Il Calderone di Severus


Sei personaggi in cerca d'autore - 4° Turno
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Storia 2 - Oltre il Ritratto4 [44.44%]
Storia 3 - Oltre la Morte3 [33.33%]
Storia 1 - Conversazioni Notturne2 [22.22%]
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Sei personaggi in cerca d'autore - 4° Turno

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view post Posted on 30/4/2012, 23:29
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Pozionista provetto

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La mezzanotte è passata da un po' e quindi il turno è ufficialmente concluso!

Sempre all'ultimo! :truce:
Vi mando da Gazza a pulire i bagni! :truce:

Passando a cose più serie (anche quelle sopra lo sono, badate bene, vi tengo d'occhio :soppracciglio:)...

Il personaggio di questo turno era: Aberforth Silente

I partecipanti:

- pingui79
- Swindle
- Ele Snapey
- halfbloodprincess78


I voti sono stati 9 e tutti confermati e, con 4 voti, la vincitrice è

:ola: La storia n.2 - Oltre il Ritratto :ola:
di Ele Snapey



Complimentissimi, Ele! :D

La storia vincitrice riceverà come premio il banner-vincitore del concorso FA annesso "Sei quadri in cerca di pittore".



Con 3 voti abbiamo la storia n.3 - Oltre la Morte di halfbloodprincess78
E con 2 voti la storia n.1 - Conversazioni Notturne di pingui79

Complimentissimi a tutti e vi aspetto al prossimo turno! ;)
 
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view post Posted on 30/4/2012, 23:35

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Complimenti alla vincitrice!!!
:ola: :ola: :ola:
 
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arcady
view post Posted on 30/4/2012, 23:37




Incredibbole: stavolta avevo indovinato le autrici!! Di solito toppo clamorosamente! Yehii :lol:
Ok, a parte i miei sproloqui: complimenti a tutte, davvero e un paio di :applauso: :applauso: per la nostra giudice favolosa! Anastasia mi fai troppo rotolare!! :lol:
 
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view post Posted on 30/4/2012, 23:46
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Pozionista provetto

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Meno male che vi faccio ridere almeno :lol: :P



Punteggi del 4° turno

Ele Snapey - 12 punti
halfbloodprincess78 - 9 punti
pingui78 - 8 punti

 
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Ale85LeoSign
view post Posted on 1/5/2012, 11:09




Ecco il meritatissimo banner per la vincitrice. Ancora complimenti, Ele!


vincitore_4o_turno_MINI


CODICE
[IMG]http://s19.postimage.org/6xifkh7tf/vincitore_4o_turno_MINI.png[/IMG]

QUI, invece, nella CLASSIFICA, potete trovarlo in formato più grande.



GLI AUTORI DELLE STORIE SONO INVITATI AD INVIARLE SU MSS!

 
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view post Posted on 1/5/2012, 22:05
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Scusate il ritardo ;) Sono reduce da due giorni pesantissimi di lavoro (ebbene sì, ero in fiera anche oggi) e solo poco fa ho potuto scoprire di essere la vincitrice di questo turno: grazie infinite a tutte, non me l'aspettavo proprio, confesso che sono moooolto felice!! :lol:
Ieri sera, poco prima della scadenza del tempo riservato alla votazione, entrando nella discussione per lasciare il mio voto... ho deciso di non assegnarlo, perchè entrambe le altre storie partecipanti mi sono piaciute talmente che non me la sono sentita di dare una preferenza: se avessi votato per l'una avrei fatto un torto all'altra. Le ho trovate così diverse ma così belle tutte e due che, perdonatemi, ho deciso di astenermi, lasciando l'onere della scelta a chi non fosse coinvolto nella sfida ;)
Ma adesso voglio commentarle, (questa volta ho perfino riconosciuto lo stile delle autrici ;) :P) congratulandomi prima di tutto con le altre due mitiche sfidanti :D

Conversazioni Notturne, porta la inconfondibile firma di Kia, che scrive a mio avviso in modo perfetto, raffinato, profondo e coinvolgente. Tanto di cappello alla tua straordinaria capacità narrativa e introspettiva, che mi ha catturato anche stavolta ed è lo specchio della tua profonda sensibilità. Splendide le figure di Severus e Aberforth, tratteggiate in modo assolutamente perfetto, bella l'idea di farli muovere in questo contesto notturno, misterioso, avvolgente che ho gradito molto. Le poche battute che si scambiano i due sono davvero azzeccate e denotano la grande attenzione che hai dedicato loro, entrambi uomini di poche parole ma di forti sentimenti, e che sei riuscita a rendere in modo squisito. Complimentissimi Kia! ;)

Oltre La Morte, invece è stata da subito nelle mie corde, perchè io e Cla ragioniamo, anzi, forse è meglio dire che su certe cose "S"ragioniamo, alla stessa maniera :lol: Nella tua storia, in alcuni punti, ho letto ciò che avrei potuto scrivere io, e mi ci sono trovata dentro fino al collo. ;) Ottimo il contesto in cui hai deciso di farli incontrare e agire, ma quello che ho adorato è stato ciò che si sono detti, con il cuore, esattamente come avrei voluto che succedesse. Magnifico Aberforth, vecchio ma ancora energico, stanco ma mai domo, provato dal dolore ma sempre in grado di tenere testa a chiunque, molto umano, un vecchio leone ruggente: questo E' Aberforth, e l'ho amato da subito. Bravissima Cla, la tua storia è bellissima e scritta inoltre molto bene, i miei più sinceri complimenti! ;)

Edited by Ele Snapey - 1/5/2012, 23:21
 
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ettore70
view post Posted on 8/5/2012, 10:44




OK, sono tremendamente in ritardo per il voto, ma da qualche parte dovevo pur ricominciare a leggere le stupende storie che ospita Magie Sinister, non trovate?

Volevo complimentarmi con tutte e tre le autrici (e grazie a Dio che son fuori tempo per il voto, avrei avuto grossi problemi ad assegnarlo!) per scritto delle storie veramente ben fatte, intrise di spunti che provocano forti emozioni in chi le legge.

Ma soprattutto per aver degnamente rappresentato Aberforth in tutte e 3 le opere! :D

(e questo in me solleva una certa curiosità: non è che - per certi aspetti - troviate Ab un po' affine a Severus? :P )

Ok, passo ai rapidi commenti:

Conversazioni Notturne mi ha colpito per la dignità data ad entrambi i personaggi, per le sensazioni forti trasmesse dalle scene stesse in cui si svolgono i diversi atti, per quel passo - evidenziato in primis da chiara53 - che è veramente notevole!

Oltre il Ritratto ha nel POV di Ariana un colpo di genio, così come l'aver inserito la storia nel contesto del settimo libro.
E Aberforth è veramente reso alla grande! ^_^

Oltre la Morte mi ha colpito per la sagacia e la lungimiranza data ad Aberforth e per aver reso Severus un po' più umano (sarà l'effetto "quasi" post-mortem? :P ).
Ma - per me - è da applausi la chiusura della storia:
CITAZIONE
Piton annuì e gli voltò le spalle, girandosi solo un’ultima volta, quando pensava di essere ormai lontano per essere visto: Aberforth era sulla soglia e nel chiaro scuro dato dalle luci della casa e la notte che l’avvolgeva ricordava incredibilmente il fratello.
Severus rimase immobile un istante a guardarlo e mentalmente salutò entrambi scomparendo poi lento e silenzioso, come una nera nube nell’oscurità.

