Il Calderone di Severus

N. 1 - A tavola con Severus 2a Edizione del Gioco

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view post Posted on 26/1/2007, 10:38
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I ♥ Severus


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Grazie Niky... anche perchè, come sempre, non è che mi convinceva del tutto...
 
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Astry
view post Posted on 26/1/2007, 21:24




CITAZIONE (Ida59 @ 26/1/2007, 10:38)
Grazie Niky... anche perchè, come sempre, non è che mi convinceva del tutto...

Beh, convinciti, è magnifica.
E' commovente da morire, c'è tutto il coraggio di Severus nel fare il suo dovere e insieme tutto il suo dolore. Non c'è via di scampo, Silente sta già morendo e lui non può salvarlo, può solo obbedire.
Bellissimo il dialogo muto fra i due, a che servono le parole? Silente e Severus sono uniti più di quanto possono esserlo due normali amici, sono uniti dal dovere e dal sacrificio che porterà l'uno alla morte e l'altro all'inferno. :cry: :cry: :cry: :cry: :cry: :cry: :cry:

Astry
 
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view post Posted on 26/1/2007, 21:51
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Un muto ringraziamento, Astry. :AlanSnape1.gif:
 
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Nykyo
view post Posted on 28/1/2007, 11:15




Autore: Nykyo

Tipologia: One-shot (un pò lunghina).

Genere: Drammatico, introspettivo

Personaggi: Severus Piton, Voldemort (marginalmente: Codaliscia).

Il racconto fa parte del capitolo 7.

Note:

  1. Non si sa come sia fatta la bacchetta di Severus, ma mi sono divertita a immaginarla, in base a quella creata dai costumisti per i film (e di cui una splendida copia troneggia sulla mia libreria). Le dimensioni sono assolutamente inventate, l'anima magica... beh, la bacchetta dei film ha il manico inciso di strani cartigli cinesi...

  2. Ok... In questo racconto non torverete un vero spuntino o brindisi di mezzanotte, ma si parla del rapporto di Severus col cibo, è appunto notte, il cerchio dei Mangiamorte c'è e... Sono sadica, quindi non potrete dire che Severus non mangi qualcosa... ma... Lo scoprirete...



Premessa: Quello che state per leggere è uno dei cosidetti "missing moments", ossia quei pezzi del racconto di cui sappiamo che sono accaduti, ma JKR non ci ha raccontato, per cui non possiamo dire cosa esattamente sia successo. In questo caso è un missing moment del IV° libro.
Voldemort è risorto e, in ritardo di due ore, Severus è tornato da lui...


Erba.





Il dolore è rosso, come lo sfrecciare di linee incandescenti sullo schermo nero delle palpebre chiuse.
Saetta da un nervo all’altro; atteso, ma non per questo meno feroce nell’azzannare i muscoli e spezzargli il fiato in gola.
Due ore di ritardo hanno il loro prezzo rovente.
Gli valgono il ruvido incontro con gli steli d’erba piegati e divelti dal suo strazio, e hanno la consistenza della terra che penetra cedevole sotto le unghie, tra le ciglia, nei capelli, perfino nelle narici e tra le pieghe delle vesti.
Terra impastata di umidità, paura, e sofferenza sulle sue labbra, tirate a ferire il volto in una smorfia contorta.

Ha una sua perfida eleganza, il dolore, nel modo agile in cui s’inarca in un fiammeggiante ponte di luce: dalla punta della bacchetta di Voldemort, fino a congiungersi col suo petto ansante.
Leggero, solca l’aria, distorcendo le tenebre all’intorno.
Esaltandole nel suo bagliore irato.
Sono le molteplici pieghe in cui il tormento lo accartoccia al suolo, impotente e scomposto, ad essere oscenamente indecorose.
Così tenta d’imprimere alle sue membra una forza pari a quella della Cruciatus, per donare loro, se non fermezza, almeno la dignità di spasmi più controllati.
Un po’ come un Imperius privo di parole, che assecondi il rombo impazzito del cuore.

Prima era più facile.
Doveva sforzarsi di chiudere la mente, all’inizio.
Questo allontanava la percezione della tortura fisica.
Era necessario concentrarsi solo sui pensieri.
Ogni frammento di memoria era stato preservato o sacrificato con cura meticolosa.
I più innocui ad aprire le fila di quell’esercito di menzogne che solo poteva marciare in sua difesa.
Bugie preparate da tempo per reggere al vaglio dell’Oscuro Signore.
Somministrate con disperata perizia.
Una per volta. Con calma, misurando la voce sull’intensità dello sguardo, e accordando il respiro ai gesti. Plasmando la cera pallida degli zigomi e i vertici delle labbra, costringendoli ora a puntare verso l’alto, ora a segnare un solco pallido di contrito stupore sul volto affilato.
Come se non potesse credere che la sua lealtà fosse messa in dubbio.
Almeno finchè la Cruciatus non era iniziata, aveva adattato l’involucro di se stesso alle aspettative di quelle pupille di rettile, che lo fissavano, che erano dentro di lui; smaniose di penetrargli l’anima.
Un muscolo alla volta, aveva ricomposto, sulla tavola anatomica della propria espressione, una maschera cucita su misura.
La spia più preziosa di Silente indossa da sempre due maschere. Una di rigido argento, adesso giace abbandonata e riversa sul prato, a fissare il cielo notturno con le cieche orbite vuote. Le stelle, troppo distanti, non si prendono nemmeno il disturbo di riverberare la propria luce pulsante sul liscio metallo inanimato.
L’altra porta il suo stesso naso imponente e ricalca il suo viso, ma nemmeno lei è specchio fedele: non riflette che falsità.
Facendosene scudo, ha lasciato che gli occhi dell’Oscuro Signore s’incuneassero nelle sue iridi nere, scivolando sinuosi tra i misteriosi ingranaggi del suo cervello.
Meccanismi alla cui perfetta manutenzione sovrintende da anni, preservandoli dalle vampe dannose del sentimento col gelo sapientemente ricreato nel proprio petto.
Anche questa notte, hanno funzionato a dovere.
I ricordi che mai avrebbero potuto contraddire la sua recita schierati avanti e, nel fondo dell’anima, quelli che, se scoperti, avrebbero significato il fallimento totale di una vita di guerra. Accanto a loro, gelosamente trattenute, le memorie che, pur non tradendolo, conservavano per lui un senso speciale. Anch’esse riposte, nella speranza quasi inconscia di poterle conservare inviolate.
Ma, in realtà, lo sapeva: li avrebbe dati in pasto al serpente che dipanava le spire nel suo intimo, se fosse stato necessario.
Sarebbero stati immolati sull’altare di una causa il cui officiante era Albus Silente.
Senza esitazioni.

Pensieri, immagini, sensazioni. Severus Piton, da anni, sa dosarli tutti a meraviglia sul bilancino dell’inganno; simili a invisibili ingredienti della pozione più preziosa.
Li ha sapientemente miscelati, fino ad un attimo fa.

A volte, è riuscito perfino a vederli, man mano che li chiamava a raccolta o li celava ancor più in profondità.
Spesso, anche prima che Lui risorgesse, quando si esercitava nella complicata arte dell’Occlumanzia, preparandosi ad oggi, riusciva ad averne una visione nitida, come se fossero palpabili.
Erano e sono custoditi in scrigni di rimorso, caparbietà e desiderio di rivalsa, proprio come le strane creature preservate da liquide, potenti misture, nei barattoli del suo laboratorio.
Quando li ripone dentro di sè, lo fa sempre con ordine meticoloso.
Poco prima, aprendoli alla cupidigia di controllo dell’Oscuro Signore, in alcuni casi, ha potuto risentirne addirittura l’aroma.
Profumo di giorni conclusi e di attimi che si ripeteranno, ma, immancabilmente, avranno ogni volta un sapore lievemente diverso.
Quello della pioggia sui tetti di Hogwarts, ad esempio, è un ricordo che gli riesce addirittura di sentire sul palato. Rotondo e pieno come una spezia.
La molle terra ha un gusto diverso: sa di orgoglio ricacciato in gola e di senso del dovere.

