Il Calderone di Severus


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Sei personaggi in cerca d'autore - 2° Turno

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view post Posted on 9/3/2012, 21:06
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I ♥ Severus


Potion Master

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Da un dolce sogno d'amore!

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Uhm... mi sa che qui parecchie persone ancora non hanno mandato la MSS a loro storia... e neppure quelle che avevano già in arretrato!

Edited by chiara53 - 29/6/2015, 12:34
 
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Swindle
view post Posted on 10/3/2012, 10:00




CITAZIONE (Ida59 @ 9/3/2012, 21:06) 
Uhm... mi sa che qui parecchie persone ancora non hanno mandato la MSS a loro storia... e neppure quelle che avevano già in arretrato!

Ehm... mi sento chiamata in causa! xD Sorry, ma sono stata in settimana comunitaria con gli scout! Ora rimedio! ;)
 
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nancyS
view post Posted on 12/3/2012, 10:23




Provvedo!! Scusa Ida, persiste l'intontimento di cui ti ho già parlato :D
 
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view post Posted on 22/1/2017, 18:03
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Edizione Straordinaria di Severia



Mio padre (N.d.A. Xenophilius Lovegood, il direttore di questo giornale) mi ha insegnato a non giudicare una persona soltanto dal modo in cui appare; non bisogna limitarsi ad osservare il suo abbigliamento, la sua acconciatura o i suoi gesti: ogni persona rappresenta un universo infinito, pieno di sfaccettature e di sfumature diverse che possono anche modificarsi con il passare del tempo. Per questo motivo, prima di decidere se una persona ci piace o no bisogna darsi il tempo di ascoltarla, conoscerla e immedesimarsi nei suoi pensieri.
Ritengo di essere una ragazza di ampie vedute che non emette sentenze a raffica dopo la prima impressione. Una caratteristica molto rara nella gente che ho conosciuto che spesso pensa di sapere tutto di me, semplicemente osservando la mia collana di tappi di Burrobirra.
Questa mia qualità fu messa a dura prova durante il primo incontro con il professor Severus Piton: il mantello nero, quello sguardo profondo e freddo, il suo sarcasmo, mi colpirono subito negativamente.
“Non ci può essere insegnante peggiore di questo.” Pensai in quel momento.
Troppo rigido nell’interpretare la vita, così come nel trattare gli ingredienti delle sue pozioni: non dava spazio alla fantasia. Mi diedi comunque il tempo per conoscerlo meglio, ma la mia prima impressione fu confermata il giorno in cui tentai invano di fargli capire che, se la mia pozione non era perfetta, la colpa era dei Nargilli.

***

L’aula di Pozioni era satura dei fumi che si levavano dai nostri calderoni. Respiravo a fatica e sudavo, quando Severus Piton si avvicinò al mio tavolo. Tenendo le mani dietro la schiena, si dondolava sulle punte dei piedi, annusando l’aria e osservando il contenuto del mio calderone con sguardo critico.
“Signorina Lovegood, a quest’ora, la sua pozione dovrebbe essere rosa chiaro e non viola.” Esclamò il professore con tono seccato. “Ha aggiunto le foglie di Elleboro, quando ha iniziato a bollire?”
“Sì, signore, ma temo che ci fossero nascosti anche dei Nargilli che sono finiti dentro al calderone.” Risposi pacata e pronta a dare ulteriori spiegazioni.
“Nargilli?”
Il viso del professor Piton esprimeva chiaramente tutta la sua incredulità.
“Sono esserini subdoli, che si nascondono tra le foglie.” Gli spiegai gentilmente.
“Pensa davvero che possa credere a queste stupidaggini? Non esistono i Nargilli!” Ringhiò Piton, mentre i suoi occhi mandavano fulmini. “Abbia almeno la decenza di assumersi le proprie colpe, signorina. Dieci punti in meno a Corvonero.”

***

Mi mise in punizione e dovetti tagliare code di topo per un intero sabato pomeriggio. Decisi che non valeva la pena perdere tempo con lui: a volte, contro l’ottusità delle persone non si può proprio fare nulla.
Gli anni passavano velocemente e, crescendo, mi rendevo conto di quanto diversa fossi dai miei compagni: tutti mi consideravano strana e priva di qualunque attrattiva; nessuno voleva essere realmente mio amico.
Anche il mio rapporto con il professor Piton era differente: non mi faceva paura come a molti altri studenti; io avevo l’impressione che i suoi modi glaciali fossero studiati appositamente per spaventarci, ma che, in fondo, non fosse davvero così crudele. Per questo motivo, cercavo di impegnarmi nella sua materia senza lasciarmi distrarre dal suo sarcasmo pungente.
Ciò che lui pensava di me si leggeva chiaramente sul suo volto: il modo in cui alzava gli occhi al cielo quando guardava nella mia direzione, o come osservava con disprezzo malcelato i gioielli che talvolta indossavo, tutto questo mi suggeriva che egli mi considerava una sciocca svampita, con la testa piena di idee completamente errate. Aveva poi modi alquanto più diretti per esprimere i propri pensieri sul mio conto: non risparmiava battute sarcastiche e offese meno velate, ogni volta che ne aveva l’occasione.

***

Ero al quarto anno, durante una delle prime ore di Pozioni; facevamo lezione insieme agli studenti di Tassorosso e tutti eravamo concentrati sui nostri calderoni, nel più completo silenzio.
Il professor Piton mi passò accanto, lanciandomi un’occhiata fugace, mi superò, poi ritornò sui propri passi, come se avesse dimenticato qualcosa di importante.
“Ancora non mi capacito del fatto che sia stata assegnata alla Casa di Corvonero: gli orecchini che indossa rispecchiano in pieno la sua mania di inseguire le idee più strampalate.” Mi offese senza nessun motivo se non quello che, evidentemente, non apprezzava i miei orecchini arancioni.
“L’intelligenza, professor Piton, non si misura in base all’abbigliamento della persona: io, ad esempio non la considero un’Acromantula solo perché è sempre vestito di nero.” Replicai stizzita e per nulla intimorita dalla sua occhiata glaciale.
Non gradì la mia risposta e vidi le sue sopracciglia avvicinarsi, incupendogli ancor più lo sguardo.
“Cinquanta punti in meno a Corvonero per la sua mancanza di rispetto nei confronti di un insegnante.” Sibilò visibilmente irritato.
Mi toccò un’intera settimana di punizione insieme a Mastro Gazza, il custode della Scuola. Considerata la mia insolenza, pensai di essermela cavata con poco.

***

Ritengo che il professor Piton abbia iniziato a considerarmi sotto una luce leggermente diversa soltanto alla fine di quell’anno, dopo che ebbi partecipato alla battaglia al Ministero, in cui perse la vita il compianto Sirius Black (o per meglio dire Stubby Boardman, il solista del popolare gruppo corale Gli Hobgoblin). In quell’occasione, diedi prova delle mie capacità e di quanto avessi imparato durante le lezioni dell’Esercito di Silente, in cui Harry Potter in persona ci aveva insegnato alcuni incantesimi di grande utilità durante un combattimento. Forse, Piton si rese conto che qualche cosa di buono sapevo combinarlo anche io, perché non perse più tempo ad insultarmi e i voti dei miei compiti si alzarono leggermente.
L’anno successivo, il professor Piton lasciò la cattedra di Pozioni al professor Lumacorno (le cui feste di Natale sapevano essere davvero divertenti e sorprendenti) per occupare quella di Difesa Contro le Arti Oscure. In quel campo me la cavavo piuttosto bene grazie appunto agli insegnamenti del mio amico Harry Potter. In quel periodo, Severus Piton era più cupo che mai e tentava in ogni modo di spaventarci ricordandoci gli esami di fine anno; in compenso, le sue battute sarcastiche erano meno efficaci del solito: perfettamente comprensibile se si pensa a quello che lo aspettava di lì a qualche mese.
L’omicidio di Silente per mano di uno dei suoi insegnanti preferiti fece molto scalpore nel mondo magico e gettò in preda al panico maghi e streghe: chi li avrebbe difesi da Lord Voldemort ora?
La colpa di Piton venne cancellata soltanto un anno dopo, quando il Salvatore del Modo Magico svelò i ricordi che lo stesso professore gli aveva affidato in punto di morte. Molti rimasero stupiti da quelle rivelazioni e iniziarono le speculazioni: Severus Piton era l’uomo più coraggioso che aveva preso parte a quella guerra o soltanto un mago astuto che aveva tenuto il piede in due staffe, in attesa dello svolgere degli avvenimenti?
Noi del Cavillo pubblicammo un articolo (La verità sulla morte di Albus Percival Wulfric Brian Silente numero 8, anno 1998) in cui davamo la nostra versione dei fatti: Severus Piton aveva sì ricevuto l’esplicito ordine da Silente di assassinarlo, ma la morte dell’anziano Preside fu soltanto una messa in scena ben congeniata dai due; Albus Silente morì qualche mese dopo, in un luogo segreto, di morte naturale. (Per i dettagli vi consiglio la lettura dell’articolo in questione: alcune copie sono ancora disponibili e gli arretrati possono essere ordinati via gufo, alla nostra redazione.)
Non ho mai pensato che Severus Piton avesse assassinato Albus Silente: per quanto potesse sembrare crudele in certe situazioni, nemmeno uno come lui avrebbe potuto commettere un omicidio a sangue freddo, contro un amico disarmato e indebolito. Nutrivo parecchi dubbi anche sulla sua fedeltà a Lord Voldemort: avevo l’impressione che, una volta divenuto Preside, tentasse in ogni modo di proteggere gli studenti di Hogwarts dalle angherie dei fratelli Carrow. Naturalmente, non ne avevo la certezza, tuttavia ne ebbi un solido indizio quando io e i miei amici, Neville Paciock e Ginny Weasley, cercammo di rubare la Spada di Grifondoro conservata nel suo ufficio. Ci sorprese con le mani nel sacco e, invece di cruciarci all’istante, ci punì mandandoci a fare una scampagnata notturna nella Foresta Proibita, insieme ad Hagrid, il guardiacaccia. Una punizione davvero ridicola e priva di conseguenze. Quella notte, parlai con Neville dei miei dubbi, tuttavia finimmo per litigare: Neville non voleva sentire ragioni e, per lui, Piton restava un assassino e un traditore. La sua triste fine mi ha dato ragione: fino all’ultimo istante della sua travagliata vita ci è stato fedele e ha tentato di aiutarci.
Ad un anno esatto dalla sua morte, ho deciso di scrivere questo articolo per onorarne la memoria. Non posso affermare di averlo conosciuto davvero bene, tuttavia ho passato sei anni a stretto contatto con lui e un’idea me la sono fatta. Non fingerò che sia stata una persona piacevole e disponibile, eppure è stato sicuramente un ottimo insegnante e ho imparato moltissimo durante le sue lezioni; È stato anche un uomo coraggioso e, visto che ritengo non gradirebbe sentirsi definire un vero Grifondoro, dirò che è stato un eroe, controverso forse e pieno di zone d’ombra, ma pur sempre un eroe. Il suo carattere difficile era sicuramente frutto degli errori commessi in passato, ai quali ha cercato di porre rimedio con impegno, costanza e, soprattutto, con grande sacrificio. Il suo difetto maggiore, probabilmente, è stato quello di non riuscire a perdonare le proprie colpe, chiudendosi a riccio e rifiutando gli aspetti migliori della vita. Può darsi che, con un po’ più di fantasia e leggerezza, sarebbe riuscito a vivere meglio.
Non voglio dilungarmi oltre, e concludo questo mio articolo con l’augurio che il professor Severus Piton possa ora trovare la pace che merita e che non ha mai avuto durante tutta la sua vita.

Luna Lovegood

Fuori, la pioggia cadeva fitta, ritardando l’arrivo della primavera. Lo studio cadde nel silenzio, per qualche istante.
“Severus è inutile che fingi di dormire: lo so che hai ascoltato tutto l’articolo.” Esclamò Minerva McGranitt, accomodata sulla poltrona, dietro alla scrivania, nell’ufficio del preside.
In risposta, ottenne solo un borbottio indistinto.
“Coraggio, so che muori dalla voglia di dirmi che cosa ne pensi?” lo incalzò di nuovo la Preside.
“Veramente, sono già morto!” ribatté il ritratto del professore.
“Oh, dai non farti pregare, Severus.” Intervenne Albus Silente, in aiuto di una imbarazzata McGranitt.
“Penso quello che ho sempre pensato: il Cavillo pubblica solo spazzatura.” Affermò Piton dal suo ritratto, mantenendo il solito tono calmo e tagliente.
“Suvvia, Severus: Luna è stata sincera e ritengo ti abbia descritto in maniera appropriata.” Continuò Silente.
“In maniera appropriata? Quindi, il mio unico difetto sarebbe stato quello di non usare abbastanza la fantasia?” Chiese ironico il professore. “Quella ragazza è pazza: sarà anche una strega in gamba e coraggiosa, ma completamente e irrimediabilmente pazza.”
Severus incrociò le braccia, segno che riteneva conclusa quella conversazione. Minerva si limitò a scuotere la testa mentre dal ritratto di Albus Silente arrivava una risatina divertita. Chiuse il giornale, lo appoggiò in un angolo della scrivania e si preparò ad affrontare un’altra giornata di lavoro come Preside di Hogwarts.
 