 
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view post Posted on 25/1/2017, 15:24
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- Conversazioni Notturne di Pingui79

* Atto Primo: Assoluzione e Incomprensione *



Notte limpida e chiara, sei piacevolmente mite nel tuo tepore di metà giugno.
Luna piena, regina incontrastata, illumini d’argento questo piccolo villaggio, cullando gli abitanti tra le braccia di Morfeo.
Tutto è quiete silenziosa, non un filo di vento: l’insegna del pub non disturba nessuno, immobile, si astiene dal suo solito e ritmico cigolio.
Ci sono solo io per le strade deserte, figura ammantata di cupo blu, curvo come se d’improvviso mi fosse stato gettato addosso il peso di secoli interi. A che mi è giovato ritrovare la forza di lottare? A che, se con queste mie stesse mani di vecchio ho dovuto abbassare le palpebre a giovani vite spezzate? Se chiudo gli occhi, rivedo ogni singolo volto di quei ragazzi e le viscere mi si stringono in una morsa d’orrore.
Dove sto andando non lo so nemmeno io, so che vado avanti, sempre avanti, in una qualsiasi direzione. Ogni tanto gioco a smuovere qualche sasso dalla strada e lo faccio rotolare con il piede sinistro una volta, due volte, come quando ero bambino e mi divertivo con Albus.
Albus… dovunque tu sia, so che stai bene, che non sei stato ucciso a tradimento, so che sei stato talmente stupido e avventato da cercare di servirti di un oggetto maledetto per mendicare un perdono tardivo. L’hai voluto chiedere a loro, a lei, perché sapevi che io non te l’avrei dato.
Ed ora che vorrei, è troppo tardi. Mantenere il rancore per anni non è servito a nulla, non a riportare indietro Ariana, mi ha solo allontanato da quel che restava di tutta la mia famiglia. Tu.
Merlino, sono diventato smielato. È colpa tua anche questa.
Quando la strada diventa sentiero, mi accorgo di essere uscito dal villaggio: ho preso la direzione del lago.
Coincidenza?
Non lo so, ma scelgo di proseguire e accelero il passo.
Giungo alla lapide bianca assieme all’ultima persona che in questo momento vorrei vedere, Severus Piton. Credevo di poter avere un attimo di quiete, invece sento la tensione che sale alle stelle. Non sono pronto, non ancora, per parlare con lui.
Scelgo il silenzio come unico atteggiamento.
Rimango a lungo immobile, straniero al mio vicino, con il mio dolore tenuto ben stretto e la mente impegnata in un lungo monologo. Quando me ne torno a casa non lo degno di uno sguardo, ripromettendomi di non incrociare una seconda volta la strada di quest’uomo.
Quattro sere più tardi, stesso luogo, stessa ora. E stessa situazione, non è possibile.
Ho da offrire solo silenzio e diffidenza.
Giugno scivola via in un luglio particolarmente umido e piovoso.
Al terzo incontro è il temporale a parlare, sovrastando con i suoi tuoni la muta domanda che rimane nell’aria e che non mi sento di porre. Il buio della notte è squarciato da lampi abbaglianti.
A metà del mese rompo gli indugi, stanco oltremodo di lacerarmi l’anima.
«Ho una gran voglia di lanciarti uno Schiantesimo da manuale, Piton.» Forse anche qualcosa di più, ma preferisco lasciarlo sottinteso. Ha l’acutezza per comprenderlo.
«Ne avresti tutte le ragioni.»
Risposta piatta e del tutto prevedibile, che non mi dà soddisfazione alcuna. Mi allontano stizzito per non schiantarlo davvero.
Altre notti, altri incontri, altri silenzi. Uno scambio di battute in quasi due mesi, per me, è anche troppo. Chissà se il caldo di agosto, che si preannuncia soffocante anche nelle ore serali, saprà operare il disgelo.
*
Lucciole.
Sì, proprio quelle che inseguivo quand’ero piccolo, tentando di acchiapparle a mani nude; quando ci riuscivo, sbirciavo pian piano con un occhio solo tra le mani chiuse a conchiglia, per vedere da vicino quel misterioso prodigio.
Questa notte sciamano all’impazzata, comunicando tra loro in taciturno e luminoso linguaggio.
Mi distraggo a seguirne le scie fioche ma ben visibili, complice la luna che si mostra solo in un piccolo spicchio e concede spazio all’oscurità.
Severus non è ancora arrivato. O magari proprio non viene. E chi mai gli ha dato appuntamento?
Devo proprio essere uno stupido, per sentirmi a disagio e guardare in continuazione verso il castello.
La realtà è che, di tutto il mondo magico, il solo verso cui nutro tanta circospezione quanta comprensione, è proprio lui.
Nel tempo, il silenzio ha vagliato ogni riflessione davanti a questa tomba, setacciando ogni sentimento e purificandolo da tutto il profondo livore che ho serbato per anni, prima contro mio fratello e poi contro colui che lo ha ucciso.
Sono diventato un vecchio con un onesto desiderio di pace, che ora vorrebbe solo levare il peso della colpa a chi è stato più vittima di me.
Per questo, quando finalmente ne sento i passi, sospiro di sollievo.
«Sei in ritardo.» Io e gli approcci gentili non siamo mai andati d’accordo.
«Lo so.»
Sorrido: sulla prontezza di spirito di quest’uomo posso sempre contare.
«Ho ancora voglia di schiantarti, lo sai?» Lo provoco per indurlo a parlare.
Si volge a guardarmi. Provo pena per il suo dolore, per questo mi avvicino di un passo per portarmi al suo fianco.
Questa notte di fine agosto è la notte delle assoluzioni, ho deciso. Notte di cambiamento, notte di lacrime da versare, notte in cui finalmente voltare pagina.

