Il Calderone di Severus


Sei personaggi in cerca d'autore - 2° Turno
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Storia 8 - Butterfly6 [66.67%]
Storia 2 - Angelo Nero2 [22.22%]
Storia 5 - In difesa della diversità1 [11.11%]
Storia 1 - Edizione Straordinaria0 [0.00%]
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Storia 4 - Nuova possibilità0 [0.00%]
Storia 6 - Quiet Despair0 [0.00%]
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Sei personaggi in cerca d'autore - 2° Turno

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chiara53
view post Posted on 22/1/2017, 18:11 by: chiara53
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Angelo Nero di Ele Snapey



La stava osservando da un po’. Per qualche motivo, a lui sconosciuto, aveva avvertito il bisogno di rallentare e fermarsi a guardarla.
Ora era lì, protetto dall’ombra, a studiarla da almeno cinque minuti dopo che, passando di fretta lungo il corridoio che costeggiava il grande chiostro interno, l’aveva scorta per caso accoccolata sulla panchina più lontana dal punto in cui, un nutrito gruppo di studenti del primo anno, stava consumando chiassosamente gli ultimi attimi di ricreazione.
Appariva fortemente concentrata nella lettura di una rivista appoggiata sulle gambe incrociate, e muoveva appena le labbra, tormentandosi una ciocca di capelli; indossava la divisa scolastica, e portava ancora quegli sciocchi orecchini che le aveva notato ai lobi alcune settimane prima, in occasione della prima lezione.
Che strana creatura. Durante il consueto discorsetto di apertura non gli aveva staccato lo sguardo di dosso neanche per un attimo, salvo poi accusare grosse difficoltà nel ripetere quelle quattro, banali cosette che le aveva richiesto al termine della spiegazione. Era apparso chiaro come, dietro agli occhioni sgranati apparentemente attenti, la mente avesse vagato altrove.
“ A che cosa hai pensato fino a questo momento, signorina…
“ Lovegood, signore.
“ Signorina Lovegood, perfetto. Ti ho appena chiesto di ripetermi quanto avresti dovuto apprendere riguardo le principali proprietà del Bezoar…
Scena muta.
“ E allora? ” Le si era avvicinato adagio, silenzioso come un gatto che punta il topolino, fissandola con uno sguardo che avrebbe annientato chiunque, figuriamoci uno studente del primo anno al suo primo giorno di Pozioni!
“ Mi confermi che la tua testa, per gran parte della lezione, si è trovata in tutt’altro luogo anziché in aula?” aveva poi sibilato, soavemente, riducendo gli occhi a fessure.
Un silenzio sepolcrale aveva avvolto l'aula, in cui ognuno era rimasto in attesa di assistere al fatale incenerimento della povera miss Lovegood di Corvonero.
Invece lei, guardandolo dritto negli occhi, aveva risposto con estrema tranquillità, con quella strana vocina pulita e quieta a cui si sarebbe dovuto abituare presto.
“ E' vero, signore, credo di essermi distratta, chiedo scusa. Le assicuro che non succederà più.
