, come se si stesse contraendo sotto la sferzata di una fiamma incandescente.
Per un attimo pensò che la sua testa sarebbe esplosa, poi non riuscì più ad articolare nessun pensiero coerente; forse stava impazzendo come i suoi genitori o forse stava per morire: non gli restava che da attendere che tutto cessasse in qualche modo.
Era come gettare un foglio nel camino e guardarlo contorcersi e rattrappirsi.
Solo che il foglio in questione era lui, era se stesso che stava guardando: non aveva urlato, non un lamento era sfuggito dalle sue labbra ora serrate mentre il raggio partito dalla bacchetta del Mangiamorte si abbatteva sul suo corpo.
Come con Bellatrix al Ministero, non aveva invocato pietà: aveva stretto i pugni e il pensiero era corso a sua madre.
Sua madre che gli regalava incarti di caramelle che conservava gelosamente.
Quegli incarti di caramelle che ora giravano lenti, sospesi nella sua testa come schegge di vetro in una scena al rallentatore.
Sarebbe orgogliosa di lui ora, sarebbe orgoglioso anche suo padre; se solo capissero, se solo le loro menti non fossero irrimediabilmente addormentate ad ogni stimolo esterno.
Piton lo osservava di nascosto, quasi con una punta di orgoglio; pensò che in fondo aveva fatto un buon lavoro con quel ragazzo: i suoi metodi poco ortodossi avevano tirato fuori da Paciock un altro ragazzo, più forte, più determinato.
Non era più il ragazzino impacciato che piagnucolava se perdeva il suo rospo o che si faceva piccolo, piccolo di fronte a lui, quasi a non voler essere notato.
Le poche volte che gli era capitato di incontrare il suo sguardo nell’ultimo anno aveva constatato che era uno sguardo diverso, più adulto, pieno di odio.
Ne era in un certo senso compiaciuto; finalmente non era più la sua paura più grande: la sagoma oscura che esce dall’armadio del Molliccio si era dissolta come nebbia d’estate.
Aspettò che Carrow si allontanasse lasciandolo a terra esangue.
Sapeva che non lo avrebbe ucciso, era immensamente più divertente torturarlo cercando inutilmente di piegarlo.
Severus sapeva che Carrow traeva piacere nell’infliggere quelle punizioni: la cosa lo disgustava, ma doveva rimanere al suo posto nell’ombra .
Non poteva tradirsi: era arrivato fin lì e mancava così poco; no non poteva assolutamente tradirsi, ora.
Tutto quello che poteva fare era lenire le sofferenze di quel ragazzo.
Si mosse piano in un frusciare sommesso di vesti e si inginocchiò lentamente di fianco a quel corpo stremato.
Estrasse la bacchetta e Neville sì voltò a quella leggera, quasi impercettibile pressione sul fianco.
Gli ci volle qualche istante perché quella sagoma scura chinata su di lui prendesse forma e mostrasse il suo volto, pallido, scavato, con gli occhi neri come le acque di un lago sotto un sottile velo di ghiaccio.
Tentò di allontanarsi, di cercare la bacchetta, ma il suo corpo non ne voleva sapere di rispondere a quel comando.
Rimase lì, inerme di fronte all’uomo che detestava e che lo spaventava al tempo stesso, pervaso da un tremore che non ne voleva sapere di cessare.
Piton si portò l’indice alle labbra intimandogli il silenzio.
Fece scorrere a lungo la bacchetta sul suo corpo cantilenando un qualche incantesimo di cui Neville non riusciva a decifrare nemmeno una parola.
La voce del preside era sommessa e ipnotica: ascoltarla era come attraversare il lago in barca quando era arrivato a Hogwarts, lo stesso identico lieve rollio.
Chiuse gli occhi e represse la nausea che gli rivoltava le viscere.
Stava finendo il lavoro di Carrow o lo stava salvando?
Non voleva sapere realmente la risposta, voleva solo che tutto finisse in fretta.
E tutto finì: riaprì gli occhi e gli spasmi dolorosi erano cessati, nessun muscolo del suo corpo vibrava più in quella maniera grottesca e inconsulta di poco prima.
Tentò di mettersi seduto e vi riuscì, frastornato e diffidente verso l’uomo che ora si era sollevato e lo guardava dall’alto, solenne e imperscrutabile.