* * *




Per la terza volta in pochi minuti Fanny pigola sbattendo impazientemente le ali, infastidita dalla luce che non ne vuole sapere di spegnersi e lasciarla dormire in pace. Sbuffo, più divertito che seccato, in realtà. Ho appena finito di rimproverare il ritratto di Albus che da quasi un’ora mi sta assillando perché vada a riposare, adesso anche la Fenice ci mette letteralmente il becco, dettandomi la tabella di marcia del convalescente.
Due contro uno, non ho molta scelta. E di sonno, però, ne ho ancora di meno.
Non protesto oltre, ma d’impulso mi getto il mantello sulle spalle e mi appresto ad uscire: ho voglia di una boccata d’aria; questa sera piacevolmente mite invita ad uscire dal castello.
Fanny piega il capo di lato, scrutandomi con i suoi occhi neri come piccole perle lucenti ed emettendo un cinguettio interrogativo. Non resisto, prima di uscire mi lascio andare ad un gesto di tenerezza verso la mia salvatrice: una delicata carezza sul vivace piumaggio. Pigola dolcemente e quando finalmente l’ufficio piomba nel buio, in un attimo ripone il capo sotto l’ala.
Quando riconosco l’ombra che si avvicina alla lapide, stringo convulsamente la bacchetta nella tasca del mantello, allarmato. Aberforth ha parecchi motivi per volermi morto, o almeno schiantato all’istante.
Invece non parla. E non mi sogno di farlo io, anzi, meglio tenersi a debita distanza.
No, non ho paura di lui, ma percepisco che la mia presenza sta violando il suolo che calpesta. Per la seconda volta nella mia vita io, carnefice, sosto presso la tomba di chi ho ucciso e quest’ultima colpa non è meno grave della prima per essermi stata esplicitamente imposta.
Solo dopo che il vecchio mago torna sui suoi passi, posso finalmente dare libero sfogo alle lacrime.
Un’allucinazione, non può che essere questo. Così penso quattro sere più tardi. Al Fato non ho mai creduto e non mi basta una semplice coincidenza per convincermi, ma… dannazione, odio sentirmi a disagio. Ci separano pochi metri ed un abisso di incomprensione. Non mi sento pronto a colmare né gli uni, né l’altro.
A metà di un luglio che sembra ottobre, un violento temporale s’abbatte sul castello, scuotendolo fin dalle fondamenta. Fa da perfetta cornice al mio animo ancora inquieto. Esco fuori, ignorando le proteste di Albus, di tutti i ritratti e perfino dei fantasmi delle Case, che vorrebbero trattenermi al chiuso come se fossi un bambino malaticcio. Con questo tempo è impossibile che l’altro Silente si sia avventurato per strada, almeno avrò un momento tutto mio, fosse anche sotto il finimondo.
E invece no, la luce dei lampi non mi trae in inganno.
Ora esigo una risposta.
Invece mi astengo dal porre qualsiasi domanda.
Giorni dopo, le prime parole che mi rivolge non entreranno certo in gara per il discorso più sdolcinato del pianeta, ma come potrei dargli torto?
«Ho una gran voglia di lanciarti uno Schiantesimo da manuale, Piton.»
«Ne avresti tutte le ragioni.» Dico monocorde, senza distogliere lo sguardo dalla lapide marmorea. Sarà pur buio, ma altri due occhi azzurri che mi fissano, così simili e vivi, non li posso ancora reggere. Se ne va con un grugnito di stizza, cercava un pretesto per uno scontro che non ho voluto dargli.
E torno a barricarmi nella mia roccaforte di ghiaccio.
*
Enotera.
I delicati petali gialli si sono schiusi per ricevere il bacio delle stelle e per spargere generosamente il loro dolce profumo nell’aria calda di agosto.
Il tragitto ormai mi è tristemente noto, conosco ad occhi chiusi ogni avallamento del terreno, ogni stelo d’erba. Aspiro con voluttà la fragranza dell’estate, come se la sentissi per la prima volta, ma trarne gioia mi fa sentire come un ladro colto in flagrante.
La bellezza della vita che mi è stata concessa è un regalo che non ho potuto rifiutare; Merlino solo sa se però avrò mai il coraggio di scartarlo.
Aberforth questa volta è già lì. Mi secca non essere arrivato puntuale ad un appuntamento mai cercato.
«Sei in ritardo.»
Rude come il solito, è una delle costanti di questo mondo su cui posso ancora fare affidamento.
«Lo so.» Non ci penso nemmeno a farmi cogliere alla sprovvista.
«Ho ancora voglia di schiantarti, lo sai?»
Cos’è, una minaccia? Mi volgo a guardarlo, mentre un Protego non verbale è già pronto nella mente e sulla punta della bacchetta. Io non mi sono ancora perdonato – né mai lo farò – da lui non posso aspettarmi altro che astio.
Invece fa un passo verso di me.


* Atto Secondo: Compassione e Commozione *



Si aspettava davvero uno Schiantesimo, devo avere un’aria più truce di quello che penso.
Non mi resta che andare dritto al sodo. Se lo lascio troppo sulle spine è possibile che sia lui a schiantare me.
«Non è stata colpa tua, Piton. Mettitelo bene in testa.» Mi costano, mi bruciano queste parole, per quanto sono veritiere.
Non ho odiato del tutto quest’uomo quando ho avuto la possibilità di farlo, poiché ero troppo impegnato a maledire Albus per il suo sogno di grandezza e le sue conseguenze; non lo odio ora che so quanto coraggio gli è costato ogni istante in questi ultimi anni di vita.
Il sentimento dell’odio non mi appartiene più.
«Non è stata colpa tua.» Ripeto, perché comprenda che non sto scherzando.
Continua a fissarmi allibito, immobile come una statua di sale. Lo tradiscono solo le palpebre, che si abbassano per celare ogni pensiero.
Se è orgoglioso anche solo la metà di quanto credo, non si rassegnerà tanto facilmente a darsi pace. Difatti scuote la testa, caparbio, gettando al vento il mio tentativo di riconciliazione.
«Sei più testardo di un Ippogrifo riottoso!» E m’accorgo di urlare, con la voce rotta dal pianto che a stento trattengo.
Guardo queste mani nodose, di vecchio, incise dal tempo. Vuote. Non possono più stringere nulla, la mia inflessibilità mi ha privato anche dell’ultimo affetto, lasciandomi da solo a parlare con i morti. Non auguro questa esistenza a nessuno, soprattutto a quest’uomo che ha ancora tanti anni davanti e che potrebbe rifarsi una vita come si deve.
La compassione, ultimo atto di questa commedia, spezza definitivamente la diga e le parole escono come un fiume in piena, inarrestabili.
Gli racconto di me e di Albus, di Ariana; per troppi anni ho sputato veleno, evitando di accostare anche solo nella mente questi due nomi di fratello e sorella. Ora non più. Ho dovuto perderli entrambi per ritrovare loro e me stesso.
Parlo, parlo a non finire ed intanto la luna tramonta, mentre dal lago spira una brezza leggera che dona ristoro.
So cosa siano soffrire e pentirsi e adesso che il peso degli anni grava su queste mie membra, voglio lasciarli andare lontani. Sono stato vecchio dentro per un tempo infinito e lui è sulla buona strada per fare peggio di me.
Sono disposto a rendere accettazione e perdono, per proseguire il cammino e sperare che lui faccia altrettanto.

* * *




La minaccia di incantesimo resta tale e non riesco a nascondere il sollievo. Ho già dovuto alzare la bacchetta contro Minerva, anche se solo per difesa, non desidero doverlo fare anche con lui.
«Non è stata colpa tua, Piton. Mettitelo bene in testa.»
Parole assurde, a cui non credo. L’Anatema è dalle mie labbra che è uscito. A prescindere da tutto quel che è accaduto in precedenza, io rimango l’assassino del mio unico amico. Di suo fratello.
«Non è stata colpa tua.» Ribadisce.
Per me potrebbe ripeterlo altre mille volte, non servirebbe, non potrebbe cancellare quel che è stato. Scuoto la testa, io non mi posso perdonare.
«Sei più testardo di un Ippogrifo riottoso!»
Urla all’improvviso, ma la roca voce gli trema.
Si guarda le mani e come se da esse traesse ispirazione comincia a parlare senza posa. E non s’accorge, perché non lo può sapere, che sta usando le stesse parole di Albus. No, non simili, proprio le stesse, per narrare di un tempo passato custodito in uno scrigno di rimpianto e risentimento.
Lo lascio sfogare, mentre mi è nota ogni cosa.
“Guardami” disse Albus in un freddo pomeriggio di aprile di un anno fa – una vita fa – mettendomi al corrente di quella parte che non conoscevo di lui, obbligandomi ad ascoltare in silenzio. Ha messo tra le mie mani un testamento di puro rimorso, accompagnato da calde lacrime che non mi sono sentito degno nemmeno di asciugare, ma che ho solo potuto condividere. Se pensava di facilitarmi il compito ingrato di ucciderlo, ha fallito in pieno: gli ho voluto ancora più bene, ammirando soprattutto l’uomo che ha saputo accogliermi e perdonarmi – perché aveva imparato e sofferto a proprie spese – e non solo il mago potente ed incomprensibilmente magnanimo.
Parla ancora, Aberfort, senza avvedersi di piangere. Posso vedere le sue lacrime luccicare alle prime luci dell’alba. Questo vecchio che si svela nel pianto e che per età mi potrebbe essere padre mi commuove nel profondo.
Sofferenza e pentimento, dice. Questi li posso comprendere a pieno, mi sono compagni da sempre. Beato lui che sa lasciarli andare. Io me ne sento ancora avviluppato, troppo poco è passato perché le mie ferite siano sanate.
Accettazione e perdono, dice ancora.
Per me.
Ecco un altro regalo, ma questa volta ho la forza di non accettarlo.