Una reazione del tutto inaspettata, per chi in genere era abituato a leggere terrore o richieste di pietà sul volto dei propri allievi, e il professor Piton, oltre a rimanerne spiazzato, si era reso conto di avere a che fare con una persona decisamente fuori dal comune.
Ne ebbe piena conferma le settimane successive quando Luna Lovegood, contrariamente all’esordio iniziale, gli diede anche prova di possedere un’ottima predisposizione alla materia.
Tornò al presente, giusto in tempo per notare alcuni Grifondoro del terzo anno avvicinarsi alla ragazza, con fare circospetto, e intenzioni poco chiare.
Erano in quattro, e vide uno di loro tuffare rapidamente la mano nello zaino scolastico posato ai piedi della panchina.
Al momento non capì di cosa si trattasse, ma comprese subito che si stavano prendendo gioco di lei quando, sghignazzando, iniziarono a lanciarsi tra loro un qualcosa estratto dalla sacca.
La ragazzina, in modo pacato, provò a pregarli di smettere, ma il quartetto continuò imperterrito a prenderla in giro, minacciandola che avrebbero fatto finire l’oggetto conteso sul ramo più alto della pianta presente nel cortile.
Era il solito cliché, la storia che si ripeteva: il branco aveva riconosciuto la fonte alla quale, da quel momento in poi, avrebbe potuto attingere dell’ottimo, sano divertimento.
Severus, invece, sentì scattare dentro, all’istante, un forte impulso rabbioso.
Si mosse rapido, quasi d’istinto. In poche falcate piombò, senza far rumore, alle spalle del gruppetto, implacabile, come una macchina da guerra.
- Che cosa sta succedendo, qui?
I buontemponi, al suono gelido di quella voce così familiare, rimasero pietrificati.
Si voltarono con molta cautela, per scoprire che un paio di pupille, nere e terribili, li stava fissando con un’espressione per nulla amichevole. Evitarono di perdere altro tempo dedicato a un eventuale consulto reciproco, e decisero immediatamente di riconsegnare il maltolto, dileguandosi nel giro di pochi secondi.
Indugiò ancora per qualche attimo, fiero e inflessibile, a baluardo della panchina, nel caso il gruppetto si fosse azzardato a tornare indietro per completare l’opera; Luna, intanto, aveva alzato il visetto verso di lui, sorridendo timidamente.
- E’ già successo altre volte, signorina Lovegood?
- Oh, sì, altre due… non lo fanno per cattiveria. Si divertono solo a prendermi le cose dalla sacca e a nascondermele… ma non fanno alcun male. – rispose lei in tono disarmante, e i suoi occhi cristallini puntarono con franchezza nelle iridi color della notte.
Severus avvertì subito una stranissima sensazione, come se la bizzarra ragazzina stesse esaminando la sua anima, precludendogli ogni possibilità di difesa; capì, con sconcerto, che alcuna Occlumanzia sarebbe valsa ad impedire a quello sguardo puro di leggergli dentro, e rimase seriamente spiazzato per la seconda volta in pochi giorni.
- Già… non lo fanno per cattiveria… - Fu l’unica cosa che gli venne da dire, in tono sarcastico; poi si voltò, perplesso, e tornò sui suoi passi.

