Il Calderone di Severus


Sei personaggi in cerca d'autore - 1° Turno
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Storia 4 - L'ultima scintilla6 [42.86%]
Storia 9 - Aspettami... Severus3 [21.43%]
Storia 2 - La formula della felicità2 [14.29%]
Storia 7 - Dark Shadows2 [14.29%]
Storia 1 - Time before time1 [7.14%]
Storia 3 - Sogni0 [0.00%]
Storia 5 - Una notte d'estate0 [0.00%]
Storia 6 - Mudblood0 [0.00%]
Storia 8 - Un uomo diverso0 [0.00%]
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Sei personaggi in cerca d'autore - 1° Turno

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view post Posted on 26/2/2012, 13:04
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I ♥ Severus


Potion Master

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Da un dolce sogno d'amore!

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Ricordo a chi ancora non l'ha fatto, di inviare le storie a MSStorie (correggendo, ove possibile, gli errori di canone, altrimenti indicando OOC ove la violazione del canone è grave).
Io ho criticato duramente diverse storie perchè erano, secondo me, fuori dal tema del concorso, ma questo non significa che non siano delle "belle storie"(e in effetti, astraendomi dal tema del concorso, mi sono anche piaciute!)


Edited by chiara53 - 29/6/2015, 12:20
 
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view post Posted on 1/3/2012, 15:04
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Dalle nebbie della Valacchia

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Punteggi del primo turno


pingui79 - 25 punti
arcady - 18 punti
Ellyson - 15 punti
Ele Snapey - 13 punti
misslegolas86 - 5 punti
Swindle - 4 punti
B'Elanna - 2 punti
Querthe - 1 punto
Severia - 0 punti

 
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view post Posted on 21/1/2017, 18:03
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Time before time di Swindle






Ansimi.
Respiri affannosamente, risucchiando l’aria in boccate veloci, come se i tuoi polmoni avessero dimenticato il loro compito e tu non fossi in grado di ricordarlo.
Le tue mani si muovono nervosamente, in scatti tesi, preoccupati, tastando tra foglie e metallo, cercando qualcosa che il tuo solo sguardo non può raggiungere.
“Dove sei?” ti chiedi.
Una ciocca di capelli ti cade davanti agli occhi, cerchi di allontanarla con uno sbuffo, perché le tue dita sono impegnate in un compito ben più importante, ma la tua chioma non è mai stata domabile: ti oscura di nuovo la vista e il verso che ti esce dalle labbra per questo, per tutta la situazione in cui ti trovi, non ha nulla dell’Hermione che sei, che dovresti essere.
“Dove sei!” urla la tua mente.
Ti passi le mani tremanti fra i capelli, ti siedi per terra – non ti importa sporcarti i vestiti – e intimi a te stessa di riprendere controllo del tuo corpo. Ma il tuo petto si abbassa e si alza veloce, ancora e ancora, e, sensatamente, non ci sarebbe nulla a questo mondo in grado di calmarti, se non ciò che stai cercando da troppo tempo perché sia un caso non trovarlo.
“Dove sei?!” e i tuoi occhi si spalancano terrorizzati.

***



Aveva aspettato, e aspettato.
Se c’era una cosa che aveva imparato in tutti quegli anni di studio puntiglioso e impegnato era la pazienza. Perciò aveva pazientato, anche se dentro fremeva, di orrore, di sgomento e non ultimo di sete di verità.
Aveva aspettato tutta la notte, aveva sentito tutti i resoconti, aveva ripercorso tutto ciò che era successo, più volte, con Harry e Ron, e poi al mattimo aveva deciso.
Perché tutto la storia, certo, filava, ma c’era qualcosa, qualcosa che stonava, un qualcosa che Hermione aveva visto passare negli occhi bui di Piton, quando era uscito dal suo ufficio intimando a lei e Luna di andare dentro ad aiutare Vitious, che era svenuto.
Qualcosa, una frazione di secondo, come se, vedendole, avesse esitato, come un ripensamento, o forse una consapevolezza che Hermione non si spiegava, che Hermione voleva capire.
Dopo il terzo anno aveva deciso che non aveva senso tornare sui propri passi, rivivere le stesse ore, solo per seguire più lezioni possibili, lezioni che non le interessavano veramente.
Così aveva ringraziato Silente, e aveva rinchiuso la sua Giratempo in un posto sicuro.
Quella mattina, alle prime luci dell’alba, prese in prestito a Harry il Mantello dell’Invisibilità e uscì di soppiatto dai confini di Hogwarts.
«Le tre D.» ripetè a se stessa, e pochi secondi dopo aveva in mano la sua piccola Giratempo.
Tornare a Hogwarts e girare la clessidra contando le ore fu come essere in un sogno vissuto nella nebbia.
Chiuse gli occhi, e quando li riaprì era sera e Silente non era ancora morto.
Si nascose nel parco, dietro ad un cespuglio, vicino ai cancelli della Scuola di Magia.
E aspettò ancora, con il cuore che pompava forte, la testa leggera e pesante al tempo stesso.
Finchè non apparvero Harry, e Piton, e Draco. Abbastanza lontani da non sentire le loro parole, abbastanza vicini da vederli.
Sentì Piton urlare contro Harry, intimandogli di non chiamarlo vigliacco.
E poi tutto si confuse in un turbinio di ali, mentre Fierobecco feriva ed inseguiva Piton, e questo scappava, tirandosi dietro Malfoy e avvicinandosi pericolosamente al cespuglio dove Hermione era nascosto.
Aveva atteso quel momento, e non se lo sarebbe fatto scappare.
Si alzò di scatto, nascosta dal Mantello e, senza sapere come, riuscì ad aggrapparsi alle vesti del professore proprio nel momento in cui questo varcava i cancelli di Hogwarts e si smaterializzava per chissà dove.
Il suo cuore perse un battito, ma non mollò la presa.
Atterrò duramente sulla pietra dura, e si ritrovò il volto di Piton davanti agli occhi.
Estrasse la bacchetta, la estrassero contemporaneamente, e mentre Hermione schiantava Draco, che si stava rialzando poco lontano e che non l’aveva ancora notata, Piton la disarmò.
Malfoy ricadde a terra, senza sensi, mentre la bacchetta della ragazza finiva in mano al professore.
Hermione alzò le mani, e le allargò, ma non disse nulla.
«Perché è qui?» le chiese.
La ragazza abbassò lentamente le braccia, parlando sottovoce.
«Ho bisogno di sapere la verità.» disse, e la sua voce rimbombò nella caverna dove si erano materializzati.
Fuori, il vento fischiava e la pioggia scendava impietosa.
Ci fu un attimo di silenzio, poi un risolino di scherno affiorò sulle labbra del professore, mentre un rivolo di sangue gli scendeva dal volto, colando dalla ferita aperta che Fierobecco gli aveva inferto poco prima.
«La verità non è che una sfumatura di una menzogna, signorina Granger.»
«Certo.» rispose tagliente «Infatti lei non è un Serpeverde.»
Non sarebbe stata ai suoi giochetti, non quella volta.
«È stato lei ad uccidere Silente?» chiese, a bruciapelo.
Evidentemente non si aspettava una domanda così diretta, perché il risolino scomparve dal suo volto e la sua espressione si incupì.
Si drizzò, apparendo molto più minaccioso e fiero, irrigidendosi.
«Sì.» dichiarò.
Fu il turno di Hermione di rimanere spiazzata.
«Credevi che avrei negato?» le chiese, interpretando i suoi pensieri, con un sorriso ferino.
«Lei l’ha tradito.» esalò, sconvolta da quella realtà a cui non riusciva a credere.
«Io ho ucciso Albus Silente.» rincarò scandendo le parole, e la sua voce era dura, cupa, aspra.
«E ora che ha avuto la sua conferma, se ne vada. Non ha più nulla da fare qui.»
Non c’era null’altro da dire, lo sapeva, ma qualcosa ancora la tratteneva gelata lì, senza possibilità di scampo.
Cosa si era aspettata? Che Piton se ne uscisse fuori con qualche storia strampalata per cui no, non aveva davvero tradito tutti loro?
«Silente si fidava di lei. Ci ha sempre detto che… lei era…»
«Il Mangiamorte pentito, la spia, l’uomo nero che fa paura ma in cui bisogna credere?» chiese sarcastico «Benvenuta nel mondo reale, Granger. Mi duole averle sconvolto la rosea visione del mondo da adolescente spensierata.»
Hermione strinse i pugni e stava per ribattere, quando un lamento poco lontano la avvertì che Malfoy stava per riprendersi.
Piton si avvicinò di un passo, sovrastandola e mettendole bruscamente in mano la bacchetta.
«Vattene!» le intimò, ringhiando.
Non se lo fece ripetere due volte, e sparì, con il volto di Piton davanti agli occhi, sentendosi inspiegabilmente ferita, spezzata, sconfitta.
La Giratempo tornò nel suo nascondiglio e nessuno seppe che l’aveva tirata fuori.

C’era un’idea, un’idea che aveva maturato nel tempo e che era cresciuta dentro di lei, divorandola come un tarlo. Ci aveva messo un po’ a nascere, perché prima la sua mente era troppo sconvolta dalla conversazione con Piton; sentirlo ammettere tranquillamente di aver ucciso Silente era stato più straziante di qualsiasi duello.
Ma era proprio questo il punto: Piton aveva ammesso di averlo ucciso, non di averlo tradito.
Perché?
Era stata una scelta involontaria di parole? Forse credeva che ucciderlo fosse peggio di tradirlo, tradire tutti loro? No, era un Mangiamorte… e allora perché, perché?
Non sapeva rispondersi, anzi, una risposta c’era, non tutto è, dopotutto, sempre come appare, ma Hermione temeva di star lavorando troppo di fantasia, doveva restare aggrappata alla realtà.
E poi era davvero così importante? Piton aveva ucciso Silente, l’aveva ammesso, e già questo bastava per condannarlo. Punto.
Inoltre aveva voltato loro le spalle, si era definitivamente riunito a Voldemort, era diventato Preside su sua richiesta… non aveva senso pensarci.
Ovviamente non aveva confidato nulla ai suoi due amici; avevano già abbastanza problemi così, fuggendo da un luogo all’altro, senza che lei li torturasse con le sue stupide elucubrazioni.
Eppure non poteva fare a meno di pensarci, ed era inquieta.
Così, la sera in cui Ron se ne andò, pianse per ore, poi quando Harry si addormentò, uscì e si smaterializzò, con un’unica idea in testa.
Ma improvvisamente provò un terrore acuto: cosa sarebbe successo se non fosse riuscita a tornare da Harry? Ma lei sapeva esattamente dove fosse la tenda con l’amico, dopotutto era lei che, di volta in volta, sceglieva i posti dove accamparsi, e con la Giratempo sarebbe tornata in tempo: come se non se ne fosse mai andata.
Un po’ più sollevata, recuperò la clessidra ancora una volta, e si scontrò con un altro problema: come entrare ad Hogwarts? Di sicuro era pattugliata al massimo, e, come lei stessa diceva da anni, non ci si poteva materializzare entro i confini della scuola.
Ma c’era un motivo per cui tirava sempre fuori quella nozione: aveva fatto molte ricerche in proposito, ed era giunto il momento di verificare la sua teoria.
Si concentrò su Hogwarts, e su un suo punto in particolare.
Quando si materializzò, si ritrovò nella Foresta Proibita. Esultò nella mente: aveva avuto ragione: la Foresta era talmente sconfinata e impregnata di magia di diverso genere che in alcuni esigui e piccoli punti la copertura per la materializzazione spariva, e ricompariva, a intermittenza.
Bastava prendere il momento esatto.
L’inconveniente fu che ci mise più di due ore ad uscire da lì, prima dovette orientarsi, e poi fare in modo di non incontrare nessuna bestia magica o comunque pericolosa, tremava ancora al pensiero dei ragni, dei Centauri con le loro frecce o di Grop; il Mantello di Harry aiutò molto.
Confronto ad attraversare la Foresta, entrare nella Scuola fu decisamente semplice, gli bastò evitare Gazza al primo piano, e raggiunse l’ufficio del Preside in breve tempo.
Rimase fuori qualche minuto, pensando al da farsi, quando Amycus Carrow uscì trafelato dalla porta, e Hermione, dopo aver represso un brivido di disgusto per il neo professore, riuscì ad intrufolarsi dentro.
Piton era alla scrivania, e stava leggendo alcune carte.
Hermione era ancora distrutta per Ron, aveva perso le speranze, aveva bisogno di capire.
Si tolse il Mantello con un gesto secco, avventato, un gesto che calamitò subito l’attenzione del Preside.
Gli occhi adamantini di Piton si fissarono nei suoi, il suo volto era impassibile, ma i suoi occhi ardevano.
Dopo lunghi minuti di silenzio, la sua voce uscì in un sussurro.
«Cosa ci fa lei qui?»
Hermione fece un passo in avanti, scostò la sedia e si accomodò, come se essere lì, nel cuore della notte, fosse la cosa più ordinaria del mondo.
«Sono venuta a parlarle.» rispose, stupendosi del fatto che la sua voce non sia più rotta dai singhiozzi del pianto passato.
«Come è entrata?» continuò nel suo tono basso, il volto leggermente più pallido del solito.
Il volto di Hermione si accese in un veloce sorriso. Sapere di aver fatto qualcosa che il professore non comprendeva la riempiva d’orgoglio e le faceva rinascere un po’ di fiducia in se stessa.
«Potrei presentarle molte sfumature della verità, professore, ma sappiamo entrambi che non servirebbe a nulla, non è così?»
Vederlo irritato la compiacque non poco.
«Se ne vada, prima che qualcuno la trovi qui e lei finisca in seria difficoltà.»
«Perché non mi cattura lei?» lo provocò.
La mascella di Piton si contrasse, e le sue dita si congiunsero.
«Non ho tempo da perdere con i suoi stupidi scherzi.»
«Ha ragione.» acconsentì, tornando seria «Parliamo di lei e del suo tradimento.»
«Pensavo ci fossimo già chiariti su questo punto, signorina Granger.»
«No. Lei ha ammesso di aver ucciso Silente, è vero, ma ripensandoci ho notato che non ha mai detto di aver tradito l’Ordine, il bene.»
«Lei non sa proprio nulla di cosa sia il Bene, glielo assicuro.»
«Forse ha ragione. Ma quello che so è che Harry Potter è il prescelto, perché così dice la profezia; quello che so è che senza Silente ricade solo su di lui il compito di uccidere il Signore Oscuro; quello che so è che siamo senza risorse, e senza idee. E io voglio sapere se in lei abbiamo un alleato o un nemico, uno sporco traditore, una volta per tutte.»
Hermione vide pulsare una vena sulla tempia del professore, vide i suoi occhi stringersi, ma l’uomo non proferì verbo.
«Se ha affermato di aver ucciso Silente, perché per un Mangiamorte come lei è così difficile ammettere di averci tradito tutti? Di cosa ha paura? »
Hermione si avvicinò di più al professore, sporgendosi sulla cattedra.
«Qual è il motivo per cui Silente si fidava di lei?»
Poi il suo sguardo si addolcì, Hermione non sapeva dire per quale motivo, forse era ancora tutta l’adrenalina e il dolore che le scorrevano nelle vene.
Sfiorò le sue dita e disse:
«Io vorrei potermi ancora fidare di lei, professore. Qualcosa mi dice che posso farlo, e voglio sapere da lei perché.»
Piton si ritrasse all’improvviso, e contemporaneamente qualcuno bussò alla porta.
Con uno scatto, Hermione si buttò sotto il Mantello dell’Invisibilità, mentre Dolohov entrava nell’ufficio.
La ragazza si ritrasse più che potè, memore della maledizione che le aveva scagliato durante lo scontro all’Ufficio Misteri, e che ancora le bruciava dentro.
Dovette ammettere a se stessa che Piton dava tutta l’idea di essere più che legato a Voldemort, con tutto il via vai di Mangiamorte alla sua scrivania. Ma mentre studiava Dolohov intercettò uno sguardo del Preside che la cercava pur non riuscendo a vederla, e tutti i suoi dubbi volarono via.

Era la notte di Capodanno, Hermione aveva contato i giorni da quando erano stati a Godric’s Hallow, per Natale.
Quando Dolohov era stato da Piton, li aveva sentiti parlare della festa, in maschera, e in onore di Voldemort, che si sarebbe tenuta per il primo dell’anno.
Hermione era lì, vestita con un abito semplice che si era portata nella sua borsetta, nascosta dietro una maschera d’argento.
Non parlò con nessuno, limitandosi a stare in disparte. Finchè non vide Piton, nonostante fosse mascherato, era impossibile non riconoscerlo.
Lo raggiunse, arrivandogli alle spalle e gli sussurrò nell’orecchio, con voce emozionata.
«La cerva. La cerva era tua.»
Piton si girò di scatto, afferrando Hermione per il braccio e portandola nel corridoio, fuori dalla Sala Grande. La studiò per un secondo, per poi continuare a trascinarsela dietro, fino ai sotterranei.
Arrivò in un’aula vuota, e la chiuse dentro insieme a lui.
Hermione non capiva perché, ma era furioso.
Gli strappò la maschera dal volto, con un movimento preciso che non le sfiorò minimamente il viso.
«Pensavo di essere stato chiaro, signorina Granger. Lei non dovrebbe essere qui.»
«La cerva può essere solo sua, mi dica che sbaglio. Io le ho chiesto aiuto, le ho chiesto se potevo fidarmi di lei, e lei ci ha dato la spada di Grifondoro.»
Piton non rispose, chiudendo gli occhi.
«Mi dica che non è così, mi dica che non è stato lei, rinneghi quello che quella cerva significa e che lei sa che ho compreso. Mi dica questo, e io me ne andrò per sempre.»
«Mi dispiace, ma questo non posso dirglielo.»
Hermione si avvicinò a quell’uomo fiero che in quel momento sembrava così fragile, e lo abbracciò, appoggiandogli il capo sul petto.
Piton si irrigidì, ma non si scostò, forse più per la sorpresa che altro.
«Grazie. Ne avevo bisogno.»