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view post Posted on 22/1/2017, 18:11
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Angelo Nero di Ele Snapey



La stava osservando da un po’. Per qualche motivo, a lui sconosciuto, aveva avvertito il bisogno di rallentare e fermarsi a guardarla.
Ora era lì, protetto dall’ombra, a studiarla da almeno cinque minuti dopo che, passando di fretta lungo il corridoio che costeggiava il grande chiostro interno, l’aveva scorta per caso accoccolata sulla panchina più lontana dal punto in cui, un nutrito gruppo di studenti del primo anno, stava consumando chiassosamente gli ultimi attimi di ricreazione.
Appariva fortemente concentrata nella lettura di una rivista appoggiata sulle gambe incrociate, e muoveva appena le labbra, tormentandosi una ciocca di capelli; indossava la divisa scolastica, e portava ancora quegli sciocchi orecchini che le aveva notato ai lobi alcune settimane prima, in occasione della prima lezione.
Che strana creatura. Durante il consueto discorsetto di apertura non gli aveva staccato lo sguardo di dosso neanche per un attimo, salvo poi accusare grosse difficoltà nel ripetere quelle quattro, banali cosette che le aveva richiesto al termine della spiegazione. Era apparso chiaro come, dietro agli occhioni sgranati apparentemente attenti, la mente avesse vagato altrove.
“ A che cosa hai pensato fino a questo momento, signorina…
“ Lovegood, signore.
“ Signorina Lovegood, perfetto. Ti ho appena chiesto di ripetermi quanto avresti dovuto apprendere riguardo le principali proprietà del Bezoar…
Scena muta.
“ E allora? ” Le si era avvicinato adagio, silenzioso come un gatto che punta il topolino, fissandola con uno sguardo che avrebbe annientato chiunque, figuriamoci uno studente del primo anno al suo primo giorno di Pozioni!
“ Mi confermi che la tua testa, per gran parte della lezione, si è trovata in tutt’altro luogo anziché in aula?” aveva poi sibilato, soavemente, riducendo gli occhi a fessure.
Un silenzio sepolcrale aveva avvolto l'aula, in cui ognuno era rimasto in attesa di assistere al fatale incenerimento della povera miss Lovegood di Corvonero.
Invece lei, guardandolo dritto negli occhi, aveva risposto con estrema tranquillità, con quella strana vocina pulita e quieta a cui si sarebbe dovuto abituare presto.
“ E' vero, signore, credo di essermi distratta, chiedo scusa. Le assicuro che non succederà più.
Una reazione del tutto inaspettata, per chi in genere era abituato a leggere terrore o richieste di pietà sul volto dei propri allievi, e il professor Piton, oltre a rimanerne spiazzato, si era reso conto di avere a che fare con una persona decisamente fuori dal comune.
Ne ebbe piena conferma le settimane successive quando Luna Lovegood, contrariamente all’esordio iniziale, gli diede anche prova di possedere un’ottima predisposizione alla materia.
Tornò al presente, giusto in tempo per notare alcuni Grifondoro del terzo anno avvicinarsi alla ragazza, con fare circospetto, e intenzioni poco chiare.
Erano in quattro, e vide uno di loro tuffare rapidamente la mano nello zaino scolastico posato ai piedi della panchina.
Al momento non capì di cosa si trattasse, ma comprese subito che si stavano prendendo gioco di lei quando, sghignazzando, iniziarono a lanciarsi tra loro un qualcosa estratto dalla sacca.
La ragazzina, in modo pacato, provò a pregarli di smettere, ma il quartetto continuò imperterrito a prenderla in giro, minacciandola che avrebbero fatto finire l’oggetto conteso sul ramo più alto della pianta presente nel cortile.
Era il solito cliché, la storia che si ripeteva: il branco aveva riconosciuto la fonte alla quale, da quel momento in poi, avrebbe potuto attingere dell’ottimo, sano divertimento.
Severus, invece, sentì scattare dentro, all’istante, un forte impulso rabbioso.
Si mosse rapido, quasi d’istinto. In poche falcate piombò, senza far rumore, alle spalle del gruppetto, implacabile, come una macchina da guerra.
- Che cosa sta succedendo, qui?
I buontemponi, al suono gelido di quella voce così familiare, rimasero pietrificati.
Si voltarono con molta cautela, per scoprire che un paio di pupille, nere e terribili, li stava fissando con un’espressione per nulla amichevole. Evitarono di perdere altro tempo dedicato a un eventuale consulto reciproco, e decisero immediatamente di riconsegnare il maltolto, dileguandosi nel giro di pochi secondi.
Indugiò ancora per qualche attimo, fiero e inflessibile, a baluardo della panchina, nel caso il gruppetto si fosse azzardato a tornare indietro per completare l’opera; Luna, intanto, aveva alzato il visetto verso di lui, sorridendo timidamente.
- E’ già successo altre volte, signorina Lovegood?
- Oh, sì, altre due… non lo fanno per cattiveria. Si divertono solo a prendermi le cose dalla sacca e a nascondermele… ma non fanno alcun male. – rispose lei in tono disarmante, e i suoi occhi cristallini puntarono con franchezza nelle iridi color della notte.
Severus avvertì subito una stranissima sensazione, come se la bizzarra ragazzina stesse esaminando la sua anima, precludendogli ogni possibilità di difesa; capì, con sconcerto, che alcuna Occlumanzia sarebbe valsa ad impedire a quello sguardo puro di leggergli dentro, e rimase seriamente spiazzato per la seconda volta in pochi giorni.
- Già… non lo fanno per cattiveria… - Fu l’unica cosa che gli venne da dire, in tono sarcastico; poi si voltò, perplesso, e tornò sui suoi passi.

2

Era un ottobre caldo e soleggiato, decisamente insolito per le Highlands.
Severus approfittò del pomeriggio ancora luminoso per percorrere di buon passo la scorciatoia che, tagliando in mezzo al parco, gli avrebbe fatto risparmiare qualche minuto prima di giungere ai cancelli. Doveva trascorrere l’intero week end a Londra, e voleva sbrigarsi: più in fretta fosse arrivato in città, prima avrebbe risolto il problema che era stato segnalato dal Quartier Generale dell’Ordine, e prima sarebbe tornato.
Passando accanto al bosco, allungò lo sguardo verso la spianata erbosa che si apriva più in basso, e scorse una macchia di colore stagliarsi contro il verde brillante dei prati.
Si bloccò, stupito: aveva riconosciuto, nella figura variopinta in movimento, le fattezze delicate di Luna Lovegood.
Ma ciò che lo colpì, più che il vederla tutta sola a vagare ai margini della Foresta Proibita, fu il fatto che accanto a lei ci fossero anche un paio di Thestral adulti con il loro puledro.
Strizzò gli occhi e li schermò con la mano, proteggendoli dal riverbero del sole che filtrava tra i rami, così da poter osservare meglio la ragazzina; comprese che stava allungando qualcosa agli animali, probabilmente del cibo che questi sembravano gradire molto.
Rimase a fissarla, sbalordito, come già gli era capitato di fare.
Si era sempre domandato come avrebbe potuto definire quell’allieva così diversa dalla maggioranza degli altri studenti, se mai qualcuno gliel’avesse chiesto… Stravagante? Svanita? Geniale? Dotata di un sesto, o anche di un settimo senso? Aveva perfino preso in considerazione l’ipotesi che alcuni suoi comportamenti, per certi versi, rasentassero l’autismo.
In ogni caso, in quegli anni, Luna “Lunatica” Lovegood gli aveva puntualmente dimostrato di possedere un cervello di prim’ordine, e una sensibilità straordinaria. Ancora adesso gliene stava dando prova: era chiaro di come Luna vedesse i Thestral, nonostante la giovane età, ed egli sapeva bene cosa significasse ciò.
Decise di raggiungerla, spinto da un improvviso, quanto inspiegabile istinto protettivo: Londra e Grimmauld Place avrebbero potuto attendere qualche minuto ancora.
Scese il declivio a balzi veloci e leggeri, ben attento a non spaventare nessuno dei protagonisti dell’idilliaco quadretto che si svolgeva davanti a lui.
Luna si voltò solo quando sentì il fruscio di passi alle proprie spalle, ma non mostrò alcuna sorpresa o timore, anzi, gli sorrise fiduciosa e serena.
Lui notò che al collo portava la sua collana preferita, quella ricavata con i tappi di burrobirra. Le indirizzò un breve, austero sorriso che voleva essere rassicurante.
– Ti piace venire qui a dar loro da mangiare? – si avvicinò con calma ad uno degli animali, accarezzandone delicatamente il muso scheletrico.
- Sì, signore; questo è uno degli angoli più belli del parco… o forse della terra, e loro sono adorabili: lui lo è, soprattutto! – esclamò, illuminandosi, e allungò un pezzo di carne al piccolo.
Severus la sbirciò, provando un repentino moto di tenerezza che si guardò bene dal manifestare.
- Da quando vedi i Thestral, signorina Lovegood? – buttò là, in tono casuale.
- Da che sono qui, signore. Ho perso la mia mamma prima di iniziare a frequentare Hogwarts… - rispose serafica, ricambiando lo sguardo intenso del mago con un’occhiata piena di candore un po’ complice, che voleva dire: “So a che cosa pensi: potrà sembrarti strano, ma anche io ho già visto morire una persona cara”.
L’uomo annuì piano, dominando il forte impulso di attirarla a sé e stringerla sul petto. Negli occhi severi passò un ombra malinconica.
- Attenta a non perdere la cognizione del tempo, signorina. Fra poco farà buio e sei a un passo dalla Foresta Proibita: cerca di tornare per tempo al castello! – le raccomandò, abbastanza sbrigativamente, e riprese la strada da cui era venuto.
Luna rimase a lungo immobile e pensierosa ad osservarne le spalle da cui partiva il morbido fluttuare del mantello; aveva un’ombra di sorriso dipinta sul volto dalla solita espressione un po’ svagata.
Severus Piton era un uomo che, all’interno di un guscio freddo e duro all’apparenza, conservava sicuramente un animo sensibile e leale.
Da tempo, ormai, aveva capito come l’insegnante più ostico, fosse una persona solo all’apparenza gelida e scostante e, nonostante tutti si ostinassero ad accusarlo di essere privo di sentimenti, era più che convinta del contrario; in realtà il professor Piton aveva un cuore grande, forte e coraggioso, e glielo aveva letto dentro da subito, quasi che il suo nero involucro fosse fatto semplicemente di prezioso cristallo trasparente.
Era un po’ come per il Ricciocorno Schiattoso: nessuno l’aveva mai visto, ma lei non aveva bisogno di prove concrete per credere nella sua esistenza.
Decise di obbedirgli subito; raccolse gli avanzi, accarezzò ancora una volta gli animali e risalì il declivio, per rientrare al castello prima che calasse l’oscurità.

3

Gravava un’aria quasi irrespirabile là sotto. Quando la porta si aprì, improvvisamente, e lui comparve come un’onda di mare in tempesta, sentì Hermione pronunciare, con un filo di voce:
- Professore…
Gli occhi, incredibilmente cupi, tradirono all’istante incredulità e disappunto. Due passi e le aveva raggiunte: ora torreggiava sopra di loro, le pupille divenute impressionanti voragini nere in cui Luna temette di precipitare all’infinito.
Si svolse tutto in un batter di ciglia ma, allo stesso tempo, fu come se la pellicola di quel film del terrore stesse girando al rallentatore.
- Che cosa ci fate qui, a quest’ora, signorine? – la voce risuonò secca come un schiocco di frusta.
- Noi, veramente, abbiamo sentito… - Hermione tentò, coraggiosamente, di giustificare la loro inammissibile presenza di fronte alla porta del suo ufficio.
- Rendetevi utili allora, dal momento che siete qui! – tagliò corto, in tono asciutto, trafiggendola con un’occhiata affilata. - Il professor Vitious ha avuto un malore, poco fa, ed è là dentro, tuttora privo di sensi. Entrate e cercate di aiutarlo: io non posso fermarmi un secondo di più… Sopra hanno bisogno di me!
Prima di voltarsi per imboccare le scale di corsa, indugiò ancora con lo sguardo su di lei.
Il contatto visivo fu brevissimo, ma a Luna bastò. Si domandò, sconvolta, a che futuro stesse andando incontro quell’uomo: in quei baratri apparentemente senza fondo che erano i suoi occhi, aveva scorto un dolore immenso, unito a una determinazione disperata.
Avvertì l’orribile sensazione che non avrebbe più incontrato il suo sguardo.
Severus Piton stava precipitando verso un destino inesorabile, malvagio, di cui era perfettamente conscio, e Luna glielo aveva letto dentro, sapendo di non poter fare nulla per fermarlo o cambiare qualcosa. Nessuno sarebbe stato in grado di farlo, nemmeno lui stesso.
Sentì il cuore battere ancora più furiosamente, le gambe rifiutarsi di muovere un passo.
Era rimasta paralizzata a fissare le scale su cui era salito appena un attimo prima, facendo i gradini a due alla volta, tanto che Hermione dovette gridare e scuoterla vigorosamente per obbligarla a tornare in sé.
- Luna, che cosa ti prende? Sbrigati, non hai sentito che cosa ha detto il professor Piton? Dobbiamo soccorrere il professor Vitious!
La seguì, controvoglia. In realtà avrebbe preferito mollare tutto e raggiungerlo, per tentare in qualche modo di aiutarlo: naturalmente non aveva la più pallida idea di come avrebbe potuto farlo, ma sentiva solo quella impellente necessità, proprio mentre lui stava giungendo alla Torre di Astronomia.

Severus era in prossimità della scala a chiocciola che portava ai bastioni; nel tratto appena antistante, lo scontro continuava a divampare furibondo, illuminato dai lampi degli incantesimi.
Si buttò tra i contendenti e li superò di slancio evitando un paio di schiantesimi. Passò attraverso la barriera stregata invisibile che era stata eretta a metà delle scale, quasi davanti alla porta di accesso, per impedire agli Auror di passare; ma, prima di affrontare l’ultima rampa, tra le mille cose che gli passarono in testa - come succede al condannato che sta salendo i gradini del patibolo - ci fu anche lo sguardo limpido, carico di interrogativi con cui Luna lo aveva fissato e, ancora una volta, intuito gran parte di quello che sarebbe accaduto: quella incredibile, stralunata creatura, era forse l’unica ad aver compreso davvero da che parte lui avesse deciso di stare, da tempo immemore.
Ma ormai, qualsiasi cosa fosse successa anche solo qualche minuto prima, apparteneva ad un passato in procinto di cambiare radicalmente, e quindi non aveva più alcun significato.
Chiuse per una frazione di secondo gli occhi, respirò a fondo, afferrò l’anello di ferro del battente e spinse la porta…