Una figura oscura e sinistra che ora sembrava emergere da una pozza di luce lunare che filtrava dalle vetrate della scuola.
Aveva fatto in modo che smettesse il suo tormento: perché?
Cercò di muovere le labbra e articolare la voce in quella semplice domanda; dopo un breve sforzo in cui la sua voce rimase impigliata in gola, finalmente uscì, flebile e sommessa, quella domanda:
- Perché?
Non chiese altro.
Piton rimase immobile: socchiuse gli occhi e quando li riaprì l’acqua scura del lago vi vorticava dentro sotto quella fragile, immaginaria lastra di vetro.
Non sapeva rispondere.
Non c’era un perché: si era trovato al posto giusto al momento giusto; aveva promesso a Silente di proteggere gli studenti, ma sapeva che in fondo c’era un altro motivo.
Era rimasto colpito dal coraggio di quel ragazzo, non particolarmente dotato, è vero, ma coraggioso.
Il coraggio dei Grifondoro… no, il coraggio di un uomo, il suo stesso identico coraggio che traspariva dal volto di quel giovane una volta impacciato e pasticcione.
Il Coraggio di cui la vita prima o poi ti presenta il conto, ma il conto, a Paciock, la vita era ben lungi da presentarlo; almeno non quella notte, non dopo tutta la strada che il ragazzo aveva fatto e che Piton sapeva essere stata in salita e, soprattutto, non per mano di quell’idiota di Carrow.
Voleva che vivesse, tutto qui.
- Per risparmiarti qualche ora di agonia; non saresti comunque morto, Paciock, non ti ho salvato da nulla: ho solo fatto in modo che smettesse più in fretta.
La voce di Piton gli arrivò fredda e impersonale, ma nei suoi occhi qualcosa brillava come il riflesso dei fuochi artificiali sul mare.
Quel riverbero raccontava altro, quel riverbero celato nelle profondità di un lago.
Per un attimo Neville vide il fondo limpido e cristallino.
Rimasero uno di fronte all’altro; Piton capì che nella testa di Neville qualcosa di diverso si stava affacciando: il ragazzo si sollevò in piedi e fissò i suoi occhi in quelli del Preside.
Quegli occhi erano pieni di una debole, nuova consapevolezza.
- Lei sta fingendo! Voldemort e tutto il resto… Silente… voi eravate d’accordo!
Non era una domanda, era una constatazione.
- Ci sono cose che non puoi capire e, soprattutto, non ti riguardano.
Paciock aveva capito, invece, e d’un tratto il velo che lo avvolgeva era caduto di fronte alla semplice debolezza di non voler vedere morire quel ragazzo.
Sapeva sarebbe accaduto; Paciock non era Potter, non era così ottuso da non vedere: era bastato poco a scoprirsi.
Sapeva che ora, se lo avesse lasciato andare, avrebbe raccontato l’accaduto con le mille altre supposizioni che gli sentiva vorticare nella mente.
Era rischioso per tutti.
Avrebbero creduto a quel ragazzo, avrebbero capito e non era così che doveva essere.
Non poteva nemmeno chiedere la sua parola; sentiva che non gliel’avrebbe data: era troppo giovane per poter capire fino in fondo.
Sospirò, era quasi sollevato che ci fosse almeno una persona che sapesse che lui non era un traditore.
Quel ragazzino a cui faceva tanta paura ora sapeva che non era un traditore, né un vigliacco, e che non aveva ucciso Silente di sua volontà.
Il senso di colpa a volte lo soffocava: nelle sue notti interminabili vedeva i volti opalescenti dei morti che si portava dentro.
Bisbigliavano nei suoi incubi.
Ora tacevano, per la prima volta da anni, tacevano.
La maschera era caduta, rivelando il suo vero volto a quel ragazzo, un estraneo, eppure si sentiva sollevato di un peso.
Anche Silente sapeva, ma con lui non si era mai sentito sollevato, ora quel ragazzo era come se gli avesse tolto di dosso qualcosa che gli impediva di respirare.
Inspirò l’aria tersa di quell’istante, per la prima volta inspirò e le sue narici non si riempirono dell’odore stantio del passato, dell’odore putrescente della morte, dell’odore umido e salato delle lacrime nella maschera che si calava sempre a forza sul volto.