Finchè la Legilimanzia è stato il solo strumento dell’avida e sospettosa inquisizione di Voldemort, gli è quasi sembrato di poter ascoltare, nel silenzio delle lapidi e del buio, il clack sonoro di ognuna di quelle memorie dischiuse ad arte; centellinate. Proprio come lo schiocco secco del coperchio di un recipiente di vetro, aperto da dita sicure.
Poi la Cruciatus ha sommerso quella fievole sensazione, col suo grido trionfante.
L’anatema usa le sue stesse corde vocali per irriderlo, proclamando il potere dell’Oscuro Signore.
L’erba ha voluto accoglierlo, meno infida delle gambe, che, cedendo alle lascive lusinghe della sofferenza, l’hanno lasciato cadere.
Da prima, quando è crollato in ginocchio, i fili sottili l’hanno accettato, lambendogli le vesti, umidi e freddi, quasi a dargli conforto dal calore che pareva sciogliere dall’interno tutto il suo essere.
Infine, in un contatto più intimo e prolungato, violentemente schiacciata sotto il peso del suo corpo, che le continue contratture trattenevano riverso al suolo, l’erba ha sofferto muta il suo stesso dolore.
Voldemort ha continuato a invaderlo col suo tossico potere, astenendosi solo dall’infrangere le delicate barriere che ancora lo tengono immune dalla follia.
Per il tempo di molti respiri spezzati, mentre combattere la Legilimanzia dell’Oscuro Signore si faceva man mano difficile quanto concedere ai polmoni la tregua di una boccata d’aria, Severus si è scoperto a pregare che la mano tesa dell’oblio lo soccorresse.
Anche il bacio corrotto dell’irreparabile demenza gli è parso desiderabile più di quello di qualunque amante.
Ma sapeva di non poter cedere, e non era questo il modo in cui poteva accettare davvero di perdere la propria battaglia.
Così ha inciso con un morso feroce l’interno delle guance, ingoiando quel tepore denso e dolciastro che gli rammentava di vivere, ed ha continuato a lottare.
Non ha sentito alcun male. Gli artigli della Cruciatus sono più acuminati dei suoi denti, e sanno azzannare in più punti contemporaneamente.
Alla fine ha vinto.
La propria sopravvivenza, e di sicuro la guerra per la supremazia sulla propria mente.
Il prezzo non è stato indifferente.
E’ così ogni volta. Anche i vincitori piangono lutti incalcolabili, sebbene fingano sempre che ne sia valsa la pena.
Lui ha dovuto sacrificare un piccolo manipolo di ricordi inermi.
Reminiscenze nude, impreparate a combattere, deboli rispetto alle menzogne guerriere di cui si circonda da sempre.
Bocconi della sua infanzia, sparute e rare gemme di gioia, o di infelicità e umiliazione, per lui non meno preziose.

Sua madre che gli mostrava per la prima volta un lungo legno sottile, agitandolo sotto i suoi occhi stupiti, spalancati sul fiorire di gemme rosse in un vaso, fino ad allora vuoto.
Aveva solo due anni, ma incredibilmente rammenta ancora a perfezione il delicato turgore ricurvo dei petali, arricciati come appena dischiusi nel soffio tiepido della primavera.
Ne ha risentito il profumo persistente e sottile.
Ha ascoltato di nuovo le parole di lei, gonfie d’orgoglio e aspettative: “Questa è una bacchetta magica, Severus. Un giorno anche tu ne possiederai una”.
E lui, con le manine tese ad afferrare quell’incredibile balocco, ancora agitate solo dall’infantile, banale, intento di portarlo alla bocca e saggiarne con i sensi la consistenza.

Le sue dita più adulte, magre, lunghe e lievemente nodose, strette per la prima volta a realizzare la profezia di quel giorno.
Ha ricordato la presa ancora lievemente esitante; i polpastrelli che seguivano i rilievi dello strano decoro inciso sul manico.
Olivander scrutava intento le varie prove. Solo due, in verità, dinnanzi a quegli inquietanti occhi velati, mentre lo stregone annuiva.
Nera d’ebano, robusta eppure flessibile, la sua bacchetta aveva vibrato per la prima volta, l’anima magica guidata dalla volontà e dal movimento ora sicuro del polso.
Dodici pollici e mezzo di legno pregiato, a rinchiudere scaglie del dorso di un Petardo Cinese. Il più esotico dei Draghi, per le ambizioni di un giovane mago che non aveva mai lasciato l’Inghilterra, se non a volte nei sogni di bambino.

Questi i due attimi della sua vita che, per primi, aveva abbandonato all’irrispettosa incursione dell’Oscuro Signore, come si fa con i moribondi, lasciati indietro sulla linea sanguigna del fronte.
Poi altri, cui preferiva non ripensare.
La tortura dei baci di Eileen Prince sulla sua fronte già pallida di bimbo, esposti al fiammeggiare delle iridi inumane di Voldemort, l’aveva ferito non meno di quella del corpo.
Ma si era lasciato profanare, ruggendo via la rabbia insieme al dolore, senza che nessuno potesse distinguere l’una dall’altro.
Non era stato più facile cedergli l’emarginazione dei tempi di scuola, il desiderio vano d’essere accettato senza dover soccombere all’omologazione, l’ira e il rancore verso i suoi aguzzini, l’affetto trasformato in insulto da uno sciocco contraccolpo d’orgoglio, e sputato come veleno sull’unica persona che mai l’avesse difeso.
Eppure, vi aveva aggiunto anche il grigiore di mille giorni tutti uguali dietro a una cattedra, la frustrazione delle proprie vocazioni, la meschinità umanissima che a volte lo corrodeva.
Non aveva risparmiato quasi niente, pur sapendo che, certo, avrebbe riavuto indietro ogni memoria, ma insozzata e irrimediabilmente contaminata dalla prepotenza del padrone di cui ancora portava il marchio inciso nella carne.
Aveva tenuto per sé solo i rimorsi, e i sentimenti che facevano parte del suo bagaglio di penitente e di spia.
Gli altri erano stati sospinti fuori dai loro rifugi, palesati a Voldemort, perché a volte esibire la propria fragilità ad un Legilimante è come mettere tra le sue mani un’arma letale, ma un ottimo Occlumante sa servirsi anche delle debolezze a proprio vantaggio.
E lui sapeva di esserne in grado.
Un tempo, l’Oscuro Signore aveva colto i segni delle sue incertezze e le aveva utilizzate per farne uno schiavo. Ora, si aspettava di avere nuovamente accesso libero e incondizionato alla sua mente.
Opporsi troppo strenuamente sarebbe servito solo ad insospettirlo, mentre lasciarlo rovistare incurante tra sensazioni e ritagli del suo essere, era il modo migliore per ingenerare in Voldemort nuova fiducia e false sicurezze.