* Atto Terzo: Speranza e Futuro *



Scuote ancora la testa e si volta per andarsene, più sordo di un blocco di pietra. Alla malora, non posso certo fargli da balia! Che se ne torni alla sua vita ed io alla mia.
Invece lo trattengo. Non ho mai lasciato le cose a metà e non sono disposto a fare un’eccezione proprio ora. Sta a vedere che mi tocca schiantarlo veramente perché mi presti ascolto.
«Qui ed ora, oppure mai più! E avrai fallito sul serio.» Forse sono un po’ troppo burbero e melodrammatico, ma rimandare al domani è cosa da riservare alle inezie, non al voltare pagina finché si è in tempo.
Ci sono momenti in cui lasciare il proprio fardello a terra è ancora più faticoso che metterselo sulle spalle. Per questo trema, in una lotta tutta interiore che posso leggere senza troppo sforzarmi, perché ne conosco ogni colpo.
Non mi aspetto che davvero demorda, non sarebbe da lui, esigo soltanto un piccolo spiraglio.
«Un’altra volta.»
Lascio andare la presa, soddisfatto.
Non è un rifiuto.
Ha lasciato trasparire un barlume di speranza, speranza in un domani in cui sarà capace di passare dal sopravvivere al vivere senza provarne tormento.
S’incammina verso il castello e torno anch’io sui miei passi. Se riesco, ho qualche ora di sonno prima di riaprire il locale.
Nessun accordo, non serve, la prossima notte che vorrò venire in questo luogo saprò con certezza di trovare la sua compagnia, la compagnia di un possibile amico. Seguiremo i dettami del Caso, fino a quando una lapide bianca non sarà più l’unico argomento di conversazione.

***




Me ne vado, volto le spalle ad un sostegno in cui non avrei mai riposto fiducia, tanto gratuito quanto incomprensibile.
Invece mi afferra il braccio destro. Che si chiami vecchio quanto vuole, la sua presa è salda come poche. Sfido che da giovane non abbia avuto problemi nel rompere il naso ad Albus.
«Qui ed ora, oppure mai più! E avrai fallito sul serio.»
È imponente nel darmi questo ultimatum. Occhi che scrutano e ti sondano l’anima, scandagliandola in lungo ed in largo. Anche i suoi. Più fratelli di così non potrebbero essere.
Tremo, perché quest’uomo che avrebbe ragione di pretendere almeno la mia dimora fissa ad Azkaban, esige invece che io mi perdoni.
«Un’altra volta.» Rispondo.
Un altro giorno, quando le stagioni saranno passate a decine ed io avrò imparato ad essere meno inflessibile con me stesso. Quando avrò smesso di svegliarmi nel cuore della notte, incredulo davanti all’assenza di un Marchio Nero sul braccio.
Sto ragionando al tempo futuro.
Annuisce, lasciandomi andare, senza chiedere altro.
Ce ne andiamo simultaneamente, senza un saluto. Ci sarà di sicuro una prossima volta e un’altra ancora e forse, prima o poi, riusciremo a dirci qualcosa senza per forza dover rievocare il passato, riuscirò a guardarlo e vedere in lui soltanto Aberforth, un possibile amico e non solo il fratello di Albus.
 
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view post Posted on 25/1/2017, 15:37
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- Oltre il ritratto di Ele Snapey




