Il Calderone di Severus


Sei personaggi in cerca d'autore - 2° Turno
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Storia 2 - Angelo Nero2 [22.22%]
Storia 5 - In difesa della diversità1 [11.11%]
Storia 1 - Edizione Straordinaria0 [0.00%]
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Storia 4 - Nuova possibilità0 [0.00%]
Storia 6 - Quiet Despair0 [0.00%]
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Sei personaggi in cerca d'autore - 2° Turno

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chiara53
view post Posted on 22/1/2017, 18:53 by: chiara53
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Pozionista sofisticato

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Quiet Despair di arcady



Si risveglia di soprassalto e scatta a sedere come una molla. Non sa perché si trova lì, non sa neanche dove si trova, a dire il vero. Si guarda intorno: terra, foglie cadute, radici, alberi e, sopra di lui, squarci di cielo terso.

Dove mi trovo?

L’uomo è sicuro di conoscere quel luogo ma gli sfugge: tutto gli sfugge, nello stesso modo in cui spesso si ha la sensazione di avere una parola sulla punta della lingua che scivola via appena ti ci concentri.
Frustrante.
Dopo un po’ smette di guardarsi intorno e si concentra su se stesso, si guarda le mani: dita lunghe, affusolate, segnate da alcuni tagli superficiali.

Cosa mi è successo?

Si tocca la testa e trova una massa di capelli umidi, lisci e scuri; ne prende una ciocca tra le dita e la osserva.

Quindi questi sono i miei capelli, perché non me lo ricordavo?


Comincia ad agitarsi, si alza in piedi e guarda in giù, verso il suo stesso corpo: indossa pantaloni scuri che hanno visto tempi migliori e una giacca scura anch’essa, originariamente – ipotizza - abbottonata fino alla gola, che ora ha diversi bottoni allentati e alcuni, all’altezza del petto, del tutto strappati.
Ai piedi calza stivali neri sporchi di terra.
Non ha ricordo di quando li ha indossati, questi abiti.

“Ehilà, c’è qualcuno?”
Una voce frizzante, leggera, si infiltra tra i tronchi degli alberi arrivando fino a lui, da breve distanza.
Poi sente una serie di frusci in avvicinamento e si nasconde dietro il grande tronco cavo che ha individuato alla sua destra. Rimane immobile, sbirciando da dietro le fronde il punto in cui appare, dopo poco, un viso di donna. E’ colpito dai suoi capelli, lunghissimi e di un biondo accecante e dagli occhi azzurri, grandi e luminosi.

***


Adwen si affaccia sulla radura da cui, ne è sicura, poco prima ha sentito giungere dei rumori.
“Andiamo, non nasconderti, so che sei qui da qualche parte!” esclama facendosi avanti lentamente, sorridendo.
L’uomo, ancora nascosto dietro il tronco, continua ad osservarla, circospetto.
“Sei più timido di un Ricciocorno Schiattoso!” esclama poi Adwen, incrociando le braccia al petto e mettendo il muso.
Rimane così per un po’, battendo nervosamente il piede destro a terra, poi, con un sospiro, si volta e torna sui suoi passi borbottando qualcosa di incomprensibile.