Inspirò e l’aria sapeva di pietra antica e di libri impolverati, del profumo dei lunghi capelli di Lily; affondò nel ricordo di due occhi verdi brillanti e vivi prima di rassegnarsi a quello che era giusto fare: avrebbe cancellato il ricordo dalla mente di Paciock. Semplice e indolore per tutti.
- Mi spiace, Paciock, devo cancellare questo tuo ricordo. - disse con la solita voce fredda e impersonale delle interminabili ore di lezione.
Neville conosceva quella voce che lo aveva atterrito nei suoi primi anni di scuola, ma ora aveva un gusto differente, amaro.
- Perché? – chiese di nuovo, - Perché non vuole che nessuno sappia: lei non è quello che credono e… S’interruppe quando si accorse che Piton non lo ascoltava; aveva la bacchetta puntata su di lui, il braccio teso e composto, non una ciocca di capelli fuori posto, non una traccia d’indecisione sul volto pallido.
Il mantello si muoveva nell’aria, oscillava ancora da quando aveva proteso il braccio verso di lui… poi si fermò.
Stava facendo quello che era giusto per lui: Neville si rese conto all'improvviso di comprenderne le ragioni, ma anche se non le avesse comprese non sarebbe stato comunque suo diritto giudicare.
Non gli piaceva giudicare gli altri; era sempre stato giudicato da tutti e non gli piaceva nemmeno essere giudicato.
Anche Piton era sempre stato giudicato, anche lui lo aveva giudicato, e ora non voleva più farlo: Severus Piton aveva delle ragioni e Neville sentiva che, qualsiasi esse fossero, erano rispettabili per il solo fatto che quell’uomo aveva scelto a suo rischio e pericolo di mentire a Voldemort.
Lo immaginava nel cerchio dei Mangiamorte con la maschera pesantemente calata sul volto, completamente sicuro di sé e schermato contro ogni attacco a giurare fedeltà a colui che voleva distruggere quanto chiunque altro.
Una figura alta e scura in mezzo ad altre figure uguali; ma nel profondo differente.
Ora si rendeva conto dell’immenso coraggio dell’uomo che aveva di fronte, un coraggio che faceva impallidire il suo nel fronteggiare Carrow.
Aveva di fronte un Severus Piton che non aveva mai visto, che forse nessuno avrebbe mai visto.
Un Severus Piton inattaccabile nella sua determinazione: aveva un ruolo e lo portava fino in fondo.
C’era la guerra là fuori e tutti loro avevano un ruolo da portare fino in fondo, ma lui aveva i suoi amici mentre Piton era solo.
Solo contro tutti; Neville si chiese come sarebbe stato lui senza Harry e Ron e Hermione e Ginny e Luna…
Conosceva la solitudine, ma non quella che Piton affrontava; doveva essere tremendo: era come camminare sempre nel buio, non sapeva come altro pensarla, come altro darle una forma anche solo vagamente conosciuta.
- Sei un ragazzo coraggioso, Paciock, devi essere orgoglioso di te stesso.
Fu l’ultima cosa che udì dalla voce di Piton prima che pronunciasse l’Oblivion che avrebbe spazzato via quei pochi istanti dalla sua memoria.
Sentì il tempo girare al contrario, si sentì sbalzare indietro a quando era cessato il tormento fisico, ma non voleva gli strappasse via quell’ultima frase: l’approvazione di quell’uomo era stranamente e misteriosamente importante per lui.
Avrebbe voluto conservarla e ricordarla per sempre, come le carte argentate delle caramelle che gli regalava sua madre; come quei cristalli sospesi nella sua mente, allo stesso modo le parole di Piton scintillavano nel riverbero della luce diafana della luna, che lo investiva di quell’approvazione che adesso era importante perché data da quell’uomo coraggioso e impenetrabile.
- Buona fortuna, Professor Piton. - fu tutto ciò che riuscì ad affiorare dalle sue labbra prima di essere inghiottito dall’oblio.
Chiuse gli occhi e non vide mai le labbra di Piton curvarsi in un breve sorriso triste; quando lì riaprì era solo: Piton era svanito ma lui non ricordava nemmeno che ci fosse mai stato.