2

Era un ottobre caldo e soleggiato, decisamente insolito per le Highlands.
Severus approfittò del pomeriggio ancora luminoso per percorrere di buon passo la scorciatoia che, tagliando in mezzo al parco, gli avrebbe fatto risparmiare qualche minuto prima di giungere ai cancelli. Doveva trascorrere l’intero week end a Londra, e voleva sbrigarsi: più in fretta fosse arrivato in città, prima avrebbe risolto il problema che era stato segnalato dal Quartier Generale dell’Ordine, e prima sarebbe tornato.
Passando accanto al bosco, allungò lo sguardo verso la spianata erbosa che si apriva più in basso, e scorse una macchia di colore stagliarsi contro il verde brillante dei prati.
Si bloccò, stupito: aveva riconosciuto, nella figura variopinta in movimento, le fattezze delicate di Luna Lovegood.
Ma ciò che lo colpì, più che il vederla tutta sola a vagare ai margini della Foresta Proibita, fu il fatto che accanto a lei ci fossero anche un paio di Thestral adulti con il loro puledro.
Strizzò gli occhi e li schermò con la mano, proteggendoli dal riverbero del sole che filtrava tra i rami, così da poter osservare meglio la ragazzina; comprese che stava allungando qualcosa agli animali, probabilmente del cibo che questi sembravano gradire molto.
Rimase a fissarla, sbalordito, come già gli era capitato di fare.
Si era sempre domandato come avrebbe potuto definire quell’allieva così diversa dalla maggioranza degli altri studenti, se mai qualcuno gliel’avesse chiesto… Stravagante? Svanita? Geniale? Dotata di un sesto, o anche di un settimo senso? Aveva perfino preso in considerazione l’ipotesi che alcuni suoi comportamenti, per certi versi, rasentassero l’autismo.
In ogni caso, in quegli anni, Luna “Lunatica” Lovegood gli aveva puntualmente dimostrato di possedere un cervello di prim’ordine, e una sensibilità straordinaria. Ancora adesso gliene stava dando prova: era chiaro di come Luna vedesse i Thestral, nonostante la giovane età, ed egli sapeva bene cosa significasse ciò.
Decise di raggiungerla, spinto da un improvviso, quanto inspiegabile istinto protettivo: Londra e Grimmauld Place avrebbero potuto attendere qualche minuto ancora.
Scese il declivio a balzi veloci e leggeri, ben attento a non spaventare nessuno dei protagonisti dell’idilliaco quadretto che si svolgeva davanti a lui.
Luna si voltò solo quando sentì il fruscio di passi alle proprie spalle, ma non mostrò alcuna sorpresa o timore, anzi, gli sorrise fiduciosa e serena.
Lui notò che al collo portava la sua collana preferita, quella ricavata con i tappi di burrobirra. Le indirizzò un breve, austero sorriso che voleva essere rassicurante.
– Ti piace venire qui a dar loro da mangiare? – si avvicinò con calma ad uno degli animali, accarezzandone delicatamente il muso scheletrico.
- Sì, signore; questo è uno degli angoli più belli del parco… o forse della terra, e loro sono adorabili: lui lo è, soprattutto! – esclamò, illuminandosi, e allungò un pezzo di carne al piccolo.
Severus la sbirciò, provando un repentino moto di tenerezza che si guardò bene dal manifestare.
- Da quando vedi i Thestral, signorina Lovegood? – buttò là, in tono casuale.
- Da che sono qui, signore. Ho perso la mia mamma prima di iniziare a frequentare Hogwarts… - rispose serafica, ricambiando lo sguardo intenso del mago con un’occhiata piena di candore un po’ complice, che voleva dire: “So a che cosa pensi: potrà sembrarti strano, ma anche io ho già visto morire una persona cara”.
L’uomo annuì piano, dominando il forte impulso di attirarla a sé e stringerla sul petto. Negli occhi severi passò un ombra malinconica.
- Attenta a non perdere la cognizione del tempo, signorina. Fra poco farà buio e sei a un passo dalla Foresta Proibita: cerca di tornare per tempo al castello! – le raccomandò, abbastanza sbrigativamente, e riprese la strada da cui era venuto.
Luna rimase a lungo immobile e pensierosa ad osservarne le spalle da cui partiva il morbido fluttuare del mantello; aveva un’ombra di sorriso dipinta sul volto dalla solita espressione un po’ svagata.
Severus Piton era un uomo che, all’interno di un guscio freddo e duro all’apparenza, conservava sicuramente un animo sensibile e leale.
Da tempo, ormai, aveva capito come l’insegnante più ostico, fosse una persona solo all’apparenza gelida e scostante e, nonostante tutti si ostinassero ad accusarlo di essere privo di sentimenti, era più che convinta del contrario; in realtà il professor Piton aveva un cuore grande, forte e coraggioso, e glielo aveva letto dentro da subito, quasi che il suo nero involucro fosse fatto semplicemente di prezioso cristallo trasparente.
Era un po’ come per il Ricciocorno Schiattoso: nessuno l’aveva mai visto, ma lei non aveva bisogno di prove concrete per credere nella sua esistenza.
Decise di obbedirgli subito; raccolse gli avanzi, accarezzò ancora una volta gli animali e risalì il declivio, per rientrare al castello prima che calasse l’oscurità.