“Ehm … aspetta,” il giovane esce dal suo nascondiglio improvvisamente, ma non muove un solo passo verso di lei. “Salve,” aggiunge con circospezione.
Adwen si volta di nuovo, lo sguardo colmo di sorpresa che si trasforma subito in un bellissimo sorriso.
“E io che credevo di avere a che fare con Perseo!” sbotta, ridendo.
L’uomo le lancia uno sguardo interrogativo e Adwen si affretta a spiegare.
“Chiedo scusa,” dice gesticolando allegramente. “Parlavo del nostro Etone*, vengo nel bosco ogni giorno per portargli un po’ di carne fresca e pensavo di averlo trovato, ma è evidente che oggi ha deciso di volare altrove per rifocillarsi. Beh, peggio per lui!” aggiunge mettendosi uno zaino scuro in spalla.
Si rende conto presto che il giovane è ancora confuso, fa per avvicinarsi ma l’altro fa un passo indietro.
“Stai tranquillo, non ho intenzione di farti del male,” dice alzando le mani. “che cosa ti è successo? Hai bisogno di aiuto? Io abito a due passi, se vuoi puoi unirti a me e mia figlia per pranzo, le farebbe sicuramente piacere, non abbiamo molti vicini!”
“Io … “ il giovane si rende conto di non ricordare neppure da chi o cosa tornare, l’unica cosa sicura sono quegli occhi calmi e quel sorriso gentile e decide di seguire la donna. “Grazie, sei davvero gentile, sono un po’ confuso, non so perché mi trovo qui: devo essere svenuto,” fa per portarsi una mano alla fronte e sente un liquido caldo, vischioso e parzialmente seccato. Sangue. Gli ricopre buona parte della fronte, così sposta la mano e si accorge di avere una vistosa ferita all’altezza dell’attaccatura dei capelli.
Trova strano il fatto che non gli facesse male: dipenderà dallo stordimento, pensa con noncuranza.
Adwen si accorge del sangue solo ora che l’uomo ha scostato i capelli dalla fronte, lo raggiunge in fretta e l’osserva da vicino con curiosità, spostando lo sguardo intorno.
“Devi essere caduto di testa su questa roccia, è ancora sporca di sangue,” dice indicando un masso appuntito poco distante.
“Come ti chiami?” gli chiede subito dopo.
“Io … al momento non ricordo, ma sono sicuro che mi tornerà in mente...” asserisce lui, sempre più confuso. “Almeno lo spero.”
“Devi aver preso una brutta botta,” Adwen sorride, comprensiva. “Vieni con me, un po’ di riposo ti farà bene e vedrai che tornerà tutto a posto in men che non si dica.” Così dicendo si avvia fuori dalla radura, voltandosi ogni pochi passi per assicurarsi di non andare troppo in fretta.
L’uomo la segue come si segue una luce abbagliante in un tunnel buio: è una strana sensazione non conoscere più nulla e nessuno, neppure se stessi.
Dopo circa dieci minuti di cammino la boscaglia si dirada, lasciando il posto ad un grande prato collinoso, sulla cui cima si intravede una strana costruzione cilindrica che ha tutta l’aria di poter crollare da un momento all’altro.
“Ti piace?” gli chiede la donna. “Questa è casa Lovegood e io sono Adwen Lovegood, tanto piacere!” gli stringe la mano con presa delicata ma, allo stesso tempo, prorompente.
“E’… bizzarra …” risponde lui, guardando sbalordito quella specie di fungo al contrario. Si sente un po’ a disagio, ora.
Arrivati nei pressi della casa, l’uomo vede, in lontananza, un’altra chioma bionda luccicare al sole estivo, sotto un cappello di paglia a tesa larga.
“Luna!” chiama la donna. “Abbiamo un ospite per pranzo, tesoro,” aggiunge allegramente, attraversando il piccolo cancello di legno aperto sul cortile.
La bambina si volta verso di loro e il giovane nota un viso notevolmente somigliante a quello di Adwen guardarlo con occhi grandi e vivaci.
“Benvenuto,” esclama la piccola.
Deve avere più o meno una decina d’anni, osserva lui, indossa una canotta e dei pantaloncini corti e, soprattutto, è ricoperta dalle spalle alle caviglie di una sostanza violacea e viscida.
“Ehm … salve,” riesce a dire, osservandola con occhi sgranati.
Luna piega la testa di lato tentando di capire cos’è che sconvolge tanto il suo interlocutore, poi sembra ricordare tutto d’un tratto di essersi spalmata il succo addosso e fa un sorrisetto furbo.
“E’ succo di Prugne Dirigibili! Fa bene alla pelle e mi schiarisce la mente,” spiega la bambina. “l’unica nota negativa è che attira i Gorgosprizzi,” aggiunge parlandogli all’orecchio, come se gli stesse rivelando un segreto molto importante.
L’uomo non può che annuire senza capire mentre Adwen lo trascina su per la ripida scaletta che porta all’ingresso della loro casa.
“Eccoci qui! Luna, tra pochi minuti sarà pronto il pranzo, togliti di dosso quella marmellata appiccicosa, tesoro!” asserisce continuando a sorridere.
“Si, mamma,” risponde la bambina, seguendoli in casa con passo indolente. “Vado a darmi una ripulita.”
“Quei due sono fissati con animali più unici che rari e stranezze varie” borbotta bonariamente Adwen, riferendosi chiaramente a Luna e al padre. “Io, invece, amo sperimentare con questa!” esclama con entusiasmo , tirando fuori la sua bacchetta dalla tasca dei jeans chiari.
“Al momento sto lavorando ad una formula che permetta di pressare, utile per chiudere una valigia, una porta, spingere oggetti dentro un contenitore eccetera,” spiega Adwen. “ non lo trovi tremendamente appassionante?” chiede, alzando lo sguardo verso il giovane che la ascolta assorto, trovando il tutto interessante e, in qualche modo, familiare.
“Assolutamente si,” conferma. “come funziona?”
“Allora,” comincia Adwen, concentrata. “ Non devi far altro che puntare la bacchetta e pronunciare la formula Immitto, però è necessario agire con cautela perché ho notato che, girando male il polso, ossia da destra verso sinistra, l’effetto aumenta spaventosamente d’intensità e tende a ritorcer tisi contro,” aggiunge poi, con naturalezza.
“Vuoi una dimostrazione pratica?” propone poi, felice di poter conversare con qualcuno che si interessa ai suoi esperimenti.
“Uhm, va bene, ma fai attenzione, ti prego,” risponde l’altro circospetto.
“Oh, ma certo che lo farò,” dice Adwen, agitando la mano di fronte al viso come a scacciare una mosca fastidiosa.