Quell’episodio era sparito, inghiottito dal tempo e dallo spazio, eppure, mentre andava verso Voldemort e gli diceva che si sarebbe unito a lui solo quando si fosse gelato l’inferno, senti una frase risuonare nella mente.
‘’Sei un ragazzo coraggioso, Paciock, devi essere orgoglioso di te stesso’’.
La voce era quella di Piton; era una frase che non sarebbe mai uscita dalle sue labbra crudeli, eppure ebbe la certezza che lo avesse detto: nella sua testa emerse una pozza di luce lunare, una sagoma oscura e un breve istante che non ricordava di aver mai vissuto.
Severus Piton era stato abile a cancellare quel ricordo lasciando volutamente quella labile traccia, solo un frammento che conteneva una frase: l’aveva lasciata lì, sospesa come un petalo di rosa imbrigliato in una tela di ragno, per sempre; come Paciock aveva desiderato.
 
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view post Posted on 25/1/2017, 17:13
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- Hero di pingui79



Alla luce del sole che splendeva fuori dalla finestra in un grande globo aranciato, l’incarto della Cioccorana si illuminò di riflessi impalpabili. Anche quello sarebbe finito nella sua collezione, gelosamente custodita in una vecchia scatola di latta che da bambino aveva dipinto all’esterno con i colori dell’arcobaleno.
Sollevò gli occhi dall’involucro che profumava ancora di dolce, per fissarli in quelli di sua madre che canticchiava sommessamente tra sé masticando la cioccolata. Era un involucro di altra portata, non vuoto però: la folle lucidità in cui era rinchiusa la sua mente aveva talvolta una logica capace ancora di sorprenderlo.
Nel corso degli anni il dolore che provava nel varcare la soglia di quella stanza si era trasformato, diventando più maturo e consapevole del sacrificio dei suoi genitori. Anche per questo motivo i giorni in cui si era sentito immeritevole di portare quel cognome si erano moltiplicati come sotto l’effetto della Maledizione Gemino. Ma non in quel momento, in cui si sentiva orgoglioso di essere se stesso, nonostante l’irreversibilità della situazione che continuava a regalargli un nauseante senso di impotenza.
Il silenzio, in quella stanza al quarto piano del San Mungo, si allungò oltre i limiti consentiti dall’umana sopportazione, come un elastico teso fino al suo punto di rottura.
Si mise il tasca il cartiglio e si congedò, non riuscendo a trattenere un sorriso di fronte all’espressione così infantilmente buffa di suo padre, intento a scambiarsi occhiolini e saluti con la figurina di Albus Silente.
Nel corridoio deserto ignorò le richieste di uno stralunato Allock che insisteva per regalargli una sua foto autografata; per sua fortuna, una Guaritrice solerte con un cerchietto di lamé nei capelli venne a recuperare lo smemorato paziente e lo ricondusse nella stanza privata concessagli da qualche mese perché importunava troppo gli altri degenti.
Appoggiò la fronte alla grande finestra di fronte alle scale, stringendo l’involucro che aveva in tasca. Gli sarebbe tanto piaciuto ricevere dai suoi genitori una vera manifestazione d’affetto che fosse altra da quella della carta di un dolciume.

***



Bianco, bianco, noiosissimo bianco. Ne era circondato e l’unica salvezza era il colore del cielo fuori dalla finestra. Bianche le pareti, i tendaggi, il comodino e la sedia, ma soprattutto l’orripilante vestiario che osavano chiamare camice.
Miss Confetto Ambulante entrò senza bussare, come era sua abitudine, trillando calorosamente un saluto.
Miss Confetto Ambulante altri non era che la Guaritrice che si occupava di lui: una donnina di proporzioni non proprio minute e dai modi un po’ bruschi; l’aveva soprannominata così perché perennemente vestita e accessoriata di bianco da capo a piedi. Sicuramente c’era il suo zampino nell’arredamento della stanza che era stata riservata solo per lui, al quarto piano, in modo da depistare giornalisti e curiosi appostati ovunque fuorché là.