4

Aveva deciso di seguirli, a breve distanza, sicura che si stessero dirigendo là, dove avrebbero trovato l’Oscuro Signore. Lo aveva fatto di nascosto, perché voleva esserci anche lei a dare una mano agli amici che stavano andando incontro certamente ad un enorme pericolo, ma sapeva anche che se avesse chiesto a Harry di poterli accompagnare, le avrebbe ordinato di tornare subito indietro.
Attenta a non farsi scoprire, con l’eco della tremenda battaglia in corso al castello che rimbombava ancora nelle orecchie, aveva corso a perdifiato ed era arrivata un secondo dopo di loro al Platano Picchiatore.
Poi, acquattata in un cespuglio poco lontano, li aveva osservati bloccare i rami che fendevano l’aria, indossare il Mantello dell’Invisibilità e infilarsi nel tunnel nascosto tra le enormi radici dell’albero.
Si era accodata velocemente, cercando di non far rumore; nel buio quasi totale del passaggio segreto, aveva scorto solo il debole chiarore delle scarpe da ginnastica dei tre che spuntavano da sotto il mantello, e questo era stato il suo unico punto di riferimento fino alla termine del percorso.
Una volta giunti in fondo al percorso, Harry, Ron ed Hermione erano riapparsi da sotto il mantello, e si erano accovacciati dietro ad una grossa cassa che pareva essere stata messa lì apposta per chiudere l’accesso ad una stanza: sembrava un ottimo punto di osservazione.
Anche Luna si fermò qualche metro più indietro, ancora nel cunicolo, e si rannicchiò in una rientranza buia: da lì però avrebbe potuto solo udire, ma non vedere, ciò che stava succedendo all’interno del locale.
Puntò di nuovo lo sguardo verso gli amici, come se la loro vista avesse potuto infonderle un po’ di coraggio, e attese.
Da quell’istante percepì solo alcune battute della conversazione che si stava svolgendo tra due persone.
“Ho cercato una terza bacchetta, Severus…”
Una voce agghiacciante, più simile al sibilo di un serpente. Era Voldemort, non c’erano dubbi. Il cuore prese a batterle velocemente.
“ Mio Signore…”
L’altra era quella profonda, ferma e controllata del professor Piton! Le pulsazioni accelerarono in modo esponenziale.
“Sei un uomo intelligente dopotutto, Severus…”
Il timbro della voce si fece più freddo e acuto.
“Mio Signore… lasciatemi andare dal ragazzo…”
A quel punto vide Hermione premere con forza le mani sulla bocca per impedirsi di urlare.
Poi un lungo, terribile grido disperato.
Luna serrò forte gli occhi, si turò freneticamente le orecchie e cadde in ginocchio, il cuore ormai fuori controllo.
Non seppe come ma riuscì, con uno sforzo enorme, a trattenersi dal balzare in piedi e correre dai compagni: non voleva sapessero che li aveva seguiti di nascosto… O forse non voleva che scoprissero che sul suo volto avevano preso a scorrere, calde e silenziose, le prime lacrime.
Intanto era calato un silenzio di morte, in cui l’unico suono che riuscì a distinguere fu il martellare ostinato del proprio cuore.
Schiacciata contro la parete del piccolo rifugio continuò a tremare, osservando Harry che faceva levitare la cassa e liberava l’accesso alla stanza.
I tre entrarono nel locale, per riemergere dopo un tempo che le parve interminabile, quindi imboccarono velocemente il passaggio segreto, sfiorando la nicchia in cui era nascosta; quando l’eco del loro scalpiccio si spense, lasciando di nuovo posto ad una calma inquietante, fu certa che finalmente poteva uscire dalla sua tana per raggiungere l’ambiente in cui si era consumato l’orrore.
Sostò titubante sulla soglia, attanagliata dalla paura perfino di respirare: il locale era immerso nella penombra, e la prima cosa che la colpì fu l’unica finestra aperta, attraverso cui si potevano scorgere i bagliori lontani della battaglia che infuriava ancora al castello.
Lasciò vagare lo sguardo lungo le pareti malandate, e sul pavimento di legno putrido e sconnesso.
Infine lo vide, a terra, in un angolo, con la gola squarciata e il colletto della camicia, un tempo immacolato, ora completamente rosso di sangue.
Si avvicinò lentamente, senza rendersi conto che stava singhiozzando: il riuscire a vedere i Thestral non significava che fosse preparata ad una simile eventualità.
Si inginocchiò accanto al corpo martoriato, che nemmeno la terribile fine aveva privato di straordinaria dignità, e le parve di essere al cospetto di un bellissimo angelo nero al quale fossero state strappate le ali, abbandonato in morte, così come lo era stato in vita.
Allungò una mano verso il volto pallidissimo, finalmente sereno, lo accarezzò lievemente. Poi chiuse delicatamente le palpebre sugli occhi vitrei, nei quali non avrebbe più potuto veder brillare alcuna luce.
- Non rimarrà qui da solo, signore… Non questa volta… Starò io qui, con lei, a tenerle compagnia. – sussurrò piano, con infinito rispetto, quasi temendo di svegliarlo.
Raccolse una mano inerme dell’uomo e la tenne stretta tra le sue. Adesso non piangeva più. Sul suo viso tranquillo erano rimaste solo scie sottili di lacrime che brillavano come rugiada e un misterioso, dolcissimo accenno di sorriso.
 
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view post Posted on 22/1/2017, 18:29
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Quello che gli altri non vedono di Swindle (squalificata perchè troppo lunga - più di 3.000 parole)



Mi chiamo Luna Lovegood, e mi è sempre piaciuto il mio nome. Trovo che abbia una sua leggerezza, una gentilezza, un’eleganza che mi sembra rispecchiare almeno un poco la grazia e la delicatezza di mia madre.
Sì, bè, ovviamente non si è rivelata molto leggiadra quella volta. Ma è stato un incidente!
Il mio nome è Luna Lovegood, ma tutti mi chiamano “Lunatica”. Qualcuno dice che mi dovrei incavolare per questo soprannome, ma immagino che se mi arrabbiassi davvero, smetterebbero di chiamarmi così. Cioè, non sarei più lunatica a quel punto, vero?
O forse no.
Insomma, non ho mai ben capito perché mi chiamino così, anche perché di solito cercano di evitare di dirmelo in faccia, almeno i miei amici. Come se non lo sapessi…
Penso sia perché ho fiducia in cose a cui loro non credono. Che posso farci io? Ma quando finalmente troverò il Ricciocordo Schiattoso, ah! Allora sì che mi crederanno.
Comunque, probabilmente mi hanno dato questo soprannome anche perchè spesso do l’idea di non occuparmi di ciò che mi circonda, di vagare con i pensieri… Ma in realtà la maggior parte delle volte ascolto quello che mi viene detto, anche se sembra che io sia distratta.
Come in questo momento.
Un attimo, il Cappello Parlante ha già finito la sua filastrocca? E quando ha iniziato? Per tutti i peli della barba di Merlino, a cosa stavo pensando?!
Uhm, non ho sentito una parola.
Va bè, avrà detto le solite cose: siamo in tempi bui, mi raccomando state attenti… Come se non lo sapessimo già da soli. E poi ci avrà anche chiesto di essere uniti fra le case e robe simili. Ah! Come se fosse semplice essere alleati dei Serpeverde, coi tempi che corrono.
Che poi io sarei tranquillamente loro amica. Peccato che siano loro a non volermi come tale, chissà perché.
I nuovi arrivati si stanno avvicinando allo sgabello, mentre la McGranitt tira fuori la solita pergamena. Strano. Sono molto meno degli altri anni. Ma anche noi, dopotutto, siamo stati decimati. Tutta colpa di quelle stupide leggi Anti-Babbano.
Spero che Harry stia bene, e che si stia nascondendo, e che stia facendo qualcunque cosa Silente gli abbia detto di fare. L’ultima volta che l’ho visto non sembrava molto tranquillo. Ma forse era perché erano arrivati i Mangiamorte, al matrimonio.
Ginny mi ha detto che l’ha lasciata proprio per quello. Insomma, la storia della Profezia, del Prescelto e tutto il resto. Troppo pericoloso. Come se non ci fosse null’altro di pericoloso, ultimamente. Secondo me non avrebbe dovuto lasciarla.
L’amore è importante.
Chissà quanti nuovi Serpeverde ci saranno quest’anno. Chissà com’è avere Piton come Capocasa. Ora è lì, seduto nello scranno centrale al tavolo dei professori.
Oh già, ora è Preside.
Mmm. Immagino che il nuovo Capocasa Serpeverde sarà uno dei Carrow. Dopotutto, chi meglio di un Mangiamorte? O forse sceglieranno Lumacorno. Bè, spero per loro che scelgano il vecchio professore, anche se non so se i Serpeverde la pensino allo stesso modo.
E comunque persino Piton è resistito alla cattreda di Difesa contro le Arti Oscure solo un anno. Non stento a credere che in giro si dica sia un posto maledetto.
Probabilmente lo è davvero.
Eppure a me non dispiaceva Piton come insegnante di Difesa.
Mi ricordo soprattutto una lezione…
Non so esattamente quand’è stato, forse era una delle ultime lezioni, prima del fattaccio con Silente… Mmm, no, forse no, me lo ricorderei meglio. Ora che ci penso, forse è stato all’inizio dell’anno. Sì, è così, perché ricordo che erano tutti su di giri, spaventati e non so che altro dalla scoperta che Piton era finalmente diventato l’insegnante di Difesa. Forse era addirittura la primissima lezione.
Sta di fatto che noi Corvonero del quinto anno avevamo lezione con i Tassorosso. Eravamo già tutti in aula, e c’era un miscuglio di aspettative nella classe: chi non vedeva l’ora che finisse la lezione, terrorizzato da ciò che Piton potesse fare, e chi non vedeva l’ora che iniziasse, eccitato da un nuovo anno di studi e scoperte.
Adesso che ci rifletto, probabilmente i primi erano i Tassorosso, mentre i secondi erano i Corvonero.
Io? Oh, mi ero seduta al mio solito banco, quando qualcosa fuori dalla finestra aveva attirato la mia attenzione. Fino a quel momento non pensavo che i Plimpi Ghiottoni potessero anche volare, come potevo non prestar loro attenzione?
Così, rapita dalla mia scoperta, non ho sentito il momento in cui Piton entrò in aula, probabilmente con il suo solito svolazzare di mantello. Avrei però potuto capirlo dall’improvviso silenzio caduto sulla classe. In mia difesa posso dire che non avevo nemmeno notato il chiacchiericcio precedente.
Comunque, senza una parola Piton raggiunse la cattedra, e ci pose sopra due scatole di cartone. Senza dire né buongiorno né altro, esordì:
« Cosa vedete? »
La sua voce come sempre bassa e profonda attirò per un attimo il mio sguardo.
« Due scatole? » chiese una voce maschile.
Pensai che se ci fossero stati dei Grifondoro in aula, qualcuno avrebbe già fatto una battuta arguta. Tipo che con le sue domande stupide ci rompeva solo le scatole. Mi sembrava quasi di sentire la voce di Ron mentre pronunciava a mezza voce la frase.
« Vedo che la sua capacità di osservazione è eccellente, signor Adams. » rispose sarcastico il professore.
« Non era ciò che ha chiesto? » ribettè il mio compagno di Casa, colpito nell’orgoglio.
Ma Piton lo ignorò, occupandosi invece di aprire gli scatoloni e girarli in modo che potessimo vederne il contenuto.
« E ora cosa vedete? » chiese ancora.
Ma nessuno gli rispose: la classe era divisa fra esclamazioni di meraviglia e versi di disgusto.
A provocare le due reazioni opposte erano proprio i due esserini che stavano nelle scatole.
Erano due creature magiche, ma non le avevo mai viste né alcun professore ce le aveva mai fatte studiare.
Uno era una specie di piccolo porcellino rosa, con due grossi occhioni verdi e la codina arrotolato dello stesso colore. Questa creaturina attirava gli sguardi amorevoli di tutti gli allievi. Era veramente carino.
L’altro era una specie di ragno con il corpo peloso, gli occhietti neri da mosca e due alette da pipistrello al posto delle zampe. Questo era il motivo delle espressioni nauseate. Effettivamente non era proprio bello da guardare. E sembrava anche puzzasse.
« Cosa vedete? » ripetè la domanda Piton, alzando la voce.
« Un esserino adorabile? » chiese, con tono zuccheroso, quella smorfiosa di Anders.
« Un piccolo mostro? » saltò su Mills, un Tassorosso, con una smorfia.
« Esattamente. » rispose Piton « Questo è quello che vedete. Ora vediamo quello che sono. »
Piton avvicinò una mano al porcellino. Immediatamente, da rosa diventò rosso, e quando Piton fu tanto vicino da sfiorarlo, delle fiamme scaturirono dal suo corpo e un orribile ghigno comparve sul suo viso, mentre gli occhi si rimpicciolirono assumendo un’espressione cattiva. Il professore ritirò immediatamente le dita, scottate.
Stupore e sgomento serpeggiarono per la classe. Qualche ragazza, addirittura, si coprì la bocca con le mani, inorridita.
Sulle dita di Piton comparvero subito delle bolle verdastre, mentre le fiamme sparirono dal porcellino, ed esso riacquistò le sue precedenti sembianze.
La ferita sulla mano del professore sembrava davvero brutta, ma egli non si lasciò sfuggire nemmeno un sospiro.
Senza proferire suono, mentre la classe osservava rapita i suoi movimenti, Piton avvicinò la mano all’altra creatura magica.
Tutti avevano in mente un solo pensiero: se quel tenero porcellino aveva reagito in modo tanto assurdo, cosa avrebbe potuto fare quell’orribile creatura?
La mano del professore si arrestò, come se aspettasse qualcosa, e il ragno-pipistrello si alzò lentamente sulle alette fino a posarsi con calma sulla mano bruciata di Piton.
La classe trattenne il sospiro, preoccupata, mentre il viso del professore sembrava estremamente rilassato.
La creatura avvicinò la bocca alle dita del professore e lo morse.
Qualcuno mandò un gridolino. Quando però il ragno-pipistrello si rialzò in volo, lasciando scoperta la mano del professore, tutti videro che la ferita era completamente guarita.
L’incredulità impedì a chiunque di proferire parola. Il ragno-pipistrello tornò nello scatolone e sembrò addormetarsi. Nessuno prestava più attenzione al porcellino.
Con gesti accurati e precisi, Piton richiuse le scatole. La sua mano sembrava tornata come nuova.
« Cosa avete visto? » tornò a chiedere il professore.
Nessuno rispose. Ancora, evidentemente, non credevano ai loro occhi. Ho sempre pensato che le aspettative e i pregiudizi rendessero le persone cieche, e questa ne era la prova.
Io, comunque, avevo ripreso a guardare fuori dalla finestra, per cercare nuovamente quei Pimpli Ghiottoni che avevo scorto prima.
« Va bene, cambiamo domanda. » riprese il professore « Cosa vi fa capire tutto questo? »
« Che non tutto è quello che sembra? » rispose ironico qualcuno dalla parte dei Tassorosso.
« Non esattamente, signor Foster, non esattamente. » rispose Piton in tono basso « Dopotutto, quello che avete visto è proprio come sembra: una creatura incredibilmente simile a un porcellino e un’altra che è uno strano miscuglio tra un ragno e un pipistrello. »
Io osservavo i Plimpi Ghiottoni svolazzare nell’aria, e ancora non capisco come mi si sia avvicinato tanto silenziosamente da non accorgermene.
« Signorina Lovegood, forse potrebbe rispondere lei alla mia domanda, se non fosse così impegnata a pensare alle sue questioni personali. » sibilò con voce tagliente.
Lo guardai.
Ogni volta che i miei occhi incontravano i suoi mi chiedevo cosa nascondessero e sentivo l’impellente desiderio di toccargli la mano, per vedere se era davvero freddo come voleva farci credere.
« Non farsi ingannare dalle apperenze e dalla prima occhiata che si lancia, direi, se dovessi rispondere alla sua domanda, professore. »
Un ghigno, che per lui doveva essere l’ombra di un sorriso, apparve sulle sue labbra.
« Bene, Lovegood, ci sei andata vicino, ma non ci siamo ancora. »
Poi si voltò e disse qualcosa che non dimenticherò mai, la lezione più importante della mia vita.
« Non solo non dovete farvi ingannare dalle apparenze e avere la mente aperta. Dovete sempre pensare di più, riflettere più approfonditamente, guardare oltre quello che vedete. Questo è il segreto. »
Il silenzio cadde per un secondo sulla classe.
Ripresi a cercare i miei cari Plimpi Ghiottoni, mentre Piton cominciava a descrivere le due creature, partendo dal loro nome.
I Plimpi Ghiottoni erano spariti.
« Ehi, Luna! » sussurra Dave, un ragazzino del terzo anno che è seduto affianco a me, dandomi una gomitata che mi riscuote dai ricordi « Il vecchio pipistrello sta iniziando il suo discorso da Preside. Questa non te la devi perdere. »
Mi guardo intorno, stralunata, chiedendomi quand'è che il Cappello Parlante ha finito con lo Smistamento: la McGranitt è di nuovo al suo posto.
Fantastico! Me lo sono perso.
Wow, ci sono un sacco di nuovi Serpeverde, rispetto alle matricole delle altre Case. Chissà perchè.
Piton si sta schiarendo la voce.
« Un benvenuto a tutti. » esordisce con tono distaccato.
« Non ti vergogni di essere al Suo posto? » urla una voce da qualche parte verso il tavolo dei Grifondoro.
« Assassino! » gli fa eco un altro urlo, da un punto imprecisato della sala.
Piton non si scompone, ma ad un osservatore attento non può sfuggire il fatto che la linea delle sue labbra si stringa e si faccia più dura.
« Traditore! Vigliacco! » rincara la dose un ennesimo grido.
« Silenzio. » dice finalmente il Preside, in un tono basso, calmo, che non ammette repliche. Immediatamente il brusio si dissolve, e sento la paura vagare nell'aria con il suo aroma tossico.
Ora che Piton è chiaramente un seguace di Tutti-Sanno-Chi il terrore che gli allievi hanno sempre avuto verso di lui è giustificato, nonché amplificato.
« Sì » afferma « Io ora sono il Preside, ed è bene che vi abituate presto a quest'idea, altrimenti quella è la porta. »
Nessuno ha il coraggio di dire nulla.
Piton percorre la Sala per lunghi momenti, sfidando, con gli occhi, qualcuno a parlare.
A chiunque sembrerà uno sguardo d'odio, di potere, di arroganza. Per far vedere che quelle esclamazioni, la paura e il disgusto che Hogwarts prova nei suoi confronti non lo toccano minimamente.
Ma io ricordo che bisogna guardare più a fondo, e non è questo ciò che vedo.
Quando riprende a parlare, il suo sguardo è cambiato.
Improvvisamente, un luccichio attira i miei occhi verso un punto lontano della Sala Grande.
Quelli sono sicuramente Gorgosprizzi.
Per Morgana, come vorrei avere con me i miei Spettrocoli!