Ciò che è accadde quella notte cambiò sicuramente il corso degli eventi.
Da tanti anni osservavo pazientemente tutto quello che avveniva sotto i miei occhi, con un pizzico di speranza che qualcosa potesse mutare.
Ma il pavimento in pietra sempre più sudicio, il vecchio tappeto sempre più liso, i vetri incrostati di polvere da cui ormai era quasi impossibile gettare occhiate all’esterno, e il decrepito caminetto nero di fuliggine, così da tempo immemore, tali sarebbero rimasti.
L’unico, vero cambiamento a cui avevo assistito era stato il progressivo ma inesorabile incanutirsi della barba e dei capelli di Ab. Nulla di sconvolgente, a dir la verità, ma che la diceva lunga su quanti lustri fossero passati da che aveva iniziato a gestire l’attività.
Un giorno, finalmente, ebbi anch’io il mio bel da fare, da quando cioè alcuni studenti scoprirono il passaggio segreto che collegava il castello alla Testa di Porco.
Ancora oggi trovo che fu una coincidenza incredibile e fortunata, ma si sa come le cose non avvengano mai per caso.
Ab se ne servì per far arrivare le provviste (e non solo) ai “ragazzi della resistenza”, come li chiamava lui: vi assicuro che rischiò grosso, con tutti i Mangiamorte che si aggiravano per Hogsmeade e frequentavano il locale, ma lo fece sempre con semplicità e coraggio e io, ancora oggi, sono fiera di lui per questo; a dire il vero orgogliosa di mio fratello lo sono sempre stata ma, da quella notte, lo sono ancora di più, e non solo di lui!
Anche quella sembrava una serata come tante altre; le ronde di Mangiamorte erano appena passate da High Street per il solito giro di controllo sul rispetto del coprifuoco.
Li avevo sentiti vociare per un bel pezzo, fino a che non erano giunti in fondo alla strada.
Ab aveva ripulito il bancone e rassettato un po’, dato da mangiare al vecchio gatto e sistemato la scorta di Idromele arrivata con la fornitura del pomeriggio.
Poi era salito al piano superiore; stava spegnendo le lampade a olio, prima di dirigersi in camera per coricarsi, quando, alle mie spalle, avvertii un rapido movimento, il sussurro di una presenza che però mi parve piuttosto lontana.
Di una cosa ero certa: qualcuno aveva imboccato l’ingresso del tunnel ad Hogwarts, e stava scendendo cautamente lungo il passaggio segreto…
Fortemente turbata mi voltai per dare un’occhiata al percorso, e Ab se ne accorse.
Mi guardò, aggrottando le sopracciglia folte, e io mi irrigidii scuotendo il capo lentamente: no, chi stava avvicinandosi non poteva essere uno dei ragazzi.
Attendemmo, immobili, trattenendo il fiato per parecchi secondi ma, nonostante fossi sicura di non essermi ingannata, nessuno appariva ancora dietro di me.
Ab, allora, si portò l’indice alle labbra, mi fece segno di non fiatare, e si acquattò nel massimo silenzio dietro la sudicia tenda che celava la piccola dispensa in cui si trovavano le bottiglie di Whiskey Incendiario.
Quasi contemporaneamente sentii l’approssimarsi di una misteriosa, invisibile presenza e mi spostai, lasciando libero il passaggio.
Avvertii un lieve spostamento d’aria, il vago sentore di un delicato profumo dalla fragranza amara, e il tonfo leggero delle scarpe che toccavano il pavimento. Udii appena il rumore dei passi che percorrevano prudentemente l’area illuminata dal debole chiarore dell’unica lampada rimasta ancora accesa.
Tornai al mio posto, giusto in tempo per vedere finalmente di chi si trattasse.
Lentamente, si delinearono i contorni della figura di un uomo alto, magro, dai lunghi capelli corvini, paludato in un grande mantello nero, intento a guardarsi attorno circospetto.
Esitai, osservandolo affascinata: il raziocinio mi suggeriva che avrei dovuto temerlo ma l’istinto, per una qualche misteriosa ragione, mi tranquillizzò sulla sua natura.
Ad un tratto, sul volto pallido dai tratti nobili e austeri, affiorò un’espressione vagamente stupita che ammorbidì l’impenetrabilità della fisionomia.
Si spostò di fronte al caminetto, alzò gli occhi tanto neri da sembrare dei tunnel senza fondo e mi esaminò; ricambiai lo sguardo malinconico e grave in cui, improvvisamente, vidi apparire quello che mi parve un moto di sgomento. Indietreggiò di qualche passo e, al centro dell’ampia fronte, apparve una ruga profonda.
A dir la verità ci rimasi anche un po’ male: ma che gli avevo fatto?
Fu a quel punto che ad Ab venne l’idea di uscire dal nascondiglio.
Lo sconosciuto si voltò di scatto verso il fruscio che aveva sentito provenire da destra, e Ab rimase nella penombra della dispensa, senza proferire parola, limitandosi ad osservarlo.
L’uomo sbiancò ulteriormente: incapace di staccargli gli occhi di dosso, continuò ad arretrare fino a che non trovò una sedia a sbarrargli la ritirata, su cui crollò e, credetemi, fu proprio un bene che ci fosse stata, perché, a giudicare dall’espressione sconvolta e il colorito cinereo, avrei giurato che fosse sul punto di svenire.
Mio fratello avanzò, in silenzio, con il volto teso. L’altro schiuse la bocca, ma quello che riuscì a emettere fu solo una specie di gemito strozzato.
- Guarda, guarda chi si rivede… Severus Piton. – esordì Ab, uscendo dal cono d’ombra.
Stralunata, spostai lo sguardo da mio fratello all’uomo rigidamente seduto: e così era lui!
Era lui… Il traditore, l’assassino di nostro fratello Albus, (Aberforth non aveva potuto impedirmi di ascoltare le conversazioni fra lui e i ragazzi della resistenza) il preside Mangiamorte che sentivo nominare e, allo stesso tempo, maledire e insultare tanto spesso da quando Neville e Seamus venivano qui a ritirare le scorte di cibo.
Mai l’avrei immaginato così! Mi ero sempre figurata un individuo spregevole, dall’aspetto rozzo e l’espressione arrogante, malvagia, e invece…
Intanto Piton, che aveva ritrovato un po’ di colore, si rialzò, tenendo gli occhi, simili a carboni ardenti, fissi in quelli azzurro cielo di Ab.
- Che cosa le succede, Preside? A giudicare dalla sua faccia, si direbbe quasi che abbia visto un fantasma! – continuò mio fratello, pungente, lanciandogli uno sguardo di sfida.
Piton raddrizzò le spalle socchiudendo le palpebre, e inclinò leggermente il capo come a voler analizzare attentamente ogni singola molecola dell’uomo che aveva di fronte.