Da quel momento le visite di Hermione a Piton furono sempre più frequenti.
Aveva iniziato a usare la Giratempo guidata dall’idea che per capire il presente fosse necessario conoscere il passato, ma ogni momento che passava con il professore era qualcosa di più, non solo il bisogno di sapere la verità.
Passarono dal lei al tu, dal tu all’uso dei nomi di battesimo. Hermione gli confidava tutto, gli parlava della loro ricerca, di come andassero le cose con Harry e Ron, e Piton cercava sempre di aiutarla, anche se nel suo modo contorto e complicato.
Ma parlavano anche del loro passato, della loro infanzia… anche se più che altro Hermione parlava e Severus ascoltava, non era facile farlo parlare. E parlavano della Giratempo, di come usarla, del presente, del futuro…
Quando Hermione si accorse di cosa stava succedendo davvero fra loro, era ormai troppo tardi.
Tardi perché Severus non aveva intenzione di cedere, secondo lui erano già abbastanza pericolose le sue visite; tardi perché anche se avesse usato tutte le Giratempo dell’Ufficio Misteri non sarebbe riuscita a tornare indietro.
Tardi perché il tempo volò, e dopo la Gringott, Hermione si ritrovò ancora una volta ad Hogwarts, ma questa volta non per passare un po’ di tempo in pace, ma per la guerra.

Hermione passò in mano ad Harry la fialetta, scacciando indietro le lacrime che minacciavano di esplodere sul suo viso.
Non poteva morire, non poteva. Non ora che aveva capito di amarlo, non ora che la guerra poteva finire definitivamente e lei avrebbe potuto convincerlo che non era troppo tardi per un futuro insieme.
È invece tutto quello che ha sono un frammento di secondo in cui i loro occhi si incrociano, in cui Severus sembra dire “va bene così”.

***



Ma per te non va bene per niente.
Per questo ora sei qui, nel tuo rifugio segreto, nel parco giochi che da piccola adoravi, a cercare la tua preziosa Giratempo, nascosta tra le foglie sotto allo scivolo.
Ma le tue mani non cercano più freneticamente, perché oramai hanno trovato quello che bramavano. Solo che non è come pensavi.
Dentro alla scatolina rossa e oro, incantata affinchè nessun babbano possa vederla e toccarla, la Giratempo giace spaccata a metà, tra minuscoli pezzi di vetro e un liquito grumoso e argentato che immagini sia ciò che faceva funzionare la tua unica salvezza.
“Rotta.”
Non riesci a pensare ad altro, mentre piangi lacrime silenziose: il dolore è troppo forte per provocare qualsiasi rumore.
E il bigliettino, carta di pergamena, poche parole vergate con quella calligrafia che hai imparato ad amare e che non vedrai mai più:
“È ora di rimandare il tempo nella giusta direzione.”
L’ha scritto lui, l’ha fatto per proteggerti, e invece ti ha tolto l’unica possibilità che avevi di proteggere lui, di salvarlo. Quante volte sei tornata indietro nel tempo anche solo per vedere un secondo il suo viso, e ora pensare che l’unica volta in cui davvero ne avevi bisogno… sfumata, perduta, morta.
Piangi, per ore, e pensi che mai nessuno potrà consolarti.
“È ora di rimandare il tempo nella giusta direzione.”
È solo per queste parole che riesci ad alzarti ed incamminarti verso l’uscita del parco.
Sorpassi un bambino, il volto pallido e gli occhi neri come due tunnel oscuri.
«Dove vai?» ti chiede.
«Con un po’ di fortuna» rispondi senza voltarti «Avanti.»
 
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view post Posted on 21/1/2017, 18:08
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La formula della felicità di Ele Snapey



Quando si rese conto di come il testo di Pozioni non fosse più nello zaino, assieme agli altri volumi, le lacrime presero di nuovo a scorrere silenziose.
Madama Chips le aveva appena somministrato un antidoto per riportare gli incisivi alla normalità, ma rabbia e umiliazione erano ancora troppo vive perché il semplice smarrimento di un testo scolastico, che probabilmente in quell’istante giaceva dimenticato a terra nel corridoio davanti all’aula di pozioni, non costituisse un nuovo, piccolo dramma.
Smise di rovistare nella sacca e iniziò a riflettere osservando, con un lungo sospiro rassegnato, la schiena di Madama Chips intenta a sistemare le pustole in faccia a Goyle, disteso qualche letto più in là.
La Chips le aveva raccomandato di non muoversi da lì, anche se i devastanti effetti dell’incantesimo Densaugeo, che l’aveva colpita accidentalmente durante un vivace scambio di opinioni tra Harry e Malfoy, poco prima della lezione, sembravano essersi attenuati del tutto.
Ciò che però non si era per nulla attenuato, era il forte senso di impotenza e frustrazione.
La crescita a dismisura dei denti non era stata, in fin dei conti, la causa principale della crisi di pianto, e non erano state nemmeno le risate sguaiate di Pansy Parkinson e delle sue amichette, che avevano fatto seguito all’incidente.
No, quello che l’aveva colpita in modo ferale era stato lo sguardo pungente del professor Piton che, dopo averla studiata con la stessa espressione con cui si analizzerebbe una rara specie di insetto e, constatata l’evidente deformità in corso, aveva dichiarato serafico:
“ Non vedo nessuna differenza.”
Lo aveva pronunciato piano, in tono distaccato e con un lampo maligno negli occhi d’ebano, ignorando volutamente la sua muta richiesta di aiuto morale.
Era evidente come avesse deciso di non lasciarsi assolutamente scappare una ghiotta opportunità per infliggere una lezione all’insopportabile “signorina So-tutto-io”, e questo perché Hermione non gli aveva mai dato occasione, prima d’ora, di poterle affibbiare una punizione, un voto molto scarso, o un rimprovero più caustico del dovuto.
Gli occhi si inumidirono di nuovo: era completamente a terra, esattamente come quando Raymond Steel, alle elementari, si divertiva un mondo a prenderla in giro davanti a tutti i compagni di classe a causa dei capelli crespi. Ray le piaceva molto, perciò il fatto che si facesse continuamente beffe del suo aspetto la metteva in grossa difficoltà, pungendola sull’orgoglio.
Ora si sentiva esattamente come allora; perché, nonostante il professor Piton possedesse un carattere pessimo Oltre Ogni Previsione, Hermione nutriva per lui stima e ammirazione sconfinati, che in quei quattro anni aveva cercato di manifestargli nell’unico modo che avesse a disposizione, vale a dire, studiando forsennatamente e applicandosi nella sua materia come una disperata.
Ripensò a come, nonostante fosse ancora una bambina, la profonda intelligenza e la personalità soggiogante dell’uomo l’avessero impressionata e intimidita fin dalla prima lezione. Aveva immediatamente percepito le sue eccezionali doti di Mago e lo straripante bagaglio di conoscenze.
Perciò, con il tempo, Piton era diventato il modello al quale ispirarsi, la versione maschile della Strega che avrebbe voluto diventare da grande (carattere a parte, ovviamente).
Ma più cercava di impegnarsi, e più sembrava che l’insegnante provasse fastidio di fronte alla sua cocciuta buona volontà.
Era stato tutto inutile: gli sforzi compiuti fino a quel momento per acquisire un giudizio che andasse oltre l’Accettabile, o uno sguardo benevolo, o anche solo un cenno di approvazione, avevano costantemente dato scarsi risultati.
Per ottenere di più, Hermione si era sempre costretta ad eseguire compiti addirittura perfetti, in cui il professore riusciva comunque a trovare qualcosa che non andasse, e il giudizio finale era sempre ampiamente al di sotto delle sue aspettative.
Hermione era consapevole di come l’appartenere a Grifondoro ed essere amica di Harry Potter potesse risultare una condizione piuttosto handicappante, ma, nonostante la triste presa di coscienza, ciò che era accaduto quel pomeriggio aveva contribuito a farla stare decisamente peggio.
“ Non vedo nessuna differenza.”
Era fuggita, prima che il suo mito tra gli insegnanti potesse accorgersi delle lacrime che iniziavano a rigarle il volto: non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di vederla sciogliersi in pianto davanti a lui… Ma se mai avesse cercato un modo migliore per ferirla, non l’avrebbe trovato.
- Madama Chips, sono trascorse due ore, ormai. Ho già perso la lezione di Pozioni e non vorrei dover saltare anche quella successiva di Aritmanzia… posso andare ora? – chiese educatamente Hermione, anche se con una certa impazienza, temendo che la donna si fosse dimenticata di lei.
- Ancora qualche minuto, signorina Granger. Un po’ di riposo non ti farà male di sicuro. – rispose l’infermiera, in tono dolce ed efficiente al tempo stesso.
La ragazza si arrese alla sua fermezza professionale. Chiuse gli occhi e decise di concedere un po’ di tregua alle stanche cellule cerebrali.

*******

L’aula, al suono della campanella, si liberò in mezzo secondo.
Severus Piton però aveva già prudentemente provveduto a far sistemare paioli, riporre ingredienti e ripulire banchi appena prima del termine delle due ore: conosceva i suoi polli.
I ragazzi erano sì usciti dalla stanza molto velocemente, ma nel massimo rispetto di ordine e silenzio.
Liberatosi finalmente della presenza del quarto anno di “zucche-vuote-Serpeverde-Grifondoro”, ne approfittò per impilare, con calma e rigore, le pergamene sulla cattedra e per riordinare le provette contenenti un campione della pozione ultimata quel pomeriggio.
Subito dopo si diresse, lento e austero, verso l’uscita, pronto a godersi un po’ del tempo libero che aveva a disposizione prima di concludere la giornata con un paio di studenti in punizione.
Mentre chiudeva la porta alle proprie spalle, considerò come la lezione appena trascorsa non fosse iniziata nel migliore dei modi, anzi!
Forse aveva peccato di troppa indulgenza nel togliere a Grifondoro solo cinquanta punti, evitando a Potter una punizione sacrosanta ed esemplare che, per essere onesti, avrebbe abbondantemente meritato anche Draco Malfoy.
Perso in riflessioni si avviò verso i propri alloggi, ma la copertina colorata del libro di Pozioni, abbandonato in un angolo accanto al battente in legno, attirò subito la sua attenzione, e lo costrinse a tornare sui suoi passi.
Si chinò a raccoglierlo e nel farlo si rese conto, già prima di averlo preso in mano, di come il volume fosse stato conservato con la massima cura.
Gli parve molto strano che uno studente tanto preciso e ordinato avesse potuto smarrirlo in modo così banale. Non vi era nome che potesse permettere l’identificazione del proprietario; di una cosa fu subito certo, e cioè il libro avrebbe potuto appartenere a chiunque tranne che a Paciock.
Prese a sfogliarlo alla ricerca di qualche traccia, e rimase lì per lì sorpreso a fissare le pagine fitte di appunti presi a margine, stilati con squisita precisione.
Iniziò quindi a percorrere lentamente i corridoi silenziosi e poco illuminati, leggendo a mezza voce ciò che vi era scritto.
- Pozione Dilatante: sono necessarie almeno cinque piume di Occamy in più; aggiungere le foglie di Alloro in un secondo momento, per evitare tempi di ebollizione lunghissimi… Pozione della Memoria: attenzione alla dose di ginseng che se è in eccesso potrebbe provocare gravi reazioni cutanee…
Si fermò, meditabondo, nel bel mezzo del Sotterraneo. Fece scorrere altre pagine ugualmente dense di appunti, e sentì un nodo salire in gola: quel libro gli aveva fatto tornare alla mente un altro testo, ugualmente fitto di annotazioni, postille e scrupolose considerazioni… Tutto quello a cui era giunto il suo possessore, dopo attente ricerche ed esperimenti portati avanti in gran segreto.
Piton chiuse gli occhi; ricordò la copertina lucida e intatta del nuovo, prezioso libro di Pozioni Avanzate appena acquistato, grazie soprattutto ai sacrifici di sua madre. Rivide, con un pizzico di commozione, il giorno in cui era uscito dal Ghirigoro, reggendolo finalmente in mano con infinito orgoglio.
Si riscosse e, tornando a sfogliare il volume, ormai certo dell’identità di colui, anzi, colei che lo aveva smarrito, si accorse di una piccola pergamena ripiegata tra le ultime pagine.
Troppo incuriosito per preoccuparsi del fatto che in quel momento stava peccando di indiscrezione, spiegò il foglio e ne lesse il contenuto.
- Per tutti i Gargoyle… Distillato della Morte Vivente!? – sbottò ad alta voce, sempre più meravigliato: era perfettamente consapevole di quanto valesse il cervello di quella ragazzina, a volte davvero irritante, (e comunque indubbiamente in gamba) ma non si sarebbe mai aspettato di scoprirla decisa a cimentarsi in una sfida così proibitiva.
La preparazione di quella pozione veniva affrontata non prima del sesto anno, e c’erano addirittura studenti del settimo che non erano ancora in grado di eseguirla in modo corretto… Rimaneva ancora un caso isolato nella storia di Hogwarts, quello in cui uno studente di appena quindici anni era stato capace di portarla a termine in tempi piuttosto brevi, e senza alcun aiuto da parte di adulti!
Severus abbozzò un sorrisetto obliquo, molto compiaciuto: sembrava proprio che la piccola Granger fosse ben determinata a far rivivere le gesta del Principe Mezzosangue, pur ignorandone l’esistenza.
Proseguì nella lettura degli appunti e scoprì che la ragazzina era arrivata a buon punto, anche se a quanto pare mancava ancora qualche piccolo passaggio perché la pozione, per essere corretta, raggiungesse l’esatta limpidezza finale.
La ricerca della giusta amalgama tra gli ingredienti, dei tempi di bollitura e attesa, di dettagli e accorgimenti erano tutti diligentemente annoverati su quel ritaglio di pergamena, frutto di chissà quali e quante ore trascorse in biblioteca.
Sorrise di nuovo, intenerito di fronte a tanta caparbietà, e si rese conto di essere sempre stato un po’ troppo ingiusto nei suoi confronti. L’ultima volta era accaduto appena due ore prima, in quel corridoio.
La rivide mentre con una mano cercava, senza riuscirvi, di coprire gli incisivi che continuavano ad allungarsi, e con l’altra raccattava affannosamente i libri che le erano scivolati a terra; tutti tranne uno, appunto, il testo di Pozioni.
Rammentò lo sguardo triste e colmo di lacrime, prima di fuggire via, per aver ricevuto in risposta quella perfida frase mortificante: “Non vedo nessuna differenza”.
Non sapeva nemmeno per quale motivo avesse deciso di umiliarla così: forse perché in quella ragazzina studiosa, tenace e tendente a isolarsi, aveva sempre rivisto un po’ se stesso, e il bisogno inconscio di punire l’adolescente che era stato, incapace di integrarsi e arrivare al successo, era ancora vivo e rabbioso.
Alzò il capo dagli appunti, assorto: forse Hermione Granger si trovava ancora in Infermeria… E forse lui era ancora in tempo per rimediare.