Di tutto questo, aveva avuto piena conferma.
Infine, il suo antico mentore si era ritirato, lasciandogli in bocca e tra le tempie il sentore acre della propria dignità negata, come una scia corrosiva che non l’avrebbe mai abbandonato del tutto.
Ma lo scontro era cessato.
Forse l’Oscuro Signore continuava a non confidare ciecamente in lui, né si era aspettato che lo facesse, però non vi erano prove che Severus Piton avesse tradito gli ideali di gioventù, il suo Signore e i vecchi compagni.
Si era reso conto che questo significava continuare a vivere, solo una manciata di secondi dopo aver intimamente esultato per ciò che era appena riuscito a fare.
Mettere in scacco il più grande Legilimante di tutti i tempi.
Nemmeno il dolore era riuscito a spegnere l’impeto d’orgoglio che aveva sveltito i battiti del suo cuore.
Lui poteva mentire a Voldemort, perfino sotto tortura.
Stava finalmente per diventare l’uomo di Silente. Non più solo nell’attesa, ma anche nell’azione.
La vera partita era appena iniziata.
Solo in fondo alle viscere un piccolo nodo pulsante di malinconica pena lo tormentava, malgrado tutto.
Era la consapevolezza di quanto ormai la menzogna fosse connaturata in lui, al punto di sgorgare spontanea in sua difesa, divenuta ormai un automatismo talmente vitale e perfezionato che nemmeno per un istante aveva dovuto pensare a come servirsene.

Mentiva con la medesima meccanica facilità inconscia con la quale respirava o batteva le palpebre.
Se avesse dovuto riflettere per riuscirci, sarebbe morto.
All’Oscuro Signore non sarebbe sfuggita la mano che muoveva i fili dei suoi pensieri facendone marionette d’assalto.
Se era ancora vivo e poteva finalmente cominciare a combattere sul serio, era esclusivamente perché sapeva trasfigurare la bugia in realtà e la verità in inganno.
Eppure, l’accorgersene portava con sé l’amarezza di perdersi sempre di più.
Quanto restava ormai di Severus? Chi era Severus?
Aveva ricacciato indietro quest’interrogativo, sostituendolo con una muta preghiera: che un giorno saperlo, non avesse più alcuna importanza, nemmeno per lui.

Anche la Cruciatus si era conclusa, insieme con la prepotente Legilimanzia dell’Oscuro Signore.
Voldemort gli aveva concesso il tempo di tirare il fiato.
Sapeva che la tregua non sarebbe durata a lungo.
Fino ad allora, la tortura era stata solo uno strumento, un prolungamento atroce del potenziale invasivo con cui il suo antagonista gli aveva smembrato il cervello, alla ricerca di fedeltà o tradimento.
Ma l’Oscuro Signore non l’aveva ancora realmente punito per il gravissimo ritardo nell’accorrere alla sua imperiosa chiamata.
L’avrebbe fatto, Severus ne era certo.
Così, aveva approfittato del silenzio della notte, rotto solo dal tamburo impazzito del suo cuore, per richiamare a se le forze residue e placare la sete avida dei polmoni.
Poi, aveva tentato di rialzarsi.
Perché era nella sua indole orgogliosa e caparbia, e, per quella notte, aveva lasciato calpestare fin troppo la propria dignità.
Né Voldemort si sarebbe aspettato di meno da lui, sebbene fosse un’aperta sfida.
L’Oscuro Signore gli conosceva quest’ostinata fierezza e, almeno in questo, Severus Piton non era cambiato.
Aveva stretto i pugni, un attimo prima di sollevarsi sulle ginocchia tremanti, perché era sicuro che nell’esatto istante in cui fosse riuscito almeno in parte a rivendicare, anche nella postura, il suo decoro di uomo, Voldemort avrebbe ripreso il tormento, solo per esibirlo domo, dinnanzi alla platea silenziosa dei pochi Mangiamorte rimasti nel cerchio.
Non era stato smentito.
Ancora una volta, il fuoco rovente della Cruciatus aveva bruciato la sua volontà di affrontare il proprio nemico in piedi.
Ed era stato peggio, con la mente ormai libera di appuntarsi ossessiva solo sulle unghiate di dolore che, pur non spandendo il suo sangue, lo dilaniavano ripetutamente, affondando nei muscoli, saggiando la flessibilità delle ossa, grattando sulle corde tese dei nervi.

* * *



La nausea è verde, come la linfa che sanguina dai fili d’erba recisi, macchiando col suo sapore acidulo lo smalto dei denti, serrati in uno scricchiolio dolente della mandibola.
Non è ancora finita.
Severus non è più in grado di dire da quanto tempo continua.
Sebbene libera dalle incursioni dell’Oscuro Signore, la sua mente non percepisce più lo scorrere lineare del tempo.
Forse sono ore, o appena manciate di eterni secondi, minuti dilatati dallo sfilacciarsi della sua coscienza.
Un angolo recondito del suo cervello lotta ancora, con una sola priorità: non spegnersi definitivamente, perché Voldemort potrebbe tornare ad invaderlo in qualunque momento e la spia non può permettersi di farsi cogliere alla sprovvista.
Mai.
Il resto è buio ottuso, illuminato solo da quegli sprazzi di rossa sofferenza, a riversare nel suo stomaco verdi colate di disgusto, per farle poi risalire lungo la gola in lunghi conati a malapena trattenuti.
L’unico sforzo che riesce ancora a compiere coscientemente è quello necessario per affondare il capo nelle zolle devastate dai suoi spasmi e mordere, lacerando i gambi sottili che gli solleticano il viso, innocenti eppure condannati.
C’è stato un momento, non sa più dire quando, in cui il suono delle sue stesse grida arrochite è divenuto insopportabile più del dolore.
Inaccettabile degradazione, osceno e indecoroso omaggio ad una potenza di cui non riconosce più il dominio.
Così, farebbe qualunque cosa, pur di riuscire a non urlare.
Non importa se la terra gli lega la bocca, mescolandosi con la sua saliva.
Né del sentore di clorofilla morente che ormai gli invade anche le narici, acuendo la nausea.
Quasi non respira, premuto contro quel farinoso guanciale disfatto, ma passerà.
Rammenta a se stesso che in fondo lo merita, perché il sangue chiama sangue, ed il dolore è un dono che torna sempre tra le mani di chi per primo l’ha elargito.
E’ giusto, ma pensarlo lo riempie di un ribrezzo ancor più incontenibile, che nulla ha a che fare col cibo.
Lo riconosce anche nella vuota oscurità in cui affonda sempre più rapidamente di minuto in minuto: disgusto di sé, uno dei suoi più fedeli compagni.
Una presenza che gli cammina sempre accanto.
Eppure non può arrendersi.
Ha assicurato ad Albus che sarebbe stato in grado, che era pronto.
Non era vero. Almeno non completamente.
Sulla sua perizia ha contato fin dal principio, e non ne è stato tradito, ma non si è mai realmente preparati a lasciarsi violare mente e anima, per quanto si possa fingere di esserlo.

L’ennesimo conato che lo scuote gli rammenta che solo poche ore prima sedeva in Sala Grande, intento ad una rapida cena, prima dell’ultima prova del Torneo Tremaghi.
Non aveva mandato giù che pochi bocconi, svogliatamente, per nulla attento a quel che gli si materializzava di volta in volta nel piatto.
Il cibo, da sempre, lo interessa ben poco.
Ha, come tutti, qualche piatto preferito; ci sono spezie, aromi, sapori che lo allettano, o che gli rammentano attimi, colori, persone, al punto che a volte assaggiarli è un modo per ricordare o per concedersi piccole briciole di normalità.
Ciò nonostante, non indulge mai nelle profumate lusinghe della gola, un po’ per indole, e in parte perché la sua mente e il suo cuore si soffermano sempre su qualcosa di ben più grave rispetto alle gioie del palato.
Severus Piton si nutre perché deve, e nient’altro.
Gli basta anche solo ritrovarsi alle prese con una nuova pozione, o tenere per la prima volta tra le dita un volume mai letto, per scordarsi totalmente il cibo, ignorando perfino gli indignati brontolii del suo stomaco.
Quando più pressanti ansie gli rimbombano tra le tempie, pur non solcando la sua fronte con un corruccio evidente, allora potrebbe anche dimenticarsi di mangiare per giorni.
A volte è accaduto che lo facesse davvero.
A Spinner’s End, dove non ha l’obbligo di presenziare ai pasti di un’intera scuola, e sfugge al preoccupato controllo delle iridi chiare di Silente o al lieve tepore che sente, pur non ammettendolo, ogni volta che Minerva s’informa di lui, fingendo leggerezza e domandandogli se quella mattina ha fatto colazione. Del resto, lei palesa la medesima formalità distratta anche nel chiedergli, talvolta, se ha dormito abbastanza; la reale apprensione che la anima svelata suo malgrado dall’accentuarsi della dolcezza negli occhi severi.
Domani, magari, le leggerà in viso anche qualche nuova ruga, mentre lei lo scruterà in cerca di comprendere quale prezzo ha pagato per ottenere il proprio ruolo in prima linea.
Le risponderà brusco che è abituato a dormire ben poco, ma né la sua mente né il suo fisico ne hanno mai sofferto, e sbocconcellerà qualcosa, solo per dimostrarle che sta bene, anche se non è vero, ed ora il solo pensiero della tavola dei professori, appetitosamente imbandita, gli rivolta le viscere con una nuova ondata di nausea, quasi incontenibile.