3

Gravava un’aria quasi irrespirabile là sotto. Quando la porta si aprì, improvvisamente, e lui comparve come un’onda di mare in tempesta, sentì Hermione pronunciare, con un filo di voce:
- Professore…
Gli occhi, incredibilmente cupi, tradirono all’istante incredulità e disappunto. Due passi e le aveva raggiunte: ora torreggiava sopra di loro, le pupille divenute impressionanti voragini nere in cui Luna temette di precipitare all’infinito.
Si svolse tutto in un batter di ciglia ma, allo stesso tempo, fu come se la pellicola di quel film del terrore stesse girando al rallentatore.
- Che cosa ci fate qui, a quest’ora, signorine? – la voce risuonò secca come un schiocco di frusta.
- Noi, veramente, abbiamo sentito… - Hermione tentò, coraggiosamente, di giustificare la loro inammissibile presenza di fronte alla porta del suo ufficio.
- Rendetevi utili allora, dal momento che siete qui! – tagliò corto, in tono asciutto, trafiggendola con un’occhiata affilata. - Il professor Vitious ha avuto un malore, poco fa, ed è là dentro, tuttora privo di sensi. Entrate e cercate di aiutarlo: io non posso fermarmi un secondo di più… Sopra hanno bisogno di me!
Prima di voltarsi per imboccare le scale di corsa, indugiò ancora con lo sguardo su di lei.
Il contatto visivo fu brevissimo, ma a Luna bastò. Si domandò, sconvolta, a che futuro stesse andando incontro quell’uomo: in quei baratri apparentemente senza fondo che erano i suoi occhi, aveva scorto un dolore immenso, unito a una determinazione disperata.
Avvertì l’orribile sensazione che non avrebbe più incontrato il suo sguardo.
Severus Piton stava precipitando verso un destino inesorabile, malvagio, di cui era perfettamente conscio, e Luna glielo aveva letto dentro, sapendo di non poter fare nulla per fermarlo o cambiare qualcosa. Nessuno sarebbe stato in grado di farlo, nemmeno lui stesso.
Sentì il cuore battere ancora più furiosamente, le gambe rifiutarsi di muovere un passo.
Era rimasta paralizzata a fissare le scale su cui era salito appena un attimo prima, facendo i gradini a due alla volta, tanto che Hermione dovette gridare e scuoterla vigorosamente per obbligarla a tornare in sé.
- Luna, che cosa ti prende? Sbrigati, non hai sentito che cosa ha detto il professor Piton? Dobbiamo soccorrere il professor Vitious!
La seguì, controvoglia. In realtà avrebbe preferito mollare tutto e raggiungerlo, per tentare in qualche modo di aiutarlo: naturalmente non aveva la più pallida idea di come avrebbe potuto farlo, ma sentiva solo quella impellente necessità, proprio mentre lui stava giungendo alla Torre di Astronomia.

Severus era in prossimità della scala a chiocciola che portava ai bastioni; nel tratto appena antistante, lo scontro continuava a divampare furibondo, illuminato dai lampi degli incantesimi.
Si buttò tra i contendenti e li superò di slancio evitando un paio di schiantesimi. Passò attraverso la barriera stregata invisibile che era stata eretta a metà delle scale, quasi davanti alla porta di accesso, per impedire agli Auror di passare; ma, prima di affrontare l’ultima rampa, tra le mille cose che gli passarono in testa - come succede al condannato che sta salendo i gradini del patibolo - ci fu anche lo sguardo limpido, carico di interrogativi con cui Luna lo aveva fissato e, ancora una volta, intuito gran parte di quello che sarebbe accaduto: quella incredibile, stralunata creatura, era forse l’unica ad aver compreso davvero da che parte lui avesse deciso di stare, da tempo immemore.
Ma ormai, qualsiasi cosa fosse successa anche solo qualche minuto prima, apparteneva ad un passato in procinto di cambiare radicalmente, e quindi non aveva più alcun significato.
Chiuse per una frazione di secondo gli occhi, respirò a fondo, afferrò l’anello di ferro del battente e spinse la porta…