***



Il cielo stasera è ricoperto di candide nuvole. Si vedono bene anche con questo buio. È possibile che fra poche ore nevichi.
E' già stagione, e qui ad Hogwarts gli altri anni nevicava da molto.
Immagino che persino la neve si accorga come i tempi siano cambiati.
Mi sto dedicando ad una delle mie passioni preferite: pensare.
Anche se ultimamente è più doloroso del previsto, non posso farne a meno. E' siccome nel mio Ufficio c'è quella fastidiosa presenza che non mi lascia nemmeno solo con i miei pensieri - dannato lui, è peggio che da vivo -, preferisco fare una passeggiata.
La forza dell'abitudine mi ha spinto dapprima verso i Sotterranei, verso i corridoi che per lunghi anni ho percorso da insegnante di giorno, e per la ronda di notte.
Ma poi ho riflettuto, e mi sono reso conto che avrei potuto beccare qualche studente fuori dal proprio dormitorio, e avrei perciò dovuto assegnare una punizione. Sono ancora infastidito da quando ho dovuto punire Paciock, Luna Lovegood e la Weasley. I Carrow non aspettavano altro che di metter mano a nuova carne fresca, e io avevo colto i tre in fragrante, a perpetrare nei loro infantili giochetti, non potevo non punirli, ma nemmeno volevo consegnarli a loro. Non vorrei proprio ritrovarmi in una situazione simile.
Perciò, eccomi qui, a vagare sul limitare della Foresta Proibita, almeno qui sono sicuro che nessuno osi metter piede.
Oltrepasso la capanna di Hagrid, e per poco non inciampo in una delle sue cianfrusaglie, dannato zoticone.
Entro nella Foresta ancora imprecando contro di lui, quindi solo all'ultimo noto la scena che mi si para davanti.
Mi fermo di botto.
A pochi passi da me, in una piccola radura, sta il branco di Threasler, ma non sono soli. In mezzo a loro, Luna Lovegood li sta accarezzando e nutrendo con quelli che hanno tutto l'aspetto di pezzi di carne cruda, gocciolanti sangue.
La loro vista mi riporta alla mente altre cose, altri momenti, e quasi mi si attorcigliano le budella.
Indietreggio lentamente, sperando nel fatto che la ragazza non abbia notato la mia presenza.
« Ha visto quanti Nargilli nel vischio, quest'anno, Preside? » chiede con voce limpida.
Chiudo gli occhi. Sono fregato.
La ragazza continua a nutrire le creature senza dar segno di avermi visto, ma è ovvio che stesse parlando con me.
Riprendo il mio solito contegno, e mi avvicino agli animali. Tanto non posso fare niente di meglio.
« Signorina Lovegood » inizio a dire con quello che spero sia un tono di voce intimidatorio « Tralasciando i suoi soliti vaneggiamenti, mi sa dire che ore sono? E non glielo sto chiedendo per cortesia, ma perchè mi sembra che il coprifuoco sia scattato parecchio tempo fa. »
La Lovegood alza le spalle.
« Aiuto Hagrid ad occuparsi dei Threasler. » ribatte « E non c'è momento migliore per dar loro da mangiare. »
« All'una di notte? » chiedo ironicamente « Mi spiace, ma se non torna subito al suo dormitorio, sarò costretto a punirla. »
Finalmente la ragazza si volta, rivolgendomi direttamente lo sguardo.
« E cosa vuole farmi? » chiede « Mandarmi di nuovo nella Foresta Proibita? Bè... ci siamo già. »
Rimango senza parole, boccheggiante.
E' sempre stato difficile trattare con questa ragazza, perché, a parte la sua evidente pazzia, possiede l'incredibile capacità di dire le cose più improbabili, nel momento esatto in cui meno te lo aspetti.
Studio il suo viso per un secondo, ma non vedo alcun segno di derisione nè di arroganza. La sua è davvero una domanda, una semplice domanda curiosa. Sono allibito.
Non so come prenda il mio silenzio, perchè si volta, tirando fuori un pezzo di carne sanguinolenta dalla borsa e avvicinandola al muso di una delle creature.
« Sono tutti rimasti sorpresi, lo sa? » continua a parlare, come se niente fosse « I Carrow vanno in giro per la scuola castando Cruciatus e Maledizioni varie ad ogni svolta di corridoio, e lei che fa? Ci manda nella Foresta Proibita. E con Hagrid per giunta. »
Arresta per un secondo il suo discorso senza capo nè coda, per avvicinarsi a un Threasler particolarmente diffidente, e ingraziarselo con qualche carezza.
« Cioè. » riprende « Non che la Foresta Proibita sia proprio una passeggiata, ma noi abbiamo affrontato decisamente di peggio, e lei lo sa. Neville era persino stato in punizione qui al suo primo anno. »
Non ho la forza di interrompere il suo sproloquio.
« E poi lei sapeva benissimo cosa stavamo facendo quando ci ha beccati. E non ha detto nulla, non ci ha puniti più seriamente, non ha indagato. »
La giovane arresta nuovamente il suo lavoro, e focalizza la sua attenzione su di me.
« Perchè? »
Non rispondo. Non posso rispondere. Cosa avrei potuto fare, in ogni caso?
Le punizioni che danno i Carrow a questi poveri ragazzi sono già abbastanza dure e crudeli, non potrei fare di meglio.
E nemmeno lo voglio, a dir la verità. Ho promesso di proteggere gli studenti ad ogni costo, ma non posso dire ai Carrow di smettere, perchè mi tradirei. Posso solo limitarmi a punizioni nella Foresta Proibita, con Hagrid, io che ero il terrore di ogni allievo. Ah, com'è divertente il destino.
« Lei sapeva cosa stavamo facendo, non è così? »
Oh, sì, certo che lo sapevo. Potter non è più tornato ad Hogwarts, eppure il suo fantasma, oserei quasi dire, aleggia ancora nel castello.
Tzè! Che stupida invenzione è stata l'Esercito di Silente.
E ancora più stolti sono questi tre, Paciock, Weasley e Lovegood, che cercano di portarla avanti. Ma cosa posso fare?
Dopotutto è l'unica speranza che hanno per contrastare i Mangiamorte e il loro lavoro. Se solo potessi, dovrei aiutarli. Di sicuro non ostacolarli.
« Già. Proprio come pensavo. Non mi risponde. »
La Lovegood mi lancia un'ultima occhiata, prima di tornare ad occuparsi dei Threasler e di uno in particolare che sembra attirato dalla sua borsa e dal suo contenuto.
« Oh, ma non si preoccupi. Io mi ricordo cosa ci aveva detto. Mi ricordo, e non ho smesso di guardardare. »
Ma di che sta parlando? Cos'è che avrei detto loro?
Dovrei proprio minacciarla di una vera punizione, così magari smetterebbe di dire cose senza senso.
Rimane in silenzio, finalmente, per qualche minuto, accarezzando la criniera delle creature.
So che questo è il momento in cui dovrei dirle di tornare a Hogwarts, dovrei pensare ad una bella punizione da darle in modo che non vada più in giro in questo modo, ma stranamente c'è qualcosa che mi blocca.
« Se si sta chiedendo come io faccia a vederli » riprende all'improvviso « E' perchè mia madre è morta davanti ai miei occhi, quand'ero bambina. »
No, in realtà non ci stavo affatto pensando, ma ora che l'ha detto effettivamente avrei dovuto domandarmelo. Non è normale che una ragazza così giovane veda queste creature di morte, anche se in questo periodo è più che possibile...
« Immagino sia inutile chiederle come possa vederli lei. »
Rimango sbigottito dalla sua capacità di darmi dell'assassino in maniera così naturale e senza insulti o doppi fini.
« La guerra non è mai bella. »
Anzi, no, non ci stava nemmeno pensando!
Non so come risponderle. Non mi era mai capitato di rimanere senza una delle mie battute sarcastiche, ma non riesco a pensare a nulla di pungente. Cosa mi sta succedendo?
« Tanto meno la morte. » sento la mia voce proferire in un sussurro.
E questa da dove mi è uscita?
« E tutto ciò che porta, e ciò che oscura. » cerco di riparare al tiro.
Ma tanto non ci credo nemmeno io.
« Come la verità? »
Mi si secca la bocca.
« Sì » rispondo « A volte la morte, la paura e l'odio possono oscurare la verità. »
« Ma la verità è come i Nargilli, Preside: per vederla bisogna prima crederci. »
Per l'ennesima volta in questa nottata, rimango in silenzio, totalmente ammutolito.
Questa ragazzina sta dicendo cose che non comprende... o forse che comprende fin troppo bene.
Lovegood, Luna, mi rivolge un sorriso triste. Un cucciolo di Threasler le si avvicina, e lei si abbassa, abbracciandolo improvvisamente.
Quando si rialza, mi sta fissando.
« Lo sa perchè mi piacciono tanto i Threasler? »
Ovviamente non mi da' nemmeno il tempo di pensare ad una risposta sensata.
« Perchè sono creature sole e incomprese, che vengono nascoste a forza dietro al muro di pregiudizi che la gente ha costruito loro intorno. Le persone pensano che siano di cattivo auspicio, che averle vicino porti male, che siano solo capaci di provocare morte. Eppure hanno anche loro un cuore, come tutti gli animali, come tutti gli uomini, come tutte le creature. »
Si zittisce all'improvviso, sembra pensierosa.
« Venga qui. » dice lentamente.
Come spinti da una forza primordiale, i miei piedi si muovono, arrivando fino a lei.
Quando le sono ad un palmo di distanza, una vocina mi chiede cosa io stia facendo, e subito un'altra la zittisce. Non riesco a dare un nome alle due.
Luna mi afferra la mano, e l'appoggia sotto il collo del cucciolo di Threasler, obbligandomi ad abbassarmi, accucciandomi a terra vicino a lei.
Poi chiude gli occhi.
« Ecco, lo sente? » mi chiede « Anche loro hanno un cuore. »
Poi li riapre di scatto, e il suo sguardo si fissa nel mio. Solo ora mi accorgo di quanto siamo vicini.
« Per me è sempre così, come con i Threasler. Gli altri non li vedono, ma io sì. »
Sento la sua mano calda sulla mia, e sotto di me il battere lento e regolare del cuore del Threasler. I miei occhi si fondono per un attimo nei suoi, così azzurri, così limpidi, così veri… così pieni di una nuova e strana consapevolezza che mai vi avevo visto dentro.
Mi riscuoto. Questa situazione sta diventando fin troppo inconcepibile e deplorevole per i miei gusti.
Mi allontano velocemente da lei.
Luna si rialza con calma, sbattendo le mani sui jeans.
« Sa professore » prende a dire con voce tranquilla un attimo dopo, come se si fosse completamente dimenticata di ciò che mi ha appena detto, come se non fosse accaduto nulla « Sono proprio contenta di tornare a casa, domani. Sono sicura che in queste vacanze riuscirò a provare la mia teoria sul fatto che le Puffole Pigmee a Natale cantino. »
Un sorriso stralunato le appare sul volto, mentre la mia espressione s’incrina.
Domani non tornerà affatto a casa, il suo viaggio finirà già sull’Espresso di Hogwarts, io lo so e lei no. Vorrei metterla in guardia, ma non posso.
Vorrei almeno poterle dire che andrà tutto bene…
« Sarà meglio che lei torni al suo Dormitorio. » dico invece, le parole che escono da sole, senza il mio consenso.
« Ha ragione. » sorride « Non vorrei mai costringerla a mettermi in punizione. Buonanotte. »
Mentre mi passa accanto, abbasso lo sguardo.
Sento i suoi passi allontanarsi da me, e nel silenzio non posso fare a meno di notare che hanno lo stesso ritmo dei battiti del mio cuore.
« Oh, nevica. » sento la sua voce lontana, ma ugualmente cristallina, come se fosse ancora qui accanto a me « La neve è bella. Copre tutto con il suo manto immacolato, tutta la malvagità, il dolore, la paura, il tormento. Ricopre tutto con la sua purezza. Dovrebbe nevicare più spesso su di noi, per ricordarci che possiamo dimenticare e ricordare. »
I suoi passi si spengono, e quando mi volto, Luna non c’è più.
E insieme ai suoi passi, non sento più nemmeno il mio cuore.
Per riempire il vuoto, mi incammino anch’io, tornando verso il castello.
Forse Luna ha ragione, la neve ha davvero il potere di ricoprire ogni cosa, ogni mia colpa, ogni mio ricordo, ogni mio pensiero.
Uscito dalla Foresta, mi fermo nei pressi del Platano Picchiatore, mentre i fiocchi cominciano a scendere più fitti e pesanti.
Forse Luna ha ragione, ma mentre domani Hogwarts si sveglierà coperta di neve, io, stanotte, sono qui da solo ad aspettare che ogni singolo fiocco di neve cada e compia il suo dovere.
« E allora nevica. » sussurro « Fai il tuo sporco candido lavoro. »