Poi, all’improvviso l’anatema cessa di sezionargli le carni con la sua lama invisibile.
La voce stessa di Voldemort pare sovrastarlo, provenendo dall’alto, mentre il corpo appena rinnovato del mago oscuro getta la sua ombra di tenebra sullo spettacolo del suo, ancora prono e tremante.
“Voglio crederti, Severus. Vivrai per continuare a servirmi lealmente, come sempre” sibila freddo come vento di dicembre tra i rami ormai spogli di un albero.
“Mi aspetto grandi cose da chi ha osato non rispondere subito ai miei comandi, solo per tributarmi la sua fedeltà più assoluta… ”
Severus sente il brivido della certezza percorrergli la schiena, mentre le membra tremano al comando di una paura che non potrà mai frenare i suoi passi, ma che gli è impossibile non avvertire. La sente nel correre selvaggio del sangue di vena in vena.
Non sarà l’ultima prova cui l’Oscuro Signore lo sottoporrà. Finchè Voldemort avrà vita, la mente di Severus Piton dovrà essergli offerta.
Dovrà prostituire le sue emozioni e memorie alle voglie di un padrone, donando altre menzogne, come una puttana stanca elargisce sorrisi di cui non conosce la gioia, con gli occhi spenti e il cuore pesante.
Se è questo il prezzo per il riscatto della propria anima, lo farà, pur di veder spegnere un giorno la brace indegna di quegli occhi infuocati dell’altrui sangue.
“Del resto” e nel tono di Voldemort aleggia una sorridente minaccia che si rispecchia ferale sul volto deforme, senza illuminarlo, “da oggi in poi, c’è posto solo al mio fianco o contro di me. Ma tu sei intelligente, Severus, sai scegliere. Sai che non tollererò più alcun ostacolo alla mia ascesa”.
La pelle del mago percepisce ogni stilettata di velenoso avvertimento, attraverso quella voce, distorta quanto l’uomo da cui promana. La comprende, prima ancora che udirla, nel sollevarsi spontaneo dei rilievi del Marchio sull’avambraccio sinistro.
Il teschio si sta facendo più che mai nitido in quel preciso istante. Lo sa anche senza vederlo.
L’Oscuro Signore è in lui, e sempre lo sarà, con lasciva prepotenza priva di calore, finchè non l’avrà fermato.
“Alzati ora, puoi andare” è il distratto congedo ad uno schiavo la cui vita è stata appena risparmiata da chi l’ha comprata.
Gli viene graziosamente concesso di risollevarsi, gli viene consentito magnanimamente di camminare di nuovo a testa alta, se avrà forze sufficienti per farlo.
Col volto levato, come se fosse un uomo e non solo un oggetto su cui le arcane iridi di rettile non posano nemmeno più uno sguardo sdegnoso.
Ma è solo una farsa.
Lui conta meno di niente. Nessuno esiste per Lord Voldemort, se non come mezzo con cui raggiungere i propri fini.
Questo pensiero lo trattiene al suolo ancora per un momento, a tentare di ricomporre il volto perché non s’increspi in solchi profondi di rabbia, quando alzerà finalmente il capo.
Non può permettersi di mostrare quanto è grato e orgoglioso di essere un fragile e patetico essere umano, e non una creatura priva di qualunque sentimento come l’oscuro stregone che già gli volta le spalle.
Credeva di conoscere il ghiaccio di un cuore domato da anni di rinunce, ma c’è più gelo in un solo schioccare di dita del suo antico mentore di quanto mai ne abbia conosciuto nel silenzio vuoto del suo sotterraneo, o nelle notti interminabili d’incubi, pregni di struggente rimorso.
E’ abbastanza da soffocargli ogni calore nel petto, tranne quello, doloroso, che ancora gli impregna i muscoli indolenziti.
Voldemort si smaterializza senza più un cenno, e gli altri ne seguono obbedienti l’esempio, sforzandosi d’ignorare il terrore che ciascuno di loro ha provato per tutto il tempo: quello di divenire anche loro nulla più che un insignificante grumo di morte abbandonato tra le tombe immote.

Facendo leva più sulla volontà che sulle braccia, Severus si spinge a sedere sui talloni, tentando di non pensare alla terra che ancora crepita tra i denti, ostinati a non schiudersi per paura di lasciar uscire nausea e bile.
Solamente allora si accorgere di non essere solo nel vecchio cimitero dimenticato.
Peter Minus, Codaliscia, è rimasto indietro e lo osserva con un’espressione che riesce a riportarlo ai giorni di scuola.
L’orgasmo dell’aver assistito al suo strazio gli luccica ancora in fondo agli occhi, ridotti a due fessure dal crudele e profondo godimento.
“Sempre a terra, eh, Snivellus? Gli anni passano, ma tu non cambi mai: finisci comunque in ginocchio” lo beffa, pur avendo cura di tenersi a debita distanza dalla figura fremente ancora china sul prato.
L’esperienza gli ha insegnato che Severus Piton, per quanto vessato, è capace di azzannare il bastone con cui lo si pungola, in qualunque momento.
Non riceve in cambio lo scatto nervoso che s’era aspettato.
Se anche le gambe fossero già salde, Severus non sprecherebbe per lui un singolo cedimento del proprio ferreo autocontrollo.
Si alza lentamente.
Inspira.
Muove un breve passo vacillante, eppure deciso, in direzione dell’Animagus e la bacchetta è già stretta nel pugno. Il rilievo eccessivo delle nocche sul legno dell’impugnatura è l’unico segno esteriore della furia che lo anima.
“Ricorda, patetico ratto: non importa quanto tu ora sia vicino all’Oscuro Signore, io per te sono Severus Piton! Pronuncia ancora una volta solo mezza sillaba di quel nomignolo idiota, e ti giuro che sarai morto prima che la successiva faccia in tempo ad uscirti di bocca!”
Lo scandisce con tale composta malevolenza ad infiammare il nero delle iridi, da scordarsi di avere il palato ancora incrostato d’erba e ribrezzo.
Perfino Minus, arretrando, dimentica lo sfacelo delle vesti di Piton e non riesce più a scorgere l’inusuale groviglio annodato dei capelli corvini, normalmente trattenuti in due bande severe a incorniciare l’austerità del viso.
Vede solo una minaccia che gli si fa incontro sicura, e se si azzarda a replicare è soltanto per convincere se stesso che non potrà mai avverarsi.
“L’argento di questa” ribatte, alzando tronfio la sua mano nuova, ma ugualmente compiendo un altro passo indietro, “vale molto più di quello della tua maschera”. Gli occhi sporgenti lasciano correre lo sguardo allarmato fino al metallico viso da Mangiamorte dimenticato sul prato.
“Ho donato io al Padrone una nuova vita e un corpo. Non dimenticartene!” conclude, ma non osa ripetere lo sprezzante appellativo d’un tempo.
Severus non è mai davvero innocuo, e lui non intende scoprire se si può morire nell’intervallo che corre fra una esse e l’altra di un soprannome spietato.
Però, non sa andarsene senza un’ultima stilla di sadico piacere, quindi lo fustiga un’ultima volta “Eri un vero spettacolo, mentre ti contorcevi gridando. Eri molto meglio di quel ragazzino… L’ho ucciso io, è caduto esattamente nello stesso punto in cui non hai fatto che strisciare. Proprio lì, dove sei crollato. Potevi fare la sua stessa fine, ma sarebbe stato meno divertente starti a guardare”.
Poi svanisce svelto, in un impeto di codarda prudenza.