4

Aveva deciso di seguirli, a breve distanza, sicura che si stessero dirigendo là, dove avrebbero trovato l’Oscuro Signore. Lo aveva fatto di nascosto, perché voleva esserci anche lei a dare una mano agli amici che stavano andando incontro certamente ad un enorme pericolo, ma sapeva anche che se avesse chiesto a Harry di poterli accompagnare, le avrebbe ordinato di tornare subito indietro.
Attenta a non farsi scoprire, con l’eco della tremenda battaglia in corso al castello che rimbombava ancora nelle orecchie, aveva corso a perdifiato ed era arrivata un secondo dopo di loro al Platano Picchiatore.
Poi, acquattata in un cespuglio poco lontano, li aveva osservati bloccare i rami che fendevano l’aria, indossare il Mantello dell’Invisibilità e infilarsi nel tunnel nascosto tra le enormi radici dell’albero.
Si era accodata velocemente, cercando di non far rumore; nel buio quasi totale del passaggio segreto, aveva scorto solo il debole chiarore delle scarpe da ginnastica dei tre che spuntavano da sotto il mantello, e questo era stato il suo unico punto di riferimento fino alla termine del percorso.
Una volta giunti in fondo al percorso, Harry, Ron ed Hermione erano riapparsi da sotto il mantello, e si erano accovacciati dietro ad una grossa cassa che pareva essere stata messa lì apposta per chiudere l’accesso ad una stanza: sembrava un ottimo punto di osservazione.
Anche Luna si fermò qualche metro più indietro, ancora nel cunicolo, e si rannicchiò in una rientranza buia: da lì però avrebbe potuto solo udire, ma non vedere, ciò che stava succedendo all’interno del locale.
Puntò di nuovo lo sguardo verso gli amici, come se la loro vista avesse potuto infonderle un po’ di coraggio, e attese.
Da quell’istante percepì solo alcune battute della conversazione che si stava svolgendo tra due persone.
“Ho cercato una terza bacchetta, Severus…”
Una voce agghiacciante, più simile al sibilo di un serpente. Era Voldemort, non c’erano dubbi. Il cuore prese a batterle velocemente.
“ Mio Signore…”
L’altra era quella profonda, ferma e controllata del professor Piton! Le pulsazioni accelerarono in modo esponenziale.
“Sei un uomo intelligente dopotutto, Severus…”
Il timbro della voce si fece più freddo e acuto.
“Mio Signore… lasciatemi andare dal ragazzo…”
A quel punto vide Hermione premere con forza le mani sulla bocca per impedirsi di urlare.
Poi un lungo, terribile grido disperato.
Luna serrò forte gli occhi, si turò freneticamente le orecchie e cadde in ginocchio, il cuore ormai fuori controllo.
Non seppe come ma riuscì, con uno sforzo enorme, a trattenersi dal balzare in piedi e correre dai compagni: non voleva sapessero che li aveva seguiti di nascosto… O forse non voleva che scoprissero che sul suo volto avevano preso a scorrere, calde e silenziose, le prime lacrime.
Intanto era calato un silenzio di morte, in cui l’unico suono che riuscì a distinguere fu il martellare ostinato del proprio cuore.
Schiacciata contro la parete del piccolo rifugio continuò a tremare, osservando Harry che faceva levitare la cassa e liberava l’accesso alla stanza.
I tre entrarono nel locale, per riemergere dopo un tempo che le parve interminabile, quindi imboccarono velocemente il passaggio segreto, sfiorando la nicchia in cui era nascosta; quando l’eco del loro scalpiccio si spense, lasciando di nuovo posto ad una calma inquietante, fu certa che finalmente poteva uscire dalla sua tana per raggiungere l’ambiente in cui si era consumato l’orrore.
Sostò titubante sulla soglia, attanagliata dalla paura perfino di respirare: il locale era immerso nella penombra, e la prima cosa che la colpì fu l’unica finestra aperta, attraverso cui si potevano scorgere i bagliori lontani della battaglia che infuriava ancora al castello.
Lasciò vagare lo sguardo lungo le pareti malandate, e sul pavimento di legno putrido e sconnesso.
Infine lo vide, a terra, in un angolo, con la gola squarciata e il colletto della camicia, un tempo immacolato, ora completamente rosso di sangue.
Si avvicinò lentamente, senza rendersi conto che stava singhiozzando: il riuscire a vedere i Thestral non significava che fosse preparata ad una simile eventualità.
Si inginocchiò accanto al corpo martoriato, che nemmeno la terribile fine aveva privato di straordinaria dignità, e le parve di essere al cospetto di un bellissimo angelo nero al quale fossero state strappate le ali, abbandonato in morte, così come lo era stato in vita.
Allungò una mano verso il volto pallidissimo, finalmente sereno, lo accarezzò lievemente. Poi chiuse delicatamente le palpebre sugli occhi vitrei, nei quali non avrebbe più potuto veder brillare alcuna luce.
- Non rimarrà qui da solo, signore… Non questa volta… Starò io qui, con lei, a tenerle compagnia. – sussurrò piano, con infinito rispetto, quasi temendo di svegliarlo.
Raccolse una mano inerme dell’uomo e la tenne stretta tra le sue. Adesso non piangeva più. Sul suo viso tranquillo erano rimaste solo scie sottili di lacrime che brillavano come rugiada e un misterioso, dolcissimo accenno di sorriso.
 
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