Il Calderone di Severus


Sei personaggi in cerca d'autore - 6° Turno
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Storia n.4 - Hero4 [33.33%]
Storia n.1 - Grifondoro2 [16.67%]
Storia n.2 - Lama di verità1 [8.33%]
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Sei personaggi in cerca d'autore - 6° Turno

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chiara53
view post Posted on 25/1/2017, 17:05 by: chiara53
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Pozionista sofisticato

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- Cruciatus di halfbloodprincess78



Neville era sdraiato sul pavimento; il suo corpo vibrava ancora di spasmi che lo percorrevano dagli arti inferiori fino alla testa, come se si stesse contraendo sotto la sferzata di una fiamma incandescente.
Per un attimo pensò che la sua testa sarebbe esplosa, poi non riuscì più ad articolare nessun pensiero coerente; forse stava impazzendo come i suoi genitori o forse stava per morire: non gli restava che da attendere che tutto cessasse in qualche modo.
Era come gettare un foglio nel camino e guardarlo contorcersi e rattrappirsi.
Solo che il foglio in questione era lui, era se stesso che stava guardando: non aveva urlato, non un lamento era sfuggito dalle sue labbra ora serrate mentre il raggio partito dalla bacchetta del Mangiamorte si abbatteva sul suo corpo.
Come con Bellatrix al Ministero, non aveva invocato pietà: aveva stretto i pugni e il pensiero era corso a sua madre.
Sua madre che gli regalava incarti di caramelle che conservava gelosamente.
Quegli incarti di caramelle che ora giravano lenti, sospesi nella sua testa come schegge di vetro in una scena al rallentatore.
Sarebbe orgogliosa di lui ora, sarebbe orgoglioso anche suo padre; se solo capissero, se solo le loro menti non fossero irrimediabilmente addormentate ad ogni stimolo esterno.
Piton lo osservava di nascosto, quasi con una punta di orgoglio; pensò che in fondo aveva fatto un buon lavoro con quel ragazzo: i suoi metodi poco ortodossi avevano tirato fuori da Paciock un altro ragazzo, più forte, più determinato.
Non era più il ragazzino impacciato che piagnucolava se perdeva il suo rospo o che si faceva piccolo, piccolo di fronte a lui, quasi a non voler essere notato.
Le poche volte che gli era capitato di incontrare il suo sguardo nell’ultimo anno aveva constatato che era uno sguardo diverso, più adulto, pieno di odio.
Ne era in un certo senso compiaciuto; finalmente non era più la sua paura più grande: la sagoma oscura che esce dall’armadio del Molliccio si era dissolta come nebbia d’estate.
Aspettò che Carrow si allontanasse lasciandolo a terra esangue.
Sapeva che non lo avrebbe ucciso, era immensamente più divertente torturarlo cercando inutilmente di piegarlo.
Severus sapeva che Carrow traeva piacere nell’infliggere quelle punizioni: la cosa lo disgustava, ma doveva rimanere al suo posto nell’ombra .
Non poteva tradirsi: era arrivato fin lì e mancava così poco; no non poteva assolutamente tradirsi, ora.
Tutto quello che poteva fare era lenire le sofferenze di quel ragazzo.
Si mosse piano in un frusciare sommesso di vesti e si inginocchiò lentamente di fianco a quel corpo stremato.
Estrasse la bacchetta e Neville sì voltò a quella leggera, quasi impercettibile pressione sul fianco.
Gli ci volle qualche istante perché quella sagoma scura chinata su di lui prendesse forma e mostrasse il suo volto, pallido, scavato, con gli occhi neri come le acque di un lago sotto un sottile velo di ghiaccio.
Tentò di allontanarsi, di cercare la bacchetta, ma il suo corpo non ne voleva sapere di rispondere a quel comando.
Rimase lì, inerme di fronte all’uomo che detestava e che lo spaventava al tempo stesso, pervaso da un tremore che non ne voleva sapere di cessare.
Piton si portò l’indice alle labbra intimandogli il silenzio.
Fece scorrere a lungo la bacchetta sul suo corpo cantilenando un qualche incantesimo di cui Neville non riusciva a decifrare nemmeno una parola.
La voce del preside era sommessa e ipnotica: ascoltarla era come attraversare il lago in barca quando era arrivato a Hogwarts, lo stesso identico lieve rollio.
Chiuse gli occhi e represse la nausea che gli rivoltava le viscere.
Stava finendo il lavoro di Carrow o lo stava salvando?
Non voleva sapere realmente la risposta, voleva solo che tutto finisse in fretta.