Finalmente solo, Severus si concede di cedere ancora. O forse, sarebbe tornato comunque all’abbraccio dell’erba, il cui sentore sulla lingua ora gli pare il fiele più amaro che abbia mai bevuto.
Quasi si aspetta di distinguere, tra terriccio e linfa, anche il sapore dolciastro del sangue di Cedric Diggory, ed un lungo conato lo piega.
Si chiude su se stesso, il viso tra le ginocchia.
Tossisce raccapriccio e saliva, premendosi le mani sullo stomaco, per frenarlo prima che riversi il suo contenuto sul tappeto erboso.
Gli parrebbe di compiere un orribile sacrilegio, di profanare una tomba.
Non può, deve riuscire a trattenersi.
Nel buio che lo circonda, è come se l’oscurità della notte avesse rubato alla solitaria distesa di steli tutto il verde, per riversarlo nella sua gola, cui tenta disperatamente di impartire l’ordine di serrarsi.
Alla fine riesce, ricacciando indietro anche le poche lacrime, scese a lavargli in due umide scie il volto contratto.
Le sente ancora, salate, agli angoli degli occhi e nel naso, mentre riesce a stento a infilare qualche respiro tra i colpi di tosse che gli squassano il petto.
Ascolta il battito del proprio cuore, ma sente soltanto l’assenza di altri battiti che si sono spenti prima del tempo, poche ore addietro.
Esclude anche quel suono straziante dalla propria mente, finchè non riesce a percepire esclusivamente il silenzio della tanta morte che ha intorno.
Questo lo calma, adagio.
Raddrizza le spalle.
Non aveva mai pensato di uscire indenne da questa notte, ma non tornerà al necessario scrosciare di una doccia e al fresco riparo delle proprie lenzuola, finchè non si sarà ricomposto.
Può mostrarsi così alla critica sfacciata delle stelle che lo occhieggiano tremule dall’alto, ma mai a Silente.
Riscopre piano i propri muscoli, convincendoli a non smettere di cooperare col cervello.
Si riappropria, con un gesto rapido, della più leggera tra le sue due maschere, quella d’argento, facendola sparire tra le pieghe del mantello. Poi torna ad indossare l’altra, assai più gravosa, dipingendosi il viso di fredda imperscrutabilità.
Rassettare e ripulire le vesti non lo purifica affatto. Non lo assolve dal passato, né dalla sensazione di non essere stato pronto abbastanza per evitare il ritorno di Voldemort e salvare una vita innocente.
Ingoia gli ultimi grumi d’erba e fango, rammentandosi che perfino Potter è stato ad un passo dal baratro, quella notte.
Tutto poteva andare perduto.
Ma non accadrà più che l’Oscuro Signore lo colga impreparato.
Non può permetterlo.
Ci saranno sicuramente altre Cruciatus, nuove menzogne propinate col veleno nel cuore, nuove vittime innocenti, ma prima o poi tutto questo avrà fine.
Forse lui non vedrà quel giorno, ma riuscirà a condurre Voldemort verso una distruzione che, finalmente, non preveda ritorno.



Lo giura, ad ogni singolo filo d’erba, alle lapidi, anche quelle che non affondano le loro immobili radici di marmo in questo cimitero.
Lo promette a se stesso, un attimo prima di smaterializzarsi, nel viola dell’alba che inizia ad allungare le sue dita di luce sugli angeli di pietra mutilati dal tempo, e sulle urne mute con le loro sbiadite incisioni di nomi e cordoglio.
E’ solo questione di tempo; un giorno, ogni conto sarà saldato.
Allora, se potrà, tornerà qui, a inginocchiarsi.
Ma solo per un dovuto dignitoso omaggio alla prima inconsapevole vittima della nuova guerra.

Fine



Edited by Ida59 - 7/7/2015, 12:04
 
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Witch Violet
view post Posted on 6/2/2007, 09:53




Spuntino

TORMENTI E MERENDINE DI ZUCCA

La colazione aveva lasciato un buco nello stomaco di Severus Piton, anche perchè non toccava cibo da giorni.
Nonostante tutte le cose deliziose che si potevano mangiare per lui aveva tutto un sapore aspro e stantio.
Non era il suo stomaco a stare a male ma la sua mente e il suo cuore.
Ogni volta che Severus provava a mandare giù un boccone gli si bloccava in gola.
Non riusciva a smettere di pensare a quante vite aveva tolto per il piacere di farlo e il rimorso di coscienza lo logorava, ma ciò non gli aveva mai tolto l'appetito però ultimamente il suo pensiero era uno solo: Il ritorno del Signore Oscuro.
Come si doveva comportare? Doveva distruggere la fede che Silente aveva riposto in lui o rimanere al suo fianco?
Forse l'unica soluzione era di stare a guardare lo svolgersi degli eventi e prendere poi posizione.
Mentre la classe svolgeva il compito assegnatole, Severus rivolse il suo sguardo stanco fuori.
Fuori.....cosa stava succedendo fuori da lì? Fuori dalle maestose e magiche mura di Hogwarts?
In quel momento sentì una fitta...a volte pensava alla scuola come alla sua casa. Un pensiero che ormai non gli capitava più di avere da molto tempo.
Il Torneo Tremaghi aveva però sconvolto il limbo nel quale viveva negli ultimi anni, quell'Harry Potter.... era tornato dal cimitero dei Riddle e aveva dato una notizia catastrofica per lui, Lord Voldemort era tornato.
Certo i segni c'erano da qualche tempo, ma ora nè aveva la certezza.
Severus aveva sempre pensato che il Signore Oscuro non sarebbe più tornato, sarebbe rimasto per sempre un "parassita" , ma le cose erano cambiate.
Un Mangiamorte resta per sempre un Mangiamorte o muore.
Questa era una verità che lui conosceva bene, non voleva scappare per tutta la vita e finire torturato o ucciso in modo crudele, come era capitato a molti genitori e parenti dei ragazzi a cui lui ora insegnava.
Era talmente immerso in questo turbinio di pensieri ed angosce che l'arrivo dell'intervallo lo fece quasi sussultare.
Guardava quei ragazzini mangiare le loro merende di zucca e in quel momento li invidiò, avrebbe voluto mangiarne una (da ragazzino erano le sue preferite) sentire il dolce profumo e il morbido pan di spagna, ma sapeva che non sarebbe successo.
Forse era meglio prendere una decisione il più in fretta possibile, così magari quel tormento sarebbe finito.
Severus però non si era accorto che mentre pensava al cibo, Harry lo stava fissando.
Ad Harry in quel momento sembrò che Piton stesse quasi "sbavando" , forse aveva molta fame? Solo allora, si rese ricordò che Piton non aveva fatto colazione quella mattina..anzi a dire il vero era parecchi giorni che vedeva il suo piatto ancora pieno quando si alzava dal tavolo.
Per la prima volta Harry si preoccupò del suo professore.
Severus sentì lo sguardo di Harry entrargli dentro come se stasse leggendo nella sua mente, lo guardò negli occhi e per un istante si sentì quasi a disagio.
Severus sbottò: "Potter non ti hanno insegnato che non si fissano le persone? Sei proprio un insolente come tuo padre"
Harry si voltò furioso e prese a parlare con i suoi amici, era stato proprio uno sciocco a preoccuparsi per quell'acido di Piton.
Severus era nervoso, quella sensazione di disagio la provava quando guardava Silente negli occhi. Ma forse erano solo paranoie che insidiavano la sua mente, forse era solo perchè in quei giorni aveva un senso di colpa troppo grande dentro di se, forse .... forse.
Sapeva che molti lo avevano perdonato per il suo passato, ma non era quello il suo tormento, era l'indecisione che in questi ultimi giorni provava, lo faceva sentire sporco, come se lo portasse scritto sulla fronte e tutti lo guardavano male e bisbigliavano alle sue spalle.
La mente gioca brutti scherzi a volte, anche per uno bravo come lui a padroneggiare i pensieri.
L'intervallo era finito.
Si ritornava alla lezione, forse spiegare un nuovo argomento ai ragazzi l'avrebbe distratto da tutto: da Harry, da Silente, dal cibo e dal Signore Oscuro.
Forse i suoi pensieri per quel giorno l'avrebbero lasciato in pace, così all'ora di pranzo forse sarebbe risuscito a mandare giù un boccone.
Allora si rese conto che c'erano troppi "forse" e troppe incertezze, era ora di decidere e mettere le cose in chiaro il prima possibile, non poteva aspettare in silenzio che qualcosa sarebbe ancora cambiato. La lezione incominciò......