La bacchetta è puntata verso lo specchio appeso dietro la porta della cucina – l’intenzione è semplicemente quella di spingere quest’ultima verso lo stipite – ma poi l’uomo si accorge che Adwen, mentre pronuncia l’incantesimo, ruota la mano nel verso sbagliato, probabilmente confusa dal riflesso, ma non fa in tempo a raggiungerla: uno scoppio e un’ondata di potenza inaudita la scaglia violentemente contro il tavolo al centro della stanza, abbattendo anch’esso e facendola poi crollare, in fin di vita. Adwen non fa in tempo a rendersi conto dell’accaduto: è già a terra, morente.
L’uomo, accovacciato accanto a lei, si rende subito conto che non c’è più nulla da fare. Mentre è lì con la bocca spalancata, incapace di proferire parola di fronte a quell’orrore, succede qualcosa, una luce fredda si fa largo nella sua mente: i ricordi stanno tornando, come una doccia gelata si abbattono su di lui; il fiato si fa corto e sente di non poter reggere a tanto disgusto verso se stesso e verso il mondo.
Lily, Voldemort, i suoi genitori, Silente, i Mangiamorte, le sue scelte, le persone che ha ucciso.
Ancora Voldemort. Ancora Lily.
Un singhiozzo esce dalla sua bocca socchiusa e le mani, strette in quelle fredde di Adwen, si staccano in fretta e lui scatta in piedi.
“So chi sono,” mormora tra sé e sé, appoggiandosi alla parete e spingendo le braccia contro il muro tanto forte da dare l’impressione di volerlo togliere di mezzo.
E’ sconvolto. Adwen sta morendo: non si capacita della gratuità di quella tragedia, uno stupido errore, un gesto sbagliato e la vita di una donna, di una madre si è spezzata.
Severus è ancora lì, immobile, quando Luna si affaccia sulla porta, lentamente, come a voler prolungare il più possibile l’incertezza, rifiutando ciò che intuisce stia accadendo.
Lui la guarda e sente un rantolo sinistro uscire dalla sua gola: solo questo. Per il resto Luna rimane immobile, ipnotizzata dal corpo della madre, che esala l’ultimo respiro silenzioso proprio in quel momento.
Severus è lacerato da quel rantolo: non dovrebbe mai provenire da un bambino un rumore così agghiacciante.
Non sa cosa fare, è tornato ad essere se stesso e non sa se sarà in grado di fare qualcosa per lei, ma non può lasciarla lì, ad abbracciare lo stipite della porta, tremante.
Si avvicina lentamente e le mette una mano sulla spalla, stringendo un po’; Luna alza lo sguardo verso di lui con una lentezza dolorosa: i suoi occhi chiari sono ancora più grandi ma privi della vitalità che li animava fino a poco prima.
“E’ sempre stata così distratta …” dice piano la bambina, cercando negli occhi di Severus una spiegazione plausibile, accettabile per l’accaduto.
Lui si inginocchia di fronte a lei, la guarda intensamente e vede molto più della disperazione di una bimba che ha perso la madre: vede decine e decine di visi disperati, deformati dall’angoscia, urla impietose, indifferenza, orrore, le morti che ha provocato e Lily, ancora una volta. Vede suo figlio che piange disperato nel lettino, mentre guarda sua madre a terra, immobile.
Severus è spezzato ma deve assolutamente fare qualcosa per Luna; la prende tra le braccia ma la piccola rimane immobile, in piedi: non parla e respira così lentamente da dare l’impressione di essere stanca di farlo.
Severus non dice niente: sa che qualunque cosa sarebbe inutile, inappropriata, sa che un dolore così grande non è consolabile. La culla nel suo abbraccio, tentando di riscaldare, per quel poco che può, il buco gelido e nero che si sta formando in quel giovane cuore.
Dopo un pò la sente reagire: il corpicino è attraversato da fremiti sempre più violenti e lei comincia a piangere silenziosamente, aggrappandosi disperatamente al collo di Severus e nascondendo il visetto contro il suo petto.
Dopo un tempo indefinito, quando il pianto è diventato un tremito sommesso, Severus si allontana lentamente da lei, tenendola per le spalle.
“Dove si trova esattamente il tuo papà, piccola?” le chiede sottovoce.
Si sente male, non dovrebbe essere lì a vedere quell’orrore familiare, non dovrebbe essere lui a consolare quella bambina.
“In Svezia, dice che questa volta riuscirà a scovarne almeno uno … “ mormora la piccola, gli occhi arrossati e le labbra che tentano di arricciarsi in un minuscolo sorriso sghembo. “E’ alla ricerca di un esemplare di Ricciocorno Schiattoso,” spiega. “L’anno scorso abbiamo fatto una spedizione insieme ma non siamo stati fortunati, spero che questa sia la volta buona.” Dice alla fine, voltandosi e uscendo dalla stanza.
“Credo sia ora di farlo tornare a casa, se mi dai l’indirizzo del suo alloggio in Svezia gli mandiamo un Gufo, va bene?”
“Si,” risponde con calma Luna, rimanendo immobile a guardare il cielo attraverso la bizzarra finestra circolare del soggiorno.
“Guarda!” esclama all’improvviso avvicinandosi al davanzale e puntando il dito in alto. “Ecco Perseo che torna! Ma, che strano, non l’ho mai visto in compagnia,” aggiunge pensierosa.
Severus le si fa vicino e segue, con lo sguardo, la direzione del dito della bimba: il sole, dolorosamente luminoso, è coperto dalle sagome di due enormi cavalli alati che si avvicinano, ma uno dei due è più magro, quasi scheletrico, nero e dall’aspetto minaccioso.
“Non è un Etone,” mormora subito dopo. “Si tratta di un Thestral.” Le spiega.
“Che cos’è un Thestral? Non l’ho mai visto prima, mio padre non me ne ha mai parlato,” chiede Luna, ansiosa.
Severus si sente mancare l’aria: non vorrebbe dire la verità alla piccola, non è pronta per sentirla, non vuole rigettarla nello sconforto che sta tentando con tutte le sue forze di rifiutare, ma sa anche che non è giusto mentirle, che non la aiuterebbe.
“E’ un cavallo alato, esattamente come il tuo Perseo, però è speciale: solo a chi ha visto morire qualcuno è permesso di vederlo.” Le spiega, sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Sembra poco simpatico,” osserva Luna, piegando la testa di lato, ignorando volutamente il significato che le parole che ha appena ascoltato assumono per lei.
“E’ innocuo, non devi averne paura,” le dice Severus, poi si abbassa di nuovo sulle ginocchia. “Non avere paura, Luna. La mamma sarà sempre vicino a te. Vedi, i Thestral volano molto in alto, per ricordarti che lei ti guarda da lassù, che veglia sempre su di te.”
Luna punta lo sguardo su Severus, un’ombra si insinua nell’azzurro dei suoi occhi : ricorderà queste parole per lungo tempo.