***



Le foglie del Platano Picchiatore sono ormai nuove, verdi, forti, e così l’erba ai suoi piedi.
Piton non può vedere nulla nell’oscurità della notte, ma neppure il silenzio può nascondere al suo cuore i passi di cui ha imparato la cadenza.
Perciò riconosce subito Luna che si avvicina dietro di lui.
Si ferma, chiudendo gli occhi. Sospira e poi si gira.
« Cosa ci fa qui, signorina Lovegood? »
La ragazza rimane un attimo a soppesare le parole, quelle che ha appena detto l’uomo, quelle che affermerà lei, e quelle che nessuno dei due avrà mai la forza di pronunciare.
« L’ho vista venire di qua, io non volevo seguirla, Preside, ma… »
« Non credo di essere più il Preside. »
Luna si morde le labbra, mentre Piton nota i segni che la battaglia le ha già inferto.
« Andrà tutto bene. » sussurra poi, quasi temesse di dire la cosa sbagliata, di innervosirlo con quelle parole.
Il viso del professore, invece, si apre in un’espressione intenerita. Ha usato le stesse parole che lui avrebbe voluto dirle quella notte, senza averne il coraggio.
Solo che è tutto invertito: lui avrebbe voluto consolarla per un pericolo a lei ignoto, ma non l’ha fatto, mentre ora lei lo sta confortando per una minaccia di cui non immagina nemmeno l’esistenza, mentre lui la conosce perfettamente.
« No, non questa volta. Non sarà così. » risponde alla fine, in una triste e consapevole rassegnazione.
Luna lo guarda e nei suoi occhi passa una luce diversa.
« A volte » dice lentamente « Abbiamo solo bisogno di sentircelo dire. »
Piton non ha nemmeno il tempo di permettere alla sua stanca mente di commuoversi, che Luna gli si butta fra le braccia, afferrandogli una mano.
La stringe fra le sue per un secondo, stupendosi, come già quella notte, che non sia affatto fredda come sembra, e poi l’appoggia sul cuore di Piton, fissandolo contemporaneamente negli occhi.
« Vedi? Anche tu hai un cuore, Severus. » dice, e Piton si rende conto di riuscire di nuovo a sentire i propri battiti « E anche tu, come i Threasler, hai bisogno di qualcuno veda quello che gli altri non vedono. »
E Severus, ormai non si stupisce più di Luna. Stringe la sua mano, sopra il suo cuore, e anche se sa che quella è probabilmente la sua ultima ora, si sente tranquillo, in pace.
Alza gli occhi al Platano Picchiatore, unico spettatore di quel momento di armonia.
« Grazie, Luna. » sussurra, tanto piano che la ragazza neanche lo sente.
Ma tanto non è importante che Luna lo senta, perché lei, lei riesce a guardare oltre a ciò che vede.
 
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Nuova possibilità di nancyS


Se te l'avessero detto qualche anno fa, avresti riso in faccia al tuo interlocutore.
No, aspetta, tu non ridi. Avresti alzato un sopracciglio, arricciato le labbra e lo avresti gelato con il tuo sguardo assassino. Ne sarebbe rimasto terrorizzato e sarebbe corso via a gambe levate.
Ti pizzichi distrattamente un braccio, come se questo gesto potesse rivelarti che stai sognando.
Invece, per quanto ti suoni assurdo, è la realtà: stai attendendo che la tua ex alunna Luna Lovegood, ora principale giornalista e vicedirettrice del Cavillo, arrivi per intervistarti.
Per l'occasione, sei rientrato, dopo fin troppo tempo, nel tuo ufficio nei Sotterranei. Ex ufficio, più precisamente.
Eri Preside durante l'ultimo anno che hai trascorso ad Hogwarts, per cui risiedevi al quarto piano. Sono dovuti passare altri tre anni prima che rimettessi piede nel castello: la lunga convalescenza in ospedale, in seguito al morso di Nagini, ti era sembrata infinita; in seguito, dopo più di un anno, i Medimaghi ti avevano spedito a respirare aria sana, nel sud della Francia.
Respiri, sollevato, l'amata ed umida aria scozzese da un paio di settimane, finalmente; non potevi più tollerare tutto quel sole, nonostante fosse di gran lunga preferibile alle sterili camere del San Mungo.
Ti guardi attorno, e tutto sembra sempre lo stesso; soltanto qualcosa stona: tutte quelle orribili sensazioni di angoscia ed ansia, che vivevano costantemente dentro di te durante gli ultimi anni che hai passato in quelle stanze, sono sparite. Sembra impossibile, ma ora potresti finalmente raggiungere la pace interiore, se solo lo volessi.
Potter ti scrive in continuazione, fin da quando ti rifiutavi di farlo entrare nella tua stanza privata al San Mungo; ti chiede di perdonarlo, pregandoti di lasciarti ringraziare di persona per tutto quello che hai fatto per lui.
E così, il Salvatore del Mondo, si è finalmente reso conto di essere sempre stato protetto dalla persona che si era impegnato ad odiare più di ogni altra; all'inizio, l'odio di cui erano impregnati quegli amati occhi verdi ti aveva turbato, ma poi, era subentrata l'abitudine e ci avevi fatto il callo, come per tutto il resto, d'altronde.
Ma erano l'unica cosa viva, che potevi ricondurre a Lily.
Sospiri, al pensiero di lei. Ora, potresti ritenerti assolto dalle tue colpe di giovinezza: hai salvato suo figlio, hai contribuito alla salvezza del mondo, ma ti senti lo stesso uomo di sempre, senza futuro. Avresti voluto morire, la notte della caduta di Lord Voldemort.
Per lo meno ti saresti risparmiato questa intervista. Dannata Minerva, aveva insistito per mesi!
Cammini avanti ed indietro per la stanza, sperando che la scopa della strega devii la sua traiettoria sentendo i neri pensieri che ti annebbiano la testa.
Pochi minuti dopo, però, bussano alla porta e riconosci la sua voce:
"Professor Piton, posso entrare?"
Come non detto, ma quando mai il fato è stato favorevole con te?
Prendi un grosso respiro.
"Avanti." mormori, sperando che lei non ti senta e torni a fare compagnia al suo pazzo paparino.
Una ragazza bionda, vestita in modo eccentrico, spunta dalla pesante porta. Ti viene in mente che non è mai stata in punizione da te. Di certo, non aveva risultati eccellenti nella tua materia, però devi ammettere che se la cavava abbastanza bene.
I lunghi capelli biondo cenere sono sempre gli stessi, e anche la sua tipica espressione svampita non è cambiata per nulla, ma noti come non sia più una ragazzina: è leggermente più alta, slanciata e il suo corpo ha guadagnato le forme generose tipiche di una donna.
Ti sorride entusiasta, ma non apre bocca. Quel modo di fissarti ti mette a disagio, per cui decidi di spezzare il silenzio:
"Buongiorno, signorina Lovegood."
"Professor Piton, buongiorno a lei! Il mio è cominciato senz'altro bene, visto che ho appena intravisto due Cannoli Balbuzienti nel giardino della scuola."
La fissi glaciale, aspettandoti almeno un minimo imbarazzo da parte sua; invece continua imperterrita a sorriderti.
Come può una mente ben dotata nascondersi dietro tanta pazzia? Te lo sei sempre chiesto, quando era una tua studentessa.
"Ho poco tempo a disposizione. Cominciamo?"
Senza aspettare un tuo invito, si accomoda sulla poltrona di fronte al caminetto, senza smettere di fissarti.
"La vedo davvero bene, professore. Ieri sera sono stata a cena da Harry e abbiamo parlato molto di lei."
Pensi che l'unica cosa che ti ferma dal cacciarla fuori a calci è il tuo incredibile autocontrollo, che hai maturato in venti lunghi anni a stretto contatto con mocciosi di ogni genere.
"Incredibile che il Salvatore del mondo e i suoi amichetti non abbiano altro di cui discutere, che di un loro ex professore."
"Oh, no, abbiamo parlato anche di molto altro, ma, sa, Harry le è molto riconoscente per quello che ha fatto e vorrebbe tanto parlare un pò con lei."
Non l'avevi sospettato. Neanche dopo quella settimana, il mese scorso, il cui il numero delle sue lettere aveva raggiunto il record massimo: otto. Otto lettere in una settimana: non ti eri nemmeno preso la briga di aprirle.
Sapevi bene quello che voleva: con che coraggio potevi affrontare una discussione a cuore aperto col figlio di Lily e James? Impossibile.
"Capisco, purtroppo io non ho tempo da perdere in chiacchiere."
Il tuo tono non ammette repliche e lei lo ha capito.
"Bene, professore, iniziamo?"
Le rispondi con un cenno, mentre incedi elegantemente verso la poltrona di fronte a lei. Vedi che sta fissando la cicatrice che ti hanno lasciato i denti di Nagini.
"E' stato fortunato: se Harry non avesse detto a me e a Neville di correre alla Stamberga a recuperare il suo corpo, non saremmo arrivati in tempo per salvarla."
E così, è anche colpa sua se sei ancora vivo.
"Se vuoi vedere il bicchiere mezzo pieno, sono fortunato."
"Non è felice di essere vivo."
E' un'affermazione, non una domanda. E' così evidente il tuo male di vivere? Eri convinto di non lasciar trapelare mai alcuna emozione.
Eviti di rispondere, del resto non c'è nulla da dire.
"Credevo fossero stati gli Auror a portarmi via da lì."
"No, loro dicevano che sarebbero venuti a riprendere il suo corpo il giorno successivo, ma Harry non ne voleva sapere. Ha chiesto a me e a Neville di farlo, perché lui era troppo occupato... poi Neville è andato via e io sono rimasta a vegliare il suo corpo. Stavo pulendo via il sangue dalla ferita quando ho notato un lieve movimento del suo petto. Erano tutti impegnati in altro, così ho provato a fare del mio meglio, prima che arrivassero i Medimaghi. Mi hanno detto che il mio intervento è stato fondamentale."
Ti ha salvato la vita.
Riesci a pensare solo a questo mentre ti porge domande idiote a cui non sai trovare risposta.
"Crede che se venisse scoperto un allevamento segreto di Gorgosprizzi qui ad Hogwarts, come mio padre sospetta, si potrebbe ricondurre a quello il cattivo rendimento degli studenti?"
La fissi fulminandola con gli occhi, ma su di lei questa tecnica non ha mai funzionato. Di solito i tuoi studenti reagivano annaspando, cercando disperatamente ossigeno e tingendosi di rosso per l'imbarazzo.
Con lei non c'è soddisfazione: non si lascia condizionare dal terrore che incute il tuo sguardo.
"Fortunatamente", la discussione, in seguito, si focalizza sul tuo ritorno ad Hogwarts.
Perché hai deciso di tornare? Non lo sai, come puoi risponderle?
"Era necessario che trovassi un'occupazione, ora che sono guarito definitivamente."
"Ha sempre ammesso di non sopportare noi studenti, cosa l'ha portata a prendere questa decisione? Avrebbe potuto aprire un negozio di Pozioni, oppure avrebbe potuto accettare l'offerta di mio padre, e curare le inserzioni speciali del Cavillo."
Sì, certo. Lavorare in quel covo di pazzi, mettere il tuo nome in una rivista ridicola. Non ti è mai passato per l'anticamera del cervello di accettare.
Ma perché sei tornato ad Hogwarts? Lei ha ragione, tu detesti quei mocciosi che hanno in testa soltanto cumuli di segatura.
Attenzione, una di quelli ti ha salvato la vita, però. E ha fatto una domanda anche sensata, per una volta.
La risposta è una sola: Hogwarts è la tua casa. Come puoi solo pensare di abbandonarla definitivamente? Non c'è più Albus, è vero, ma i tuoi ricordi sono tutti lì.
Non puoi risponderle questo, però.
"Sono un uomo abitudinario."

L'intervista prosegue, in maniera sempre più assurda e ti chiedi nuovamente come sei finito in quella situazione.
L'eroe della Seconda Guerra Magica: dopo Potter, vieni tu. Tutti vogliono intervistarti, ma hai ceduto solo questa volta, a causa di Minerva che ha incluso questa "allegra chiacchierata con una ex studentessa" – così l'ha definita lei – nel tuo contratto di riassunzione.
Semplicemente ridicolo.
Eppure quella donna è Preside ora e ha il potere di farlo: quanto rimpiangi Albus.
Stringi i denti e continui a risponderle, sperando che finisca tutto il prima possibile.
Quando finalmente accompagni alla porta la ragazza, ti concedi di tirare un sospiro di sollievo. E' finita, hai passato anche questo.
"Professore, sono contenta che lei sia vivo. Spero che la vita che non ha perso quella notte la renda felice. Non mi è mai sembrato molto felice, ma vorrei tanto che lo diventasse, ora che può."
Resti senza parole. Fai un cenno con il capo, come ringraziamento.
"E, la prego, parli con Harry. Le ho salvato la vita, mi deve un favore."
Grugnisci, chiudendo la porta, appena ti saluta con un cenno ed un sorriso.
Donne: sanno sempre giocare con i sensi di colpa degli uomini. Oltretutto, quel sincero affetto che ti ha appena dimostrato con le sue ultime parole, ha provocato una sensazione di calore all'altezza del tuo povero cuore malandato. Quanto vorresti essere felice, Severus?


Per arrivare a fine giornata manca soltanto la riunione nell'ufficio di Minerva, per la presentazione della nuova insegnante di Trasfigurazione.
Saluti il tuo vecchio ufficio: d'ora in poi insegnerai Difesa Contro le Arti Oscure e la Preside non vuole che passi troppo tempo negli umidi Sotterranei, dopo quello che hai passato. Ti incammini verso le scalinate, salendole con la calma e l'eleganza che ti contraddistinguono.
Vuoi godere ogni istante del tragitto e ogni angolo della scuola, perché ti è mancata davvero.
Sembra sempre la stessa, anche se gran parte del castello è stata ricostruita dopo la battaglia, ma ogni passo sembra essere quello verso un nuovo inizio. Senti il tuo animo alleggerirsi sempre di più, man mano che ti lasci alle spalle i piani inferiori e quando arrivi davanti ai Gargoyle di pietra la sensazione che ti coglie non è spiacevole come avevi pensato.
Non ricordi il tuo anno da Preside, l'angoscia e la paura di non riuscire ad aiutare Potter.
Non ricordi come la scuola si era trasformata ed incupita sotto il tuo regime di terrore.
Ricordi i sorrisi di Albus, le pacche sulle spalle, quegli occhi pieni di affetto quando si rivolgeva a te.
Gli sorridi, sinceramente, quando entri in Presidenza e lo vedi nel ritratto, come a ringraziarlo di tutto quello che ha fatto per te.
Poi la tua attenzione si sposta alle due donne sedute alla scrivania.
Minerva ti sorride indicandoti con un gesto della mano la ragazza seduta di fronte a lei.
"Severus, ben arrivato! Ti ricordi di Charlene Williams, vero?"
La capacità di articolare frasi coerenti ti abbandona, mentre il tuo sguardo si posa sull'ex Serpeverde, uscita da Hogwarts una decina di anni fa. E' cresciuta, eccome. Ed è bellissima.
I suoi occhi verdi ti avevano sempre ricordato Lily, ma verso la ragazza non avevi mai provato nulla, prima. Non potevi, prima.
Ora il fantasma di Lily ti ha lasciato, puoi vivere.