FINE


<i>spero che il mio racconto vi piaccia, o cercato di fare del mio meglio anche se dopo aver letto i vostri racconti....mi sento una schiappa

Edited by chiara53 - 30/10/2016, 16:46
 
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view post Posted on 6/2/2007, 10:35
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I ♥ Severus


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Stai tanquilla, il racconto è molto bello, anche se il "mio" Severus non condivide certo l'indecisione del "tuo" Severus.
Ma visioni di Severus "diverse" sono più che lecite.

L'italiano va bene anche se ci sono alcuni piccoli errorini: appena avrò tempo li correggo e poi ti invio il file con le correzioni evidenziate, così ne puoi prendere nota.

Intanto, ti faccio i miei complimenti e rinnovo il benvenuto.
 
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Astry
view post Posted on 6/2/2007, 14:51




AAAAH! Ma alla fine me lo hai lasciato a digiuno :( . Io speravo che ne agguantasse una infilandosela di nascosto sotto il mantello. No, ripensandoci, Piton non lo farebbe mai, piuttosto muore di fame. Però che voglia di merendine. :lol:
 
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Astry
view post Posted on 6/2/2007, 20:53




Autore: Astry

Tipologia: One-shot

Personaggi: Piton e Lupin

Capitolo 2: Spuntino


Cioccolata



I suoi occhi nerissimi si posarono su quel piccolo piatto e sulla profumatissima tavoletta nera che spiccava tentatrice sulla porcellana finemente decorata.
-Cioccolata! –
Il viso del mago si contrasse in una smorfia disgustata: un sorriso malinconico, il suo maledetto sorriso, era apparso improvvisamente nella mente di Piton.
Remus Lupin, quello sciocco dispensatore di cioccolata, era tornato a Hogwarts per tormentarlo, e per giunta era riuscito a strappargli il posto che agognava.
Si guardò intorno, la Sala Grande era deserta.
Fece un passo avanti, quel piccolo dolcetto era davvero invitante, perché non approfittare?
Si chinò sul piatto e, con due dita, quasi con timore, staccò da un angolo un minuscolo pezzetto di dolce e se lo portò lentamente alle labbra.
Era davvero deliziosa.
Chiuse gli occhi, una sensazione di pace e di benessere lo invase.
Possibile che uno come lui potesse ancora provare piacere per qualcosa? Ne aveva ancora il diritto?
Si guardò la punta delle dita, erano sporche di cioccolata; le sue labbra si piegarono appena in una smorfia, mentre si imponeva di resistere alla tentazione di compiere il gesto banale di leccarsi le dita.
No, non sarebbe stato da lui, per Silente, per Lupin e per qualunque altro uomo, sarebbe stata la cosa più naturale del mondo, ma non per Severus Piton.
Sembrava quasi che, negandosi questi piccoli piaceri, volesse in qualche modo impedirsi di vivere appieno.
Senza neanche pensarci si lasciò cadere sulla panca di legno dove, ogni giorno, decine di studenti prendevano posto in attesa di gustare l’ultima prelibatezza creata per loro dagli Elfi domestici. Si portò la mano in tasca, non quella sporca di cioccolata che continuava a tenere col palmo rivolto verso il proprio viso, contemplando le prove inequivocabili del suo piccolo misfatto, ma l’altra, quella ancora pulita e “innocente”. Afferrò tra pieghe del mantello una pergamena sgualcita, sulla quale brillava un sigillo aperto di un rosso sgargiante. La srotolò stentatamente con una sola mano per non sporcarla di dolciume, e restò a contemplare la scrittura minuta che la riempiva completamente.
Quante inutili parole, pensò.
Silente, evidentemente, aveva sentito il bisogno di sprecarne parecchie per giustificare la sua scelta. Forse credeva che un fiume d’inchiostro sarebbe bastato a portarsi via la sua rabbia e la sua delusione. Si sbagliava.
Le dita si strinsero rabbiosamente sul foglio.
Avrebbe potuto semplicemente parlargliene di persona, eppure aveva scelto questo modo più distaccato: un filo continuo tracciato con una grafia elegante, per spiegare perché, l’uomo che odiava, ora si trovava dietro la cattedra che lui aveva sempre desiderato.
Meccanicamente la sua mano tornò sul piccolo piatto, un altro pezzetto di cioccolata si spezzò tra le dita sottili.
“Hogwarts ha bisogno di te Severus”, gli aveva ripetuto fino alla nausea il vecchio mago.
“Non possiamo rischiare che la maledizione possa allontanarti dalla scuola”.
Certo, lo sapeva, aveva giurato di fare tutto ciò che era in suo potere per rendere Hogwarts un posto sicuro. Si era ritrovato persino a fare da angelo custode a quel piccolo impiastro di Potter.
Si portò quella piccola briciola di piacere alle labbra, quasi a voler contrastare, con il suo sapore dolce, l’amara delusione che aveva provato.
I suoi occhi continuavano a muoversi lentamente seguendo il filo di quelle parole, “Remus sarà un ottimo insegnante”.
La pergamena scricchiolò pericolosamente fra le dita del mago fin quasi a strapparsi, mentre le sue pupille nerissime erano come risucchiate da quelle frasi che ormai conosceva a memoria
“Sono certo che saprai lasciare da parte i vecchi rancori e accettare di collaborare con lui”.
No, questa volta Silente si sbagliava, si sbagliava di grosso. Aveva messo un lupo dentro una scuola, come poteva essere stato così folle.
I denti stridettero in modo sgradevole, ma, immediatamente, il dolcetto liberò il suo aroma dietro le labbra contratte del mago, domando, almeno in parte, le fiamme della sua collera.
Severus allungò di nuovo il braccio sul piatto, questa volta con rabbia. Un altro pezzo della profumata tavoletta cedette alla pressione delle sue dita con un sonoro schiocco.
Scosse il capo: Silente stava commettendo un grosso errore, se ne sarebbe reso conto molto presto, il vecchio pazzo doveva solo augurarsi che la sua sconsideratezza non costasse delle vite.
- Severus! – Il mago bruno sussultò, la sua mano scivolò nella tasca del mantello, nascondendo la pergamena agli occhi del nuovo arrivato.
- Lupin! – grugnì gelido.
L’altro si avvicinò, fermandosi esattamente alle spalle di Piton. Il professore di Pozioni era praticamente pietrificato sul suo sgabello, con la schiena innaturalmente diritta, una mano in tasca stretta attorno alla lettera del preside, e l’altra sul tavolo chiusa a pugno per nascondere le macchie di cioccolata che imbrattavano allegramente i suoi polpastrelli.
Lupin si sporse da sopra la spalla dell’altro fissando il poco di dolce che restava nel piatto.
- Vedo che hai approfittato del mio spuntino Severus, niente funziona meglio della cioccolata per riacquistare il buon umore, non trovi? –
- Questo lo credono gli sciocchi. – gli angoli della sua bocca si sollevarono lentamente a formare qualcosa che somigliava ad un ghigno minaccioso, mentre gli occhi neri dardeggiarono in quelli grigi dell’altro quasi a volerne forare le pupille.
- Tu, invece, non hai tardato molto a metterti a tuo agio qui dentro, vero Lupin? – La sua voce era mortalmente bassa.
- Non dovresti lasciare le tue cose in giro, questa sala non è la tua cucina.-
Si alzò lentamente fronteggiando l’altro mago, - ora, se non ti dispiace… -
- Beh, sì, in effetti mi dispiace, mi dispiace questo tuo atteggiamento. – Rispose Remus, incrociando le braccia in segno di sfida.
- Io mi preoccupo solo dell’incolumità dei ragazzi di questa scuola, ma questo è un problema che non ti sei mai posto. –
- Credi che non mi stia a cuore il loro benessere? O ne fai una questione personale? -
- Quello che ti sta a cuore non mi riguarda affatto, Lupin, ma se qualcuno perderà la vita a causa della tua sconsideratezza, non ti basterà un po’ di cioccolata per dimenticare i tuoi problemi. –
- Tu ne sai qualcosa, non è così? –
Gli occhi del mago bruno scintillarono pericolosamente.
Lupin si morse il labbro, forse si era spinto troppo oltre, non voleva ferirlo. Trattenne il fiato, mentre aspettava la reazione di Piton.
Per un attimo, ebbe l’impressione che l’aria si fosse congelata intorno a loro come se fosse diventata solida. Il mago dai capelli neri, abbassò la testa senza, però, distogliere lo sguardo dagli occhi grigi del suo interlocutore, uno sguardo che faceva paura.
Lupin fece istintivamente un passo indietro: al di là di quelle iridi scure aveva visto l’inferno.
- Sì, io lo so. – Disse, semplicemente l’altro, ma qualcosa nella sua voce fece rabbrividire il nuovo Professore di difesa, mentre un pensiero agghiacciante s’insinuava nel suo cervello: se James non l’avesse fermato, quell’inferno sarebbe stato anche il suo.
Lupin rimase muto a fissare il suo ex compagno di scuola che, voltandogli le spalle, infilò rapidamente il grande portone della sala.
Per un attimo il mantello si gonfiò come una vela tra le ante della porta per poi sparire col suo proprietario lasciando l’altro mago a contemplare pensieroso il corridoio deserto.