- Suppongo lei sia… - La sua voce, profonda e ben modulata, mi colpì al pari dell’aspetto.
- Non può ricordarmi: l’ultima e unica volta che ci siamo incontrati è stato parecchio tempo fa… Ma lei era molto giovane e, se la memoria non mi inganna, troppo impegnato in esecrabili attività di spionaggio.
Piton accusò la stoccata; sul volto apparve, fugace, una smorfia che tentò di mascherare volgendo lo sguardo dalla mia parte, e ciò mi permise di cogliere, negli occhi cupi come una notte senza luna, il riaprirsi di una ferita mai cicatrizzatasi.
Conoscevo a spanne ciò che era successo tanti anni prima. Albus doveva incontrare una certa veggente, alloggiata qui, e a conoscenza di un importantissimo segreto riguardante Colui-che-non-deve–essere-nominato.
Però, durante il colloquio privato che si stava svolgendo nella camera di quella tal Sibilla Cooman, Ab aveva scoperto una persona intenta ad ascoltarli, di nascosto, fuori dalla porta.
In seguito, cogliendo sprazzi del discorso che si era svolto tra i miei fratelli, avevo colto anche il nome di Severus Piton tra uno scambio di battute e l’altro, e avevo intuito di come fosse riferito proprio al giovane che Ab aveva pescato ad origliare.
- Invece la stupirò, dicendole che la ricordo benissimo: lei è la persona che mi colse fuori da quella maledetta stanza, Aberforth. – il tono con cui Piton si era espresso sembrò stanco. Anche mio fratello reagì con sorpresa: forse si era aspettato di dover affrontare un nemico più ostico.
- Deduco di essere approdato alla Testa di Porco. – continuò, guardandosi attorno con attenzione.
- Già… - Ab gli rivolse un’occhiata guardinga: adesso arrivava il difficile, perché avrebbe dovuto giustificare l’esistenza di un passaggio che, da lì, portava fino alla Stanza delle Necessità.
- Si starà domandando come abbia fatto a scoprirlo… - proseguì l’altro.
- Non faccio fatica a immaginarlo! Grazie alla sua straordinaria abilità come spia e doppiogiochista sarà stato piuttosto semplice, per lei, pedinare e mettere nel sacco un manipolo di marmocchi, seppur molto volenterosi, non è vero?
- In un certo senso… - Piton passeggiò lentamente per il salotto, sfiorando con la punta delle dita lo schienale della poltrona sdrucita, accanto al camino, e osservò con sguardo penetrante l’oste.
- O forse, chissà… ne sono sempre stato a conoscenza! – concluse, accennando a un sorriso ambiguo.
- Quello che mi domando davvero, invece, è come sia arrivato fino a qui senza che nessuno l’abbia vista. – replicò il vecchio, accigliandosi.
- Oh, mi è bastato creare una semplice Pozione dell’Invisibilità. Una volta assunta mi da modo di aggirarmi come e quando voglio nei posti più disparati, per un buon lasso di tempo. Le assicuro che mi è di grande utilità. – rispose l’altro, abbastanza divertito, estraendo da una tasca interna del mantello una fialetta colma di liquido denso e ambrato.
Calò un silenzio pesante, in cui i due uomini si studiarono a vicenda, come grossi felini pronti a balzare l’uno addosso all’altro; improvvisamente, Aberforth sfoderò la bacchetta e la puntò al petto del preside.
- Mi dispiace, ma capirà certamente come stavolta sia capitato in un posto disparato dal quale non posso più permettermi di lasciarla uscire, caro professore. – gli occhi di mio fratello brillavano di fredda determinazione. Lo guardai incredula: come poteva pensare di eliminare quell’uomo, persuaso che non si sarebbero verificate conseguenze anche molto gravi?
Piton non si scompose minimamente: si limitò ad allargare appena le braccia, con il palmo delle mani rivolto verso chi lo stava minacciando, a dimostrazione di come non avesse nessuna intenzione di afferrare la propria bacchetta per difendersi. Il volto era perfettamente impassibile, lo sguardo affilato come un pugnale, e non potei fare a meno di ammirare, in cuor mio, il suo sangue freddo.
- Non vorrà colpire un uomo disarmato, Aberforth. Pensi a quello a cui andrebbe incontro… E per ricavarne cosa, in fin dei conti? – la sua voce suadente, convinse per un attimo Ab ad abbassare la bacchetta.
- Oh, so bene che mi ritroverei tra i piedi in men che non si dica un intero plotone di Mangiamorte… Ma quantomeno mi consolerà il pensiero di aver liberato il mondo da un traditore, vigliacco e assassino! – ringhiò, tornando a puntarla diritto al cuore dell’avversario.
Rivolsi di nuovo uno sguardo supplicante ad Aberforth, sperando che mi prestasse attenzione e desistesse così dal compiere un gesto sconsiderato. Ma fu di nuovo Piton a fermarlo, e in modo disarmante.
- Non sono un vigliacco… – nella sua voce vibrò evidente una nota di dolore mista ad amarezza, che mi fece venire la pelle d’oca. – E nemmeno un traditore.
Gli occhi erano incredibilmente penetranti, il respiro leggermente più affannoso, ma per il resto nulla era cambiato nel suo atteggiamento: aveva continuato a rimanere immobile, con le braccia sempre un po’ staccate dal busto, ad offrirsi come bersaglio inerme sotto il tiro della bacchetta di Ab.
- Ehi, che cosa stai cercando di propinarmi, adesso? – sembrò improvvisamente che l’oste fosse tornato a rivivere l’episodio di molti anni prima. – Un’altra delle tue fandonie, come quella che inventasti la sera in cui ti pescai a spiare dal buco della serratura? – abbaiò, avvicinandosi minacciosamente al professore.
- Dico semplicemente che non voglio più essere accusato per ciò che non sono!
Il giovane mago scandì le parole lentamente, con chiarezza, mentre il volto si era trasformato in una maschera di pietra su cui erano scolpite rabbia e sofferenza.
Ne rimasi impressionata e, a quanto pare, anche mio fratello che, per qualche istante, si limitò a osservarlo sconcertato, dopo aver abbassato di nuovo il braccio che brandiva l’arma.
Socchiuse le palpebre dietro le lenti a mezzaluna, lanciandogli un’occhiata estremamente diffidente.
- Sei bravo a fregare la gente, ma con me non attacca, mi spiace… Con quale coraggio puoi affermare il contrario, dopo quello che hai fatto? Chiunque ormai sa quello che sei, realmente.- sibilò, pieno di livore.