La donna cominciò a dettare sottovoce prescrizioni varie e la piuma autoscrivente – ovviamente bianca – si mise a correre veloce sulla pergamena. Quand’ebbe finito, chiese con il consueto vocione squillante:
« Professor Piton, la vuole sentire una bella notizia? »
Severus si astenne dal fare commenti sagaci solo perché – doveva riconoscerlo – la Guaritrice sapeva perfettamente il fatto suo: in meno di quattro settimane era stata in grado di rimetterlo completamente in sesto dopo il devastante morso di Nagini.
Anche questa volta la donna non attese risposta e proseguì allegramente:
« Sono lieta di comunicarle che la sua permanenza tra noi non è più necessaria. Ammetto che un po’ mi dispiace » un momento… era un occhiolino quello? « Ma lei si merita di ricominciare una nuova vita. »
Tolse prontamente dalla tasca un piccolo borsino, che fu ingrandito velocemente con un Engorgio. Severus sbatté le palpebre, incredulo di fronte a tale grazia piovuta dal cielo. Guardò alternativamente la donna e la grande borsa che era stata poggiata sulla sedia, aprendo e chiudendo la bocca ripetutamente senza trovare nulla da dire. Quando gli furono messe davanti al naso la sua bacchetta e la pergamena contenente le prescrizioni mediche necessarie alla convalescenza, scoprì di essere rimasto senza nemmeno una parola. Evento più unico che raro.
Un attimo dopo la Guaritrice sparì con un sorriso ed un altro occhiolino.
Strinse le lenzuola tra le mani e contò lentamente fino a tre prima di catapultarsi fuori dal letto e gettarsi sulla borsa come una bestia famelica che non vede una preda da tempo immemore. Immerse con gioia le mani nella morbida stoffa nera del mantello, accolse i suoi abiti con un sincero tripudio che traspariva dal brillio intenso dei suoi occhi d’ebano. Avrebbe quasi voluto lasciarsi andare a puerili manifestazioni di gioia, ma aveva pur sempre una dignità da difendere.
Quando l’ultimo bottone della manica della giacca si chiuse sul suo avambraccio sinistro, tornato immacolato in modo lento e definitivo, sentì come un peso che gli veniva tolto definitivamente dal petto. Si rimirò nel riflesso della finestra, rendendosi conto di aver ritrovato una parte di sé. Fu però nello stringere finalmente in mano la sua bacchetta, che provò un senso di benessere e di spaesamento.
Già… e ora?
Ci aveva riflettuto spesso nelle lunghe ore di solitudine che erano state le sue compagne preferite nella degenza.
Era finita, i buoni avevano vinto. Ma di lui, cosa ne sarebbe stato?
Sapeva di essere conteso dall’intero mondo magico, Minerva glielo aveva riferito durante l’abituale visita del sabato mattina. Professori di Hogwarts, studenti, giornalisti, membri del Ministero… tutti volevano vederlo, chi per intervistarlo, chi per ingraziarselo, chi semplicemente per chiedergli scusa per aver dubitato di lui.
La realtà era che per il momento voleva semplicemente rimanere solo e prendere in mano la sua vita.

***



Vedere Paciock lo mise quasi a disagio.
Fronte appoggiata al vetro, mano stretta a pugno nella tasca dei pantaloni, il ragazzo tremava. Scosso da una rabbia a cui non c’era alcun rimedio, Severus immaginava il motivo, sapendo chi altri dimorava da anni in quel piano.
Provò una sincera pena per lui.
La vita non è giusta e ci sono in ogni dove persone e situazioni che non mancano mai di ricordartelo.
Avrebbe potuto scivolargli alle spalle, allontanarsi senza che se ne accorgesse, senza degnarlo di uno sguardo o di una parola. Era già molto l’imbarazzo per essergli praticamente svenuto in braccio, nel cunicolo che dalla Stamberga portava al Platano Picchiatore, dopo l’intervento di Fanny avvenuto quasi fuori tempo limite. Beh, sarebbe potuta andare peggio, ammise: del drappello di studenti che erano accorsi credendo di recuperare un cadavere, avrebbe potuto perdere conoscenza per l’estrema debolezza proprio tra le braccia di Potter. Serrò le mascelle, cacciando con veemenza quell’orrida visione.
Fu tentato di fare finta di nulla e separare definitivamente la sua strada da quella di chiunque gli ricordasse Hogwarts ed il suo passato.