* * *

E' Halloween, hai appena ballato con Charlene e questa esperienza ti ha sconvolto. Certo, non lo dai a vedere, ma non riesci a pensare ad altro che alla tua mano sul suo fianco e al suo viso solare che ti sorride.
Stai percorrendo il corridoio che ti separa dalla tua camera, mentre all'improvviso ti senti tirare il mantello e quando ti accorgi che è stata lei, rimani piacevolmente sorpreso.
Vi trovate uno stretto all'altra, perché lei ha posato le sue mani sulle tue spalle, portandoti più vicino a sé.
"Severus, io non ce la faccio più. Sono due mesi che cerco di avvicinarmi a te quando sei da solo e tu mi sfuggi sempre! Cosa devo fare perché tu mi stia ad ascoltare?"
"Mi sembra un modo efficace quello che hai scelto."
Ti sorride e il nodo che avevi allo stomaco si scioglie.
"Allora, cosa devi dirmi?"
Potresti arretrare e togliere le sue mani dal tuo corpo, ma non vuoi.
Si avvicina ancora di più e posa le sue labbra sulle tue.
Non riesci a non rispondere al bacio: lo brami da quando l'hai vista nell'ufficio della Preside all'inizio dell'anno.
Le tue mani si muovono autonomamente, andando a stringere la sua vita e accarezzandole la schiena.
Quando lei interrompe il bacio, non riesci a reprimere un sospiro contrariato. Sorride dolcemente, con gli occhi lucidi, e si alza sulle punte dei piedi per sussurrarti all'orecchio:
"Volevo dirti che mi piaci da morire. E non credere che sia affascinata dalla tua nomea di eroe di guerra. Volevo baciarti già al mio quinto anno!"
Le sorridi, compiaciuto della confessione, e la baci, per farle capire che anche lei ti piace; non propriamente dal suo quinto anno da studentessa, ma il desiderio che vi lega è lo stesso. E' quello di scoprirsi, quello di conoscersi. E' il desiderio di amarsi e di costruire una nuova vita.

Ricordati di ringraziare quella "dannata" ragazzina per averti salvato la vita. Ti ha dato una nuova possibilità di essere felice.
E rendi felice anche lei: scrivi a Potter.
 
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view post Posted on 22/1/2017, 18:42
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In difesa della diversità di misslegolas86



“Ehi ragazze, guardate qui chi si vede: Lunatica Lovegood!”
Pansy Parkinson ai piedi della scala di marmo aveva cominciato a tormentare Luna che in quel momento stava scendendo per andare a cena.
“Che ci fai in giro tutta sola? Ah, che sciocca, dimenticavo che tu non hai amici. Chi mai vorrebbe farsi vedere in tua compagnia! “
Il gruppo di amiche Serpeverde sghignazzava alle sue spalle.
“Ancora leggi queste idiozie di quello strambo di tuo padre?” aveva continuato Pansy strappando dalle mani di Luna una copia del Cavillo. “Alla tua famiglia decisamente manca qualche rotella. E’ una vergogna che Hogwarts ammetta gente come te.”
“Si può sapere che succede qui?”
Severus Piton, che aveva assistito alla scena mentre saliva dai sotterranei, era alle spalle del gruppo di Serpeverdi.
“Signorina Parkinson, penso che lei e le sue amiche fareste bene a ritirarvi, preferibilmente in silenzio, nella Sala Comune della vostra casa se avete già cenato. “
Pansy, che alla presenza dell’insegnante aveva perso tutta la sua arroganza, cercò di giustificarsi: “Professore stavamo solo…”
“Taci, signorina Parkinson. Ha già parlato fin troppo. Consegnami quello che ha appena sottratto alla signorina Lovegood.”
La copia del Cavillo, con un enorme foto di un Ricciocorno in copertina, passò nelle mani di Piton.
“Dieci punti saranno tolti a Serpeverde; ed ora via!”
Il gruppo di Serpeverde si allontanò veloce diretto ai sotterranei.
“Credo che questo sia suo, signorina Lovegood.”
Piton porse la rivista a Luna ma questa, con un enorme sorriso, gli rispose:
“Lo tenga lei, professore, io ne ho un’altra copia in camera.”
Sconcertato per la risposta, Piton borbottò un incomprensibile ringraziamento.
“Grazie a lei, professore. Nessuno era mai intervenuto a difendermi, tranne Ginny. Mi raccomando, lo legga, così magari sorriderà un po’ di più e si sentirà meglio.”
Detto questo, la ragazza si allontanò saltellando.
Ancora basito per gli eventi, Piton si avviò verso il suo studio nei sotterranei. Aveva rimproverato studenti della sua casa e aveva sottratto ben 10 punti per una stupida rivista. Aveva agito senza pensare, d’impulso, quasi senza accorgersi di quello che stava facendo. Ed ora, come suo solito, non poteva non razionalizzare il proprio comportamento. I suoi occhi erano fissi sulla copertina del Cavillo ma in realtà la sua mente era lontana, persa nei ricordi di tanti anni prima.

“E’ ancora in giro per casa? Tuo figlio non ha nessun posto dove andare per togliersi dai piedi?”
La voce del padre dal salotto lo raggiunse mentre andava a rintanarsi nella sua camera.

“Ehi mostro! Dove hai preso quell’orrendo cappotto? Lo hai rubato al barbone che dorme sotto il ponte della ferrovia?”
Un gruppetto di ragazzini al parco giochi, come al solito, si divertiva nel passatempo preferito: tormentarlo.
“Perché non te ne vai di qui? Ci dai fastidio con la tua presenza.”
“No!” aveva urlato con la sua voce ancora da bambino ma già così amara per le delusioni della vita.
“Come? Non te ne vuoi andare eh? Lo vedremo.”
Una scarica di pietre gli era piombata addosso. Lacrime di rabbia colavano sulle guance insieme al sangue di una ferita sul sopracciglio mentre correva via.

“Lascialo stare, Lily. E’ il figlio dei Piton che abitano giù a Spinner’s End. Gente strana.”
Il disprezzo nella voce di Petunia gli risuonava ancora nella mente insieme al ricordo della paura di quando era bambino: che Lily potesse disprezzarlo per le sue stranezze.

“Chi vuole vedere se Mocciosus porta le mutande?”
L’ennesima illusione della sua vita, infranta. Hogwarts non aveva significato normalità e accettazione, ma ancora una volta aveva dovuto convivere con la derisione e il disprezzo.


Erano questi ricordi dolorosi che lo avevano spinto ad agire in difesa di Luna.
Sprofondato nella poltrona davanti al caminetto del suo ufficio, all’improvviso tutto gli fu chiaro.
Non era giusto.
La diversità non doveva essere oggetto di denigrazione.
Certo, la Lovegood, come suo padre del resto, erano l’ennesima potenza della stranezza, credevano in cose assurde e illogiche, ma come studentessa era un valido elemento. I suoi infusi erano più che discreti e anche i suoi temi, seppure un po’ contorti, erano di buon livello. Ed era questo ciò che contava. In quella ragazzina, maltrattata per la sua eccentricità, non era riuscito a non vedere se stesso, umiliato e denigrato per la sua diversità. Nessuno lo aveva mai difeso, tranne Lily.
Ma lui non sarebbe rimasto passivo spettatore di tali ingiustizie che tanto male gli avevano fatto da bambino. Si sentì orgoglioso per essere intervenuto e con un sorriso cominciò a sfogliare il giornale che Luna gli aveva regalato.

“COSA?”
Ron, seduto al tavolo dei Grifondoro, lasciò cadere una salsiccia nel piatto.
“Hai dato a Piton una copia del Cavillo?”
“Sì” rispose candidamente Luna seduta accanto a Ginny. “Io ne ho un’altra nel mio dormitorio, e lui è stato così gentile ad intervenire in mio favore. Può darsi che lo stia già leggendo al posto di quei libroni di pozioni. Magari accetterà anche il mio consiglio di sorridere un po’ di più.”
Ron, a bocca aperta, non riuscì ad articolare nessun suono. Fu Hermione ad esprimere il suo pensiero:
“Hai davvero consigliato a Piton di sorridere un po’ di più?”
“Certo. In fondo è un brav’uomo e se sorridesse un po’ di più starebbe meglio anche con se stesso.”
Ron e Harry incrociarono lo sguardo prima di alzare gli occhi al cielo.
 
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view post Posted on 22/1/2017, 18:53
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Quiet Despair di arcady



Si risveglia di soprassalto e scatta a sedere come una molla. Non sa perché si trova lì, non sa neanche dove si trova, a dire il vero. Si guarda intorno: terra, foglie cadute, radici, alberi e, sopra di lui, squarci di cielo terso.

Dove mi trovo?

L’uomo è sicuro di conoscere quel luogo ma gli sfugge: tutto gli sfugge, nello stesso modo in cui spesso si ha la sensazione di avere una parola sulla punta della lingua che scivola via appena ti ci concentri.
Frustrante.
Dopo un po’ smette di guardarsi intorno e si concentra su se stesso, si guarda le mani: dita lunghe, affusolate, segnate da alcuni tagli superficiali.

Cosa mi è successo?

Si tocca la testa e trova una massa di capelli umidi, lisci e scuri; ne prende una ciocca tra le dita e la osserva.

Quindi questi sono i miei capelli, perché non me lo ricordavo?


Comincia ad agitarsi, si alza in piedi e guarda in giù, verso il suo stesso corpo: indossa pantaloni scuri che hanno visto tempi migliori e una giacca scura anch’essa, originariamente – ipotizza - abbottonata fino alla gola, che ora ha diversi bottoni allentati e alcuni, all’altezza del petto, del tutto strappati.
Ai piedi calza stivali neri sporchi di terra.
Non ha ricordo di quando li ha indossati, questi abiti.

“Ehilà, c’è qualcuno?”
Una voce frizzante, leggera, si infiltra tra i tronchi degli alberi arrivando fino a lui, da breve distanza.
Poi sente una serie di frusci in avvicinamento e si nasconde dietro il grande tronco cavo che ha individuato alla sua destra. Rimane immobile, sbirciando da dietro le fronde il punto in cui appare, dopo poco, un viso di donna. E’ colpito dai suoi capelli, lunghissimi e di un biondo accecante e dagli occhi azzurri, grandi e luminosi.

***


Adwen si affaccia sulla radura da cui, ne è sicura, poco prima ha sentito giungere dei rumori.
“Andiamo, non nasconderti, so che sei qui da qualche parte!” esclama facendosi avanti lentamente, sorridendo.
L’uomo, ancora nascosto dietro il tronco, continua ad osservarla, circospetto.
“Sei più timido di un Ricciocorno Schiattoso!” esclama poi Adwen, incrociando le braccia al petto e mettendo il muso.
Rimane così per un po’, battendo nervosamente il piede destro a terra, poi, con un sospiro, si volta e torna sui suoi passi borbottando qualcosa di incomprensibile.