*******

- Signorina Granger… Hermione…
Aprì gli occhi, li chiuse e li riaprì un paio di volte prima di mettere a fuoco la fisionomia di Madama Chips, china su di lei. Accidenti doveva essersi assopita! Addio quindi anche alla lezione di Aritmanzia.
- C’è una visita per te, signorina Granger. – annunciò la donna in tono bonario, spostandosi e permettendole di inquadrare nel proprio campo visivo la persona che aveva alle spalle.
La ragazza spalancò gli occhi e scattò immediatamente a sedere sulla letto, lasciandosi sfuggire uno squittio. Dietro a Madama Chips si era materializzato ciò che non si sarebbe mai aspettata di vedere, e cioè la figura nera e imponente del suo Maestro di Pozioni.
- Non fare quella faccia, signorina Granger… - esordì l’uomo, con il consueto accento asciutto e la solita espressione rigorosa, avanzando indolentemente di qualche passo. Hermione percepì, con somma sorpresa, un barlume divertito nelle pupille color dell’ossidiana, che la stavano scrutando.
– Sembra che tu abbia visto un fantasma: ti assicuro che sono proprio io, e in carne ed ossa!
- Buongiorno, signore… lo so, signore… mi scusi ma io non… non mi…
- Immagino tu stia cercando di dire che non ti aspettavi di vedermi qui. – la interruppe, inarcando il sopracciglio.
– No, non intendevo proprio questo, cioè sì, ma è che… che… – avvampò e abbassò gli occhi, in preda alla abituale, stradannata forte soggezione.
- Dovresti prestare un po’ di attenzione a dove abbandoni i tuoi libri di testo… più importanti.
L’insegnante era giunto a ridosso della branda, e appoggiò con garbo sul materasso il grosso volume che teneva in mano.
Il volto di Hermione, ancora infiammato, si illuminò.
- Oh… grazie professore, io… io… mi è caduto appena prima della Sua lezione, ma me ne sono accorta immediatamente e sarei… sarei tornata a prenderlo subito, non appena Madama Chips mi avesse dato il permesso di lasciare l’Infermeria, le assicuro che poi sarei venuta a chiedere a Lei se era il caso…
- Lo so. - Piton troncò seccamente il profluvio di ragionamenti sconnessi, frutto di una combinazione tra la felicità per il ritrovamento del bene smarrito e l’agitazione per la presenza dell’insegnante al capezzale.
- Non… non riesco davvero a capire come io possa averlo dimenticato là sotto, per terra… - riprese lei, con vocina flebile, afferrando il libro e stringendolo a sé.
- Nemmeno io riesco a capire come tu possa continuare a frequentare Potter e Weasley… ma tant’è! - replicò lui, sarcastico, scoccandole un’occhiata affilata.
All’improvviso si chinò leggermente verso la ragazza e allungò la stessa mano, che fino a qualche istante prima aveva impugnato il testo di Pozioni, in direzione del volto. Sfiorò delicatamente il mento con la punta delle dita, quindi osservò la bocca con estrema serietà.
- Mi sembra proprio che i denti siano tornati al loro posto. – Poi rivolse all’infermiera, che si era tenuta in disparte fino a quel momento, un breve cenno di approvazione. – Eccellente lavoro, Madama Chips!
La donna si schermì, cercando di minimizzare, ma fu chiaro, dal rossore che si era diffuso anche sulle sue guance, di come l’apprezzamento le avesse fatto molto piacere.
- In quanto a te, signorina Granger, confido che avrai sempre estrema cura dei tuoi libri, d’ora in avanti. Ricordati che sono un mezzo assolutamente necessario per la preparazione di ogni studente che voglia diventare un ottimo Mago o Strega. E ti consiglierei caldamente di evitare, in futuro, se possibile, di saltare le mie lezioni: sarebbe un vero peccato dover rinunciare a perfezionare la tua preparazione, per un qualsiasi futile motivo. – aggiunse il professore, mentre un’ombra divertita attraversava di nuovo il volto impassibile, ammorbidendone i tratti.
Hermione annuì, sfoderando un enorme sorriso che mise in bella mostra i candidi incisivi tornati alla normalità. Per una frazione di secondo fu sicura di averne visto aleggiare uno, molto meno enorme ma decisamente gradevole, anche sulla bocca del suo insegnante.
Piton non aggiunse altro: si voltò e si diresse all’uscita con il passo morbido e silenzioso di un grossa pantera.
Hermione rimase a fissare l’elegante sventolio del mantello, fino a che non lo vide sparire oltre la soglia, poi guardò estasiata il libro che aveva stretto al petto fino a quel momento.
Lo sfogliò per assicurarsi che fosse tutto a posto e, nel farlo, la pergamena ripiegata su cui aveva annotato i vari tentativi di realizzare un perfetto Distillato della Morte Vivente, scivolò fuori.
Sobbalzò, al pensiero che Piton avesse potuto accorgersi dei suoi esperimenti segreti. Probabilmente avrebbe preso in considerazione l’ipotesi di cuocerla a fuoco lento nel calderone, assieme alle radici di mandragola, sapendola intenta a pasticciare con quella roba.
Con il cuore in gola, spianò il foglio sul materasso, e lesse velocemente il contenuto. Quando, in fondo al foglio, riconobbe una scrittura diversa dalla propria, Il sangue le si ghiacciò nelle vene.
C’erano tre righe scritte in modo fitto, con quella grafia spigolosa e precisa che ben conosceva, perché era così che lui redigeva i giudizi, molto spesso deludenti, a margine dei suoi compiti di Pozioni:
“ Complimenti per l’intelligenza, il coraggio e la tenacia con cui ti sei dedicata alla preparazione di qualcosa che va ben oltre le tue attuali capacità! (Comunque, il segreto per ottenere un ottimo Distillato della Morte Vivente, è tagliare sottilmente le radici di Asfodelo, in senso verticale, e aggiungerle quando il preparato passa dal color ribes nero al lilla chiaro, aspettando che raggiunga una seconda bollitura e successivamente lasciandolo riposare almeno quarantacinque minuti prima di riaccendere il fuoco sotto il paiolo… Buona fortuna, Hermione.)”
Rimase a bocca aperta per una buona manciata di secondi, stentando a credere a ciò che aveva appena letto, e a terminare di sconvolgerla fu la E maiuscola, tracciata con cura, che spiccava sontuosa nell’angolo in basso a destra.
La E di Eccezionale, finalmente! Il professor Piton era davvero un insegnante e un pozionista straordinario: aveva perfino scoperto la formula giusta per renderla felice. Nessun altro, in quel momento, avrebbe potuto trovare parole più adatte a farla sentire così bene.
- Signorina Granger, credo proprio che tu possa andare, adesso. Non scordarti lo zaino, il libro che ti ha riportato il professor Piton e… - La Chips si bloccò ad osservare l’espressione rapita con cui Hermione stava contemplando il ritaglio di pergamena. – Signorina Granger… Hermione… insomma! – fece schioccare un paio di volte le dita.
- Come? Oh, sì, certo Madama Chips me ne vado immediatamente! Volo! Arrivederci! – e la ragazza balzò giù dal lettino, afferrando le sue cose in due secondi, con un entusiasmo che lasciò sconcertata l’infermiera.
La seguì con sguardo circospetto, mentre in pochi balzi raggiungeva l’uscita e spariva oltre il portone dell’Infermeria; pensò a come, solo pochi minuti prima, Hermione fosse ancora raggomitolata sul materasso con un muso lungo fino a terra. Mentre adesso, invece…
- Beata gioventù. – borbottò a mezza voce, scuotendo la testa, e tornò a concentrarsi sulle pustole di Goyle.
 
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Sogni di Querte


“In alcune rare occasioni odio aver ragione.” Si disse scotendo lentamente la testa da un lato all’altro.
L’uomo stava osservando il calderone perfettamente pulito, posto vicino alla cattedra. Nessuna traccia sia internamente che esternamente di residui di pozioni o di nerofumo.
Un perfetto lavoro, tipico della precisione degli elfi domestici. Una razza poco considerata, sfortunatamente.
Nell’aula, illuminata da torce fissate ai muri da pesanti anelli in bronzo scurito dagli anni e dall’uso, altre decine di calderoni, lucidati a dovere, dormivano oziosi in attesa di una lezione che non sarebbe mai arrivata.
“No, mai è errato. Diciamo che sarà molto poco probabile che per un po’ si tenga una lezione di pozioni.”
Da quando i seguaci di Lord Voldemort avevano preso possesso, avevano occupato, avevano invaso la Scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, le lezioni di pozioni si erano interrotte, ritenute non solo inutili, ma probabilmente anche dannose per la causa.
“L’ignoranza aiuta i dittatori.” pensò il preside, movendosi con studiata, ma ormai inconsapevole, solennità, sfiorando con le lunghe ed agili dita il legno della scrivania che tante volte negli ultimi sei anni lo aveva diviso dalla stupefacente ignoranza insita all’interno di ogni studente. “Era ovvio che il mio corso sarebbe stato uno dei primi ad essere abolito. Divinazione, al contrario…”
Sorrise alla sua stessa acida battuta e si sedette dietro la cattedra, aggiustandosi il vestito così che le pieghe nella stoffa si limitassero a quelle che lui aveva deciso si potessero formare.
Sulla scrivania era rimasto un libro, anche se perfettamente chiuso e sistemato all’angolo sinistro.
Allungò l’affusolato braccio, sfiorando la copertina di pelle blu pervinca, consumata e lucidata dal tempo, resa delicata come la seta di un vestito da ballo.
“Rune antiche.” Mormorò. “Chissà chi lo ha dimenticato qui?”
Lo pose nel secondo cassetto della cattedra, chiudendolo delicatamente.
“Magari un giorno potrebbe tornare il proprietario.” Si disse. “E io potrò punirlo a dovere. Sicuramente un Grifondoro, anche se la difficoltà della materia è al di fuori della loro portata…”
Chiuse gli occhi e si abbandonò sullo schienale della sedia.
Inspirò, lentamente, concentrandosi su ogni singolo profumo, fragranza o odore che poté individuare o solo intuire. Inconsciamente iniziò a catalogarli in base alle pozioni di cui erano ingredienti, arricciando il naso quando il suo allenato olfatto gli portava i fallimenti, l’odore di bruciato o di appiccicaticcio.
“Questo è Paciock, solo lui può rovinare la Saltarella in questo modo, dandole un fondo di arrosto alle castagne.” Mormorò, spostando il volto, l’immagine mentale della classe, con i singoli alunni alle loro postazioni, come un residuo sulla retina. “I Grifondoro hanno molti difetti, ma devo ammettere che la capacità di stuprare delle semplici pozioni nel loro caso assurge quasi al ruolo di arte.”
Eppure il nuovo odore che arrivò al suo naso, poco più che un residuo catalogabile come una manifestazione paranormale, al pari del delicatissimo profumo di incenso del Frate grasso o dell’impercettibile sentore di lavanda che rimaneva nei corridoi percorsi dalla dama Grigia, gli fece dubitare della sua ultima affermazione.
Odore di frangipane e di vaniglia, con una nota finale di muschio bianco e cannella stemperata negli agrumi di Sicilia.
Impossibile confonderlo, anche se mischiato al residuo salato del sudore e quasi surclassato dalla nota salmastra e umidiccia del Distillato della Morte Vivente, sebbene leggermente caramellata.
“Miss Granger.” Sorrise mentre piccolissime rughe si formavano ai lati degli occhi, pensando alla Grifondoro intenta a sudare e sforzarsi sopra il caldo calderone per poter preparare una pozione che alla fine non sarà quello che lei desidera. “Chissà come si è sentita vedendosi soffiare per una volta nella sua vita il premio come migliore pozionista dei Grifondoro. E dal suo migliore amico, oltretutto.”
“Male.”
Severus alzò lo sguardo, mascherando la sorpresa e reprimendo l’istinto che aveva fatto scattare la mano verso la bacchetta che teneva nascosta tra le pieghe del vestito,
“Lily?”
“Ti aspettavi qualcun’altra? Sorpreso di vedermi?”
“Parzialmente. Immaginavo che prima o poi mi avresti fatto visita. E’ capitato spesso in questo ultimo periodo. Tutti quelli che ho ucciso tornano a farmi visita. Sarà il rimorso.”
“O il whisky incendiario.”
“Già. Ho meno occasioni però di abusarne per motivi terapeutici. Sai, gli impegni come Preside, come Mangiamorte, come servo di Lord Voldemort.”
“Immagino.” Sorrise la donna, vestita con una versione adulta della divisa dei Grifondoro. La gonna era un po’ più corta di quello che lui si ricordava, la blusa quasi tirata sul busto pienamente sviluppato, abbondantemente aperta, la vista oscurata solo dai lunghi e fluenti capelli rossi.
“Non mi ricordavo che la vostra divisa includesse i tacchi alti.”
“Oh, Severus, permettimi un piccolo vezzo femminile.” Rise lei movendosi e sedendosi alla sedia dove era seduta immobile anche la forma residua di Harry che la mente dell’uomo aveva creato.
“Nessun problema. Come mai non mi stupisce che tu ti sia seduta in tuo figlio?”
“Oh, che brutta immagine…”
“Beh, la testa mi fa vedere questo, e poi, dopotutto, ciò che vedo è solo nella mia testa, no?”
“Non è detto. Sono certa che fai buon uso anche di altri organi, sebbene non così spesso, ma direi che in linea di massima sì.”
“Cosa ci fai qui?”
“Grazie, io sto bene, e tu?” chiese ironica lei, passando la mano dalle lunghe unghie smaltate di rosso sul legno della scrivania.
“Lo sai benissimo, eri in me fino ad un istante fa. Anzi lo sei anche ora.”
“Hai dei problemi con il tempo. Dovresti recuperare un Giratempo, sai a volte è utile.”
“Rotti tutti alcuni anni fa.” Borbottò lui.
“Come va mio figlio?”
“Al momento credo di corsa, il più lontano da qui, se non ha preso dal padre.”
“Severus! Ma smetti mai di essere così acido?”
“Non saprei, mai provato a non esserlo. Credo che certe cose non possono cambiare. Sai, un po’ come la storia del sole che sorge a est e cose del genere.”
Lei sorrise scuotendo la testa, i lunghi capelli ora riccioluti le incorniciavano il viso, alcune ciocche ribelli.
“Dai seriamente…”
“Non è una cima, devo ammetterlo, ma nel complesso ho visto ben di peggio. Raramente, ma non è nei primi dieci della mia lista dei peggiori allievi di pozioni.”
“Allora ha preso da me.”
“Se non fossero gli occhi, direi che potrei anche pensare che non sia figlio tuo. Che sia figlio di James, invece, nessun dubbio.”
“Stessi capelli…” sospirò lei, alzandosi, il suo corpo a perturbare per alcuni secondi quello del figlio semitrasparente come se quest’ultimo fosse fatto di fumo. “Completamente ribelli.”
“Mettiamola così…” sibilò l’uomo, seguendo la donna con gli occhi, il volto immobile come il resto del corpo, un gargoyle di carne pronto a colpire gli allievi in ogni momento, in ogni luogo dove lui poteva giungere. E come Preside, in quel momento, poteva essere ovunque.
“Ma sei qui.” Ridacchiò Lily, avvicinandosi al banco di Hermione. “Ti manca insegnare?”
“No, non direi. Mi manca poter togliere punti alla vostra Casa.”
Notò per la prima volta che la donna e la ragazzina erano alte uguali, e anche il resto delle proporzioni era lo stesso. Due donne.
“Cattivo. Vostra?” Chiese Lily, quindi osservò la figura evanescente accanto a lei. “Ah, capito. Allora dimmi, lei, com’è?”
“Chi?”
“Lei.” Ripeté la donna, indicando il fantasma della Granger.
“E’ una Grifondoro.”
“Dai, Severus, sii serio per una volta.”
“Io? Sono mortalmente serio da… mmm, da troppo, direi.”
“Allora, dai com’è Hermione?”
“Una brava allieva. Una sfortuna sia finita nella tua casa. Ha un’ottima capacità di sintesi e di analisi, peccato che la sprechi tentando di essere sempre e solo la prima della classe.”
“Ti da fastidio avere una contendente al posto di migliore allievo della scuola?”
Severus rise, amaramente.
“No. Dico solo che spreca energie. E in certi allievi, certe volte, la cosa mi infastidisce.”
La donna si sedette al posto della ragazza di cui stavano parlando, che era rimasta congelata, immobile nella fantasia dell’uomo. Il fumo di cui era fatta si scompose al passaggio di Lily, ritornando lentamente al suo posto, come ad inglobare la figura della Grifondoro, un leggero mantello dalle fattezze di giovane donna dai capelli incorreggibilmente ribelli, su cui la luce del fuoco del calderone giocava ad ogni lezione di pozioni.
“Ti succede spesso?” Chiese sistemandosi per un istante i capelli ricci e lunghi con la mano.
Hermione mimò perfettamente l’azione, in un gesto che per un istante lo ipnotizzò.
“Non ultimamente, non negli ultimi due anni. Sfortunatamente.” L’uomo osservò per un istante le figure una dentro l’altra. Due donne, una appena abbozzata, una totalmente sviluppata. Una sola, strana, sensazione di calore al cavallo.
“Si cresce molto, troppo velocemente con una guerra in corso, vero?”
Lui annuì.
Vaniglia e frangipane, malva e liquirizia dolce, la nota del profumo di Lily che lo colpiva come un piacevole pugno nel cuore quando la incrociava nei corridoi, quando erano a lezione assieme, quando studiavano assieme, prima di quella volta.
Maledetto James.
“Troppo forse, e si lasciano indietro dei pezzi, delle emozioni, dei sogni e delle speranze.”
“Ma si può sempre guardare indietro, ritrovarli e recuperarli.”
“No, ogni lasciata è persa, come nelle carte, o ciò che stringerai non saranno un bouquet di sogni, ma una fascina di incubi.”
“Non puoi dire così. I sogni sono tali, sempre e comunque.”
“Non sogno più. I miei sono spariti da tempo.”
“Severus, stai mentendomi, e quindi stai mentendo a te stesso, probabilmente. Sai che un sogno lo hai ancora, anche se così nascosto al tuo cervello che anche il cuore fatica a riconoscerlo, ma c’è.”
“Davvero?” chiese sarcastico lui. “E cosa sarebbe? Dove potrei trovare una come te, una donna come te, un amore come il mio verso di te?”
Muschio bianco.
“Non posso certo dirtelo io, Severus.” Risero, il fantasma di Hermione a mimare i movimenti come un costume di Carnevale grottescamente affascinante. La voce era un insieme delle due, alzata di un tono, più fanciullesca, ma maledettamente adulta. Quella divisa era perfetta su di loro, quei bottoni slacciati sul petto una tentazione per chiunque.
“Non tentare questi giochini con me.”
“Io? Mi offendi, Professor Piton.”
L’uomo inarcò un sopracciglio sentendosi apostrofare dal suo amore come se lui fosse solo un mero insegnante.
“E allora smettila.”
“Dillo a te stesso. Io faccio ciò che vuoi tu. Cosa ti ha attratto di me?”
“Che domanda è?”
“Una domanda. Ma gradirei una risposta.” Chiesero le donne, una amalgama delle due, un volto fresco e innocente, ma per quello più che affascinante, incorniciato dai lunghi capelli rossi e ricci, ribelli quanto stupendi nella loro pazzia.
“Tutto. E niente. Intendo dire, amo i tuoi occhi, come si muovono nella classe, come mi guardano da dietro la pergamena che ogni volta riempi fitta di scritte, è vero, ma ti amo perché sei te, sei ciò che desidero nella tua totalità, nella tua intelligenza, nel tuo modo di essere donna e fanciulla allo stesso tempo, nel tuo modo di avere sempre speranza, di voler capire tutto e non avere mai abbastanza tempo per poter apprendere tutto ciò che vuoi, tanto da andare contro il tempo stesso, ti amo per la tua pazzia nel lanciarti nella causa persa dei cappelli per gli elfi domestici e per l’attaccamento agli amici, ti amo per la tua fede incrollabile nella logica e nel cuore, quest’ultima una cosa che non capirò mai, ti amo per il modo in cui parli e ti muovi e respiri e mi guardi quando eravamo a lezione, per come ti atteggi a volte con gli altri. Sei insegnante e studentessa, madre, amica e capo, tutto assieme, in un modo che mi fa arrabbiare, in un modo che mi fa impazzire.”
Cannella stemperata negli agrumi di Sicilia che colpì nel cuore come un meraviglioso incantesimo. Pulsò forte, come a voler rompere le costole. Altro pulsò a ritmo, nascosto dalla veste.
“Perché io?” gli chiese Hermione, fissandolo con profondi occhi marroni.
“Perché sei testarda, cocciuta, volubile, maniacale, precisa, sarcastica, velenosa come solo voi donne potete essere. Intelligente, coraggiosa, folle, sbarazzina, triste, felice, perché io ho visto ogni giorno in te ciò che avrei voluto avere da giovane, ho visto in te la gioia, la spensieratezza, la felicità, l’amore, un’anima gemella che potrebbe guarire la mia, farmi felice, darmi quella serenità, quella voglia di continuare che al momento nulla mi da, se non nei lunghi silenzi di una camera buia rischiarata da una solitaria infangante passione.”
“Lo so.” Sorrise sorniona la giovane, uno scintillio negli occhi profondi e da cerbiatto.
“Per Merlino, no. Come potresti?”
“Intuito femminile. So cosa vuoi, lo voglio anche io. Dimmelo.”
Sospirò.
“Ma come, e quando, e poi… no, non sono portato per certe cose. Tu sei tu, io sono… io.”
“Severus…”
“Hermione…” sospirò lui, mentre la giovane donna si alzava e si avvicinava a lui, lasciando la figura eterea di Lily al suo posto.
Sparì in qualche secondo, poco più che fumo. Sorrideva, smeraldi verdi persi nel biancore del fumo che formava il suo volto.
Lui si alzò, senza staccare gli occhi dal quel corpo ormai adulto, leggermente acerbo nei modi, ma non nella sostanza.
Lei sorrise, perle che si schiusero sotto gli occhi acuti e incorniciati dall’anarchia dei riccioli della sua chioma.
Il professore la abbracciò, avvicinando le sue labbra a quelle di Hermione.
Il Magonò entrò nella stanza rumorosamente.
“Finalmente l’ho trovata. I fratelli Carrow sono nuovamente scatenati, Preside Piton. La prego, faccia qualcosa.”
“Arrivo subito, Signor Gazza.”
Era di fronte al banco che era stato occupato da Miss Granger.
Sfiorò il legno, accarezzandolo con una gentilezza che la fece rabbrividire di piacere nel suo letto nella tenda persa nei boschi.
“Ti amo, anche se solo nei miei sogni. Sii felice come mai io sono stato.” Sussurrò. “Eri il mio ultimo desiderio. Ora rimangono solo i ricordi. Ama colui che hai accanto, amalo, amalo come mai ho potuto fare io con te. Promettimelo, e sii felice anche per me.”
La porta si chiuse alle sue spalle mentre lei aprì gli occhi mormorando qualcosa di indistinto.
“Cosa succede?” Chiese Ron, la bocca impastata dal sonno.
“Un incubo?” chiese Harry, dalla parte opposta della tenda, intento al suo turno di guardia.
“Non lo so.”
“E allora perché piangi, Hermione?” borbottò Ron, mezzo addormentato, vicino a lei.
Lei lo osservò, si asciugò le lacrime e sorrise.
“Te lo prometto, amore mio…” pensò, chiudendo gli occhi.
 