Fine



Edited by Ida59 - 7/7/2015, 12:04
 
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view post Posted on 6/2/2007, 23:18
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I ♥ Severus


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La storia è splendida e già te l'ho detto.

E questo è Severus prima dell'arrivo di Lupin.

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Nykyo
view post Posted on 6/2/2007, 23:34




Astry, continua così che vai alla grande. Lo sai che sei splendida, non smettere di scrivere o mi tocca cruciarti per farti ricominciare, adoro i tuoi racconti ^___^
 
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Astry
view post Posted on 7/2/2007, 13:08




CITAZIONE (Ida59 @ 6/2/2007, 23:18)
La storia è splendida e già te l'ho detto.

E questo è Severus prima dell'arrivo di Lupin.

(IMG:http://www.geocities.com/itobriderek/sexysevxmasdev.jpg)

Ahahah! Ma questo alla fine ha ceduto, il mio le dita non le ha mica leccate, no, no! :D

CITAZIONE (Nykyo @ 6/2/2007, 23:34)
Astry, continua così che vai alla grande. Lo sai che sei splendida, non smettere di scrivere o mi tocca cruciarti per farti ricominciare, adoro i tuoi racconti ^___^

No, pietà non mi cruciare, io non ho mai detto che non scriverò più, se mi verrà in mente qualcosa lo farò, per ora sono in pausa di riflessione ;)
Comunque sono in arretrato con i disegni, quando mi sarò spicciata gli esami penso che dovrei dare la precedenza alle matite. Si sono sentite un po' tradite ultimamente.

Astry
 
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DamaVerde
icon12  view post Posted on 8/2/2007, 11:54




(Ops! Non vorrei fare un errore, ma parlando con Ida tempo fa credo di aver capito che dopo aver inserito, come le avevo promesso, la breve breve storiella per la sfida in tema culinario... dovessi poi inserirla pure qui? Ho compreso bene? Nel caso stessi commettendo un terribile errore comportante la mia decapitazione... vi prego di cancellare subito! xD)


Alla Fine della Notte



Personaggi Principali: Severus Piton ed i Mangiamorte
Genere: One-Shot
Rating: Per tutti



E’ dolce la sera. Offre una consolazione malinconica, antica. Mi fermo alla finestra, aspetto, osservo il mondo che passa. Il tramonto, il primo buio.
Attendo la notte.

Buonanotte… Londra.

Ascolto ed osservo. Socchiudo gli occhi ed immagino un colore per questo vento sottile che scivola tra le fessure, solleva le tende. Corteggia la luce, la dolce fiamma della candela.
A volte… la spegne.
Io so che questo vento è rosso come la furia, come la passione, come la vita. Come l’ultima scintilla della fiammella che si lascia domare. Ed anche quando resta solo oscurità, io so che è stato fatto per amore. Solo per amore.

La luce si è spenta, si sono riaccese le stelle. Sopra Londra, sopra I banchi di nebbia e fumo. Sopra di noi. Oltre la vetrata.

Il Signore e la sua Corte.
C’è lui al centro di tutto, lui con la sua strana luce oscura. Un punto buio in una stanza nera. Il potere, il destino, la morte. E noi. Noi raccolti in preghiera.
Il Signore e la sua Corte. Ecco!
Un’immagine sospesa a metà tra un dipinto dell’Ottocento, ed un mosaico Bizantino. Mi piace pensarlo.
Così il cerchio è perfetto. L’Oscuro Signore, e noi. Lucius alla sua destra, ed io alla sua sinistra… come angeli castigatori al fianco di un dio irritato dalla stupidità degli uomini. E Bellatrix con una rosa rossa tra i capelli e gli occhi accesi come tizzoni ardenti, e Rodolphus che con un sorriso sbilenco sul viso non la perde di vista neanche per un solo istante, con l’adorazione che solo l’amore sa dare, l’amore che ha resistito al dolore ed alla privazione. Antonin nell’angolo più scuro, Evan che sfiora i suoi dadi da gioco attraverso il tessuto della giacca. Tutti gli altri.
Siamo noi, senza maschere. Più veri che nella luce di mille soli.
E’ così; quando la Corte si ritrova in un cerchio che comprende tutti i nostri sogni, le nostre speranze, i nostri sentimenti ed i nostri rimorsi… non ci sono più maschere; quelle le lasciamo per il resto del mondo, per chi crede che solo quello che si muove nella luce sia puro e vero.