“Ehm … aspetta,” il giovane esce dal suo nascondiglio improvvisamente, ma non muove un solo passo verso di lei. “Salve,” aggiunge con circospezione.
Adwen si volta di nuovo, lo sguardo colmo di sorpresa che si trasforma subito in un bellissimo sorriso.
“E io che credevo di avere a che fare con Perseo!” sbotta, ridendo.
L’uomo le lancia uno sguardo interrogativo e Adwen si affretta a spiegare.
“Chiedo scusa,” dice gesticolando allegramente. “Parlavo del nostro Etone*, vengo nel bosco ogni giorno per portargli un po’ di carne fresca e pensavo di averlo trovato, ma è evidente che oggi ha deciso di volare altrove per rifocillarsi. Beh, peggio per lui!” aggiunge mettendosi uno zaino scuro in spalla.
Si rende conto presto che il giovane è ancora confuso, fa per avvicinarsi ma l’altro fa un passo indietro.
“Stai tranquillo, non ho intenzione di farti del male,” dice alzando le mani. “che cosa ti è successo? Hai bisogno di aiuto? Io abito a due passi, se vuoi puoi unirti a me e mia figlia per pranzo, le farebbe sicuramente piacere, non abbiamo molti vicini!”
“Io … “ il giovane si rende conto di non ricordare neppure da chi o cosa tornare, l’unica cosa sicura sono quegli occhi calmi e quel sorriso gentile e decide di seguire la donna. “Grazie, sei davvero gentile, sono un po’ confuso, non so perché mi trovo qui: devo essere svenuto,” fa per portarsi una mano alla fronte e sente un liquido caldo, vischioso e parzialmente seccato. Sangue. Gli ricopre buona parte della fronte, così sposta la mano e si accorge di avere una vistosa ferita all’altezza dell’attaccatura dei capelli.
Trova strano il fatto che non gli facesse male: dipenderà dallo stordimento, pensa con noncuranza.
Adwen si accorge del sangue solo ora che l’uomo ha scostato i capelli dalla fronte, lo raggiunge in fretta e l’osserva da vicino con curiosità, spostando lo sguardo intorno.
“Devi essere caduto di testa su questa roccia, è ancora sporca di sangue,” dice indicando un masso appuntito poco distante.
“Come ti chiami?” gli chiede subito dopo.
“Io … al momento non ricordo, ma sono sicuro che mi tornerà in mente...” asserisce lui, sempre più confuso. “Almeno lo spero.”
“Devi aver preso una brutta botta,” Adwen sorride, comprensiva. “Vieni con me, un po’ di riposo ti farà bene e vedrai che tornerà tutto a posto in men che non si dica.” Così dicendo si avvia fuori dalla radura, voltandosi ogni pochi passi per assicurarsi di non andare troppo in fretta.
L’uomo la segue come si segue una luce abbagliante in un tunnel buio: è una strana sensazione non conoscere più nulla e nessuno, neppure se stessi.
Dopo circa dieci minuti di cammino la boscaglia si dirada, lasciando il posto ad un grande prato collinoso, sulla cui cima si intravede una strana costruzione cilindrica che ha tutta l’aria di poter crollare da un momento all’altro.
“Ti piace?” gli chiede la donna. “Questa è casa Lovegood e io sono Adwen Lovegood, tanto piacere!” gli stringe la mano con presa delicata ma, allo stesso tempo, prorompente.
“E’… bizzarra …” risponde lui, guardando sbalordito quella specie di fungo al contrario. Si sente un po’ a disagio, ora.
Arrivati nei pressi della casa, l’uomo vede, in lontananza, un’altra chioma bionda luccicare al sole estivo, sotto un cappello di paglia a tesa larga.
“Luna!” chiama la donna. “Abbiamo un ospite per pranzo, tesoro,” aggiunge allegramente, attraversando il piccolo cancello di legno aperto sul cortile.
La bambina si volta verso di loro e il giovane nota un viso notevolmente somigliante a quello di Adwen guardarlo con occhi grandi e vivaci.
“Benvenuto,” esclama la piccola.
Deve avere più o meno una decina d’anni, osserva lui, indossa una canotta e dei pantaloncini corti e, soprattutto, è ricoperta dalle spalle alle caviglie di una sostanza violacea e viscida.
“Ehm … salve,” riesce a dire, osservandola con occhi sgranati.
Luna piega la testa di lato tentando di capire cos’è che sconvolge tanto il suo interlocutore, poi sembra ricordare tutto d’un tratto di essersi spalmata il succo addosso e fa un sorrisetto furbo.
“E’ succo di Prugne Dirigibili! Fa bene alla pelle e mi schiarisce la mente,” spiega la bambina. “l’unica nota negativa è che attira i Gorgosprizzi,” aggiunge parlandogli all’orecchio, come se gli stesse rivelando un segreto molto importante.
L’uomo non può che annuire senza capire mentre Adwen lo trascina su per la ripida scaletta che porta all’ingresso della loro casa.
“Eccoci qui! Luna, tra pochi minuti sarà pronto il pranzo, togliti di dosso quella marmellata appiccicosa, tesoro!” asserisce continuando a sorridere.
“Si, mamma,” risponde la bambina, seguendoli in casa con passo indolente. “Vado a darmi una ripulita.”
“Quei due sono fissati con animali più unici che rari e stranezze varie” borbotta bonariamente Adwen, riferendosi chiaramente a Luna e al padre. “Io, invece, amo sperimentare con questa!” esclama con entusiasmo , tirando fuori la sua bacchetta dalla tasca dei jeans chiari.
“Al momento sto lavorando ad una formula che permetta di pressare, utile per chiudere una valigia, una porta, spingere oggetti dentro un contenitore eccetera,” spiega Adwen. “ non lo trovi tremendamente appassionante?” chiede, alzando lo sguardo verso il giovane che la ascolta assorto, trovando il tutto interessante e, in qualche modo, familiare.
“Assolutamente si,” conferma. “come funziona?”
“Allora,” comincia Adwen, concentrata. “ Non devi far altro che puntare la bacchetta e pronunciare la formula Immitto, però è necessario agire con cautela perché ho notato che, girando male il polso, ossia da destra verso sinistra, l’effetto aumenta spaventosamente d’intensità e tende a ritorcer tisi contro,” aggiunge poi, con naturalezza.
“Vuoi una dimostrazione pratica?” propone poi, felice di poter conversare con qualcuno che si interessa ai suoi esperimenti.
“Uhm, va bene, ma fai attenzione, ti prego,” risponde l’altro circospetto.
“Oh, ma certo che lo farò,” dice Adwen, agitando la mano di fronte al viso come a scacciare una mosca fastidiosa.
La bacchetta è puntata verso lo specchio appeso dietro la porta della cucina – l’intenzione è semplicemente quella di spingere quest’ultima verso lo stipite – ma poi l’uomo si accorge che Adwen, mentre pronuncia l’incantesimo, ruota la mano nel verso sbagliato, probabilmente confusa dal riflesso, ma non fa in tempo a raggiungerla: uno scoppio e un’ondata di potenza inaudita la scaglia violentemente contro il tavolo al centro della stanza, abbattendo anch’esso e facendola poi crollare, in fin di vita. Adwen non fa in tempo a rendersi conto dell’accaduto: è già a terra, morente.
L’uomo, accovacciato accanto a lei, si rende subito conto che non c’è più nulla da fare. Mentre è lì con la bocca spalancata, incapace di proferire parola di fronte a quell’orrore, succede qualcosa, una luce fredda si fa largo nella sua mente: i ricordi stanno tornando, come una doccia gelata si abbattono su di lui; il fiato si fa corto e sente di non poter reggere a tanto disgusto verso se stesso e verso il mondo.
Lily, Voldemort, i suoi genitori, Silente, i Mangiamorte, le sue scelte, le persone che ha ucciso.
Ancora Voldemort. Ancora Lily.
Un singhiozzo esce dalla sua bocca socchiusa e le mani, strette in quelle fredde di Adwen, si staccano in fretta e lui scatta in piedi.
“So chi sono,” mormora tra sé e sé, appoggiandosi alla parete e spingendo le braccia contro il muro tanto forte da dare l’impressione di volerlo togliere di mezzo.
E’ sconvolto. Adwen sta morendo: non si capacita della gratuità di quella tragedia, uno stupido errore, un gesto sbagliato e la vita di una donna, di una madre si è spezzata.
Severus è ancora lì, immobile, quando Luna si affaccia sulla porta, lentamente, come a voler prolungare il più possibile l’incertezza, rifiutando ciò che intuisce stia accadendo.
Lui la guarda e sente un rantolo sinistro uscire dalla sua gola: solo questo. Per il resto Luna rimane immobile, ipnotizzata dal corpo della madre, che esala l’ultimo respiro silenzioso proprio in quel momento.
Severus è lacerato da quel rantolo: non dovrebbe mai provenire da un bambino un rumore così agghiacciante.
Non sa cosa fare, è tornato ad essere se stesso e non sa se sarà in grado di fare qualcosa per lei, ma non può lasciarla lì, ad abbracciare lo stipite della porta, tremante.
Si avvicina lentamente e le mette una mano sulla spalla, stringendo un po’; Luna alza lo sguardo verso di lui con una lentezza dolorosa: i suoi occhi chiari sono ancora più grandi ma privi della vitalità che li animava fino a poco prima.
“E’ sempre stata così distratta …” dice piano la bambina, cercando negli occhi di Severus una spiegazione plausibile, accettabile per l’accaduto.
Lui si inginocchia di fronte a lei, la guarda intensamente e vede molto più della disperazione di una bimba che ha perso la madre: vede decine e decine di visi disperati, deformati dall’angoscia, urla impietose, indifferenza, orrore, le morti che ha provocato e Lily, ancora una volta. Vede suo figlio che piange disperato nel lettino, mentre guarda sua madre a terra, immobile.
Severus è spezzato ma deve assolutamente fare qualcosa per Luna; la prende tra le braccia ma la piccola rimane immobile, in piedi: non parla e respira così lentamente da dare l’impressione di essere stanca di farlo.
Severus non dice niente: sa che qualunque cosa sarebbe inutile, inappropriata, sa che un dolore così grande non è consolabile. La culla nel suo abbraccio, tentando di riscaldare, per quel poco che può, il buco gelido e nero che si sta formando in quel giovane cuore.
Dopo un pò la sente reagire: il corpicino è attraversato da fremiti sempre più violenti e lei comincia a piangere silenziosamente, aggrappandosi disperatamente al collo di Severus e nascondendo il visetto contro il suo petto.
Dopo un tempo indefinito, quando il pianto è diventato un tremito sommesso, Severus si allontana lentamente da lei, tenendola per le spalle.
“Dove si trova esattamente il tuo papà, piccola?” le chiede sottovoce.
Si sente male, non dovrebbe essere lì a vedere quell’orrore familiare, non dovrebbe essere lui a consolare quella bambina.
“In Svezia, dice che questa volta riuscirà a scovarne almeno uno … “ mormora la piccola, gli occhi arrossati e le labbra che tentano di arricciarsi in un minuscolo sorriso sghembo. “E’ alla ricerca di un esemplare di Ricciocorno Schiattoso,” spiega. “L’anno scorso abbiamo fatto una spedizione insieme ma non siamo stati fortunati, spero che questa sia la volta buona.” Dice alla fine, voltandosi e uscendo dalla stanza.
“Credo sia ora di farlo tornare a casa, se mi dai l’indirizzo del suo alloggio in Svezia gli mandiamo un Gufo, va bene?”
“Si,” risponde con calma Luna, rimanendo immobile a guardare il cielo attraverso la bizzarra finestra circolare del soggiorno.
“Guarda!” esclama all’improvviso avvicinandosi al davanzale e puntando il dito in alto. “Ecco Perseo che torna! Ma, che strano, non l’ho mai visto in compagnia,” aggiunge pensierosa.
Severus le si fa vicino e segue, con lo sguardo, la direzione del dito della bimba: il sole, dolorosamente luminoso, è coperto dalle sagome di due enormi cavalli alati che si avvicinano, ma uno dei due è più magro, quasi scheletrico, nero e dall’aspetto minaccioso.
“Non è un Etone,” mormora subito dopo. “Si tratta di un Thestral.” Le spiega.
“Che cos’è un Thestral? Non l’ho mai visto prima, mio padre non me ne ha mai parlato,” chiede Luna, ansiosa.
Severus si sente mancare l’aria: non vorrebbe dire la verità alla piccola, non è pronta per sentirla, non vuole rigettarla nello sconforto che sta tentando con tutte le sue forze di rifiutare, ma sa anche che non è giusto mentirle, che non la aiuterebbe.
“E’ un cavallo alato, esattamente come il tuo Perseo, però è speciale: solo a chi ha visto morire qualcuno è permesso di vederlo.” Le spiega, sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Sembra poco simpatico,” osserva Luna, piegando la testa di lato, ignorando volutamente il significato che le parole che ha appena ascoltato assumono per lei.
“E’ innocuo, non devi averne paura,” le dice Severus, poi si abbassa di nuovo sulle ginocchia. “Non avere paura, Luna. La mamma sarà sempre vicino a te. Vedi, i Thestral volano molto in alto, per ricordarti che lei ti guarda da lassù, che veglia sempre su di te.”
Luna punta lo sguardo su Severus, un’ombra si insinua nell’azzurro dei suoi occhi : ricorderà queste parole per lungo tempo.

***



Due anni dopo, Severus è seduto al tavolo degli insegnanti, ad Hogwarts, e sta assistendo svogliatamente alla cerimonia di smistamento dei nuovi studenti.
Una ragazzina bionda e dai grandi occhi azzurri si appresta a salire i pochi scalini che la separano dallo sgabello su cui prendere posto per farsi smistare.
Severus punta lo sguardo su di lei e Luna alza gli occhi proprio in quel momento; ad entrambi sembra di tornare indietro di due anni: per Luna si è trattato del giorno peggiore della sua vita, per Severus del giorno in cui è inciampato nel bosco mentre cercava piante di Alioto, perdendo conoscenza e memoria e ha incontrato Adwen Lovegood, che l’ha aiutato e lo ha invitato casa sua, per poi morire davanti ai suoi occhi.
Luna, con un sorriso appena accennato, mima con le labbra la parola grazie e Severus muove il capo in un cenno di saluto, rispondendo al suo sorriso.
Poche ore più tardi, mentre si attarda alla finestra dell’ufficio di Silente dopo la consueta riunione con il Preside, Severus nota una figura dalla fluente chioma bionda seduta sulla scalinata esterna: è Luna ed è senza scarpe. Sta rigirandosi tra le mani uno strano ciondolo, gli pare si tratti di un tappo di Burrobirra, nientemeno.
Severus sorride: è un sorriso amaro.
Ci sono molti modi per reagire alla morte. Alcuni si chiudono in loro stessi, altri vivono ancora più intensamente, altri ancora si inventano mondi migliori, perché quello vero è semplicemente troppo triste da guardare.


*Cavallo alato di color castagno e diffuso in Gran Bretagna e Irlanda.
 
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view post Posted on 22/1/2017, 18:59
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Butterfly di pingui79



*** Spread your wings… ***

Crack!
I rami secchi gemono sotto i tuoi piedi, spezzandosi sonoramente.
È da quasi un’ora che vaghi senza una meta, con incedere molle e quasi goffo. Il nero mantello struscia tristemente a terra senza la sua proverbiale eleganza.
Sembri una vecchia bambola rotta che nessuna magia è più in grado di riparare.
Hai gli occhi sbarrati, ma non sono certo gli alberi quelli che vedi, né tantomeno il sentiero: vedi il futuro che ti attende tra breve, ancora più tremendo e spaventoso del passato che è alle tue spalle.
Crack.
No, non è il sottobosco questa volta: è il tuo cuore che si frantuma, ancora, ancora ed ancora. Sono anni che sta andando in mille pezzi, è uno stillicidio mortale, ma coraggiosamente non ti vuoi sottrarre. Peggio, ora non ti puoi più sottrarre, perché alla condanna che ti sei inflitto da solo si è aggiunto anche il destino, che beffardamente sta giocando a dadi con la vita di Albus.
Dal limitare della Foresta Proibita assisti al tramonto del sole.
Un altro giorno che muore. Un giorno in meno da condividere con colui che per te è diventato un padre ed un amico da rispettare ed amare. E da uccidere.
Quel vecchio testardo ti ha appena rimproverato come solo lui sa fare, perforandoti l’anima con il limpido azzurro dei suoi occhi. Calmo e irremovibile, è stato dolcemente spietato: un delicato cappio di velluto che ha soffocato ogni tuo proposito di venire meno al Voto Infrangibile e alla promessa fatta.
Sai che cosa ti fa più male, vero? Il fatto che abbia ragione.
Ti volti per tornare al castello, ma all’improvviso una bionda cascata di capelli ed un volto al contrario invadono il tuo spazio visivo, riscuotendoti da ogni cupo pensiero.
Per la barba di Merlino, cosa ci fa una studentessa su ramo a testa in giù, in tutta tranquillità?
Che assurdità è mai questa?
Ah no, è soltanto Luna Lovegood.
Pacata, fuori dall’ordinario, semplicemente disarmante. Strana, anzi no: speciale, te ne sei accorto anche tu, anche se preferisci ironizzare spesso sulla sua sanità mentale. Ma se fosse una pozione non hai dubbi: il Distillato della Pace le si addice alla perfezione.
Ricomponi la solita espressione fatta di indifferenza e cinismo; nulla deve trapelare della tempesta che infuria dentro di te.
«Buonasera, professor Piton, anche lei da queste parti?» La voce sognante è sempre la stessa, nemmeno lontanamente incrinata per lo sforzo di stare al contrario.
«Lovegood, è troppo chiederle di rivolgersi ad un insegnante in una modalità perlomeno civile?» Sibili minaccioso, cercando di assumere quel contegno che da sempre è lo spauracchio di ogni studente.
«Oh, è vero!»
Nulla da fare, non ti riesce proprio d’intimidirla mai e poi mai.
Si raddrizza e scende dal ramo con un piccolo balzo, atterrando sul terriccio con i piedi nudi. Le hanno nascosto ancora gli effetti personali. Studenti teste di legno.
«Ero nel bel mezzo di una riflessione, non mi ero accorta che fosse così tardi.»
Quanto enorme sarà il punto interrogativo che senti comparire sul viso? Tanto, dal momento che lei inclina la testa di lato e ti guarda meravigliata, giocherellando con la collana di tappi di Burrobirra e sistemandosi meglio la bacchetta dietro l’orecchio sinistro. Non osi nemmeno immaginare di quali invisibili creature ti starà credendo vittima.
«Non le capita mai di avere un problema da risolvere?»
Un problema? Uno? Merlino, non sai da dove cominciare per fare l’elenco e sei indeciso se ridere o piangere per la domanda appena posta.
Albus da uccidere, Potter da proteggere con tutto te stesso, Draco da preservare. Ognuno di questi nomi porta con sé un’infinità di implicazioni, tutte spiacevoli e strazianti.
Non hai un problema, ne hai una miriade e di soluzioni invece nemmeno a parlarne, tanto che a momenti hai voglia di scappare da qualche parte, isolarti ed urlare a squarciagola fino a quando fa male, fino a restare senza fiato né voce. Prima o poi esploderai come uno dei proverbiali calderoni di Paciock.
Non rispondere e dirle di non occuparsi degli affari altrui è la cosa più logica che puoi fare.
«Ovviamente no, non ne ho, signorina Lovegood.»
E ovviamente quando si tratta di Luna la logica decide di non cooperare. Così ti ritrovi a mentire, come sempre in fin dei conti, no?
«Oh, lei è davvero fortunato.»
Aspetta, questa te la devi proprio segnare, è la considerazione più tragicamente comica ed errata che tu abbia mai sentito.
«Io invece» prosegue lei, ignorando beatamente il tuo sopracciglio inarcato «quando non so come risolvere un problema seguo il consiglio di mio padre: “se una situazione ti sembra troppo complicata, prova a guardarla da un’altra prospettiva.”»
Da quando è scesa da quel ramo non ha mai smesso di guardarti con indulgenza, come se l’alunno incapace di comprendere fossi tu e necessitassi di essere seguito pazientemente. Nemmeno Albus osa tanto.
Ti lascia congedandosi con un piccolo inchino ed un sorriso sulle labbra, avendo l’ultima parola: è difficile anche per te replicare a tono alle sue affermazioni, soprattutto con lo stato d’animo che ti ritrovi adesso.
Alzi gli occhi.
Vedere le cose da un’altra prospettiva.
L’ultima volta che hai intravisto cielo e terra invertirsi i ruoli avevi quindici anni, una buona dose di riscatto da cercare, tanta solitudine da colmare e un grande amore da donare. E’ stato il giorno in cui hai davvero mandato all’aria il tuo mondo con una sola e irrimediabile frase sbagliata.
Non ti basterebbe un’intera vita a testa in giù per riaggiustare il tutto.
Provi invidia per la tranquilla semplicità di lei, che sfugge ad ogni atto di derisione dei compagni e ad ogni tuo tentativo di comprenderla razionalmente.
E’ come una farfalla: le basta un piccolo battito d’ali per vedere la vita da un’altra prospettiva.
Pacata, fuori dall’ordinario, semplicemente disarmante, speciale.
Leggera.