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view post Posted on 21/1/2017, 18:28
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L'ultima scintilla di Pingui79



Il crepuscolo avanzava pian piano, portando con sé le ombre della sera.
Sul grande prato vicino al Lago Nero, Hermione sentiva i fili d’erba solleticarle il viso, cullata dallo sciabordio delle onde e dalla brezza sottile che increspava le acque. Nei cieli di Hogwarts le scie degli aerei correvano da una parte all’altra dell’orizzonte simili a misteriosi e leggiadri arabeschi, si intersecavano gentilmente e lentamente si dissolvevano in piccoli sbuffi di vapore che il tramonto tingeva di rosa.
Le era sempre piaciuto guardarle, rimanendo per ore sdraiata con il naso all’insù ad inventare per ciascuna un fantasioso racconto. Era fatta così, fin da bambina giocava a vederci le storie degli uomini, ognuna a sé stante ma destinata prima o poi ad incontrare quella di altri per tratteggiare assieme il grande disegno della vita. Una poi spiccava su tutte: percorreva solitaria una buona metà del cielo formando un lungo arco e poi si intrecciava con altre in un bizzarro arzigogolo, andando a morire subito dopo.
Gli somigliava.
Sbuffò infastidita. Anche quel tentativo di estraniarsi dalla realtà era fallito miseramente. Fu risucchiata ancora una volta in un caleidoscopio di emozioni che non la lasciavano in pace. Stupore, ammirazione, incredulità, nostalgia. E amarezza. Tanta. Per i ricordi di lui e quelli di Harry visti nel Pensatoio, che ora la tormentavano con un feroce senso di incompletezza, come se non tutte le tessere del puzzle fossero al loro posto, come se mancasse qualcosa di vitale importanza. C’erano cose non dette e azioni non fatte e per nessuna di loro c’era rimedio.
Il professor Piton era morto, punto.
Provare a parlare nuovamente con il suo ritratto? Pessima idea. Lui non aveva voluto saperne né di ringraziamenti, né di tardivi attestati d’innocenza da parte di nessuno, Harry e McGranitt in testa. Testardo fin oltre la morte.
Eppure doveva pur esserci una soluzione.
Ma esisteva, eccome se esisteva! E da giorni la pungolava incessantemente, come un’ostinata vocina che ripeteva petulante: “Non smetterò finché non mi avrai messo su carta!”
Fingere di non sentirla era diventata un’impresa impossibile.
Basta basta basta! Si drizzò a sedere di scatto, prendendo finalmente il coraggio a due mani: a mali estremi, estremi rimedi.
Tolse dalla borsa il suo nuovo diario, piccolo vezzo che si era regalata il giorno prima, passeggiando in una Diagon Alley che lentamente stava tornando alla normalità. Sfiorò con delicatezza la ruvida carta ancora immacolata, inspirandone l’inconfondibile profumo che le dava sempre alla testa.
In un istante i pensieri si tramutarono in parole.
Scrisse tutto quello che provava, mentre i ricordi degli anni passati si dipanavano come filo da un gomitolo e si intrecciavano alle sillabe che veloci riempivano le pagine. Fu costretta ad interrompersi una sola volta, per concedere un po’ di tregua alla mano indolenzita e per farsi luce con la bacchetta, ma si impose di non indugiare un minuto più del necessario: doveva ad ogni costo portare a termine quel proposito quella sera stessa, o un’audacia del genere non si sarebbe mai più ripresentata.
Nuove parole si aggiunsero, altre ed altre ancora, mentre sopra di lei il cielo si trapuntava di stelle.
Finì solo a notte inoltrata, con gli occhi che le lacrimavano per lo sforzo di scrivere con la sola luce di un Lumos.
Che bugiarda.
Erano lacrime di rabbia e rimpianto, non serviva a nulla mentire a se stessa.
Nel tragitto che la riportava al castello contemplò in lontananza quel gigante di pietra appena ricostruito, senza più alcuna traccia dei devastanti crolli che lo avevano deturpato pochi mesi prima. Quanto ingannava l’apparenza! I segni indelebili che la guerra aveva lasciato su tutto e su tutti non erano certo quelli esteriori, ora lo sapeva per esperienza diretta.
Le cicatrici dell’anima saranno pur invisibili, ma sono dannatamente più dolorose.
Non le riuscì di distrarsi da quei cupi pensieri nemmeno guardando le stelle, quelle ingrate la fecero sentire ancora più turbata. Erano luce che viaggiava per secoli, soli lontani visibili a lungo anche dopo essersi spenti per sempre. Meraviglioso e inquietante. Da sentirsi piccoli ed insignificanti in eterno.
Chiuse gli occhi ed il buio si fuse con il riverbero degli astri lontani, creando qualcosa di unico ed inconfondibile: era oscurità scintillante, tenebra dai mille bagliori, erano due iridi d’onice screziate di luce. Strinse forte il diario, sentendo un nodo alla gola e cacciando indietro le lacrime. Al diavolo le stelle, che brillassero quanto volessero; il coraggio di quell’uomo le faceva impallidire al confronto.
***
C’erano parecchi studenti quell’estate nella scuola. Chi aveva partecipato alla battaglia era anche voluto restare: dopo aver combattuto per proteggere Hogwarts, ora voleva esser d’aiuto per ricostruirla.
Percorse i corridoi con particolare cautela – il coprifuoco non era stato sospeso – e sperò con tutta se stessa di non incontrare nessuno. Questa volta però non per aver violato le regole: la paura che cresceva ad ogni passo era di ben altro genere. E se non avesse funzionato? O se, peggio, fosse stata derisa? No, quell’ultima ipotesi era da scartare a priori, l’uomo che aveva intravisto in quei ricordi non suoi era diverso dall’irritabile professore che l’aveva sempre schernita e sminuita. Nella peggiore delle ipotesi, quando tutto fosse finito, le avrebbe risposto che la cosa non gli importava, giudicandola inutile e l’avrebbe rispedita senza tante storie al suo dormitorio.
I furiosi battiti del cuore ed il tremito delle mani divennero quasi incontrollabili; dove era finita tutta l’audacia di poche ore prima, dove? Dovette respirare più volte – e a fondo – prima di entrare nella stanza che già sapeva esser deserta.
Fu accolta dal buio. Accese solamente qualche candela qua e là, illuminando l’ufficio di un tenue e tremolante chiarore; troppa luce sarebbe stata inappropriata. Il ritratto di Silente non si scompose per nulla, anzi, ammiccò verso quello addormentato del professor Piton e con un occhiolino fece finta di assopirsi. Era solo un ritratto, come faceva a sapere sempre ogni cosa?
“Rimpiango d’essere morto solo per non poter più togliere punti a Grifondoro, Granger. Ti devo far presente l’ora ed il luogo in cui ti trovi senza alcun permesso?”
Trasalì. Ma allora non dormiva nemmeno lui!
Tanto meglio, le aveva risparmiato l’ardua incombenza di svegliarlo.
Si era preparata a qualche commento pungente, ma le fece comunque un certo effetto sentirlo ancora, constatando con un lieve sorriso che la dipartita non ne aveva affievolito la sagacia. Era peggio di un cane da guardia anche dentro lo spazio di una cornice.
“Ora illuminami, quale altra regola stai per infrangere?”
Non rispose. Immobile, fissò il nero velluto di quegli occhi che la dardeggiavano fieri, cercando proprio in loro il coraggio necessario. Abbassò infine lo sguardo sul diario, decisa a non rialzarlo più, fino a che tutto non fosse terminato.
Severus continuò a squadrarla poco amichevole: se quella Grifondoro si aspettava che lui avrebbe ascoltato anche solo mezza parola – qualsiasi cosa avesse scritto – si sbagliava enormemente. Oh no, non ne voleva sapere ancora di sentirsi dire “grazie”, “non potevo immaginare” e cose del genere. Il passato doveva tormentarlo anche ora che era morto? E poi, cosa mai avrebbe avuto da dirgli quella ragazza che non avessero più volte ripetuto Minerva e Potter? Era stata una vera fortuna che si fosse recato nell’altra cornice al Ministero della Magia quando la Granger aveva visto i suoi ricordi nel Pensatoio, non avrebbe sopportato la vista di chi frugava, nuovamente, in reminiscenze non sue. Già Minerva gli aveva raccontato come si fosse svolta l’ultima lotta tra il Ragazzo Sopravvissuto e Voldemort, calcando molto la mano sulle rivelazioni che il Prescelto aveva sparso ai quattro venti, ora era la volta anche delle proprie memorie?
Nel silenzio il suono di carta strappata riecheggiò netto e imprevisto, distraendolo dai propri pensieri.
Spalancò gli occhi. Una pagina coperta da una fitta scrittura venne posta nel camino, seguita ben presto da altre. I presidi si svegliarono con sonori sbadigli e qualcuno di loro tentò per protesta qualche borbottio sommesso, ma furono tutti zittiti da un cenno di Silente che sorrideva bonario.
“Granger.” protestò Severus.
Lei continuò a tacere e strappare, finché non avvicinò la piccola fiamma d’una candela all’ultimo foglio rimasto e lo adagiò tra gli altri. Dalle vivaci lingue di fuoco si sprigionarono tenui volute di fumo, che si sparsero per il camino e poi su, fino al cielo.
Scripta volant.
***
Severus, sentì.
Ogni lettera vergata dalla mano di Hermione volteggiò nell’aria, gli si accostò ed intrattenne con lui un muto discorso, sussurrandogli silenziosamente parole di profondo rispetto, sentimenti di sincera ammirazione e riconoscenza. La caparbietà della giovane strega era riuscita ad aggirare ogni ostacolo che egli ancora frapponeva tra sé e gli altri. Volente o nolente, ora era costretto ad ascoltare, senza che alcuna via di fuga gli fosse concessa.
In fin dei conti c’era da aspettarselo. Aveva sempre ammirato l’ostinazione di lei, arrivando persino a compiacersi quando si dimostrava sempre estremamente preparata senza mai darsi per vinta, nonostante tutti i suoi tentativi di sminuirla e schernirla, soprattutto di fronte ai Serpeverde. Maledetta quell’odiosa maschera che per anni aveva dovuto indossare, celando a chiunque il suo vero io sepolto sotto strati di indicibile sofferenza, impedendogli di esprimere apertamente quel che veramente pensava. Quante volte era stato tentato di lodarla pubblicamente, ma si era dovuto frenare, calpestando spietatamente ogni minimo atto di sincera umanità? Ma la colpa era sua e solamente sua, di quella scelta avventata e scellerata che aveva segnato la fine del suo mondo e che lo aveva costretto ad un doppio e triplo gioco dall’inevitabile esito mortale.
Il silenzio poco a poco gli disse ogni cosa, abbracciandolo di ricordi, facendo nascere in lui un dolore tanto cocente quanto inspiegabile. Impossibile, lui non era più un corpo vivente, quella sofferenza non poteva esser la propria. Era uscito di scena annegando in due occhi verdi come la speranza di poter trovare finalmente pace – e così era avvenuto – cos’era dunque quel fastidio che cresceva implacabile? Era come un senso di acuta incompletezza, qualcosa di inafferrabile ed effimero, eppure fondamentale come l’aria che si respira.
La risposta stava lì, a portata di mano ed aveva le sembianze d’una giovane donna immobile come una statua, con gli occhi bassi accanto ad un camino.
Empatia.
Era il dolore di lei.
Era dispiacere, per non aver saputo guardare dietro la maschera, oltre le apparenze ed aver ceduto come tutti alla sfiducia e all’accusa. Era nostalgia, per momenti che sembravano così lontani, quando un minaccioso fruscio di mantello era diventato una spinta irresistibile a dare il meglio di sé ogni singolo giorno. Era sofferenza per ogni suo sguardo, gesto o parola da cui, solo ora, coglieva un indicibile amore pronto a donare tutto se stesso con enorme coraggio.
E’ straziante voltarsi indietro e non poter porre mano al passato, convennero entrambi.
Assaporò quell’amaro dolore fino all’ultima goccia, lasciando che il retrogusto diventasse dolce di autentica commozione.
Si chiese perché proprio ora, perché con lei e non con altri che avevano tentato più volte di offrirgli la loro dimostrazione d’affetto. Quell’incantesimo non poteva averlo intenerito improvvisamente, era fuori discussione. Forse si era lasciato impressionare da quell’atto tanto intriso di testardaggine quanto ammirevole come colei che lo aveva evocato.
O forse – si disse – era finalmente arrivato il momento di accettare senza proteste.
Accettare di essere amato e perdonato anche da altri, da quel mondo che ancora esisteva là fuori – che lo additava come esempio – e che costantemente gli ricordava che non era morto invano. Era quella una speranza che non si era mai del tutto sopita quand’era vivo; aveva continuato a stillargli forza e tenacia anche nelle notti più buie straziate dalle urla di infiniti rimorsi.
Più nulla gli impediva d’essere totalmente in pace, se non l’accettare quell’ultimo spicchio di felicità che la maga gli stava offrendo.
Lasciarsi amare anche dai vivi, non solo dai morti.
Lasciarsi guardare con estremo rispetto, stimare in modo sincero e contemplare con genuina benevolenza, senza fronzoli ma con sobria semplicità.
Lasciarsi amare per quello che era.
Poco a poco il fuoco si spense, consumando gli ultimi brandelli di carta. Le parole affidate all’aria e alle fiamme si affievolirono in un bisbiglio taciturno, noto a lui solo. Hermione ancora non osava sollevare lo sguardo, respirando appena percettibilmente, completamente preda della preoccupazione e aspettandosi da un momento all’altro l’invito perentorio a lasciare la stanza.
L’ultima scintilla s’innalzò solitaria dal piccolo mucchio di cenere, volteggiò incandescente e leggiadra danzando tra un ritratto ed una giovane maga ed infine si spense serena, seguita dagli occhi di entrambi. I caldi riflessi della nocciola incontrarono il nero lucente e lì rimasero a lungo.
Decise di riprendersi la propria umanità, tutta.
Hermione era davvero la strega più brillante della sua età, disse Severus a se stesso.
Sorrise.
Era giunto il momento di dirlo anche a lei.
 
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Una notte d'estate di Severia



“È stato Piton.” Dichiarò Harry con voce piatta, ma decisa.
Tutti i presenti rabbrividirono e l’infermeria si fece silenziosa. La morte di Silente era un tragedia sconvolgente, che faceva decisamente pendere l’ago della bilancia di quella guerra dalla parte di Voldemort e il tradimento di Severus Piton non faceva che peggiorare la situazione; ciascuno era turbato e, probabilmente, stava riflettendo sulle conseguenze che avrebbero avuto questi fatti sulla propria vita.
Mentre Harry proseguiva il suo drammatico racconto, Hermione spostava continuamente lo sguardo sui presenti, tremando impercettibilmente: la disperazione sul volto di Lupin, il viso sfigurato di Bill, gli occhi sbarrati per il terrore di Ron; probabilmente, pensò, anche lei doveva avere un’espressione simile.
Ascoltando le parole dell’amico, Hermione si chiese se Harry potesse essere vittima di un qualche incantesimo di memoria e stesse dando una versione alterata dei fatti: nonostante tutto, non riusciva a credere che Piton fosse colpevole di tradimento e omicidio; non dopo quello che era successo in una notte d’estate di due anni prima.