Piton, mortalmente pallido, rimase in silenzio, senza abbassare lo sguardo in cui mi sembrò di veder brillare qualcosa… forse solo il riflesso delle fiamme nel caminetto. Per un attimo parve anche vacillare, infatti chiuse gli occhi e appoggiò la mano sul tavolo accanto a lui come per sostenersi. Quando li riaprì tornò a puntarli, determinati, in quelli brucianti di mio fratello.
- Allora che aspetti, Aberforth? Uccidimi pure, se è questa la cosa che adesso reputi sia più giusto fare!
Non so che cosa passò in quel momento per la testa di mio fratello, ma intuii, scorgendolo straordinariamente assorto, che doveva essere qualcosa di dannatamente difficile da elaborare: a un certo punto lo vidi sbiancare, nei suoi occhi baluginò un lampo di comprensione poi, sul volto, si allargò un vago sorriso che pian piano si trasformò in una preoccupante risata.
- No, non è possibile… Anche tu… anche tu sei stato vittima dei grandiosi piani di Albus! Ti ha costretto ad obbedire alle sue richieste assurde? Dimmi, ho indovinato? – Ab non riusciva a smettere di ridere ma il suono di tanta ilarità, anziché rallegrarmi, mi ghiacciò il sangue nelle vene, perché in quella eccessiva spensieratezza erano racchiusi dolore e rimpianto per una vita trascorsa nell’ombra, a custodire il segreto di un passato familiare ingombrante e sciagurato.
Piton attese senza parlare che la reazione di Aberforth si placasse. Quando così fu, i due uomini tornarono a fronteggiarsi ancora più seriamente. Ab ripose la bacchetta.
- Dunque, è vero? E’ stato lui a chiederti di ucciderlo? – chiese in tono grave.
Il silenzio del giovane preside fu più eloquente di mille giustificazioni.
- Merlino… E’ proprio andata così, allora… Conoscevo molto bene mio fratello, e so che può averlo tranquillamente fatto. Vedi, lei è Ariana, nostra sorella. – mi indicò con un lieve cenno del capo e, quando Piton si concentrò sul mio ritratto, per un attimo mi mancò il respiro. Ab continuò, dopo una breve pausa che gli servì a raccogliere i ricordi.
- Non so se ti abbia mai parlato di lei. Non credo… Quindi immagino che tu non sia al corrente di come morì, tanto tempo fa, anche a causa sua, vittima delle sue manie di grandezza…
- Non voglio sentire nulla di ciò che riguarda il passato di Albus. – lo interruppe Piton, asciutto, spostando di nuovo l’attenzione sul proprio interlocutore, con sguardo talmente tagliente da fare male. – Ho obbedito a quello che mi è stato richiesto perché era giusto così, perché andava fatto, e nessun altro avrebbe potuto prendersene la responsabilità!
- Ah, certo, hai obbedito e nessun altro avrebbe potuto farlo! – sbottò Ab, nella voce una chiara nota sardonica ma anche amara. – Vedo che, prima di andarsene per sempre, è riuscito imbottire anche te di sciocchezze, riguardo a ciò “che è più giusto e meno facile”, e viceversa. Dammi retta, figliolo: ho visto parecchia gente farsi sempre molto male, a seguito dei suoi ambiziosi progetti, ma la lezione a quanto pare non è servita!
- Ti proibisco di farmi la paternale, vecchio! Poco fa mi hai dato del traditore, vigliacco, ma non sai… Tu non sai quanto sia costato alla mia anima arrivare fino a questo punto! Non hai nemmeno lontanamente idea di quello che ho trascorso in questi ultimi mesi… - il volto di Piton ora era stravolto dall’angoscia, la voce alterata, quasi irriconoscibile.
- No, figliolo, non lo so, ma posso intuirlo perfettamente. – disse Ab, tranquillo, fissandolo benevolmente.
Trovai che in quel momento assomigliasse terribilmente ad Albus e, con ogni probabilità, fu la stessa cosa che attraversò la mente del professore, perchè impietrì all’istante.
Quando si riprese fece per ribattere ma, improvvisamente, un lungo lamento acuto e penetrante lacerò l’aria. Qualche secondo dopo si udirono delle grida concitate di richiamo salire dal vicolo, proprio davanti alla Testa di Porco.
- L’Incanto Gnaulante! Qualcuno ha violato il coprifuoco! – bisbigliò Aberforth, all’erta, osservando preoccupato Piton, quasi in attesa di ricevere una direttiva.
Questi si avvicinò, fulmineo, alla finestra e guardò di sotto. Ciò che vide senza dubbio lo colpì, perché alla luce dei lampioni, proveniente dall’esterno, mi parve di cogliere sul viso impenetrabile un chiaro segno di stupore.
- Ti consiglio di scendere subito in strada, Aberforth: pare ci sia qualcuno che ha bisogno del tuo aiuto. – mormorò, continuando a perlustrare il vicolo con occhi attenti.
Ab, incuriosito, si avvicinò a sua volta per guardare.
- Per tutti i Gargoyle… Potter e gli altri due? – esclamò, incredulo.
- Fai presto, o finiranno diritti tra le mani della ronda di Mangiamorte. – il tono del preside non ammetteva repliche. - Quello scriteriato ha appena evocato il suo Patronus e, per quanto idioti, credo siano ancora in grado di riconoscere un cervo e associarlo al ragazzo! Io tornerò subito a Hogwarts: nessuno deve vedermi qui.
Mio fratello si diresse rapido verso la scala che scendeva al piano inferiore, dove si trovava la porta sul retrobottega ma, dopo aver sceso un paio di gradini, si fermò, indugiando.
- Sei proprio sicuro di voler andare? Il ritorno di Potter cambierà molte cose, lassù, al castello. - gli fece presente Ab, voltandosi e scrutandolo accigliato.
- Certamente. Io dovrò essere lì. Ho un incarico ben preciso da portare a termine…
- Lo so, lo so, un incarico che ti è stato affidato da mio fratello… – lo interruppe, burbero, l’oste.
– Non è servito quello che ti ho raccontato poco fa? Sei dunque così ansioso di andare a farti ammazzare? – strepitò, senza usare mezzi termini, puntandogli un dito contro. Adesso era furibondo, e io capii il motivo: era perchè la follia di Albus avrebbe vinto ancora, condannando quasi certamente alla fine quell’uomo singolare, del quale ormai aveva riconosciuto l’enorme valore e il coraggio.
Piton lo fissò con aria sorniona, accennando un indecifrabile sorriso, e bevve un sorso della pozione che l’avrebbe reso di nuovo invisibile.
- Grazie Aberforth, ma, come dicevo, non sono un vigliacco… E adesso sbrigati ad andare a recuperare quei ragazzi.
I contorni della sua figura iniziarono a sbiadire, ma feci in tempo a cogliere l’ultimo, risoluto sguardo rivolto al passaggio, oltre il mio ritratto, che l’avrebbe ricondotto a Hogwarts. Con me porto tutt’ora l’immagine degli incredibili occhi neri di un uomo, che non avrei più dimenticato.
 