Ma non lo fece.
Si accostò alla grande finestra, osservando il cielo che ad est si tingeva di blu.

Neville sollevò la testa e un moto di terrore corse come un brivido freddo lungo tutta la sua colonna vertebrale. Quei due occhi neri come la notte che si riflettevano sul vetro non si sarebbero potuti confondere con quelli di nessun altro. Si congelò sul posto, indeciso se iniziare una conversazione – e come, poi, con i soliti convenevoli? – o se mantenere prudentemente un atteggiamento silenzioso.
Severus contemplò con un ghigno l’espressione spaurita di Neville. Faccio ancora paura, pensò con una punta di soddisfazione.
« P-Professor Piton. » balbettò il giovane in segno di saluto.
Lui rispose con un cenno del capo, guardandolo direttamente in viso. Neville non trovò niente di meglio da fare che deglutire vistosamente, tuttavia trovò subito il coraggio di fissare il suo ex professore dritto negli occhi con espressione che Severus classificò come un atteggiamento tipicamente Grifondoro.
Ancora silenzio, in quella che sembrava una gara di sguardi.
Fino a quando Piton fece un altro cenno del capo e si allontanò in direzione delle scale.
« Non le conviene andare da quella parte. » pronunciò a sorpresa il ragazzo.
Severus si bloccò presso la porta a vetri, colto alla sprovvista da quell’affermazione, il sopracciglio inarcato che chiedeva spiegazioni.
« All’entrata principale c’è un drappello di giornalisti che sosta da tre settimane. »
« Paciock, ti sembro così sprovveduto? » domandò Piton con serica voce.
« Quindi lei sta pensando di usare l’uscita secondaria, giusto? »
« Certo che no, sto pensando di farmi un giro turistico per il San Mungo. »
Neville si lasciò andare ad una bassa risata. Nonostante quell’uomo gli incutesse ancora un sano timore, non se la sentiva di lasciare che avvoltoi armati di piume, block notes e macchine fotografiche lo accerchiassero disturbando il suo bisogno di tranquillità. Anche lui aveva subìto assalti inopportuni nei giorni passati e ne aveva provato sincero fastidio.
« All’uscita secondaria c’è Rita Skeeter mimetizzata tra i cespugli, si è appostata sotto i rami della siepe di fronte all’uscita. L’ha scoperto Hermione. »
Quella rivelazione spiazzò Severus, costringendolo a ridimensionare i suoi piani. Pur essendo abbastanza in forze per smaterializzarsi non aveva nessuna voglia di incrociare petulanti giornalisti prima di riuscire a sparire dalla circolazione.
« Vuole andarsene senza essere notato? »
Neville osservò Piton ponderare con calma la sua implicita offerta di aiuto. Quando il mago infine annuì, sorrise apertamente.
« Allora mi segua, professore. »
Percorsero fianco a fianco le corsie del piano, senza parlarsi. I Guaritori e le Guaritrici che incontravano rivolsero a lui calorosi cenni di saluto, a Neville dissero arrivederci. Con la coda dell’occhio, Severus notò che il ragazzo non mancò di incupirsi.
Quando sbucarono in un corridoio deserto e senza uscita, Neville si diresse spedito verso la parete in fondo, dove campeggiava un enorme quadro raffigurante uno scalpitante centauro Chirone che trottava in un prato impugnando una lira.
« Pharmakon. » pronunciò Neville con voce ferma.
Il centauro fece un garbato inchino, pizzicò le corde dell’antico strumento e la cornice del quadro si aprì armoniosamente come una porta. Il giovane fece strada a Severus e cominciò a scendere per un’ampia scalinata a chiocciola che si muoveva da sola, similmente a quella che a Hogwarts portava allo studio del Preside. Neville precedette ogni domanda e si affrettò a spiegare.
« Queste scale sono utilizzate e conosciute solo dal personale del San Mungo. C’è un accesso nascosto in ogni piano, in questo modo i Guaritori possono muoversi velocemente senza farsi strada tra i visitatori che spesso intralciano gli spazi pubblici. »
Severus fu apertamente curioso.