Estate 1995
La notte arrivava sempre tardi a Grimmauld Place: le riunioni dell’Ordine della Fenice si tenevano dopo cena e potevano durare anche ore. Chi passava la notte nella vecchia casa si coricava tardi e dormiva un sonno leggero e inquieto: il ritorno di Voldemort, la guerra e le ombre di quella casa non favorivano lieti sogni.
Hermione Granger divideva la stanza con Ginny Weasley al primo piano: era arrivata già da una settimana nella tenuta dei Black, su espresso ordine di Silente; il motivo per cui l’anziano preside l’avesse voluta al Quartier Generale dell’Ordine non era ben chiaro alla ragazza: temeva forse per la sua incolumità? Anche per Hermione non era facile prendere sonno in quel vecchio edificio infestato da piccoli mostri, scricchiolante e quanto mai lugubre; le pareva che quella casa non avesse mai conosciuto l’amore della famiglia che vi aveva abitato, sentimento così abbondante invece nella sua abitazione babbana.
Quella notte, si era svegliata all’improvviso, turbata da un sogno che ora non riusciva a ricordare. Il suo cuore batteva a ritmo incessante e ci vollero alcuni minuti perché si placasse. Accanto a lei, Ginny riposava, con una ruga che le solcava verticalmente la fronte corrucciata.
Con gli occhi spalancati, Hermione scrutava i contorni indistinti nell’oscurità della stanza, senza riuscire a riprendere sonno. Alzarsi e scendere di sotto non era consigliabile, ma era convinta che una tazza di latte caldo potesse aiutarla a riaddormentarsi. Facendo ricorso a tutto il proprio coraggio Grifondoro, scostò le coperte e posò i piedi nudi sulle assi traballanti del pavimento. Indossate le pantofole e una vestaglia, procedette a tentoni nel buio e uscì dalla sua stanza. Il corridoio era immerso nell’oscurità e si riuscivano a scorgere solamente i lugubri profili delle teste degli elfi domestici, appesi alla parete.
Hermione aveva appena appoggiato il piede sul primo scalino, quando avvertì un rumore indefinito. Trattenne il respiro, aspettandosi di veder comparire qualche strano essere volante; non accadde nulla e la ragazza si convinse che si fosse trattato solo di Fierobecco che si agitava inquieto al piano di sopra.
Arrivata al terzo scalino, sentì di nuovo quello strano verso e, questa volta, vi intuì un singhiozzo soffocato. Rimase in ascolto e il suono si ripeté più forte e distinto. Hermione risalì e ritornò velocemente verso la propria stanza, temendo che fosse Ginny a disperarsi in quel modo. Quando arrivò davanti alla porta, capì che i singhiozzi provenivano dal salotto di fronte. Si avvicinò in punta di piedi, in modo da fare meno rumore possibile. Un debole fascio di luce proveniva dalla porta socchiusa. Hermione la aprì: il salotto era immerso nella penombra e soltanto tre candele fissate su un candelabro d’argento illuminavano fiaccamente una parte della lunga stanza; il camino era spento. In un primo momento, Hermione riuscì a distinguere soltanto una massa nera appoggiata ad una poltrona. Guardando più attentamente, riconobbe in quel mucchio di abiti scuri, il suo insegnante di Pozioni.
Severus Piton sedeva su una poltrona foderata di velluto verde scuro; era piegato su se stesso e i lunghi capelli neri gli coprivano il viso. Le mani strette a pugno stringevano la veste nera all’altezza delle ginocchia. Il suo corpo era scosso dai singhiozzi e si muoveva ritmicamente avanti e indietro, come se volesse cullarsi da solo.
“Professor Piton?” sussurrò Hermione, rimanendo sulla soglia del salotto. L’insegnante non si mosse e non diede segno di averla sentita.
“Professor Piton, ha bisogno di aiuto?” chiese Hermione, alzando un poco la voce.
Questa volta, Severus la sentì e si girò di scatto; Hermione rimase senza fiato, guardando il suo volto trasfigurato: il viso era più pallido del solito e gli occhi sbarrati erano iniettati di sangue.
“Che cosa ci fai qui? Vattene!” esclamò Severus Piton, controllando a stento il volume della propria voce.
“Professore, ho sentito un rumore e ho pensato…”
“Tu non hai sentito niente! Torna a letto!”
Hermione non aveva mai visto il proprio insegnante in quelle condizioni: era sconvolto e le puntava contro l’indice della mano destra, minacciandola; si girò poi, portando le mani al volto.
La logica e la paura suggerivano ad Hermione di tornarsene di corsa nella propria stanza e di dimenticare l’accaduto, eppure l’istinto prese il sopravvento in lei: si avvicinò con cautela alla poltrona, trattenendo il respiro.
“Vattene!” gli sentì dire, attraverso le dita.
“Professore, cos’è accaduto?” domandò Hermione, non sapendo fino a che punto poteva spingersi, ma sentendo nel cuore un’infinità pietà nei confronti di quell’uomo.
La ragazza non ottenne risposta, tuttavia si avvicinò ulteriormente, raggiungendo la poltrona dove era accovacciato il suo insegnante. Si inginocchiò ai suoi piedi, chiuse gli occhi, fece un profondo respiro poi allungò la propria mano, appoggiandola sul ginocchio di Piton.
Con un gesto rapido e sprezzante, Severus allontanò la mano di Hermione, la quale si ritrasse, colta di sorpresa.
“Vuole che le chiami qualcuno?” chiese, con voce tentennante.
“Voglio che tu te ne vada!”
“Mi dica cos’è successo: perché piange? Perché si dispera in questo modo?”
“Vuoi sapere perché mi dispero?” ripeté Severus, con uno strano sorriso che gli increspava le labbra.
Hermione annuì e Severus Piton scoppiò in una risata isterica che le fece accapponare la pelle.
“E perché mai dovrei piangere? Non ne ho motivo.” Continuò il professore, senza smettere di sogghignare. “Ho solamente ucciso un uomo: una cosa normale per uno come me.”
Severus Piton sembrava completamente impazzito: si dondolava sulla poltrona, incapace di rimanere fermo e il suo corpo era scosso, ora da singhiozzi, ora da scoppi di risa; gli occhi erano spalancati e pieni di furore. Hermione aveva paura, eppure non riusciva a staccare lo sguardo dal proprio insegnante: il dolore, così evidente, calamitava la sua attenzione.
“Vattene!” urlò per l’ennesima volta Severus.
Hermione non si mosse.
“Perché?” sussurrò “Perché lo ha ucciso?”
Senza rendersene conto, aveva iniziato a piangere anche lei.
“Perché? Perché sono un assassino!” sogghignò Piton, quasi compiaciuto di quella risposta.
“No, non è vero: lei non è un assassino! È un insegnante.” Piagnucolò Hermione.
“Il Signore Oscuro me lo ha ordinato e io devo obbedire!” rispose Severus, spalancando gli occhi e ponendo l’accento su quel devo.
“Perché?”
“Perché è quello che ci si aspetta da me!” urlò Severus, alzandosi in piedi e rischiando di far cadere Hermione, ancora inginocchiata a terra.
La ragazza non si mosse e osservò l’uomo avvicinarsi ad una delle finestre e guardare fuori: stava riprendendo il controllo di sé. Hermione piangeva silenziosamente e non seppe dire quanto tempo trascorse prima che Piton le rivolgesse di nuovo la parola.
“C’è una qualche possibilità che tu dimentichi quello che hai visto e sentito stanotte?” chiese Piton, guardandola dall’alto. Hermione non rispose e si limitò a ricambiare lo sguardo.
“Il mio ruolo di spia comporta alcuni… inconvenienti.”
Piton sembrava un altro uomo: il suo sguardo era freddo e distante, i suoi gesti erano calmi e misurati, la sua voce perfettamente controllata.
Il clacson di un’automobile, giù nella strada, interruppe quel silenzio imbarazzante.
Un’unica domanda impegnava la mente di Hermione e la ragazza la pose a mezza voce:
“Perché?”
“Sei pedante e ripetitiva, Granger.” Rispose con un sospiro Severus Piton. “Sono una spia, devo fare il doppio gioco: le informazioni che passo all’Ordine e la mia vita dipendono molto da quanto l’Oscuro Signore si fida di me. Per questo motivo, devo essere molto convincente e ubbidire ad ogni suo ordine. È sufficientemente chiaro, Granger?”
“È… è…” Hermione sembrava non riuscire a trovare una parola adatta. “È terribile.”
“È quello che Silente si aspetta che io faccia.”
“Ma lei soffre molto, troppo. Non può continuare così.”
“Quello che provo io non ha importanza: questa sera ho perso il controllo perché pensavo che nessuno mi avrebbe importunato; tuttavia, la tua insolenza e la tua voglia di essere sempre al centro dell’attenzione ti hanno fatto pensare di potermi disturbare e magari di poter risolvere la mia penosa situazione con un semplice incantesimo imparato a memoria su un libro.”
Piton era ritornato il solito, freddo e sprezzante professore e stava cercando di ferirla perchè se ne andasse. Ma come poteva Hermione arrabbiarsi o provare risentimento verso un uomo che soffriva in quel modo?
Si alzò e, incurante del pericolo, si avvicinò a Piton.
“Quello che fa per noi, professore, è davvero lodevole; grazie.”
Severus lesse negli occhi della propria studentessa un rispetto e un’ammirazione che non vi aveva mai visto prima; poche persone lo avevano guardato in quel modo, eppure non poteva permetterle di avvicinarsi di un altro passo e di spingersi oltre: aveva scrutato fin troppo in profondità nella sua anima, leggendovi il dolore e la disperazione e questo non poteva continuare.
“Ora che me lo hai detto, Granger, mi sento davvero molto più sollevato!” disse, senza celare l’ironia della sua affermazione.
“E ora, a letto. Subito!” ringhiò con durezza.
Hermione si riscosse come da uno stato di trance: aveva davvero pensato di abbracciare il professore più odioso di tutta Hogwarts? Si ritrasse imbarazzata e dopo avergli augurato sommariamente una buona notte, ritornò nella sua stanza.
Rannicchiata sotto le coperte, Hermione rifletteva gli avvenimenti di poco prima: non aveva mai pensato a Piton come ad un uomo che potesse soffrire; in effetti, non aveva mai pensato a lui come ad un uomo: Severus Piton era semplicemente il suo arcigno professore di Pozioni che si divertiva particolarmente a denigrare i Grifondoro. Davvero Silente gli aveva chiesto un sacrificio di quel genere? Aveva così tanta fiducia? Hermione non dubitava affatto della sincerità del proprio insegnante: il dolore che aveva manifestato era autentico e travolgente. In quel momento, provava pietà per lui e (sì, doveva proprio ammetterlo) affetto. Lui, però, l’aveva respinta, l’aveva tenuta a distanza.
Questi pensieri la tennero sveglia fino alle prime luci dell’alba.
La mattina seguente, Piton non era in casa e la ragazza non ebbe mai più modo di parlare con lui, e con nessun altro, di quanto era accaduto.

“Tu dov’eri, Hermione, quando sono arrivati i Mangiamorte?” domandò Harry, all’amica.
Hermione si riscosse dai suoi ricordi e, con un’aria stordita, iniziò il suo racconto.
“Oh, Harry non abbiamo capito: abbiamo lasciato andare Piton.” Piagnucolò alla fine.
Lei e Luna si erano fidate del loro professore: avevano pensato che andasse a combattere i Mangiamorte e ad aiutare i compagni.
Hermione scosse la testa: possibile che avesse davvero ucciso Silente? Eppure, Harry era così sicuro. L’aveva dunque ingannata quella notte di due anni prima? Aveva solo finto di soffrire per le sue azioni? Non riusciva a crederlo. Tuttavia, come spiegare cos’era avvenuto nella Torre, proprio davanti agli occhi di Harry?
La sua mente analitica e razionale prese ad analizzare la situazione per ricercare una soluzione plausibile a quanto era accaduto. L’unica spiegazione possibile era tristemente manifesta: Severus Piton si era lasciato, infine, corrompere dal male, aveva reputato più conveniente schierarsi dalla parte di Voldemort, tradendo così la fiducia di tutti loro. Ancor più drammatica era l’idea che Piton fosse sempre stato dalla parte di Voldemort e avesse ingannato spietatamente Silente in tutti quegli anni. Eppure, Hermione ne era certa, il dolore di quella lontana notte d’estate era autentico e profondo. Come aveva potuto uccidere Silente? Ormai, aveva ben poca importanza.
Se solo quella notte le avesse permesso di avvicinarsi, di toccarlo: forse, a quel tempo, c’era ancora speranza di salvarlo, di sottrarlo all’influsso malefico di Voldemort; se le avesse concesso di aiutarlo, di stargli accanto, forse ora Silente sarebbe ancora vivo. Tuttavia, Piton l’aveva respinta, giudicandola una ragazzina insignificante e incapace di comprendere una trama di eventi, un gioco sottile, troppo grande per lei. Ora, non c’era più speranza: Severus Piton si era perso per sempre e avrebbero dovuto cominciare a considerarlo, non solo come l’antipatico insegnante di Pozioni, ma come un vero e proprio nemico. Se mai un giorno lo avessero incontrato di nuovo, avrebbero dovuto combattere per le proprie vite e, probabilmente, tentare di ucciderlo. Ne sarebbe stata davvero capace.
 
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Dark Shadows di arcady



6 Dicembre 1998, 09:30 p.m.

Hogwarts, ufficio del preside

“Non puoi lasciare andare il passato, vero? Sei così abituato a soffrire che non puoi accettare che io voglia stare al tuo fianco?” sussurrò Hermione, sfinita da una discussione che si ripeteva periodicamente, da quando gli aveva confessato di aver lasciato Ron, di averlo fatto per lui - quel giorno Severus le aveva toccato il viso con la punta delle dita, le aveva rivolto uno sguardo disperato e riconoscente al tempo stesso e l’aveva pregata di scusarlo, uscendo dalla stanza.
“Non posso neanche toccarti, Severus, quando mi avvicino vedo il panico nei tuoi occhi.”
Hermione non aveva potuto nulla contro il sentimento profondo e istintivo che l’aveva spinta verso quell’anima complicata e impenetrabile, ma Severus era stato solo per così tanto tempo e aveva così tanto da dimenticare, che non poteva ricambiarla: continuava a dirle che non poteva.
“Voglio vederlo con i miei occhi.” disse alla fine.
“Prego?” esclamò il preside.
“Ricordi quando mi hai parlato della notte in cui Mulciber compì il suo primo omicidio? Il 5 Aprile del 1979, se non ricordo male.” Hermione si sedette a gambe incrociate sul tappeto, davanti al camino acceso. “Hai detto di aver ucciso una ragazza senza un solo scrupolo, perché dovevi farlo.” aggiunse con circospezione. “Hai detto di esserti sentito, per la prima di molte volte, un morto che cammina e mi hai assicurato che non era con un uomo del genere che avrei dovuto passare la mia vita.”
Severus, in piedi di fronte alla finestra, non si voltò verso di lei, ma strinse i pugni, in segno di nervosismo.
“Ricordo quelle parole e continuo a sostenerle.”
“Mostrami il peggio di te, così forse riuscirò a convincerti della sincerità dei miei sentimenti. Non posso neanche immaginarlo, giusto? Allora mostramelo.”
“Non stai parlando sul serio.” esclamò Severus, girandosi di scatto verso di lei.
“Certo che parlo sul serio.” lo sfidò Hermione, sostenendo il suo sguardo.
“Questa conversazione sta prendendo una piega surreale: non ti mostrerò i miei ricordi, fine della discussione.”
“Ti prego, sai che posso sopportarlo.”
“Non è questo il punto, quell’inferno deve rimanere dov’è: sepolto nel passato. Ora, se vuoi scusarmi…” Hermione, fulminea, gli si piazzò davanti, impedendogli di allontanarsi.
Severus rimase ancora una volta senza fiato, di fronte alla determinazione di quella benedetta ragazza: voleva amarlo, ad ogni costo.

***



Severus ci aveva pensato così a lungo e intensamente che si sentiva la testa scoppiare: Hermione non poteva coinvolgersi con un vecchio rancoroso come lui, meritava di meglio. Era una strega estremamente brillante: avrebbe intrapreso una carriera degna di nota e avrebbe trovato l’uomo giusto per lei, un uomo che avrebbe sempre scelto per il meglio.
Severus era sempre stato impressionato dalla sua intelligenza, ma, conoscendola meglio, aveva anche scoperto quanto fosse interessata ad andare oltre le apparenze: non si accontentava mai di una risposta superficiale alle sue domande, voleva andare in profondità, con le persone come con i suoi amati libri. Inoltre possedeva una bellezza lucente, pur non rendendosene conto. Nonostante questo, Severus si rifiutava di farla avvicinare.
“Io non vado bene, Hermione.”
“E’ la prima volta che mi chiami per nome,” aveva sussurrato lei, avvicinandosi al suo viso.
Severus era rimasto immobile, condividendo per un attimo il suo respiro, poi aveva aperto gli occhi e le aveva accarezzato il viso: la sua pelle era morbida, calda. Dopo poco l’aveva allontanata con dolcezza ed era uscito dalla stanza.

***




“Pensi che io non mi renda conto di quello che hai fatto; credi che, se sapessi, fuggirei urlando lontano da te, ma ti convincerò che non è così, Severus, non permetterò che questo buco nero ti allontani da me.” disse, toccandogli il petto con la punta delle dita. “Se non hai intenzione di condividere il tuo dolore, allora andrò a prendermelo da sola. Mi ci sporcherò gli occhi, ma poi tornerò e ti amerò ancora. E tu, finalmente, mi crederai.”
“Che intenzioni hai?” chiese Severus, allarmato.
“Non ho altra scelta.” sussurrò Hermione, facendo un passo indietro ed estraendo da sotto la camicia un grosso oggetto dorato, legato ad una pesante catenina.
“Non oseresti!” esclamò Severus, osservando la Giratempo che le era stata concessa per poter frequentare più corsi nello stesso orario, anche durante il suo ultimo anno ad Hogwarts.
“Te lo ripeto: non ho altra scelta,” sussurrò Hermione, indietreggiando. Severus era ancora impietrito quando lei si voltò in fretta, spalancò la porta e sparì giù per le scale.