***
Entri e con mossa fulminea ti addossi alla porta della tua stanza con tutto il peso del corpo, respirando a pieni polmoni e con il cuore impazzito, fino a che non ti lasci scivolare a terra privo di forze.
Sei un inutile guscio vuoto, buono solo ad essere calpestato e gettato.
Il pavimento di pietra è duro e freddo, ma mai quanto la realtà delle cose che il Preside ti ha appena sbattuto in faccia.
Lily. Albus. Harry.
Tra le pareti si spande l’eco dei singhiozzi che ti squassano il petto. Hai un unico desiderio: addormentarti per sempre – lì, ora, subito – e non svegliarti mai più.
Quindici anni fa una parte di te è morta con Lily. Tra qualche mese un’altra se ne andrà assieme ad Albus. Ora sai che quando dovrai guardare il ragazzo negli occhi e fargli sapere che dovrà morire, quello sarà il tuo momento di dire addio alla vita. Dopo di lui non ti sarà rimasto più nulla, non avrai più alcun motivo per andare avanti.
Resti lì, nero fagotto che trema sulla nuda pietra ed è lì che il mattino ti trova, rannicchiato su te stesso, infreddolito, indolenzito, con gli occhi gonfi di pianto e la testa che ti scoppia.
Il nuovo giorno inizia e ti richiama ai tuoi doveri. Non ti tirerai indietro, non sei un codardo.
Ti rialzi, ti rendi perlomeno presentabile ed i minuti che passano ora più che mai li senti scorrere come sabbia tra le dita, non puoi fermarne nemmeno un granellino senza inevitabilmente perderne altri.
La vita non è giusta.
“Se una situazione ti sembra troppo complicata, prova a guardarla da un’altra prospettiva.”
Ti devi aggrappare alla spalliera della poltrona fino a conficcarci le unghie, per evitare di correre fuori come un forsennato e chiedere alla Lovegood “come si fa? come fai?”. Quasi quasi ti precipiti sul serio a metterti penzoloni da un ramo, sia mai che riesca ad alleviare il macigno che ti pesa sullo stomaco.
Saresti un pipistrello sotto tutti i punti di vista, te lo immagini?
Lo immagini eccome, così distintamente che inizi a ridere e non ti fermi più; ridi talmente tanto che ti salgono nuovamente le lacrime agli occhi. Piangi e ridi, piegato in due e con il volto tra le bianche mani affusolate.
E non puoi fare a meno di chiederti quanto dolore un uomo può sopportare prima di impazzire del tutto.

***
Il silenzio è insostenibile e pesante. Nessuno fiata. Non i ritratti dei presidi, non i tre ragazzi appena sorpresi per le scale con la spada di Grifondoro ancora in mano, non tu, che stai cercando di escogitare – e in fretta – un rimedio per sottrarli alla follia dei Carrow.
I tuoi occhi d’ebano lanciano strali che inibiscono ogni protesta.
Ecco il previsto e temuto scalpiccio dietro la porta – ancora non ti è venuto in mente nulla, dannazione! – e i due Mangiamorte fanno la loro comparsa, tronfi del loro ruolo di insegnanti dispensatori di Cruciatus. Sorridono crudelmente, pregustando una lunga notte di punizioni su inermi studenti. Ti fanno ribrezzo.
Fulmini Paciock e la Weasley con occhiate di fuoco e quelli diventano pallidi come cadaveri. Come li togli ora dai guai? E cosa è saltato in mente alla Lovegood…
… che non ti guarda. Anzi, non sta guardando nessuno di voi. Appoggiata alla finestra osserva fuori con aria sognante, contemporaneamente presente ed estranea.
Piccola farfalla, da quale prospettiva stai vedendo questa intricata situazione, eh? Cosa c’è là fuori di tanto interessante?
La Foresta Proibita.
Clic.
L’associazione di idee scatta repentina ed è un autentico colpo di fortuna.
Una Corvonero appesa ad un ramo, giusto pochi mesi fa. Quattro studenti del primo anno in punizione notturna con Hagrid, ne è passato invece di tempo.
La Foresta Proibita.
Non trattieni il ghigno di soddisfazione, né tantomeno la luce di vittoria che traspare dagli occhi, mentre decreti il castigo.
I Carrow sorridono compiaciuti della tua malvagità. Idioti. Non sapranno mai che ti sei invece appena preso gioco di loro.

***
Ti stringi un po’ di più nel mantello per ripararti dal freddo. I minuti stanno trascorrendo lenti, troppo per il tuoi gusti. Dovrebbero essere già di ritorno, perché non si vedono ancora?
All’abbaiare di Thor rilasci un sospiro di sollievo, la fiammella nella lanterna di Hagrid illumina tre sagome che ti sono note. Visto? Non c’era alcun motivo di preoccuparsi sul serio.
Ti stagli in tutta la tua imponenza sul grande portone, ancora più minaccioso e terribile con la luce dell’atrio alle tue spalle. Rimandi il Mezzogigante alla sua capanna con un cenno imperioso del capo, ai ragazzi rivolgi una sola parola che non ammette repliche.
«Dentro.»
I due Grifondoro ti lanciano occhiate d’odio feroce prima di dirigersi verso la torre. Questo è il ringraziamento per averli salvati da qualcosa di ben peggiore che una passeggiata notturna di qualche ora. Questo è quello che riceverai ogni volta, quando interverrai a modo tuo per proteggere gli studenti senza rischiare di farti scoprire.
Luna invece è sempre diversa dagli altri, anche in quest’orrore che sembra non avere fine.
«È stato molto gentile da parte sua aspettarci. Buonanotte, professor Piton.»
Ti guarda ancora con umanità e indulgenza, senza un briciolo di rancore o ipocrisia. E l’unica costante positiva che ti sia rimasta e solo Merlino sa quanto tu ne abbia bisogno, ma di ringraziarla non ti è concesso, né di ricambiare sinceramente il saluto. Né ora né mai. Indugi su di lei che cammina a saltelli verso il suo dormitorio, chiudendo il pesante portone con grande clangore.
Lo sferragliare delle serrature copre il tuo “buonanotte” che nessuno è in grado di udire.

*** … and fly away ***

La vista ti si sta indebolendo, in modo lento ma inesorabile; il respiro inizia a mancare ed è sempre più faticoso tenere gli occhi aperti. Non senti dolore, solo tanto freddo, fuori e dentro di te.
Non può finire così, hai ancora un compito da assolvere, non è giusto, no!
Le assi di legno scricchiolano piano e Potter compare dal nulla al tuo fianco, togliendosi il mantello dell’invisibilità. Da quanto tempo era in ascolto dietro quella parete? Avrà capito a chi sei sempre stato fedele? Non lo sai, ma lo speri; si china su di te e non c’è traccia d’odio nel suo sguardo, solo due limpide pozze color verde smeraldo in cui la tua sete d’amore si placa.
Raccogli le energie nello sforzo sovrumano di dargli i tuoi ricordi, assieme alla consapevolezza della missione che lo attende. Gli doni te stesso in lunghi filamenti d’argento, scintillanti come una cerva simbolo di un amore perduto per sempre.
In questi ultimi istanti che ti restano tornano vivi mille momenti diversi, le scelte che hai fatto e quelle che non avresti mai dovuto compiere, le strade giuste e quelle sbagliate, le offerte di fedeltà e le menzogne.
E, soltanto adesso, capisci: nulla accade per caso, nulla è accaduto invano nella tua vita, non ciò che sei stato, non ciò che hai fatto, né tantomeno la morte che dolcemente si avvicina.
Impari finalmente a guardare la tua vita da un’altra prospettiva, non dall’alto di un ramo, ma steso tra la polvere e il sangue: non è vero che sei un guscio vuoto, l’amore che ha dettato i tuoi gesti è stato totale; non è vero che sei arrivato al termine e non è vero che non ti resta più nulla.
C’è ancora una cosa da fare, la più bella.
Uscire dal bozzolo, spiegare le ali ed immergerti nel verde.
Della tenebra che fino ad ora ti aveva avvolto non c’è più alcuna traccia.
Non è la fine. E’ un nuovo inizio.
E’ tempo di andare incontro alla pace che giunge spiccando il volo, libero e per la prima volta davvero a tuo agio.
Leggero.

***
E… hop! Un ultimo colpo di bacchetta e la credenza della cucina si riempie di variopinti colibrì, che si aggiungono ai fiori e agli insetti dipinti con cui hai appena rimesso a nuovo la stanza.
Seduto in disparte su una sedia, tuo padre non ti perde di vista nemmeno un istante. Guardalo, sembra invecchiato di almeno cent’anni, anche se ora il suo aspetto è sereno: ogni ruga scavata sul volto è la chiara dimostrazione di quanto abbia temuto per te. Gli lanci un breve sorriso, mentre sali la stretta scala a chiocciola: hai ancora un ultimo lavoro da fare, il più importante.
I cinque visi sorridenti di Harry, Ron, Hermione, Ginny e Neville non ti bastano più; la lista per commemorare coloro che hanno combattuto con te questa dura battaglia è molto più lunga e la vuoi onorare tutta. Su quel che resta del soffitto e alle pareti dipingi i membri dell’ES, poi, con calma e precisione, fanno capolino anche gli insegnanti di Hogwarts. Con un po’ di giocosa irriverenza orni d’argento la lunga barba di Silente, mentre commossa addolcisci l’espressione della McGranitt.
Alla fine c’è giusto uno spazio libero proprio lì, tra il vecchio Preside ed Harry, quasi fosse il posto d’onore. Con la mano ancora a mezz’aria chiudi gli occhi, per far sì che solo i ricordi possano guidare le magiche pennellate.
Dì la verità, c’eri cascata come gli altri, eh? Proprio tu, che da sempre sei stata abituata a non fermarti alle apparenze, a vedere lo straordinario nell’ordinario. Ciò che è speciale in ciò che sembra normale, oltre il velo.
Da un’altra prospettiva.
Ecco i primi tratti del contorno…
L’umanità dietro il perenne sarcasmo.
… gli inconfondibili lineamenti del volto…
La solitudine nelle profondità di un sotterraneo e nelle altezze di uno studio da Preside.
… i lunghi capelli corvini.
Un uomo come tutti gli altri, con pregi e difetti.
E tuttavia hai vacillato, nella fredda e tetra prigionia a villa Malfoy. Hai versato lacrime di amaro dolore e non c’è stata nessun’altra prospettiva da cui vedere la situazione, nessun conforto; ti sei sentita di nuovo una piccola bambina di nove anni che piangeva per la morte della propria mamma, ma questa volta nessun papà è arrivato a prenderti in braccio, per cullarti dolcemente e distrarti con una variopinta farfalla, che si dondolava al contrario su una grande foglia di melo selvatico, là, nel giardino di casa, per poi trarre da essa un prezioso insegnamento.
Hai pianto, ma non per te. Per lui.
E, per la prima volta, hai provato della vera rabbia. Contro quello che tutti chiamavano Oscuro Signore, contro i Mangiamorte, contro l’uomo che vi aveva traditi. Non più velo da sollevare, non più apparenze da sfatare, niente di meraviglioso da scoprire: il professor Piton era spietato quanto coloro che ti avevano rapita; chissà, forse era stato su suo ordine che eri stata prelevata dall’Espresso, visto che nella scuola tu e gli altri dell’ES godevate di troppo favore presso i compagni, appoggiati dall’esterno dal Cavillo. E quando il galeone vi ha chiamati tutti a raccolta non hai esitato, era doveroso combattere e cacciare lui e i Carrow da Hogwarts.
È dovuto intervenire Harry per ribaltare nuovamente ogni considerazione.
Riapri gli occhi e li fissi in quelli scuri quanto la notte più buia e profonda, che ti guardano di rimando dall’alto del soffitto: nonostante tutti i tuoi buoni propositi non avresti mai immaginato che nascondessero così tanto. Di tutta quell’immensità sei riuscita a coglierne davvero solo una piccola parte, infinitesimale a quanto pare.
Peccato.
Però una cosa puoi farla, almeno adesso, almeno qui in questa stanza che racchiude tutto il tuo mondo. E poco importa se prima non è andata proprio così, ora senti che è vero, che è tutto finalmente a posto.
L’ultimo colpo di bacchetta dà il via alla decorazione cui tieni di più, che lentamente si snoda e avvolge ogni viso con i suoi svolazzanti caratteri dorati, sfiorando delicatamente il contagioso sorriso di Fred, il bizzarro cappello a punta di Silente, il severo chignon della McGranitt.
L’ebano di due iridi sembra rifulgere di luce propria, screziarsi di bagliori impalpabili fino a quasi prendere vita, all’abbraccio di quell’unica parola che instancabile si ripete all’infinito.
Amici.
 
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