« Se sono a solo uso del personale, perché tu ne sei a conoscenza? »
« È stata la Guaritrice che si è occupata di lei, professore. Per evitare che i giornalisti alle entrate ci assalissero e scoprissero dove stava, mi ha riferito di questo passaggio. Io l’ho fatto vedere ad Harry e alla professoressa McGranitt e così abbiamo depistato i curiosi. » Neville parlava pacatamente, con la schiena all’indietro e le mani in tasca, lasciandosi trasportare dai gradini mobili. « Loro arrivavano da qui, io entravo dalla porta principale. I giornalisti si sono stancati presto con i tentativi di intervistarmi e nessuno si è mai sognato di seguirmi: chi vorrebbe vedere con i suoi occhi le conseguenze delle lesioni permanenti da incantesimo? »
Terminò la frase con un’alzata di spalle ed un sorriso tirato. Severus proseguì a guardarlo in tralice, ammirandone in silenzio la forza d’animo.
Il piccolo bambino timido ed impacciato, impaurito persino dalla propria ombra, era cresciuto. Aveva davanti un giovane che aveva saputo lottare per i suoi amici, resistendo in tutti i modi alla bieca pazzia dei Carrow.
A modo suo, Neville Paciock si era comportato da eroe. Oh, quante volte lo aveva segretamente invidiato, durante il suo anno di presidenza! Il Grifondoro in certi momenti era stato la voce che lui non poteva avere: rigettava palesemente e senza maschere il comportamento dei Mangiamorte, si scagliava a difesa di Hogwarts – della loro Hogwarts – senza tentennamenti di sorta, manifestava tutta la sua avversione all’Oscuro Signore e la sua fedeltà ad Albus Silente.
Tutte cose che lui, il traditore, non aveva mai potuto fare. Neville aveva agito pubblicamente, Severus aveva sempre privatamente approvato, anche se la preoccupazione costante per l’incolumità del ragazzo gli era costata notti insonni a perlustrare i corridoi.
La scala a chiocciola arrivò alla fine contemporaneamente alle riflessioni di Severus. Neville fece nuovamente strada, aprendo una porticina e sbucando in un largo corridoio semibuio, illuminato in alto da piccole finestre quadrangolari.
Un profumo di zuppa di piselli, salsicce e patate arrosto aleggiava nell’aria ed un suono ovattato di stoviglie proveniva da qualche parte alla loro destra. Il brontolio dello stomaco del Grifondoro si fece sentire, simile al borbottio sommesso di un trombone afflitto. Pur nella semioscurità vide il ragazzo farsi rosso in viso.
Neville ridacchiò scuotendo la testa, mentre Severus alzava teatralmente gli occhi al cielo.
« Per di qua, professore. » esclamò incamminandosi verso destra. Man mano che avanzavano il buono odore di pietanze si fece sempre più intenso, solleticando le narici di entrambi.
Severus si diede mentalmente dello stupido, poiché a tutto aveva pensato tranne alle cucine del San Mungo, la cui ubicazione era conosciuta solo dal personale e dagli elfi che vi lavoravano. Arricciò infine le labbra, poco convinto di fronte al quadro che nascondeva l’entrata; rientrava nel genere che sarebbe piaciuto moltissimo ad Albus: una natura morta piuttosto vivace, in cui mele e pere giocavano a girotondo attorno ad un portafrutta vuoto. Neville batté tre colpi ravvicinati di bacchetta sulla cornice: quando l’ultimo frutto tornò al suo posto nel recipiente con un balzo, il quadro scivolò di lato.
Il loro olfatto fu aggredito da un’enorme quantità di aromi, mentre gli occhi di Severus quasi non sapevano dove soffermarsi per osservare il brulichio operoso degli elfi che correvano da una parte all’altra.
Neville procedette spedito verso l’uscita, desideroso di intralciare il meno possibile e si voltò per accertarsi di essere seguito solo in un secondo momento. Vide Piton un po’ più indietro osservare ogni cosa con sincera attenzione e procedere al tempo stesso con incedere maestoso ed elegante, ben attento a non ostacolare il lavoro di quelle piccole creature. Uno sbuffo di vapore proruppe nelle vicinanze e per il ragazzo fu come ritrovarsi tra i fumi dei calderoni nella luce fioca dell’aula di Pozioni, dove l’austera presenza del professore incombeva sulle loro teste chine a polverizzare zanne di serpente.