***




Periferia di Crawley, West Sussex
5 Aprile 1979

Un grido disperato squarciò il silenzio notturno: proveniva dalla casa vicina al grande Olmo, quella del Generale Travis; sua moglie, Melanie, e la figlia, Janine, stavano per emettere i loro ultimi respiri.
Melanie – che venne uccisa dall’altro Mangiamorte – gridò a lungo, chiedendo pietà per la figlia, ma l’uomo più alto, quello con i capelli lunghi e scuri, agì come se non esistesse nient’altro che il suo obiettivo: un movimento veloce del polso e un lampo verde partì dalla sua bacchetta, uccidendo la più giovane; poi si voltò con calma e lanciò un Incarcerus sulla madre, che ora singhiozzava spaventosamente.
“Avanti, Mulciber, devi farlo, non abbiamo tutta la notte. Uccidila o l’Oscuro Signore si rifarà su di te.” lo minacciò Severus.
Mulciber alzò il braccio, tremante e le parole sgorgarono dalla sua gola raschiando l’aria.
“Avada Kedavra!”
La donna si afflosciò a terra, inerme: gli arti contorti nell’innaturale posa della morte.
“Qui abbiamo finito: dai una ripulita e raggiungimi fuori.” disse semplicemente Snape, dopo un minuto.
Il compagno, però, rimase fermo, con la bacchetta ancora puntata verso la sua vittima e lo sguardo svuotato.
Severus, che aveva già la maniglia sotto il palmo della mano, si girò con uno scatto e lo osservò qualche secondo prima di piegare le labbra in un ghigno nervoso e voltarsi di nuovo verso la porta, parlandogli senza guardarlo.
“Era la prima volta, Sebastian, ma non sarà di certo l’ultima. Ora hai compreso fino in fondo cosa significa essere quello che siamo, servire il padrone che serviamo. Con il passare del tempo ci prenderai gusto, ti conosco, in fondo sono soltanto Babbani, no?” fece un sospiro quasi impercettibile e continuò. “E ora riprenditi. Sarò qui fuori, ma non intendo aspettare a lungo: l’Oscuro Signore è in attesa di un resoconto.”
Snape uscì dalla casa senza voltarsi.

A pochi passi da lì, Hermione era sconvolta, quasi incapace di respirare. Pensava di essere pronta per ciò che la aspettava, eppure si sentì travolta da un senso di nausea e terrore che rischiarono seriamente di rendere vano lo sforzo che aveva fatto per essere lì, in quel passato che non le apparteneva. Tentò di calmarsi e respirò a fondo, appoggiando la schiena e le mani contro la parete fredda dietro cui si era nascosta dopo aver visto più di ciò che desiderava.
Durante la guerra aveva visto morire molte persone care e il loro ricordo le si aggrappò alla gola e le bruciò gli occhi quando si rese conto che, a pochi metri da lei, l’uomo per cui stava facendo tutto questo aveva appena ucciso a sangue freddo una ragazza più giovane di lei. Hermione pensò con terrore che non avrebbe più potuto scacciare dalla mente quelle urla.
Nel frattempo Mulciber si era alzato lentamente: lo sguardo catalizzato dai corpi immobili delle due donne a terra. Leggermente sconvolto, cancellò i segni di lotta dalla stanza con un colpo distratto di bacchetta, poi, girando intorno ai corpi, si avviò a passo spedito verso la porta e uscì senza guardarsi indietro.
“Tutto a posto, Severus.” disse, tentando di dare a vedere un autocontrollo che non possedeva.
“Bene. Muoviamoci, siamo attesi.” Snape gli appoggiò una mano sulla spalla per smaterializzare entrambi al quartier generale, ma un rumore sordo lo fece sussultare e si fermò: proveniva dall’interno della casa.
“Sei sicuro di non aver fatto casini, Sebastian?” gracchiò sfoderando la bacchetta.
“Non c’era nessun altro in casa, ho controllato io stesso, esattamente come mi hai chiesto,” rispose Mulciber preoccupato.
“Hai controllato che non ci fossero porte o finestre aperte, sul retro?”
“Beh, no, ma la casa era vuota!”
“Lasciamo perdere.” borbottò Severus. “Vai! Avvisa Avery che arriverò tra qualche minuto: che temporeggino ancora un po’.”
Mulciber sparì con un Pop senza aggiungere altro mentre Snape tornò indietro, dirigendosi sul retro della vecchia casa.

Hermione aveva agito senza pensare lanciando quel grosso mestolo di rame contro la parete di fronte a lei e provocando quel forte tonfo che fece vibrare l’aria intorno; si coprì le orecchie con le mani e sbirciò fuori dalla finestra, scostando appena le tendine con la fronte: Severus era stato attirato dal rumore e stava tornando sui suoi passi, il viso era una maschera impassibile. Non assomigliava all’uomo che aveva imparato a conoscere negli ultimi mesi, pensò: quello che aveva davanti era un assassino, privo di qualunque sentimento. La paura la assalì di nuovo, ma tentò di liberarsene con una scrollata di spalle e si concentrò su ciò che avrebbe detto.

Severus perlustrò con cura il perimetro della casa ma non trovò porte secondarie né finestre aperte o forzate, così tornò all’ingresso e spinse lentamente l’uscio, la bacchetta alzata e i sensi all’erta: la stanza era avvolta dalla penombra e i corpi era ancora lì, riversi sul pavimento, inermi. La sensazione che provava trovandosi di fronte ad una delle sue vittime lo colse all’improvviso: il freddo gli artigliò le spalle e cominciò a sentirsi leggero, quasi inconsistente. Era un guscio vuoto, incapace di provare alcunché.
Aveva quasi invidiato il dolore provato da Sebastian pochi minuti prima, all’atto del suo primo assassinio. Severus aveva vaghi ricordi della sua prima volta: aveva avuto paura di pronunciare l’Anatema che uccide e di non provocare nulla, paura di non desiderare abbastanza la morte delle sue vittime. A pensarci adesso provò quasi tenerezza per quel se stesso così ingenuo riguardo alle sue intenzioni. Non desiderava uccidere ma desiderava ciò che avrebbe ottenuto facendolo e questo era bastato: era diventato una perfetta e letale macchina di morte perché non provava nulla. Non si rendeva conto che stava morendo dentro e che niente avrebbe potuto essere peggiore, neanche il senso di colpa più grande – quello che avrebbe presto conosciuto e con cui avrebbe convissuto per il resto della vita.
Si irrigidì e distolse lo sguardo, proseguendo verso il corridoio che collegava il salone d’ingresso al resto della casa.

***



Non ce l’avrebbe mai fatta, pensò Hermione nascosta dietro la porta della piccola cucina; respirò profondamente e pigiò l’interruttore della luce, facendo vibrare una lampadina traballante e polverosa, appesa al soffitto tramite un vecchio cavo consumato. Quando si accese emise una luce giallastra e fredda che le acuì la nausea. Severus l’avrebbe sicuramente notata e sarebbe entrato, ma cosa sarebbe successo, dopo? Le avrebbe lasciato il tempo di parlare? Forse l’avrebbe torturata per sapere cosa ci faceva lì, non l’avrebbe uccisa subito. Rabbrividì ancora più intensamente e chiuse gli occhi, strinse con forza la bacchetta tra le dita per darsi coraggio e fece un passo avanti.

Severus captò il click e vide accendersi la luce nella stanza in fondo al corridoio, si avvicinò all’entrata ma si fermò subito, preferendo rimanere sulla porta con la bacchetta pronta, perlustrando l’interno con lo sguardo.
“Sono qui per parlare con te, Severus,” disse la ragazza, sbucando da dietro la porta. Severus non tradì la sorpresa che provò, mantenne lo sguardo impassibile e si concentrò su di lei: era bruna, minuta, all’incirca della sua stessa età. Non l’aveva mai vista prima ma doveva essere una strega perché aveva una bacchetta, anche se non la stava puntando contro di lui. Avrebbe dovuto ucciderla lì, su due piedi: conosceva il suo nome, e probabilmente sapeva di trovarsi di fronte ad un Mangiamorte - era plausibile pensare che fosse stata testimone dell’uccisione di poco prima - però sarebbe stato utile ascoltare quello che aveva da dire, prima.

“Come sai il mio nome?” ringhiò.
Hermione trasalì appena nel riconoscere la voce di Severus uscire da quelle labbra: era distorta, filtrata da diversi strati di odio e indifferenza.
La ragazza infilò lentamente la mano sotto il collo della camicia e ne estrasse la Giratempo.
“Sai che cos’è questa?” chiese lentamente.
Severus osservò l’oggetto per un paio di secondi, poi portò di nuovo lo sguardo sul viso della ragazza, senza battere ciglio.
“So di cosa si tratta, ma la vera domanda è : come diavolo fa una mocciosa come te ad andarsene in giro con una di quelle?” chiese.
Hermione non fece in tempo a rispondere perchè Snape scattò in avanti piegandole il braccio dietro la schiena, poi l’afferrò per i capelli tirandole la testa all’indietro e le puntò la bacchetta alla gola.
“Valuta bene cosa dire ora, ragazzina, perché se sai chi sono e quello che faccio, saprai anche che non avrei nessun problema a torturarti, se necessario, per prendermi quel giocattolino che porti al collo,” le sussurrò Snape all’orecchio. Hermione restò immobile, la vista annebbiata dalle lacrime che cominciavano a formarsi.

Quest’uomo non ti conosce, Hermione: sii ragionevole e non piangere. Sei una strega dotata, hai qualche possibilità di cavartela.

“Non chiamarmi ragazzina, Severus: abbiamo la stessa età, anche se nella tua realtà io non sono neanche nata.” Hermione rispose, stupendosi, lei per prima, di essere riuscita a tirare fuori quel filo di voce.
“Perché mi hai cercato e cosa vuoi?” chiese Snape, ringhiando al suo orecchio.
“Ho bisogno che tu sappia che non sei solo questo,” disse, indicando con la mano il salone accanto, dove si erano consumati gli omicidi. “Io lo so e voglio che anche tu lo sappia. E ora fai quello che devi.”
Severus spinse la punta della bacchetta ancora più forte contro la pelle tesa del suo collo, ma Hermione non tremava più: non voleva morire lì, per mano dell’uomo che amava ma che, in quel presente, non la conosceva neppure, ma sapeva di aver fatto la cosa giusta; forse quel giovane Mangiamorte non avrebbe cambiato la sua vita – di certo non credeva più alle favole romantiche – ma Hermione desiderava dargli una speranza visto che, di lì a qualche anno, Lily sarebbe morta, lasciandolo distrutto dal senso di colpa.

Hermione sentì Severus mollare la presa sui suoi capelli e tentò di abbassare la testa, trattenendo il fiato.
“Da dove vieni?” le chiese, atono e calmo, abbassando la bacchetta ma continuando a trattenerle il braccio dietro la schiena.
“Da un possibile futuro,” rispose lei, lasciando libere le lacrime di scendere, calde e silenziose, sulle sue guance.
“Non dire altro, non voglio più ascoltare. E ora, vattene,” disse, allontanandola da sé, ma continuando a trattenerle la mano.
Hermione si voltò verso di lui e guardò in basso, verso le loro mani che si tenevano blandamente l’una all’altra: era sconvolta ma ancora convinta di aver agito per il meglio.

La mano che stringeva apparteneva all’uomo che aveva appena ucciso una giovane donna e chissà quanti altri, ma lei non poteva ugualmente smettere di amarlo. Si fidava di lui: sapeva che, anche negli anni al servizio di Voldemort, non aveva provato piacere nell’uccidere e ora lo aveva potuto constatare con i suoi occhi. Severus aveva assassinato quella donna per un motivo, non c’era nessuna esaltazione deviata nel suo sguardo: non desiderava uccidere, ma riusciva a farlo.

Ce l’aveva quasi fatta: doveva solo trovare la forza di lasciare quella mano che ora la stringeva appena, mentre Severus la guardava apparentemente freddo e distaccato come era abituato ad essere da tempo, tentando di capire ma senza chiedere nulla.
Hermione fece un passo indietro tentando di lasciarlo ma lui, riflesso incondizionato, tirò forte e le strappò la stoffa della camicia all’altezza del polsino. Hermione si spaventò e, con uno strattone, si voltò e cominciò a correre: si precipitò all’esterno della casa, il cuore le stava per saltare fuori dal petto per lo sforzo e la paura che la travolsero di nuovo, all’improvviso. Si sentì debole e cercò un punto ben riparato dietro le siepi per nascondersi, si guardò intorno per qualche secondo, i sensi all’erta per captare ogni rumore: un cane abbaiò in lontananza ma, a parte questo, tutto era tranquillo. Poi si udì solo il suo bisbigliare affannato mentre contava, con la Giratempo tra le mani. Dopo pochi minuti, il silenzio cadde di nuovo: Hermione era sparita.

***



7 Dicembre 1998, 01:20 a.m.
Hogwarts, ufficio del preside

“Bentornata,” disse Severus con un sorriso leggero sulle labbra. Si alzò dalla poltrona e si voltò verso di lei, porgendole la mano aperta: tra l’indice e il medio stringeva un pezzo di stoffa ingiallito e sfilacciato.
Hermione piegò la testa di lato, osservando il piccolo ritaglio di stoffa senza capire, poi, all’improvviso, spalancò gli occhi e portò la mano alla manica della sua camicia: il polsino era strappato.
“Lo hai conservato per tutto questo tempo?” mormorò, alla fine.
“Si,” rispose semplicemente Severus. “Sai, è strano: poco fa devo essermi addormentato per qualche breve istante e, al risveglio, mi sono ricordato di allora, di te. Ho infilato la mano in tasca e ne ho estratto questo: mi sono reso conto di averlo sempre tenuto con me.”
Severus si interruppe per studiare la reazione di Hermione, ma lei era ammutolita, così seguitò a parlare.
“Ho aspettato per anni di comprendere i motivi che ti spinsero a venire da me, quella notte - questa notte, per te - ma quando mi hai chiesto di mostrarti i miei ricordi, ho capito.”
Severus strinse forte tra le dita quel lacero pezzetto di stoffa e si avvicinò ad Hermione. “Mi hai fatto un dono unico,” sussurrò vicino al suo viso. “qualcosa da aspettare.” Percorse quell’ultimo centimetro d’aria e appoggiò le labbra, fredde e tremanti, sugli occhi umidi di lei, poi la strinse forte: l’aveva sognato per vent’anni.
Hermione si lasciò trasportare, ansimante e senza remore, nel territorio accidentato e decadente che era l’anima di Severus: un luogo infestato da echi di morte.
Era ombra. E le era necessaria.
Severus lo aveva finalmente accettato e non ebbe più bisogno di altro.
 
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view post Posted on 21/1/2017, 18:52
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Mudblood di misslegolas86


Salì a passo svelto le scale a chiocciola e bussò alla porta di quercia che si aprì immediatamente. Silente non era solo. Seduta sulla sedia, dall’altro lato della scrivania, c’era Minerva McGranitt. Il suo cipiglio era più teso del solito. Severus Piton la conosceva da quasi tutta la vita, considerati i suoi anni da studente e poi da docente ad Hogwarts, ed era chiaro, come il sole a mezzogiorno, che qualcosa la contrariava. Minerva si voltò e, non appena lo vide, scattò in piedi.
“Bene! Lupus in fabula! Hai maltrattato qualche altro studente strada facendo, Severus?”
Letteralmente spiazzato dall’attacco della collega, gli era rimasto in gola il saluto che stava per rivolgerle.
“Ti lascio solo con lui, Albus.”
E senza dire altro, ma riservandogli uno sguardo gelido, uscì dallo studio del Preside.
Ancora impalato dove era, Piton sollevò lo sguardo su Silente.
“Vieni, Severus. Siediti.”
“Ma cosa l’è preso?” riuscì a biascicare ancora sorpreso dagli eventi.
Lo sguardo di Silente era un misto tra il divertito e il preoccupato.
“Sai quanto Minerva tenga a questa scuola e ai suoi studenti, Severus. Semplicemente non riesce a sopportare che tu maltratti gli studenti senza motivo. Soprattutto quegli studenti particolarmente dotati.”
“Studenti dotati?” simulò un sorriso sarcastico “E dove sarebbero? Io vedo solo teste di legno.”
“Hai sempre avuto la tendenza all’esagerazione, ragazzo mio. Sai bene che ritengo ogni studente una sfida per il professore. Solo la bravura di quest’ultimo lo renderà un buon mago o una buona strega. Credo poco nelle capacità innate o nel diritto di sangue, ma nell’impegno e nella dedizione.”
Sentire il Preside rivolgersi a lui in modo affettuoso lo faceva sentire sempre a disagio pur se, in cuor suo, era grato a quel vecchio per tutto questo.
“Siamo d’accordo, Silente, ma non ho ancora capito di cosa mi si accusa. Non vorrai ricominciare con la tua difesa di Potter!”
“No, non è di Harry che parliamo, anche se sai che non sono d’accordo con il tuo atteggiamento nei suoi confronti. Ma è una tua libera scelta e, per quanto possa deprecarla, non ho altro potere.”
“E dunque?” lo incalzò, spazientendosi ad ogni parola di più.
“Hermione Granger.”
Silente non aveva detto altro tranne il nome della studentessa, come se questa fosse entrata nella stanza, tanto che per un attimo Piton aveva avuto l’impulso di voltarsi. Visto che il Preside non aggiungeva altro, Piton fu costretto a rompere quel silenzio che sentiva imbarazzante.
“Non capisco cosa vuoi dire. Spiegati.”
Una costante inquietudine gli cresceva nel cuore: Silente lo conosceva meglio di chiunque altro ed era in grado di discernere il suo animo perfino meglio di lui stesso.
“Minerva mi ha riferito che, ultimamente, stai calcando un po’ troppo la mano con la ragazza nonostante non sia colpevole di alcuna mancanza scolastica. Teme che, visto il tuo passato, tu possa avere qualcosa contro di lei perché è figlia di Babbani.”
Era scattato in piedi senza neanche accorgersene:
“Cosa? Come… come può…” non riuscì a continuare.
“Come può pensarlo?” aveva continuato gentilmente Silente che con tatto non diede rilevanza alla sua reazione. “Forse perché, Severus, non hai consentito a Minerva di conoscerti bene come me. Non sa che posto particolare ha assunto nella tua vita una nata Babbana.”
Questo era il motivo principale per cui non amava parlare con Silente. A lui nulla sfuggiva.
Eppure era assurdo che proprio Minerva pensasse che lui maltrattasse la Granger perché non era una Purosangue.