E tutto finì: riaprì gli occhi e gli spasmi dolorosi erano cessati, nessun muscolo del suo corpo vibrava più in quella maniera grottesca e inconsulta di poco prima.
Tentò di mettersi seduto e vi riuscì, frastornato e diffidente verso l’uomo che ora si era sollevato e lo guardava dall’alto, solenne e imperscrutabile.
Una figura oscura e sinistra che ora sembrava emergere da una pozza di luce lunare che filtrava dalle vetrate della scuola.
Aveva fatto in modo che smettesse il suo tormento: perché?
Cercò di muovere le labbra e articolare la voce in quella semplice domanda; dopo un breve sforzo in cui la sua voce rimase impigliata in gola, finalmente uscì, flebile e sommessa, quella domanda:
- Perché?
Non chiese altro.
Piton rimase immobile: socchiuse gli occhi e quando li riaprì l’acqua scura del lago vi vorticava dentro sotto quella fragile, immaginaria lastra di vetro.
Non sapeva rispondere.
Non c’era un perché: si era trovato al posto giusto al momento giusto; aveva promesso a Silente di proteggere gli studenti, ma sapeva che in fondo c’era un altro motivo.
Era rimasto colpito dal coraggio di quel ragazzo, non particolarmente dotato, è vero, ma coraggioso.
Il coraggio dei Grifondoro… no, il coraggio di un uomo, il suo stesso identico coraggio che traspariva dal volto di quel giovane una volta impacciato e pasticcione.
Il Coraggio di cui la vita prima o poi ti presenta il conto, ma il conto, a Paciock, la vita era ben lungi da presentarlo; almeno non quella notte, non dopo tutta la strada che il ragazzo aveva fatto e che Piton sapeva essere stata in salita e, soprattutto, non per mano di quell’idiota di Carrow.
Voleva che vivesse, tutto qui.
- Per risparmiarti qualche ora di agonia; non saresti comunque morto, Paciock, non ti ho salvato da nulla: ho solo fatto in modo che smettesse più in fretta.
La voce di Piton gli arrivò fredda e impersonale, ma nei suoi occhi qualcosa brillava come il riflesso dei fuochi artificiali sul mare.
Quel riverbero raccontava altro, quel riverbero celato nelle profondità di un lago.
Per un attimo Neville vide il fondo limpido e cristallino.
Rimasero uno di fronte all’altro; Piton capì che nella testa di Neville qualcosa di diverso si stava affacciando: il ragazzo si sollevò in piedi e fissò i suoi occhi in quelli del Preside.
Quegli occhi erano pieni di una debole, nuova consapevolezza.
- Lei sta fingendo! Voldemort e tutto il resto… Silente… voi eravate d’accordo!
Non era una domanda, era una constatazione.
- Ci sono cose che non puoi capire e, soprattutto, non ti riguardano.
Paciock aveva capito, invece, e d’un tratto il velo che lo avvolgeva era caduto di fronte alla semplice debolezza di non voler vedere morire quel ragazzo.
Sapeva sarebbe accaduto; Paciock non era Potter, non era così ottuso da non vedere: era bastato poco a scoprirsi.
Sapeva che ora, se lo avesse lasciato andare, avrebbe raccontato l’accaduto con le mille altre supposizioni che gli sentiva vorticare nella mente.
Era rischioso per tutti.
Avrebbero creduto a quel ragazzo, avrebbero capito e non era così che doveva essere.
Non poteva nemmeno chiedere la sua parola; sentiva che non gliel’avrebbe data: era troppo giovane per poter capire fino in fondo.
Sospirò, era quasi sollevato che ci fosse almeno una persona che sapesse che lui non era un traditore.
Quel ragazzino a cui faceva tanta paura ora sapeva che non era un traditore, né un vigliacco, e che non aveva ucciso Silente di sua volontà.
Il senso di colpa a volte lo soffocava: nelle sue notti interminabili vedeva i volti opalescenti dei morti che si portava dentro.
Bisbigliavano nei suoi incubi.
Ora tacevano, per la prima volta da anni, tacevano.
La maschera era caduta, rivelando il suo vero volto a quel ragazzo, un estraneo, eppure si sentiva sollevato di un peso.
Anche Silente sapeva, ma con lui non si era mai sentito sollevato, ora quel ragazzo era come se gli avesse tolto di dosso qualcosa che gli impediva di respirare.
Inspirò l’aria tersa di quell’istante, per la prima volta inspirò e le sue narici non si riempirono dell’odore stantio del passato, dell’odore putrescente della morte, dell’odore umido e salato delle lacrime nella maschera che si calava sempre a forza sul volto.
Inspirò e l’aria sapeva di pietra antica e di libri impolverati, del profumo dei lunghi capelli di Lily; affondò nel ricordo di due occhi verdi brillanti e vivi prima di rassegnarsi a quello che era giusto fare: avrebbe cancellato il ricordo dalla mente di Paciock. Semplice e indolore per tutti.