Ebbe nostalgia di quel periodo, nonostante tutto.
Nonostante i continui rimproveri e le estenuanti punizioni, meritate, dato che lui era un completo disastro ambulante e disorganizzato in Pozioni; nonostante le battute di scherno che gli piovevano addosso spesso e volentieri; nonostante le occhiate mai amichevoli.
Aveva avuto terrore di Severus Piton per sei lunghi anni, fino al momento in cui un Anatema che Uccide non era stato pronunciato sulla Torre di Astronomia. Da quell’istante la paura si era mutata in puro disprezzo pronto a surclassare ogni emozione precedente; nel corso dell’anno appena terminato aveva fatto di tutto per rendere la vita impossibile a colui che credeva uno sporco traditore, senza risparmiarsi e senza cedere a causa delle molteplici Cruciatus.
La verità nuda e cruda era che quell’uomo lo aveva temprato più di chiunque altro. Volente o nolente, Severus Piton era stato il suo miglior nemico, colui lo aveva costretto ad uscire dal guscio di timidezza e goffaggine. Certo, a distillare pozioni sarebbe sempre stato un disastro, ma almeno ora era in grado di guardarsi allo specchio ed accettarsi per quello che era, anche grazie a quei trascorsi.

« Esistono molti tipi di coraggio. Affrontare i nemici richiede notevole ardimento. Ma altrettanto ne occorre per affrontare gli amici. »

Le parole di Silente riecheggiarono improvvise, facendo capolino dai suoi ricordi.
Lui si era sentito in colpa per giorni interi con Harry, Ron ed Hermione, anche dopo quella memorabile cena di fine anno. Ed era stato un atto di poco conto, tutto sommato.
Ma quell’uomo, quanto doveva aver sofferto per aver obbedito ad un ordine del Preside? Quanto dolore gli era costato affrontare un amico in quel modo e quanto coraggio nel pagarne tutte le conseguenze?
Neville guardò il professore colmare la distanza che li separava con lunghi ed eleganti passi. Lo ammirò con profonda sincerità e commozione. Mai, nemmeno dopo cent’anni di pratica, lui avrebbe avuto la sua statura morale: Piton era un vero eroe. Era l’esempio di come si potesse cadere e rialzarsi una spanna sopra tutti gli altri.
Severus lo raggiunse e poco dopo uscirono da una piccola porticina di legno che li costrinse a chinarsi per passare.
L’aria piacevolmente fresca delle sere di inizio giugno li accolse, assieme al profumo intenso di un gelsomino in fiore che si arrampicava lungo le inferriate di un vecchio cancello arrugginito davanti a loro. L’imbrunire era ormai avanzato e ad ovest sopravviveva solo una timida striscia di arancione.
Neville indicò il cancello:
« Funziona come la barriera per il Binario 9 e ¾, basta passarci attraverso. »
Detto fatto. Severus si guardò attorno, constatando che si trovavano a più di cento metri dai grandi magazzini in cui si celava l’ospedale; alle sue spalle c’era soltanto il vecchio cancello di una palazzina che sembrava aver visto tempi migliori.
« Beh, a quanto pare il giro turistico per il San Mungo lo ha fatto sul serio. » esclamò Paciock con un sorriso imbarazzato.
Vero. E gliene era persino grato.
Neville lo sorprese ancora una volta: la mano tesa del ragazzo era inequivocabile, così come lo sguardo colmo di gratitudine.
« Professor Piton, per me è stato un onore averla come insegnante. »
« Non credo di poter ricambiare, Paciock: averti come studente a Pozioni è stato tutto fuorché un piacere. » Come studente a Pozioni, soltanto, sì. Poiché averlo come alleato contro i Carrow, anche se senza saperlo, era stato davvero un onore: quel ragazzo si era guadagnato il suo sincero rispetto.
Neville sembrò cogliere il non detto, perché sorrise apertamente. La mano tesa era ancora lì: una parte del suo passato insisteva per una riconciliazione. Severus la accettò, salutando poi con un cenno del capo.
Il Grifondoro rimase ad osservare Severus Piton che si allontanava lungo la strada. Sottovoce, gli augurò con genuino affetto una lunga vita incredibilmente felice.
 
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