“Non ho bisogno dell’aiuto di una sporca Mezzosangue”.
Avrebbe dovuto imparare a tacere già da allora.
“Chiami tutte quelle nate come me così. Perché per me dovrebbe essere diverso?”
L’unica volta in cui era fondamentale che parlasse era rimasto muto. Il primo di una lunga serie di silenzi che avrebbero costellato la sua vita. Ma nessuno sarebbe stato altrettanto doloroso.
“Puoi amare donne molto più degne di una lurida Mezzosangue” la voce serpentina del suo Signore suonava fredda gelando nel cuore la speranza di poter salvare la sua Lily.

Eppure, Lily c’entrava nella sua reazione contro Hermione.
Non era una questione di nascita ma di capacità. La Granger era brillante e intelligente quanto Lily, e in questo le assomigliava sorprendentemente. Vederla accanto a Potter riapriva una ferita mai sanata nel suo animo. Aveva fatto ritornare a galla il dolore per le sue sventurate scelte di ragazzo che avevano condotto Lily lontano da lui, nelle braccia di Potter. Non c’era nulla di razionale nel suo comportamento, lo sapeva bene eppure, c’erano momenti in cui non riusciva a controllarsi. Nella sua mente non provava alcun interesse per la ragazza ma, con i suoi modi di fare, lei era capace di spalancare, con una facilità sorprendente, la porta dei ricordi che con tanta fatica, a stento, riusciva ogni volta a richiudere. E insieme ai ricordi, loro compagno inseparabile, il rimorso lacerante tornava a torturarlo implacabile.
“Severus.”
La voce di Silente lo ridestò dai suoi pensieri.
“La Granger è un’eccellente studentessa. Le ho tributato la mia fiducia consentendole di utilizzare per quest’anno scolastico una Giratempo. Ed è un’ottima amica di Harry. La sua amicizia è fondamentale per quel ragazzo: lei è dotata di molto buon senso ed è l’unica che sembra farlo ragionare un po’.”
“Silente, per me gli studenti sono tutti uguali. Non farò favoritismi perché amici della star Potter.”
“Severus, so che la Granger ti ricorda Lily, ma non puoi renderla vittima dei tuoi mostri di tenebre. Tortura pure quanto vuoi te stesso, ormai ho abbandonato la speranza di farti capire che devi essere meno duro. Ma ragiona con la mente e vedrai che non sbaglio.”
Il Preside aveva detto tutto come sempre; non c’era null’ altro da aggiungere.

“Qual è l’utilizzo dell'essenza di elleboro?”
Dopo un rapido sguardo alla classe, si sorprese di non vedere la mano della Granger in alto, pronta a rispondere. La ragazza, invece, teneva gli occhi bassi, quasi timorosa di mostrare le sue capacità.
“Signorina Granger?” la interpellò.
“E’ l’ingrediente fondamentale della Bevanda della Pace” rispose Hermione a voce bassa.
“Può ripeterlo a voce più alta? Può darsi che i suoi compagni teste di legno imparino qualcosa da queste lezioni.”
Hermione, incoraggiata dalla richiesta del professore, ripeté la risposta con voce stentorea.
“Cinque punti a Grifondoro!”
Il sorriso della Granger fu un balsamo per il suo orgoglio ferito. Magari avesse avuto un così dolce rimedio ogni volta che svendeva la sua dignità ai piedi dell’Oscuro o servendo Silente come un burattino nelle sue mani. Tuttavia, come aveva imparato, ormai a caro prezzo, non era importante quello che provava lui. Il suo modo personalissimo di torturarsi non avrebbe coinvolto nessun altro. Nella sua vita si era già macchiato di molti errori, e per questo chi doveva pagare era solo lui. Non avrebbe condannato altri per le sue colpe.
“Mai più” sussurrò tra sé, mentre voltava le spalle alla classe e puntava la bacchetta alla lavagna, dove immediatamente apparvero le istruzioni per l’infuso da preparare.
 
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view post Posted on 21/1/2017, 19:03
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Un uomo diverso di B'Elanna



"Sono giorni che sei così strana, taciturna... che succede? Tutto bene?"
"Si Harry, non preoccuparti, sto bene, ci vediamo a lezione," cercai di chiudere frettolosamente la conversazione, sapevo bene che quella era solo una bugia, forse un'illusione, non stavo affatto bene, per niente!
I pensieri scorrevano veloci nella mia mente, come tante nubi in una tipica giornata ventosa di Londra; quelle parole mi offuscavano la ragione, invadevano la mia mente da quella sera, non riuscivo a liberarmene... come dimenticare il tono delle loro voci, la carica emotiva che le accompagnava.
Un pensiero consapevole si stava formando in me... possibile che ci fossimo sempre sbagliati? Possibile che i nostri pregiudizi superficiali mi avessero resa così cieca e stolta?
Uno sbuffo di vento mi destò dalle mie riflessioni, un gufo bruno mi sfiorò i capelli e si diresse allegramente verso la gufaia; Errol, il gufo di Ron avrebbe decisamente bisogno di un bel paio di occhiali da vista.
Guardai all'orizzonte, oltre il castello, il sole si stava abbassando sulla foresta proibita creando un'atmosfera da favola, quasi surreale, una cartolina che si intonava perfettamente alla magia di questa prestigiosa scuola di stregoneria.
"Dopo tutto questo tempo? "
"Sempre..."
Ecco, di nuovo quelle parole forti, intense, struggenti... di nuovo quelle frasi rubate, di nascosto, carpite nel silenzio, piccoli tasselli che svelano un puzzle davvero difficile da comprendere, da capire, da accettare.
Si, davvero impossibile da credere che quell'uomo tetro, nero nelle vesti e nell'anima, con sguardo austero e ostile, quell'uomo che avevo imparato a disprezzare potesse invece racchiudere in sé un animo sensibile, un sentimento così devastante ed immortale come l'amore, quello vero, quello eterno...
Eppure non mi ero sbagliata, più pensavo a quella sera, più era nitido il ricordo, le frasi, i toni, le sensazioni...

*******

Un fumo verdastro usciva dal calderone di Ron, come sempre qualcosa era andato storto nella sua pozione; il silenzio calò di colpo e l'unico suono che si udì fu la risatina sarcastica di un gruppetto di studenti dall’altra parte dell’aula.
"Signor Weasley... evidentemente la nobile arte delle pozioni non fa proprio per lei... 10 punti in meno a Grifondoro!" sentenziò, cinico ma compiaciuto, il professore di Pozioni.
La lezione sembrò più lenta e noiosa che mai, tra le risatine dei Serpeverde, sempre pronti ad una qualche angheria nei confronti dei compagni Grifondoro, e le frecciatine del professor Piton da sempre inspiegabilmente avverso ad ogni membro di questa nobile casa.
Cercai di concentrarmi sulla lezione, sulle misurazioni, ma mi era difficile, soprattutto qui, davanti a lui; sentii il suo sguardo addosso, chiusi gli occhi, li riaprii con riluttanza, la pozione prese un lieve colore dorato... “E’ fatta!” pensai; lui si girò e si diresse verso Seamus che, per l’ennesima volta, era riuscito a far esplodere il suo calderone...

*******

"Non lo sopporto più! Non capisco perché Silente si ostini a tenerlo qui... è disonesto, meschino e assolutamente di parte!"
"Basta Ron! Sei sempre il solito! Non giudicare chi non conosci!"
Harry e Ron rimasero sbalorditi per un attimo, mi fissarono con sguardi stupiti...
"Miseriaccia Hermione... che ti succede? Sei davvero strana da un po' di tempo, lo sai? Credi che non me ne sia accorto? Ho notato il tuo cambiamento, sono giorni che sei assorta nei tuoi pensieri, che sei sbadata, persino a lezione! Ed ora... difendi il professor Piton, ma --"
"Non sono affari tuoi, Ron!"
Harry e Ron questa volta rimasero impietriti, sentivo i loro sguardi addosso mentre me ne andavo dalla sala comune; volevo scappare, rifugiarmi in un angolino remoto del castello e rituffarmi di nuovo in quei pensieri che da giorni mi assillavano... per ricordare, per comprendere e riflettere su quelle frasi rubate che mi hanno colpito, sconvolto e affondato...
"Hermione, ti prego fermati." Mi voltai, Harry era lì in piedi, mi aveva seguito, sul suo viso sincera preoccupazione.
"Hermione, siamo sempre stati amici, ci siamo sostenuti a vicenda, che succede Hermione, cosa succede?"
"Harry... è davvero difficile per me, non so se..." Mi incamminai per il corridoio, giù per le scale fino al giardino, trovai un posticino tranquillo proprio sulle sponde del lago; Harry mi seguì in silenzio, potevo sentire la sua preoccupazione, decisi di raccontargli tutto.
"Ricordi quella sera in cui ti ho chiesto in prestito il mantello dell'invisibilità?" Presi fiato e raccontai: "Volevo scoprire una volta per tutte cosa stava tramando il professor Piton, volevo smascherarlo, svelare al mondo che era ancora seguace del signore oscuro, ma..."
"Ma..." mi fece eco Harry,
"Ma... quello che ho scoperto mi ha sconvolta, disorientata."
Harry era attento ad ogni mia parola, vedevo nel verde dei suoi occhi una fremente curiosità mista a seria preoccupazione.

Continuai il mio racconto: "A sera inoltrata mi recai nell'aula di pozioni, le scale e i corridoi erano deserti, gli studenti erano già nei dormitori, incontrai solo Madama Chips, camminava di fretta assorta nei suoi pensieri; quando arrivai la porta era aperta e Piton era intento a sistemare alcune polverine sugli scaffali, si diresse alla porta e la chiuse, poi prese un vecchio pezzo di carta dalla sua tasca e si sedette accanto alla luce fioca che illuminava la stanza.
Era una lettera, vecchia e ammuffita, ma la delicatezza con cui la maneggiava esprimeva tutta l'importanza che dava a quel pezzo di carta vecchio e consumato; la fissò per qualche minuto poi, con calma, la ripiegò e stancamente si alzò, sul suo viso la maschera della sofferenza, nei sui occhi il luccichio delle lacrime...
Guardai Harry... era sorpreso, esattamente come lo ero stata io quella sera; ora i suoi occhi mi esortavano ad andare avanti nel racconto.
"Dopo pochi istanti si diresse verso la porta e uscì dall'aula, lo guardai passarmi accanto, il suo viso ora era di nuovo arcigno e impenetrabile.
Uscì nel corridoio e poi su per le scale, lo segui fino... all'Ufficio di Silente".
"Tu, cosa? Sei entrata di nascosto nell'Ufficio di Silente... Hermione, sei impazzita?"
"Probabilmente sì Harry, ma ero determinata, in quel momento più che mai, dopo aver assistito a quel momento di intimità di Piton, dovevo capire chi è Severus Piton in realtà, un vile vigliacco freddo e meschino oppure una maschera nera che cela al suo interno qualcosa di buono e inaspettato.
Dalla mia posizione non li vedevo, ma potevo sentirli; parlavano di lealtà, di un compito che Piton non voleva più assolvere, e di una maledizione... purtroppo non riuscivo a cogliere tutte le parole quindi mi è sfuggito il senso del discorso.
Poi, però, si sono spostati ed ho potuto udire l'incantesimo Patronus evocato da Piton... un attimo di silenzio e poi la voce di Silente, grave e profondamente commossa, "Severus, dopo tutto questo tempo…", e la risposta di Piton, carica di un'emozione struggente, "Sempre".
Non so dire di chi fosse quel patronus, o a chi si riferisse, ma di sicuro era di una donna; una donna di cui Piton era profondamente innamorato... l'ho capito dalle poche parole catturate in seguito.
Una donna per cui Piton nutriva un profondo amore e per cui soffre da diversi anni nell’intimo silenzio e nella solitudine.
Capisci Harry, tutto quel suo mostrarsi arcigno, freddo e cinico non è che una maschera, un'armatura, che nasconde sofferenza e fragilità... per noi è sempre stato un nemico, un vigliacco traditore, il nostro bersaglio preferito, ma ora mi accorgo che non è così; mi rendo conto che la nostra valutazione è stata superficiale, sbagliata, ingiusta... è una persona che sa amare, sa essere fedele nel tempo ed il cui cuore appartiene da anni ad un ricordo..."
Gli occhi di Hermione erano carichi di lacrime e sollievo, ed il suo viso mostrava tutto lo sconvolgimento interno che non si preoccupava più di celare.
"Ecco Harry, ora sai cosa mi disorienta e mi fa star male in questi giorni..."
Harry era rimasto senza parole, in religioso silenzio, non poteva credere a ciò che aveva appena sentito e, francamente, non ne aveva nemmeno voglia; "Piton innamorato... capace di provare un sentimento così nobile come l'amore, quello vero..." pensò tra sé.
Rimasero per un interminabile attimo in silenzio, ognuno nei propri pensieri, fissando il magnifico paesaggio offerto dal lago in quella stagione.
Fu Harry il primo a parlare: "Senti Hermione, forse dovresti... dimenticare, non sono affari nostri, intendo --"
"No Harry, non posso e non voglio, non è giusto, nessuno dovrebbe essere lasciato in solitudine nel dolore, incompreso e ingiustamente disprezzato.”
"Forse è quello che vuole, forse si sente responsabile in qualche modo di qualcosa accaduto in passato e vuole espiare la sua colpa nel segreto dolore di ogni giorno, celando la parte migliore di sé e mostrandosi freddo e indegno di ogni attenzione."
"Può anche essere come dici tu Harry, ma non è giusto e deve finire!"
"Hermione, la tua sensibilità ti ha già messo nei guai in passato... ti prego lascia stare, finirai in guai seri."
"No Harry, non posso, io sento che devo... devo parlargli, a costo di svelare come ho scoperto la verità!"
"Se non ti conoscessi bene Hermione, penserei che ti stai innamorando di lui..."
"Non lo so Harry, forse... non mi conosci così bene."

*******

Il dormitorio era ancora semivuoto, quasi tutte le ragazze di Grifondoro erano in biblioteca per un ripasso generale prima delle nuove e estenuanti lezioni della settimana, una pioggerellina lieve scendeva oltre la finestra che dava sulla radura verdeggiante.
Cercai di concentrarmi sullo studio delle Rune ma, come sempre ultimamente, mi era davvero difficile...
"O adesso, o mai più!" Chiusi il libro e mi preparai per uscire; "Devo parlargli, deve sapere che non è più solo, che qualcuno sa e può aiutarlo, sostenerlo nel dolore del ricordo."
In un attimo ero già sulle scale che, come di consuetudine, cambiarono direzione complicandomi il tragitto.
In un batter d'occhio mi trovai davanti alla grande porta dell'aula di Pozioni, tremante ma determinata... ancora non sapevo cosa dire, che parole avrei usato, per un breve istante mi colse il pensiero di rinunciare, mi feci forza e bussai... il mio cuore sussultò, l’emozione e la paura mi disorientavano, una voce mi invitò ad entrare.
L'aula era semi-buia, come sempre, i profumi delle pozioni aleggiavano nell'aria; sentii la voce melliflua del professor Piton: "Signorina Granger, necessita di qualcosa?"
Era alla cattedra, freddo ed impassibile come sempre, sul viso la solita maschera di distacco, ma io ora lo vedevo diverso... un uomo diverso, un uomo fragile, sensibile e pieno di dolore.
Parlai ma ciò che mi sentii dire era ben diverso da quello che avevo pensato: "Mi scusi professore, stavo cercando la professoressa McGrannit, mi hanno detto che potevo trovarla qui."
"Evidentemente, le hanno dato un'informazione sbagliata... buonasera signorina Granger."
"Buonasera professore..." Con passo fulmineo uscii dalla stanza… non ero riuscita a parlargli ma sapevo il perché… ero felice, gradualmente la nebbia delle mie emozioni lasciava il posto ad un lucido pensiero; il mio equilibrio emozionale si stava riassestando, finalmente mi sentivo bene perché avevo capito cosa fare.

*******

"Hermione..." la voce di Harry mi stava chiamando così fievolmente che stentavo a sentirla.
"Hermione, sei in ritardo, il professore ha già iniziato da qualche minuto."
"Lo so Harry, è che mi sono svegliata in ritardo... finalmente questa notte ho dormito, era tanto che non ci riuscivo."
"Hermione, dimmi che non l'hai fatto... dimmi che ti sei rassegnata e che non ci pensi più."
"Ci sono andata ieri sera, Harry, e finalmente ho capito... ho capito che non era giusto affrontare la questione apertamente, sarebbe stato come ferirlo ulteriormente, piombare senza rispetto nel profondo del suo animo mettendo a nudo quanto lui ha cercato di tenere gelosamente nascosto; sarebbe stata una violenza e non è mia intenzione aggiungere vergogna al dolore, io voglio aiutarlo, non umiliarlo.
Stando davanti a lui, appena prima di confessare il mio segreto, ho capito che non sarebbe stata la cosa giusta, ero --"
"Granger, Potter silenzio! Forse vi sentite già troppo esperti per prestare attenzione... 10 punti in meno a Grifondoro! "
"Mi scusi professore"... quante volte avevo pronunciato queste parole accompagnate da un sentimento di disprezzo nei confronti di quell'uomo; ma non questa volta, il mio tono era pacato, rispettoso, amichevole.
Non so se lui se ne sia accorto, ma prima o poi lo farà; si accorgerà del mio cambiamento, del mio rispetto e della mia comprensione.
Tenderò piano piano la mia mano verso di lui, a piccoli passi, giorno dopo giorno, in un instancabile cammino fatto di piccoli gesti, sensazioni ed emozioni, verso la rivelazione di ciò che ho scoperto; verso la ricerca di un’amicizia, uno segno dovuto per restituire a quest'uomo la dignità di se stesso che ha perso davanti a sé e agli altri.
Persevererò finché si renderà conto dei miei sentimenti e della mia ritrovata stima; la mia mano rimarrà tesa verso la sua, finché forse, quest’uomo così diverso deciderà di stringerla in un timido ma significativo abbraccio.
 