***



Due anni dopo, Severus è seduto al tavolo degli insegnanti, ad Hogwarts, e sta assistendo svogliatamente alla cerimonia di smistamento dei nuovi studenti.
Una ragazzina bionda e dai grandi occhi azzurri si appresta a salire i pochi scalini che la separano dallo sgabello su cui prendere posto per farsi smistare.
Severus punta lo sguardo su di lei e Luna alza gli occhi proprio in quel momento; ad entrambi sembra di tornare indietro di due anni: per Luna si è trattato del giorno peggiore della sua vita, per Severus del giorno in cui è inciampato nel bosco mentre cercava piante di Alioto, perdendo conoscenza e memoria e ha incontrato Adwen Lovegood, che l’ha aiutato e lo ha invitato casa sua, per poi morire davanti ai suoi occhi.
Luna, con un sorriso appena accennato, mima con le labbra la parola grazie e Severus muove il capo in un cenno di saluto, rispondendo al suo sorriso.
Poche ore più tardi, mentre si attarda alla finestra dell’ufficio di Silente dopo la consueta riunione con il Preside, Severus nota una figura dalla fluente chioma bionda seduta sulla scalinata esterna: è Luna ed è senza scarpe. Sta rigirandosi tra le mani uno strano ciondolo, gli pare si tratti di un tappo di Burrobirra, nientemeno.
Severus sorride: è un sorriso amaro.
Ci sono molti modi per reagire alla morte. Alcuni si chiudono in loro stessi, altri vivono ancora più intensamente, altri ancora si inventano mondi migliori, perché quello vero è semplicemente troppo triste da guardare.


*Cavallo alato di color castagno e diffuso in Gran Bretagna e Irlanda.
 
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