- Mi spiace, Paciock, devo cancellare questo tuo ricordo. - disse con la solita voce fredda e impersonale delle interminabili ore di lezione.
Neville conosceva quella voce che lo aveva atterrito nei suoi primi anni di scuola, ma ora aveva un gusto differente, amaro.
- Perché? – chiese di nuovo, - Perché non vuole che nessuno sappia: lei non è quello che credono e… S’interruppe quando si accorse che Piton non lo ascoltava; aveva la bacchetta puntata su di lui, il braccio teso e composto, non una ciocca di capelli fuori posto, non una traccia d’indecisione sul volto pallido.
Il mantello si muoveva nell’aria, oscillava ancora da quando aveva proteso il braccio verso di lui… poi si fermò.
Stava facendo quello che era giusto per lui: Neville si rese conto all'improvviso di comprenderne le ragioni, ma anche se non le avesse comprese non sarebbe stato comunque suo diritto giudicare.
Non gli piaceva giudicare gli altri; era sempre stato giudicato da tutti e non gli piaceva nemmeno essere giudicato.
Anche Piton era sempre stato giudicato, anche lui lo aveva giudicato, e ora non voleva più farlo: Severus Piton aveva delle ragioni e Neville sentiva che, qualsiasi esse fossero, erano rispettabili per il solo fatto che quell’uomo aveva scelto a suo rischio e pericolo di mentire a Voldemort.
Lo immaginava nel cerchio dei Mangiamorte con la maschera pesantemente calata sul volto, completamente sicuro di sé e schermato contro ogni attacco a giurare fedeltà a colui che voleva distruggere quanto chiunque altro.
Una figura alta e scura in mezzo ad altre figure uguali; ma nel profondo differente.
Ora si rendeva conto dell’immenso coraggio dell’uomo che aveva di fronte, un coraggio che faceva impallidire il suo nel fronteggiare Carrow.
Aveva di fronte un Severus Piton che non aveva mai visto, che forse nessuno avrebbe mai visto.
Un Severus Piton inattaccabile nella sua determinazione: aveva un ruolo e lo portava fino in fondo.
C’era la guerra là fuori e tutti loro avevano un ruolo da portare fino in fondo, ma lui aveva i suoi amici mentre Piton era solo.
Solo contro tutti; Neville si chiese come sarebbe stato lui senza Harry e Ron e Hermione e Ginny e Luna…
Conosceva la solitudine, ma non quella che Piton affrontava; doveva essere tremendo: era come camminare sempre nel buio, non sapeva come altro pensarla, come altro darle una forma anche solo vagamente conosciuta.
- Sei un ragazzo coraggioso, Paciock, devi essere orgoglioso di te stesso.
Fu l’ultima cosa che udì dalla voce di Piton prima che pronunciasse l’Oblivion che avrebbe spazzato via quei pochi istanti dalla sua memoria.
Sentì il tempo girare al contrario, si sentì sbalzare indietro a quando era cessato il tormento fisico, ma non voleva gli strappasse via quell’ultima frase: l’approvazione di quell’uomo era stranamente e misteriosamente importante per lui.
Avrebbe voluto conservarla e ricordarla per sempre, come le carte argentate delle caramelle che gli regalava sua madre; come quei cristalli sospesi nella sua mente, allo stesso modo le parole di Piton scintillavano nel riverbero della luce diafana della luna, che lo investiva di quell’approvazione che adesso era importante perché data da quell’uomo coraggioso e impenetrabile.
- Buona fortuna, Professor Piton. - fu tutto ciò che riuscì ad affiorare dalle sue labbra prima di essere inghiottito dall’oblio.
Chiuse gli occhi e non vide mai le labbra di Piton curvarsi in un breve sorriso triste; quando lì riaprì era solo: Piton era svanito ma lui non ricordava nemmeno che ci fosse mai stato.
Quell’episodio era sparito, inghiottito dal tempo e dallo spazio, eppure, mentre andava verso Voldemort e gli diceva che si sarebbe unito a lui solo quando si fosse gelato l’inferno, senti una frase risuonare nella mente.
‘’Sei un ragazzo coraggioso, Paciock, devi essere orgoglioso di te stesso’’.
La voce era quella di Piton; era una frase che non sarebbe mai uscita dalle sue labbra crudeli, eppure ebbe la certezza che lo avesse detto: nella sua testa emerse una pozza di luce lunare, una sagoma oscura e un breve istante che non ricordava di aver mai vissuto.
Severus Piton era stato abile a cancellare quel ricordo lasciando volutamente quella labile traccia, solo un frammento che conteneva una frase: l’aveva lasciata lì, sospesa come un petalo di rosa imbrigliato in una tela di ragno, per sempre; come Paciock aveva desiderato.
 
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