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view post Posted on 21/1/2017, 19:11
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Aspettami... Severus di Ellyson



Se c’era una cosa che Hermione Jean Granger odiava più di tutte, era perdere il controllo della situazione.
Le piaceva essere pronta a tutto, studiare ogni minimo particolare.
L’istinto e l’incoscienza davanti al pericolo, caratteristiche fondamentali di un vero Grifondoro – come le diceva a volte Harry solo per punzecchiarla – non facevano parte della sua personalità.
I libri, le sue ancore di salvezza, erano gli unici che l’aiutassero ad organizzare una mente particolarmente elaborata come la sua. Le sue certezze erano stampate su vecchie pagine di pergamena, scritte con caratteri a volte troppo sbiaditi per essere leggibili, o con rune così antiche e dimenticate nel tempo che spesso richiedevano giorni di ricerca prima di trovare un senso logico. Amava l’ordine e la stabilità anche in quel momento di tumulto creato dalla guerra.
Forse era per questo che ogni membro dell’Ordine teneva in gran considerazione la sua opinione.
A volte avvertiva il peso delle responsabilità sulle sue fragili spalle di diciannovenne, ma non si sarebbe mai tirata indietro davanti ad una difficoltà. Ricordava una formula particolarmente difficile da tradurre da un antico tomo runico: ci aveva messo settimane per trovare la traduzione esatta e ore insonne a bere caffè cercando in ogni vocabolario runico che aveva a disposizione. Alla fine ogni tassello era andato al suo posto, era stremata, ma fiera di sé stessa. Si concludeva un circolo, un cerchio perfetto in cui lei aveva messo una tessera importante. Quelle piccole sicurezze l’aiutavano ad andare avanti ed a non crollare di fronte a quello che accadeva fuori da quelle mura.
Ma ora, nonostante la guerra e le vittime innocenti che essa mieteva senza sosta, il suo desiderio di stabilità ed equilibrio era seriamente minato.
Non solo si sentiva confusa e disorientata.
Non solo la sua mente, sempre attenta e scrupolosa, non riusciva a mantenere la concentrazione per più di dieci minuti.
Non solo non dormiva di notte cercando, invano, di trovare una soluzione al problema che l’assillava, ma aveva anche smesso di ascoltare Silente durante una delle riunioni dell’Ordine. Assolutamente imperdonabile.
Odiava perdere il controllo.
Si morse un labbro per cercare di strappare la sua mente da quella fantasia ad occhi aperti che era diventata la sua dolce e inconfessabile ossessione.
- Sono lieto di informarvi, - disse Silente seduto a capo tavola nella cucina di Grimmauld Place – che il professor Keenwood é stato liberato dagli Auror questa mattina. Dobbiamo ringraziare Hermione e Kingsley che hanno studiato un piano d’azione preciso e... - le altre parole si persero dietro il velo che divideva il mondo reale da quello immaginario. Dietro un mondo fatto di sguardi fugaci, lievi cenni e lente carezze a fior di pelle. Un mondo dove bastava un solo sguardo per dire mille parole.
Hermione fece un respiro più profondo, sentì la mano di Ronald sulla spalla e il suo alito caldo al sapore di api frizzolose solleticarle l’orecchio.
Non aveva sentito le parole, ma intuiva che fossero congratulazioni per il successo della missione.
Si voltò appena, mostrando un sorriso di cortesia, fingendo estremo interesse per le parole di Silente.
Mentre tornava a cercare di concentrare l’attenzione sul volto del vecchio mago, con la coda dell’occhio intravide due occhi neri che la fissavano.
Sentì lo stomaco contorcersi e la gola inaridirsi all’improvviso. I denti andarono a torturare nervosamente un labbro già provato da innumerevoli lotte.
Fissò Silente decisa a non lasciarsi trasportare dalle sue fantasie.
Gli occhi celesti di quello che, molto probabilmente, era stato il Preside di tutti i presenti in quella casa vagavano da un volto all’altro spiegando la situazione, le persone ancora da liberare, le strategie da seguire e le persone del Ministero da evitare perché influenzate dalla maledizione Imperius.
Hermione ascoltò; ci provò almeno, ma ogni volta che credeva di aver trovato la concentrazione giusta, l’ombra accanto a Silente si muoveva e lei si perdeva in quella bramata oscurità che sapeva di peccato e bugie.
Desiderò con tutta se stessa che quella lunga serata finisse il prima possibile.
Quando tutti i presenti iniziarono ad alzarsi dalle rispettive sedie, scattò in piedi e uscì dalla cucina accennando alla prima banale scusa che le fosse venuta in mente.
Entrò nella prima stanza libera che trovò, era un vecchio salottino ormai utilizzato solo come ripostiglio. Alcuni mobili erano stati coperti con vecchie stoffe viola e verdi, diverse ragnatele pendevano dal soffitto e la polvere aveva coperto tutto, mostrando quello che restava davvero della ricchezza della famiglia Black. Hermione vide l’angolo di una cornice spuntare dallo strappo di quello che un tempo doveva esser stata una trapunta costosa, un paio di mezzibusti di marmo grigi con venature verdastre erano stati abbandonati in un angolo, la strega si avvicinò per nulla incuriosita, ma disposta a tutto pur di non pensare a lui e ai suoi occhi neri, brucianti come le fiamme dell’inferno – il suo inferno personale -, che la fissavano.
Le targhe d’argento applicate alla base delle statue erano annerite dal tempo, rendendo impossibile la lettura dei nomi. La donna esaminò velocemente i lineamenti dei due uomini rappresentati, di certo erano lontani parenti di Sirius.
Fuori, nel silenzio di quella notte deserta, un lampo illuminò la strada e parte di quella stanza in disuso allungando le ombre minacciose dei mobili, abbandonati a loro stessi come spettri maligni, sulle pareti incrostate dalla muffa e macchiate dall’umidità.
Sussultò colta alla sprovvista, i temporali erano aumentati da quando i Dissennatori erano scappati da Azkaban per unirsi a Lui, ma ogni volta era sempre un colpo quando un tuono rimbombava all’improvviso sopra la sua testa.
Non aveva mai amato i temporali, odiava il rumore della pioggia battente contro i vetri, i lampi illuminavano l’atmosfera con una luce sinistra e i tuoni le facevano tremare anche lo stomaco.
Si vergognava ad ammetterlo, ma ad Hogwarts, quando nessuno la vedeva, si copriva con le lenzuola fin sopra la testa quando fuori imperversava una tempesta.
Un altro lampo illuminò la stanza, Hermione lasciò perdere i mezzibusti e si avvicinò alla finestra. I vicoli erano scuri, i lampioni illuminavano i marciapiedi con coni di luce fioca, una cartaccia rotolò dall’altra parte della strada, un randagio denutrito abbaiava contro un gatto appollaiato sul ramo di un albero spoglio.
Un altro lampo illuminò la strada.
La strega spostò la spessa tenda di tessuto verde così scuro da sembrare quasi nero e osservò l’atmosfera tetra di quella notte, si chiese quando tutto quel dolore sarebbe sparito, quando avrebbe potuto vivere una vita normale.
Quando lui non avrebbe più tormentato i suoi pensieri, la sua anima e il suo cuore.
Per qualche minuto riuscì a concentrare i pensieri sulle singole gocce che iniziarono lentamente a bagnare il vetro sporco, ma un tuono la fece tornare precipitosamente nella realtà.
Chiuse gli occhi, sospirò e appoggiò la fronte al freddo vetro cercando un modo per sopravvivere.
L’ennesimo lampo illuminò la strada e la stanza, quando la luce accecante si dissolse, Hermione aprì gli occhi notando un nuovo riflesso sulla finestra. Mise a fuoco l’immagine e sgranò gli occhi voltandosi di scatto.
Severus Piton era in quella stanza. Dritto in piedi davanti alla porta chiusa. Non l’aveva sentito entrare, era così persa nei suoi sciocchi pensieri che non si era accorta della sua presenza.
Si sentì mancare.
Con l’ennesimo tuono il cane in strada guaì spaventato. Lo sentì scappare via e il gatto soffiare vittorioso.
Invidiò molto quel cane.
- Da quanto è lì, professor Piton? – domandò con un filo di voce sentendo il cuore batterle furioso nel petto.
- Non molto. – rispose lui lanciando un’occhiata veloce alla stanza, il suo volto sembrava scolpito nel marmo, come le statue abbandonate nell’angolo – La signora Weasley ti cercava per preparare la cena.
- Oh…- mormorò quasi delusa – sì… ci… ci vado subito.
Si avvicinò di qualche passo alla porta, ma si bloccò quando si rese conto che Piton non si muoveva dal suo posto rendendole impossibile raggiungere la porta per uscire. Impossibile scappare per mettersi in salvo da lui.
- Sei intelligente, Granger. – disse l’uomo fissandola – Ti renderai conto che non sono il gufo di Molly Weasley, né che mi sarei premurato di cercati se non dovessi parlarti di cose più… delicate.
Hermione non trovò le forze per rispondere, si limitò a chinare il capo imbarazzata, cercando in tutti i modi di non sembrare sciocca.
Sentì il professore muoversi nella sua direzione, il mantello gli fluttuava morbido alle spalle, come una densa nuvola nera perfettamente sotto il suo autoritario controllo. Lo sentì camminare in cerchio, analizzandola come un predatore studia la sua preda.
Strinse i pugni e aspettò in silenzio la sentenza, senza sapere se piangere o solo avere terrore dell’uomo che le camminava accanto.
- Siamo in guerra, Granger. – iniziò a dire Piton con tono grave – Ci sono persone da salvare e maghi da fermare. Certi… pensieri non dovrebbero esserci nella tua mente.
Legilimanzia.
Hermione avvampò e strinse ancora di più i pugni.
- Sei distratta e non sono l’unico che l’ha notato. Hai delle responsabilità che non puoi ignorare per una…- fece una breve pausa, forse per cercare le parole più adatte o solo per dare più enfasi a quello che diceva - … cottarella adolescenziale.
La strega alzò la testa di scatto, Piton era a pochi metri da lei. Sguardo torvo e braccia incrociate al petto.
Sembrava ancora il professore che la sgridava per aver parlato senza il permesso.
Non aveva mai pensato a quell’uomo al di fuori delle mura di un’aula, ma ora che lo conosceva anche al di là della scuola si era resa conto che Severus Piton era rigido nella sua vita tanto quanto lo era stato con i suoi voti. In quell’ultimo mese, quando quel sentimento così imprevedibile e impossibile aveva fatto capolino nel suo cuore distruggendo il suo mondo di certezze, aveva spesso immaginato il mago in situazioni normali, quasi private, ma si era ritrovata con poche immagini e del tutto prive di logica.
Alla fine era arrivata alla conclusione che Severus Piton si alzava dal letto già vestito di nero ed incazzato con il mondo. O forse solo con se stesso.
- Gradirei che non sbirciasse nella mia mente. – disse con più coraggio di quanto pensasse di avere.
- Non ce n’è stato veramente bisogno, - spiegò l’altro facendo un gesto stizzito con la mano, come se volesse scacciare un insetto fastidioso, o un pensiero fastidioso – le tue emozioni ti si leggono in faccia. Se vuoi sopravvivere a questa guerra devi imparare a gestire meglio i tuoi sentimenti.
- Come fa lei?
Harry sarebbe stato fiero del suo improvviso, imprevedibile e dannoso coraggio Grifondoro.
Un sorrisetto orgoglioso increspò le labbra del mago.
Hermione si ritrovò a desiderarle senza neppure rendersene veramente conto.
- Esattamente. – rispose Piton.
- Non sono una bambina. – disse risoluta, distogliendo lo sguardo dalla bocca del professore, distogliendo ogni pensiero da lui – Sono in grado di gestire le mie emozioni.
L’uomo rimase in silenzio per alcuni istanti poi fece un passo nella sua direzione, Hermione indietreggiò colta alla sprovvista, improvvisamente spaventata. Si ritrovò lo schienale di una vecchia poltrona logora alle spalle bloccandole ogni via di fuga.
Era in trappola.
Piton la sovrastò con la sua presenza.
Il predatore aveva appena bloccato la preda.
Tremò, non riuscì ad evitarlo.
- La tua bocca dice una cosa…- mormorò mellifluamente Piton accarezzandole la guancia in fiamme con due dita, le sue mani erano tiepide, Hermione le aveva sempre immaginate fredde come il suo sguardo così impenetrabile – ma il tuo volto ne dice un’altra.
- Professor… Piton…- balbettò la ragazza confusa, incapace di dire alcunché di sensato.
Era inebriata dalla sua presenza, dalla sua stessa essenza, da quegl’occhi magnetici che invocavano il suo nome, o così lei sperava.
- Quanti anni hai, Granger?
- Diciannove.
Le parve di vedere un lieve sorriso su quelle labbra sottili e sempre serrate in un ghigno meschino.
- Diciannove anni…- ripeté lui nostalgico – hai ancora una vita intera per provare certi sentimenti… un’intera vita per chiamare qualcun altro amore.
Deglutì a fatica, stingendo il tessuto della poltrona alle sue spalle.
- Non è così semplice.
- Non ho mai detto che fosse semplice, ragazzina.
- Io non sono più una ragazzina, professor Piton.
Severus si chinò su di lei, Hermione sentì l’aria mancarle nei polmoni.
Un altro lampo illuminò la stanza eppure la luce non riuscì a perforare l’ombra di lui che la sovrastava. Ma mai più dolce le era sembrata quell’oscurità.
- Non hai neppure il coraggio di chiamarmi per nome, Granger. Neppure nei tuoi sogni… più spinti.
La strega sgranò gli occhi sorpresa, arrossendo ancora di più.
Quello che le stava chiedendo era di infrangere uno dei suoi più grandi tabù. Non avrebbe mai osato chiamare un professore con il suo nome, neppure dopo i M.A.G.O. E poi chiamarlo per nome rendeva tutto troppo reale e insopportabile per il suo cuore.
Non era ancora pronta ad ammettere apertamente di amare Severus Piton.
Il professore si abbassò ancora su di lei.
- Hai già dato il tuo primo bacio?
La domanda la colse alla sprovvista, allontanando ogni altro quesito, si sentì il viso andarle ancora più a fuoco, mentre annuiva senza dire una sola parola.
- Hai mai baciato un uomo, Hermione?
Questa volta Piton non aspettò nessuna risposta. Si avventò deciso sulle sue labbra.
Per Hermione l’unica cosa logica da fare fu lasciarsi andare all’ondata di emozioni che le attraversava il corpo. Sentì le mani del mago afferrarla in vita e stringerla al suo solido corpo, non ebbe il coraggio di allacciargli le braccia dietro il collo, si limitò a stringergli la casacca nera sentendo il suo calore attraverso le vesti.
Assecondò il movimento delle labbra permettendogli di sfiorargliele con la punta della lingua. Si sentì gemere inconsapevolmente mentre le invadeva la bocca con il suo sapore, mentre il suo profumo la stava ubriacando facendole girare il capo.
Strinse di più la sua giacca come a volerlo attirare a sé, inglobarlo in lei per non separarsene mai.
No, decisamente non aveva mai baciato un uomo.
Nulla era paragonabile alla sua irruenza e a quel bisogno quasi doloroso di sentirlo vicino, di sentirlo suo.
Di volere di più.
I pochi baci che si era scambiata con Viktor e Ron, prima di capire che l’amicizia era l’unico legame che li univa veramente, non erano per nulla simili a quello che stava ricevendo adesso.
Si ritrovò a rispondere a quel bacio come non aveva mai fatto nella sua giovane vita.
Si ritrovò a chiedersi come fosse riuscita a sopravvivere senza mai aver ricevuto quel bacio.
- Impazzirò…- riuscì a pensare in un attimo di lucidità – impazzirò ora… in questa stanza puzzolente, tra le sue braccia, nella sua oscurità.
Ma quando pensò di perdere del tutto il lume della ragione, Severus si ritrasse da lei, lentamente, con una calma invidiabile. Il volto sempre granitico e i suoi occhi impenetrabili.
Si ritrovò a balbettare qualcosa di incomprensibile. Forse era il suo nome. Forse erano delle spiegazioni. O forse era solo il suo corpo che implorava un po’ di ossigeno.
Piton fece un lieve sorriso, impercettibile per il resto del mondo, vitale per lei.
- Sei ancora così giovane. – mormorò prima di voltarsi e tornare alla porta, al mondo reale, alla guerra, al dolore della morte delle persone care. Al suo mondo dove non c’era spazio per la parola amore. Dove, forse, non c’era spazio per nessuno.
- Crescerò! – gli disse improvvisamente, bloccandolo con la mano sul pomello annerito – Io diventerò una donna. Diventerò più matura e… sarò pronta.
Il mago non si voltò, restò con la testa alta e gli occhi fissi sul legno scheggiato della porta.
- Mi piacerebbe incontrarla quella donna, Granger. – disse infine con voce bassa, senza però nessuna inclinazione particolare – Ma temo che ci vorrà ancora troppo tempo… per me sarà troppo tardi.
Uscì senza lasciarle il tempo di ribattere, richiuse la porta lasciandola sola con il cuore in tumulto, il viso in fiamme e le gambe tremanti.
Appoggiò una mano sullo schienale della sedia, mentre con due dita si sfiorava le labbra rosse che ancora sapevano di lui.
Un lampo illuminò la stanza, ma non se ne accorse.
- Diventerò una donna. – ripeté a voce bassa – Io crescerò, maturerò. – la mano appoggiata allo schienale della poltrona si chiuse a pugno – Aspettami… Severus.
 
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