E quando persino le stelle cominciano a spegnersi e tutte le decisioni più amare sono state prese… l’Oscuro Signore arretra verso i battenti della finestra e verso i suoi desideri che lui solo conosce… lì dove nessuno può raggiungerlo, e noi attendiamo un gesto di Lucius, quasi un gesto galante verso le porte che si aprono per incanto sulla nostra piccola stanza dei piaceri.
Allora i profumi delle spezie si rivelano senza nascondere nulla: la cannella, il cacao, lo zenzero. Il delizioso aroma degli arrosti e dei dolci, e lo splendore degli argenti.
Sappiamo essere uniti nel dolore, lo siamo nella gioia.
E’ in questi momenti che non ho dubbi sulla mia, sulla nostra umanità: qualcuno ha detto che ciò che conta è il fine, ma non la strada che intraprendi per arrivare. Altri ancora, al contrario, scrivono che quel che importa è il viaggio e non la meta.
So che non è così semplice, ma non ho mai creduto che questa persona chiamata Severus fosse “semplice”. Non lo sono. Ma come ogni altro essere umano al mondo, che sia un mago o che non lo sia, che viva qui o a migliaia di chilometri di distanza… so apprezzare il piacere di una cena con le uniche persone che abbia mai creduto amiche. Questo fa di me una persona comune nonostante tutto. Anche questo conta.
- Allora, Severus? – la voce di Lucius mi richiama spesso dalle mie riflessioni. Lui mi da una piccola pacca sulla spalla, come si usa fare tra amici, e attende che anche io varchi la soglia del nostro giardino delle delizie.

Quando avevo molti anni di meno, quando ero bambino, abitavo in un villino grigiastro senza altro orizzonte che la imponente sagoma di una ciminiera, con l’imperativo di non poter mai aprire la finestra senza essere soffocato dagli effluvi di quella che di solito viene chiamata “civiltà moderna”: sbuffi di vapore e banchi di fumo.
Ma certe notti avevo l’impressione che nonostante i vetri chiusi… un piccolo spiffero di vento riuscisse ad entrare, a scivolare verso il mio letto… e sapeva di curry, e di spezie esotiche, di vecchie storie, di viaggi, di avventure. Di una umanità differente… Lo racconto così, in breve. Due parole per dire di anni di fantasticherie.
…E se avessi aperto la finestra mi sarei affacciato su un mondo più vasto, privo di ciminiere. Un immenso e puro giardino. Un giardino profumato dei piaceri provenienti dai quattro più remoti angoli del Creato.
Nel mondo che verrà, in quel mondo che desidero costruire… non ci saranno più ciminiere: forse quello che ho visto è uno dei motivi per quello che sono.

- Allora, Severus? Cosa stai sognando adesso? -
Gli sorrido – Chissà… -
Anche Lucius sorride prima di correre incontro a Narcissa che, come una brava padrona di casa, già ci aspetta dall’altra parte.
Così siamo qui, ancora qui tutti insieme.
- Ancora un pò d’arrosto, grazie. -
Sono questi i momenti in cui riesco davvero a “sentire” i sapori, a cercare i retrogusti, a immaginare nuovi modi per esaltare quella carne o quel dolce; forse per il resto del tempo digiuno solo per questo. Certi giorni, immerso tra vapori e provette dimentico ogni altra cosa. Ci sono solo i miei esperimenti. Ma non adesso: lo ripeto ancora ed ancora a me stesso, sollevando una forchetta d’argento e sorridendo ad un cosciotto di pollo.
La nostra cena, la Corte alle prese con i più innocenti e goduriosi divertimenti. E dopo… ancora qui, quando già albeggia.
E ogni volta so che la poltroncina foderata di velluto verde sarà mia, che siederò con un calice di vino scuro come il sangue tra le dita, ed allungherò i piedi verso le braci ardenti nel camino. Narcissa si sarà addormentata sul divanetto senza finire una partita a scacchi, e Lucius sarà scivolato al pianoforte. Bellatrix e Rodolphus staranno discorrendo a voce bassa, lei con la punta delle dita e l’angolo della bocca ancora sporchi di zucchero a velo, e lui con un vassoio ormai vuoto in una mano ed un fazzolettino di lino nell’altra. Evan immerso in un solitario a carte, ed Antonin immobile come una sentinella al balcone. Barty perduto nella lettura di un libro.
Ciascuno di noi ha qualcosa da fare, ciascuno di noi sa cosa deve fare.
Ciascuno di noi sa quando essere una persona… e quando un soldato.
Sappiamo vivere, oltre che dare la morte.
E tutto questo ha un senso per noi, per me.
Continuiamo a credere, a sperare. A vivere.
Ecco perché sorseggio ancora questo vino, e sorrido. Sorrido al futuro, alla fine di quella che chiamano notte.

Buongiorno, Londra.

*Fine*
 
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view post Posted on 8/2/2007, 18:23
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I ♥ Severus


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Non temere Mac, non sei passibile nè di decapitazione nè di cancellazione.

Era da un pezzo che non leggevo tue storie ed anche il tuo stile, come quello di altri, cambia con il tempo: questo vuol essere, al tempo stesso, un complimento per come la storia è scritta e un rimpianto per la "tua" passione che qui è mediata dalla lirica e dal sofisticato mezzo letterario usato che rende però un certo "distacco" del protagonista dalle "passioni" della vita, mentre invece è proprio una di queste (la gola e i piaceri della tavola) che la storia intende sottolineare.

Non so se mi sono spiegata, ma ho trovato una certa dicotomia tra lo stile utilizzato, le parole e le immagini evocate e, invece, i significati della storia, per lo meno come io li ho interpretati (che poi, magari sono io che ho interpretato male!)

Come dire, la tua storia ha evocato in me immagini delicate e sfumate, suoni melodiosi e colori armoniosi, ma non sono riuscita a percepire la passione che, nel mio personale modo di vedere, è la sola che mi può permettere di sentire il profumo del cibo e di gustarne il sapore.

Quello che mi è rimasto, invece, è uno strano senso di malinconia, che per altro non capisco da dove salti fuori, e devo quindi presumere che si tratti solo della mia personale e diversa reiterpretazione del personaggio di Severus che, nella tua storia, dovrebbe essere intimamente soddisfatto, mentre a me lascia un non so chè di... non saprei dire, incompletezza, forse.

Edited by Ida59 - 8/2/2007, 19:18
 
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view post Posted on 8/2/2007, 22:20
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I ♥ Severus


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Per fare il punto della situazione, ecco i pezzi scritti fino ad ora: ben 16 alll'8/2/07)

COLAZIONE
Colazione in Sala Grande di Ida59

SPUNTINO
Cioccolata di Astry
Tormenti e merendine di zucca di Witch Violet

PRANZO
Materne preoccupazioni di Ida59

MERENDA
La pausa del tè di Boll11

CENA
Richiamo paterno di Ida59
La punizione di Nykyo

RELAX DOPO CENA
Riflessi di sangue di Ida59
Brindisi per un amico di Ida59

SPUNTINO DI MEZZANOTTE
Non voglio il tuo aiuto di Astry (Sfida)
Il brindisi di Stefi (Sfida)
L'ultima cena? di OcchioMalocchio (Sfida)
In alto il calice di Rowixyz
Il Cenacolo di Stefi (Sfida)
Erba di Nykyo (Sfida)
Alla Fine della Notte di Mariacarla

Edited by Ida59 - 7/7/2015, 12:05
 
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view post Posted on 11/3/2007, 22:06
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Ragazze, il termine del 31/3/07 si sta avvicinando.

Oltre a me e Boll (che avevamo manifestato anche l'intenzione di partecipare alla sfida) chi altro ha iniziato/intende iniziare a scrivere una storia, e da inserire in quale capitolo?

Ritenete necessario allungare il termine o pensate di farcela?


Io avrei bisogno di più tempo, perchè ancora non ho neppure cominciato a pensare alla trama.

Inoltre, io e Niky abbiamo pensato di aprire un account su EFP a nome del forum e di pubblicare le storie della raccolta "A tavola con Severus" inserendone una alla settimana.

Siete tutti d'accordo, vero?

Edited by Ida59 - 7/7/2015, 12:06
 
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293 replies since 6/1/2007, 15:13   7253 views
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