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view post Posted on 25/1/2017, 15:52
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Oltre la morte di halbloodprincess78


La vita dei morti è posta nel ricordo dei vivi. (Cicerone)


Severus Piton aprì gli occhi nel fascio di luce dorata dell'alba: ma come era possibile?
Era morto.
Doveva per forza essere morto. Eppure era sdraiato su un letto e dalla finestra filtrava la prima luce del mattino. Cercò di alzarsi ma desistette quasi subito quando si accorse che le forze venivano meno.
Volse lo sguardo intorno a sé.
Conosceva quel posto: doveva essere una delle stanze della Testa di Porco… ma come era arrivato lì?
Ricordava solo l'ultimo istante in cui i suoi occhi si erano spalancati e poi chiusi su quelli del ragazzo, l'odore intenso del sangue che fuoriusciva... l'odore stesso della vita che ti abbandona, come qualcuno che se ne va allontanandosi di spalle senza voltarsi.
La porta si aprì di scatto.
Per un attimo l'uomo che vide sulla soglia lo lasciò senza fiato, senza avere il tempo di mettere bene a fuoco l'immagine gli sembrò Silente. Poi capì: Aberforth.
- Finalmente ti sei svegliato. - disse posando un ampio vassoio su un tavolino coperto di polvere unticcia - Ti ho portato qui dopo che quella stupida Fenice di mio fratello ti ha salvato la vita, nel caso te lo stessi chiedendo.
Fanny aveva condotto Aberforth fino alla Stamberga Strillante e ora Piton ricordava chiaramente di aver udito la voce di un uomo, ma gli era risuonata lontana e ovattata; poi doveva aver perso i sensi.
Tentò di sollevarsi e stavolta fu più facile.
- Bene, stai riacquistando le forze. - disse porgendogli un piatto con dentro qualcosa dall'aspetto terribile che Piton spinse via con un gesto fulmineo della mano.
- Perché mi hai portato qui? - chiese.
- Perché non sapevo dove altro portarti. L'infermeria era stipata di gente e... pensavo avresti preferito sparire, almeno per un po’ di tempo. - proferì l'ultima frase rimarcandola con uno degli sguardi taglienti e penetranti, come quelli di Albus.
La somiglianza era straordinaria eppure Aberforth era estremamente diverso dal fratello maggiore.
Gli occhi avevano lo stesso taglio allungato, ma la barba e i capelli erano grigi, non bianchi, e invece della tunica indossava un kilt sotto il mantello.
Il pensiero di Piton andò ad Albus che cadeva dalla torre con la lentezza di una bambola di pezza. Nella sua mente quell'immagine era sempre vivida, anche in quel momento, mentre si trovava di fronte all'uomo cui aveva ucciso il fratello.
Forse Potter aveva già avuto il tempo di raccontare del Pensatoio e di quello che aveva visto.
Ora tutti sapevano, ecco perché era lì.
- Chi altro sa che sono qui? - chiese brusco.
- Nessuno, oltre a me. Credono che tu sia morto, quindi puoi restare finché ti pare, poi deciderai da solo cosa è meglio. - sospirò e proseguì - Non ho l'insana tendenza che aveva mio fratello di pensare sempre di sapere cosa è meglio per gli altri.
Quell’ultima frase lo colpì: vi si leggeva tutto il rancore che il mago ancora nutriva nei confronti del fratello; ma in quel momento Severus era più propenso ad apprezzare la schiettezza dell’affermazione che a fare domande.
- Ti lascio riposare. Se hai bisogno di qualcosa sono al piano di sotto. - così dicendo voltò le spalle a Piton e uscì richiudendo pesantemente la porta.
Severus ripensò all’ultima volta che aveva avuto a che fare con Aberforth: era stata la sera che aveva udito la profezia della Cooman, quando il mago lo aveva sorpreso a origliare e lo aveva sbattuto fuori in malo modo.
In quel momento avrebbe voluto che lo avesse sorpreso prima. Non avrebbe mai voluto rivelare a Voldemort quella profezia che era costata la vita a Lily.
Sentì calde lacrime d’argento affiorargli dagli occhi e non ebbe la forza necessaria per reprimerle. Ora, da solo in quella stanza, sentiva di poter lasciar fluire da sé quel dolore a lungo soffocato.
Provò gratitudine per l’anziano Mago che aveva avuto l’accortezza di portarlo lì: era come essere in una sorta di limbo. Presto avrebbero capito che non era morto non trovando il corpo e sarebbe dovuto sparire in fretta. Ma per un attimo poteva restare sospeso nel silenzio dei suoi pensieri.
Si alzò lentamente dal letto. Cominciava a riacquistare le forze, così si avviò verso l’uscio: il corridoio era tetro e polveroso come lo ricordava, un odore acre di muffa gli pervase le narici; era un odore che ricordava, purtroppo, gli ricordava che quel posto non era cambiato mentre lui era profondamente diverso dal ragazzo che origliava dietro una porta chiusa.
Inspirò profondamente e scese le scale che scricchiolarono sotto i suoi passi decisi.
Aberforth era seduto a un tavolo e gli dava le spalle, gli occhi fissi su un grande ritratto di donna che gli sorrideva e il vecchio, immaginò Severus, sorrideva di rimando.
Era chiaro che lo aveva sorpreso in un momento intimo e privato.
Rimase un attimo sulla soglia, incerto se proseguire o tornare nella sua stanza.
Aberforth si voltò: teneva in mano un bicchiere di Whisky incendiario che sollevò verso il ritratto.
- Ariana, mia sorella. - disse sottovoce come se parlasse con se stesso.
Severus avanzò nella stanza, la ragazza del ritratto fissò lo sguardo su di lui sorridendo bonariamente.
- Per colpa di Albus ora lei non c’è più… Albus, il mio straordinario fratello!
Severus si avvicinò all’uomo e capì dalla bottiglia che aveva di fronte che il bicchiere che stava sorseggiando non era il primo.
- Siediti.
Così dicendo si alzò per prendere un bicchiere dalla credenza alle loro spalle e lo allungò verso Severus.
Piton riempì il suo bicchiere fino a metà e trangugiò una piccola sorsata che sentì scorrere nella gola e bruciare come lava.
- Dicevamo? Ah sì, il mio meraviglioso fratello. Immagino non ti abbia mai parlato di Ariana e di Grindelwald e dei suoi grandiosi ideali giovanili.
Severus colse in quel momento lo sguardo sarcastico di Aberforth tra due ciocche di lunghi capelli grigi scomposte: non era velato dall’alcool ma solo da una fiammeggiante rabbia che ne stravolgeva i lineamenti facendolo sembrare più giovane.
- Quindi, quello che si è scritto su di Albus dopo la sua morte era vero? - chiese Piton.
- Si, era vero. Ti sconvolge pensare che l’uomo che puntava il dito su di te per il tuo errore abbia fatto lo stesso identico sbaglio? - chiese.
Severus pensò a Silente: le immagini gli scorrevano negli occhi come un fiume, vivide come se tutto fosse accaduto solo il giorno prima.
Ripensò a quando aveva cercato di indossare l’anello, quando gli aveva detto che era stato ‘’tentato’’. Ora capiva da cosa. Ora, era tutto chiaro.
- Silente non ha mai puntato il dito contro di me. - rispose, ingoiando l’ultimo sorso di Whisky.
- Strano, lo faceva con tutti. Era bravo a vedere gli sbagli degli altri, ma gli sfuggiva sempre di mente di raccontare i suoi. Poi ha pensato bene di chiederti un paio di favori da nulla, tipo ammazzarlo… credi sia stupido? Credi non abbia capito che la notte che l’hai sbattuto giù da quella maledetta torre non fosse dietro sua espressa richiesta? Per Merlino, era mio fratello! Lo conoscevo. Ora mi dirai che tu credevi in lui come mi ha detto quel ragazzo, quel Potter. Tutti lo considerano meraviglioso, ma lui è morto e noi siamo qui coi nostri fantasmi.- concluse amaramente, versandosi dell’altro whisky.
Severus colse lo sguardo triste di Ariana che fissava il fratello dal quadro senza dire nulla; doveva aver già sentito quegli sproloqui, anche se dalla sua espressione si vedeva che continuavano ad amareggiarla.
- Silente era un grande Mago e un grande uomo pur avendo commesso degli errori.
- Tutti commettiamo degli errori, Piton, solo che lui non ha mai chiesto scusa, ha preferito fingere che non fosse successo: io porterò per sempre il peso tremendo di non aver potuto salvare mia sorella e tu porterai sempre il peso dei tuoi sbagli, ma lui no.
Severus ripensò all’anello e alla mano bruciata di Silente.
- La notte in cui mi ha chiesto di ucciderlo mi aveva chiamato per medicare la sua mano dopo che aveva cercato di usare l’Anello della Resurrezione. Ora credo lo abbia indossato per rivedere Ariana e forse i vostri genitori: voleva chiedere scusa. Mi disse che era stato ‘’tentato’’ e ora ho capito cosa volesse dire. -mormorò col tono più incolore possibile mentre i suoi occhi scuri bruciavano nel ricordo di quella notte.
La voce fredda di Piton arrivò come un lampo a ciel sereno.
Gli occhi di Aberforth si spalancarono in un lampo di stupore: quindi aveva cercato di usare quell’anello pur sapendo che era maledetto e quindi anche lui, in tutti quei lunghi anni, aveva sempre portato con sé il peso della morte di Ariana.
- Così anche Albus…
Lasciò la frase in sospeso e tra i due uomini calò un silenzio pesante come pietre, interrotto solo dal picchiettare della pioggia sui vetri sporchi del locale.
Ariana era sparita dal ritratto.
Il tempo sembrava essersi come fermato in quel breve istante in cui Aberforth realizzava di aver voluto in fondo sempre bene al fratello.
Come un muro che si sgretola piano piano, il suo rancore si stava dissolvendo come polvere nella pioggia.
Piton fu il primo ad alzarsi: andò verso la finestra annunciando che sarebbe partito quella notte stessa. L’anziano Mago annuì, capendo il desiderio dell’uomo di sparire, anche se sperava che un giorno sarebbe tornato; sapeva che il tempo non avrebbe aggiustato le cose, ma Piton era ancora giovane e avrebbe trovato una ragione per tornare.
- Piton, tu non parli mai molto vero? Ora sai tutto di me, posso sapere qual è invece il tuo tormento? È forse quella donna… Lily? – chiese.
Piton rimase di schiena voltato verso la finestra, le dita delle mani posate sui vetri gelidi ebbero un fremito a quella domanda inaspettata.
- Scusami, non sono affari miei. Ma una volta o due siete venuti qua insieme. Eravate poco più che bambini… vedevo come la guardavi… era uno sguardo indefinibile e pieno d’amore.
Le dita di Piton strinsero il vetro come artigli nello spasmo di dolore che gli dava quel ricordo.
Aveva portato lì Lily un paio di volte per non incontrare Potter e i suoi amici anche se puntualmente riuscivano sempre a trovarlo.
- Credo che Potter racconterà molto bene la mia storia tra qualche giorno; non voglio toglierli questo piacere, ma per quel giorno vorrei non essere più qui… non so se mi spiego.
Quelle parole erano un suono sommesso e gelido, segno che la conversazione finiva lì.
- Aspetteremo la notte, poi potrai andartene. Ora ti preparo qualcosa anche se so che la mia cucina è pessima, ma hai bisogno di mangiare qualcosa.
Cenarono insieme: la cucina di Aberforth era immangiabile, ma Severus finì tutto quello che aveva nel piatto in silenzio. Poi prese il mantello da viaggio e se lo drappeggiò sulle spalle.
Aveva smesso di piovere e nel cielo notturno la luna faceva capolino tra le nubi scure che ancora restavano.
- Grazie, di tutto, Aberforth. Disse, sforzandosi per quello che era possibile di esprimere una gratitudine che non era abituato ad esprimere ormai da tempo.
Aberforth lo fissò intensamente.
- Non so se sia la scelta giusta andarsene, vedi, ora ci vorrebbe mio fratello. Lui saprebbe, mentre io, invece, non so cosa ti aspetta oltre quella porta. In ogni caso, passare la tua vita davanti a un ritratto è peggio che essere morti, credimi… e adesso vai. Se decidi diversamente, potrai sempre tornare. I morti non hanno scelta, ma tu sì… buona fortuna.
Piton annuì e gli voltò le spalle, girandosi solo un’ultima volta, quando pensava di essere ormai lontano per essere visto: Aberforth era sulla soglia e nel chiaro scuro dato dalle luci della casa e la notte che l’avvolgeva ricordava incredibilmente il fratello.
Severus rimase immobile un istante a guardarlo e mentalmente salutò entrambi scomparendo poi lento e silenzioso, come una nera nube nell’oscurità.
 
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